venerdì 31 agosto 2018

SICILIA: SFONDA LA LEGA (MA COME? E CON CHI?) di Roberta Zarcone

[ 31 agosto 2018 ]

Nella foto Igor Gelarda, Stefano Candiani e Fabio Cantarella nella conferenza stampa di Palermo del 2 agosto scorso.

Pubblichiamo un articolo apparso ieri. 30 agosto, su LIVE SICILIA. Già nel gennaio 2018 Salvini fece nell'isola la sua prima incursione. Sembrava un uragano, fu un piccolo temporale. Tentativo abortito. Oggi le cose son cambiate. Sulla spinta del 4 marzo e dell'ascesa della lega "nazionalista" accorrono alla corte di Salvini notabili politici da ogni lato: da M5s, dal Pd, da Crocetta, da Forza Italia, dai lombardiani. Rottami politici che salgono sul carro di quello che sembra il vincitore. Ed ecco l'eterno vizietto della casta siciliana: il trasformismo. Il senatore leghista Candiani, fedele salviniano, è lo stratega di questa infornata. 
Nemmeno immagina i guai in cui ficca, oltre a se stesso, Salvini e la Lega...



Il "battesimo" di Gelarda, il codice etico, il tesseramento: in Sicilia la Lega riparte da Palermo


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Nuove adesioni e cambi di casacca 

LA MAPPA DELLA LEGA IN SICIALIA
I salviniani si strutturano. Volti nuovi ma anche qualche ex di Cuffaro, Lombardo e Crocetta

di Roberta Zarcone

PALERMO - "Quando era con me, non aveva mai espresso quegli orientamenti politici". Così l'ex presidente della Regione Rosario Crocetta rivela la propria sorpresa per l'adesione di Gaetano Montalbano, un suo ex fedelissimo, alla corte di Matteo Salvini. "Sorpresa fino a un certo punto - rincara Crocetta - ci sono soggetti che vanno sempre e solo con chi vince. Quando ho vinto io stavano con me, ora stanno con la Lega". Un cambio di casacca piuttosto clamoroso per quello che era stato un "gabinettista" del governatore che teneva alle spalle della sua scrivania un crocifisso ricavato dal legno dell barche dei migranti e che dallo stesso governatore era stato mandato persino a dirigente la delicatissima Seus, azienda da oltre duemila dipendenti che gestisce il 118. "La Lega di Salvini - scrive oggi l'ex fedelissimo di Crocetta - vola sempre più in alto, il Movimento 5 Stelle risale, Fi crolla, il Pd e Fdi calano ancora. Leu sarebbe fuori dal Parlamento. Il razzismo culturale di certa sinistra è stato sgamato. Le politiche del governo, premiate. Più le opposizioni insultano, più perdono. Forza e coraggio". "Ma Montalbano con la Lega sta come i cavoli a merenda", insiste Crocetta "del resto quando hanno distrutto il mio Megafono, ognuno è andato per conto suo. Avrei potuto farlo anche io, ma ho una mia storia e una mia faccia. Chi non ha una storia, può andare dove vuole".

Quella di Montalbano è solo l'ultima adesione alla Lega proveniente da mondi apparentemente assi diversi. Non è l'unico, infatti, ad arrivare da aree di centrosinistra o direttamente dal Movimento cinque stelle. E così, oggi, il rischio di imbarcare nel nuovo progetto uomini e donne che avevano già vissuto all'ombra di partiti e poteri invisi alla Lega è molto alto. La Lega cresce, infatti. E piace sempre di più, anche in Sicilia. E', oggi, il cavallo vincente su cui puntare e il consenso popolare al leader Salvini è ai massimi storici. 

Dopo la conferenza stampa del lancio ufficiale del tesseramento che si è tenuta a Palermo lo scorso 3 agosto alla presenza del senatore lombardo Stefano Candiani, commissario del partito sull'Isola, le adesioni al “nuovo” Carroccio si sono susseguite senza sosta. Mentre a livello nazionale la Sicilia ha eletto già due deputati, Alessandro Pagano e Carmelo Lo Monte, e una senatrice, oggi ministro alla Pubblica Amministrazione, Giulia Bongiorno, a livello regionale sono in molti in queste settimane, proveniente soprattutto dal centrodestra, ad aver deciso di rappresentare la "nuova" Lega.

