[ 8 settembre]
- Il mito del buon migrante
- L'industria della solidarietà
- L'industria della solidarietà
- Il fondamentalismo dell'accoglienza
- La schizofrenia tra xenofobi e xenofili
- La schizofrenia tra xenofobi e xenofili
- Per un anti-immigrazionismo multiculturalista
La questione dell'immigrazione è certamente divisiva, per le sue dimensioni e perché tocca corde etiche e grandi problemi politici. I nostri lettori stanno seguendo con interesse crescente la polemica sollevata dal primo e dal secondo articolo di Pasquinelli.
Questa volta ospitiamo l'opinione, che largamente condividiamo, di un antropologo, Ciccozzi, che fa onore alla sua categoria.
«Lo xenofobo di destra è atterrito dai migranti perché, a partire da valori quali la tradizione e l’omogeneità, ritiene che gli “stranieri” distruggeranno un’identità nazionale immaginata alla stregua di un’essenza solida, un monumento marmoreo da preservare a tutti i costi dalle ingiurie del tempo.
La visione di un’Europa multietnica si oppone a questo attraverso i valori del mutamento e dell’eterogeneità, e da qui deriva l’idea xenofila che i flussi migratori vadano salutati nient’altro che come una positiva vicenda storica di apertura all’Altro (stigmatizzando come razzista chiunque si oppone all’accoglienza incondizionata dei migranti).
Qui penso che la cultura progressista cada vittima di una pericolosa ingenuità che cova dietro la rassicurante credenza che i migranti non facciano null’altro che salvarci pacificamente dalla nostra bassa natalità, traghettandoci in un colorato e provvidenziale orizzonte multietnico.
Intendiamoci, per quanto mi riguarda il problema non è la società multietnica. Per indole personale l’idea pluralistica di una società multiculturale non solo non mi spaventa; anzi, essendo un amante della varietà e del cambiamento, in linea di principio mi piace. Semplicemente penso che il rischio di un futuro in cui non saremo più degl’italiani che ricordano gl’italiani dell’album di famiglia non è un rischio: figuriamoci, sono uno che non solo si vieta le nostalgie, ma spesso le detesta.
Antonello Ciccozzi (al centro) |
Per me, come ho scritto qui dall’inizio, il problema non è la società multietnica ma l’incognita di una sua degenerazione: la banlieuizzazione dell’Europa, il disastro di uno pseudo multietnicismo del risentimento e dell’odio, senza relazioni d’interculturalità tra gruppi ostili e segnati prevalentemente da rapporti disconoscimento e di violenza reciproca; il rischio di un futuro in cui predominerà miseria, degrado e violenza. Penso che chi non si rende conto di quest’eventualità nefasta pecca d’ingenuità o d’ipocrisia.
Chi pensa che per ottenere l’integrazione sia sufficiente abbracciare un’idea di astratta tolleranza, sbaglia: a parte che la tolleranza dovrebbe essere reciproca e c’è bisogno che ci sia accordo sui valori che si considerano fondamentali, c’è un altro aspetto del problema. Se a questo flusso migratorio in catastrofica crescita (e questo finalmente s’inizia a dire sui media, come sistematicamente faccio in questo spazio da un anno, fuori da accuse di allarmismo) non corrisponderà un piano istituzionale di dignitosa integrazione lavorativa, non potremo aspettarci nulla di buono. Più gente arriva, più gli archi temporali degl’ingressi si restringono, più il proposito dell’integrazione sarà impegnativo; e senza integrazione è facile che s’inneschi una spirale estraneità-marginalità-violenza. Oggi quanta integrazione reale c’è? Approssimativamente zero.
Riusciremo a riportare l’occupazione in Europa? Sarà necessario ma non sarà facile in un continente dilaniato da un ventennale processo di espropriazione del lavoro, perpetrato in nome della globalizzazione economica; in un continente trasformato da luogo di produzione a luogo di consumo, che sopravvive aggrappato alle speculazioni capitalistico-finanziarie di un sistema bancario sempre più in bilico sul ciglio di un precipizio.