Ovviamente, il concetto di "nuovo" in questo caso è assai relativo. Pagano, infatti, come gli hanno ricordato oggi "ex amici" di Forza Italia, è stato anche un assessore di Totò Cuffaro proprio in quota "berlusconiani", mentre Lo Monte è stato assessore addirittura nel governo di centrosinistra di Angelo Capodicasa, in quello di centrodestra di Vincenzo Leanza, e annovera anche una parentesi nell'Italia dei valori. Fedelissimo di Lombardo, però, già nel 2006 era candidato nella lista che metteva insieme Mpa e Lega. Non proprio politici di "primo pelo", insomma, come non lo sono del resto l'attuale deputato regionale Tony Rizzotto, anche lui un "lombardiano" che dal governatore di Grammichele fu "piazzato" anche in una società regionale per poi lasciare il posto alla compagna. E non sono dei novelli politici nemmeno Salvino Caputo e Angelo Attaguile. Il primo berlusconiano di provenienza An, il secondo ex democristiano figlio di un senatore e ministro democristiano anche elemento di vertice del Movimento per le Autonomie di Raffaele Lombardo, prima della svolta “leghista”.

PALERMO. Ma il nuovo corso della Lega punta proprio a un rinnovamento totale, che provi a partire dal basso. Nel Capoluogo, dove arriva oggi il commissario Stefano Candiani, a svolgere un ruolo da protagonista è un consigliere comunale che ha "rotto" con i 5 Stelle al Comune di Palermo: Igor Gelarda, oggi il nuovo responsabile Enti Locali e organizzativo per Palermo e provincia della Lega. E' stato proprio lui, come primo atto da nuovo componente, a stilare insieme ad un gruppo di volontari, l'elenco di regole a cui attenersi per entrare a far parte del "nuovo" Carroccio. “Valori e regole che condivido mi hanno spinto e convinto ad aderire al movimento di Salvini - ha detto Gelarda - Come il tema della sicurezza, dello sviluppo del territorio e della legalità”. Lo ha seguito a ruota, prova ne sono le foto sorridenti su Facebook con il “Capitano”, Elio Ficarra, anche lui consigliere a Sala delle Lapidi, ex forzista, eletto alle scorse Amministrative fra le liste a sostegno di Fabrizio Ferrandelli. Passa alla Lega anche Rosi Spadaro, ex candidata alla presidenza della terza circoscrizione con i 5 Stelle. Gelarda sta facendo “proseliti” anche in provincia: a Campofiorito è passata fra le fila di Salvini l'assessore comunale Anna Maniscalco e Vito Chiara, presidente del Consiglio comunale. A Chiusa Sclafani invece, cambio di casacca per il consigliere comunale Pietro Giammalva. A Misilmeri ha aderito alla Lega l'ex poliziotto e consigliere Giusto Lo Franco, a Villabate la giovanissima consigliera Rosaria Semilia. “Ma le novità non finiscono qui – ha sottolineato Gelarda – presto avremo nostri rappresentanti anche a Monreale, Partinico, Ficarazzi e Isola delle femmine. Ho interlocuzioni in corso anche a Giuliana e Alimena dove i sindaci sono passati dalla nostra parte”.

La prossima settimana intanto partirà, con l'allestimento di gazebo in tutta la città, il tesseramento per gli attivisti: “Vogliamo contarci e sapere su chi possiamo contare – ha detto il leghista – naturalmente gli attivisti dovranno sottoscrivere il codice etico e presentare una copia del certificato del Casellario giudiziario rilasciato dalla Procura della Repubblica. Successivamente - ha assicurato il poliziotto - il tesseramento verrà aperto a tutti".