Per ora i corpi di questi nuovi migranti dell’emergenza fanno da materia prima per il sistema di profitto sugli aiuti umanitari messo in piedi dall’industria della solidarietà impegnata in quest’accoglienza al bromuro in un regime di shock economy (già, perché, se ancora non lo si è capito, questa è un’inedita versione del capitalismo dei disastri di cui parlava Naomi Klein). Questa è la negazione dell’integrazione. Poi che succederà?
Quindi, se la trasformazione etnica dell’Europa può essere vissuta come un valore o disvalore (a seconda se si è, semplificando al massimo, di sinistra o di destra), di fronte allo scenario attuale non si può non considerare anche l’eventualità di un processo degenerativo.
Presumere che chi è contro l’immigrazionismo stia necessariamente esprimendo una posizione identitarista di difesa della nazione è uno stereotipo proveniente da un’attitudine alla semplificazione: si può (e si deve) essere contro l’immigrazionismo anche per difendere una via al multiculturalismo che non porti alla banlieuizzazione (opporsi alla totale deregolamentazione dei flussi migratori non significa necessariamente essere contro le migrazioni, ma comprendere che non si bilancia un errore storico – la deregolamentazione selvaggia dei mercati – commettendo un altro errore).
Chiarito che ci possono essere due modi di essere anti-immigrazionisti, uno di destra per difendere l’identità nazionale dal multiculturalismo, l’altro, di sinistra, per difendere il multiculturalismo dalla banlieuizzazione, non posso non rilevare che però questo secondo modo di essere anti-immigrazionisti ancora non esiste: non ha ad oggi nessun riconoscimento, oltre le parole che cerco di scrivere, insieme a pochissimi altri. Non esiste perché, a partire dallo stereotipo positivo del “buon migrante”, la cultura progressista si rifiuta di considerare queste forme di alterità anche come eventuale oggetto di rischio, le riconosce solo e unicamente come soggetti di aiuto; perché, in un martellare ossessivo di sensi di colpa postcoloniali, rappresenta la loro sofferenza come cagionata solo da nostre responsabilità.
Se lo xenofobo vede unicamente cattivi clandestini, lo xenofilo, abbagliato dal mito del buon migrante, non si accorge che, soprattutto in questo clima emergenziale, può arrivare anche gente mossa da intenzioni opportunistiche, predatorie e violente; pessime intenzioni spesso supportate da un sentimento di odio per l’Occidente religiosamente e/o politicamente indotto. Però, ad esempio, in questi giorni tra i fondamentalisti della cultura dell’accoglienza c’è spazio solo per la tragedia del piccolo rifugiato annegato: i pensionati massacrati dal rifugiato non meritano lo spettacolo del dolore, sono non-persone su cui non vanno fatte narrazioni ma deve calare un regime di silenzio.
Invece se vogliamo un “restiamo umani” che non sia solo a metà (e quindi una licenza per poter essere disumani verso alcune tragedie), dobbiamo uscire da questa schizofrenia tra xenofobi e xenofili; questo vuol dire che dobbiamo abbandonare il vizio della percezione selettiva e imparare a intrecciare queste narrazioni, per riconoscere la complessità di questo flusso migratorio, senza ridurla a stereotipi né negativi né positivi. Solo in questo modo potremo costruire il clima culturale adatto per approdare a un multiculturalismo sano, evitando sia la fortezza-Europa sia l’Europa-banlieue».
* Fonte: Il Fatto Quotidiano
6 commenti:
Scrive correttamente Ciccozzi, parlando del problema immigrazione visto da sinistra per "difendere il multiculturalismo dalla banlieuizzazione, non posso non rilevare che però questo secondo modo di essere anti-immigrazionisti ancora non esiste".