TRAPANI. In provincia tante trattative sottotraccia con diversi consiglieri comunali che hanno espresso la volontà di aderire al Carroccio. I “pretendenti” vengono vagliati con la massima attenzione dal responsabile organizzativo Bartolo Giglio, già candidato sindaco della Lega alle ultime Amministrative di Trapani. Ed è proprio nel capoluogo che la Lega avrebbe respinto le avance di qualche neo consigliere comunale il cui spostamento verso l'asse della maggioranza a supporto del sindaco Giacomo Tranchida, però, non è piaciuto ai leghisti. A Gibellina, invece, è ormai realtà il passaggio del consigliere comunale Salvatore Tarantolo, che guida un gruppo ben radicato soprattutto nella zona della valle del Belice, mentre circolano alcuni nomi destinati a dare vita alla consulta regionale femminile del Carroccio: la trapanese Doriana Bongiorno, già assessore designato da Giglio e dipendente del ministero della Giustizia, e la marsalese Rosalba Catalano. Su molti possibili ingressi, che dovranno essere compatibili con il codice etico che il Carroccio ha adottato recentemente in Sicilia, sarà decisivo l'incontro con Stefano Candiani che nell'Isola ricopre il ruolo di commissario della Lega. L'uomo forte voluto da Salvini per guidare il lancio del Carroccio siciliano domani tornerà a Palermo e a metà settembre potrebbe invece far tappa proprio a Trapani per seguire da vicino le vicende della provincia. L'obiettivo è quello di evitare le adesioni dell'ultima ora che puntino a salire sull'autobus leghista senza una vera condivisione di idee. Alle vicende trapanesi guarda con interesse anche Livio Marrocco, ex deputato regionale di Pdl e Fli e oggi esponente del movimento Sovranista di Gianni Alemanno. Marrocco resta al fianco dell'ex sindaco di Roma ma il legame con la Lega nato alle ultime Amministrative si è rinsaldato in questi giorni di trattative.

CATANIA. Nella città ai piedi dell'Etna Salvini ha sempre potuto contare sull'assessore comunale Fabio Cantarella, ma il leader leghista non incontra grossi ostacoli a Catania grazie al feeling con il sindaco forzista Salvo Pogliese. Fra i sostenitori anche Alfio Allegra, presidente della sesta circoscrizione di Catania. Anche in provincia il leader del Carroccio ha i suoi rappresentanti, come il sindaco di Motta Sant'Anastasia, Anastasio Carrà.

MESSINA. E mentre a Ferragosto a Genova si consumava l'immane tragedia del crollo del ponte Morandi, Salvini era a Messina, a creare nuove alleanze e incassare adesioni. L'imbarazzante e involontaria coincidenza ha scatenato l'indignazione sui social, ma ha fruttato alla Lega ben quattro consiglieri comunali: Dino Bramanti, Salvatore Serra, Giovanni Scavello e Giovanni Caruso. Adesioni anche a Giardini Naxos, dove è passato alla Lega il consigliere Giancarlo Lo Turco, che però in una nota precisa: "Non ho cambiato alcuna casacca né posso essere annoverato fra le nuove adesioni. Il sottoscritto ha aderito al Movimento “Noi con Salvini” già dal gennaio 2015, quando ai comizi di “Noi con Salvini” in Sicilia il clima era tutt’altro che favorevole. Sono stato nuovamente rieletto consigliere comunale nel giugno 2015 in una lista civica ma in quota al movimento politico 'Noi con Salvini'". Ufficialmente con Salvini anche il consigliere comunale di Milazzo Santi Sarai e il presidente del Consiglio comunale di Catelmola Massimiliano Pizzolo. E ancora, fresco di nomina nell'esecutivo del Carroccio è il sindaco di Furci Siculo, Matteo Franciliache sarà il nuovo coordinatore provinciale.

CALTANISSETTA. La Lega si dà una struttura anche nel Nisseno: a ricoprire il delicato ruolo di responsabile degli enti locali per la provincia sarà il consigliere comunale Oscar Aiello. Mentre il responsabile organizzativo sarà il gelese Francesco Spata. Da sempre vicino alla Lega è invece il consigliere di Gela Salvatore Farruggia.