Esatto. Anzi, per essere più precisi, il fattore immigrazione è un autentico cavallo di troia per la sinistra. Lo scopo subliminale è vivere la globalizzazione come la realizzazione del né-destra-né-sinistra, mantra neoliberista. I migranti non sono nè di destra nè di sinistra, ma la sinistra (socialdemocratica diciamo) è la forza che maggiormente spinge per l'accettazione di questo fenomeno, causando (come è facile osservare anche su Sollevazione) un intenso dibattito all'interno della sinistra stessa. A destra questo problema non si pone. E' l'antico metodo del Divide et Impera: si crea un problema che mette a nudo la fragilità del metodo degli avversari, che si sparpagliano tentando di trovare un impossibile punto di forza comune. Nel frattempo avanzano le armate, facendo strage.
L'impero globalizzato da decenni sta usando questo metodo, che risulta bene accetto dalla comunità dei sinistrati, ormai divisi in inconcludenti rivoli di ermeneuti del verbo marxista. E mentre questi discutono le armate neoliberiste avanzano.
Un'ultima annotazione: "la cultura dominante è la cultura della classe dominante" diceva Marx. Domandiamoci quindi qual'è la cultura dominante oggi, e cerchiamo di trarre qualche utile insegnamento.
OT
PS ripeto qui la rivisitazione della poesia del pastore Niemoller, ripresa poi da Brecht:
Prima vennero i marocchini, e non alzai la voce, perché ero un comunista.
Quindi vennero gli albanesi , e non alzai la voce, perché ero di sinistra.
Quindi vennero anche i rumeni, e non alzai la voce, perché ero del PD.
Quindi vennero da tutto il resto del mondo, e a quel punto non vi era rimasto più nessuno di sinistra.
"Semplicemente penso che il rischio di un futuro in cui non saremo più degl’italiani che ricordano gl’italiani dell’album di famiglia non è un rischio: figuriamoci, sono uno che non solo si vieta le nostalgie, ma spesso le detesta."
Considerato che in ultima analisi l'essere Sovranisti equivale ad essere Italiani, non mi trovo d'accordo con questa frase di Ciccozzi.
Noi DOBBIAMO salvaguardare l'identità italiana, perché è su di essa che si installa la sovranità popolare con la quale poter creare un socialismo internazionale, una comunione di intenti tra le genti europee.
Roberto
"Chiarito che ci possono essere due modi di essere anti-immigrazionisti, uno di destra per difendere l’identità nazionale dal multiculturalismo, l’altro, di sinistra, per difendere il multiculturalismo dalla banlieuizzazione, non posso non rilevare che però questo secondo modo di essere anti-immigrazionisti ancora non esiste: non ha ad oggi nessun riconoscimento, oltre le parole che cerco di scrivere, insieme a pochissimi altri. Non esiste perché, a partire dallo stereotipo positivo del “buon migrante”, la cultura progressista si rifiuta di considerare queste forme di alterità anche come eventuale oggetto di rischio, le riconosce solo e unicamente come soggetti di aiuto; perché, in un martellare ossessivo di sensi di colpa postcoloniali, rappresenta la loro sofferenza come cagionata solo da nostre responsabilità."
È bello leggere cose così, ci si sente meno soli.
Bell'articolo.
Condivido tutto, compreso il "giudizio" implicito sull'attitudine destrorsa alla nostalgia.
Essere progressisti significa comprendere il passato e creare le condizioni per la fiducia nel presente che permetta di non avere angosce sul futuro.
francesco
Sentite cosa dice la bonino:
“L’Europa vive un calo demografico importantissimo, per il 2050, cioè domani, avrà bisogno di 50 milioni di immigrati per sostenere il proprio sistema di welfare e pensionistico, l’Europa ha bisogno di queste gente, questa è una verità, una delle ragioni che avranno spinto Angela Merkel a cambiare posizione”.
Vorrei ricordare alla bONINO con la b minuscola che l'europa ha 30 milioni
di disoccupati tra cui il sottoscritto ma loro vogliono gli immigrati.
vorrei che vedeste (per intero) il
seguente :
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