Scatti in avanti e adesioni anche ad Agrigento, dove intanto Salvini potrà contare sulla consigliera comunale Nuccia Palermo, mentre ad Enna, Forza Italia perde un altro pezzo con l'adesione al Carroccio dell'ex deputato Edoardo Leanza. Negli altri comuni al momento sono stati designati solo i responsabili organizzativi: a Siracusa Leandro Impelluso, mentre a Ragusa Luigi Mellilli e Gabriele Amore. Insomma, difficilmente si sarebbe potuto pensare ad una Sicilia a trazione leghista, ma Salvini, l'inedito governo nazionale e la rivoluzione all'interno del partito, ovvero l'abbandono delle tematiche "nordiste", ha incassato e continua ad incassare consensi in tutto lo Stivale. Persino da quelli che una volta erano i "terroni".


IL DILEMMA DI SALVINI di Piemme

[ 31 agosto 2018 ]

Ieri Sandokan scriveva che ove Matteo Salvini non cambi presto musica; se si fissa a fare del contrasto all'immigrazione l'alfa e l'omega della sua battaglia; se non compie "la mossa del cavallo" mettendo al centro le questioni sociali —che sono il terreno vero di scontro con le élite e su cui si consolida o si vanifica il consenso di cui gode il governo giallo-verde— già accerchiato dai suoi nemici, rischia davvero di essere fatto fuori. E tra i suoi nemici quelli più pericolosi sono i finti amici che ha in casa. 

Chi sono? I notabili "nordisti" della Lega, quelli vicini alla grande borghesia padana (gli Zaia, i Maroni, i Fontana, quindi il mastino Giorgetti), quelli insomma che fanno affari con la globalizzazione essendo indotto dell'industria tedesca, che non vogliono alcuna vera svolta né, tantomeno, una rottura con l'Unione europea.
La fronda eurista interna alla Lega ha utilizzato Salvini per non affondare assieme ai berluscones, ma in verità non accetta l'orizzonte nazional-populista. E' a causa del rischio di spaccatura della Lega che Salvini alza il tiro sull'immigrazione, perché su questo lato i "nordisti" non possono dissociarsi e lasciarlo solo.

Questo gioco ha però il fiato corto se è vero, come è vero, che in autunno la questione delle questioni, la "cosa" che occuperà il centro della scena, sarà la Legge di bilancio, perché lì verificheremo se questo governo attuerà quell'inversione di marcia rispetto alle politiche austeritarie e ordoliberiste che "nove italiani su dieci si attendono" (Sandokan).

I segnali che Salvini sta inviando sono pessimi. Ieri, a Venezia il nostro ha preso le distanze da Cinque Stelle su due questioni cruciali, grandi opere e nazionalizzazioni:
«Salvini prende le distanze dai 5 stelle. Il ministro dell’Interno da Venezia ribadisce l’importanza di procedere con la Pedemontana, il terzo valico di Genova e il Tap. In netto contrasto con le nazionalizzazioni di Toninelli definisce "un’ottima cosa la collaborazione tra pubblico e privato"». [LA STAMPA di oggi]
Salvini quindi fa da sponda ai desiderata dei "nordisti": no alla nazionalizzazione di Autostrade, no alla nazionalizzazione di Alitalia e ILVA di Taranto. Dietro a tutto, anzi, davanti, c'è quindi la Legge di bilancio 2019. E' in quel calderone che vedremo se ci sarà spazio o no per i provvedimenti promessi e contemplati nel Contratto di governo: riforma della Fornero, Reddito di cittadinanza, salario minimo legale, investimenti pubblici, ecc.; se quindi sarà una finanziaria di svolta o se sarà austeritaria, in linea dunque con le politiche deflattive dell'ultimo decennio.

Il Documento di economia e finanza (Def) che il Mef e Tria sforneranno a giorni indicherà i numeri e le poste della legge di bilancio. E come stanno le cose? Stanno che Tria, come chiede l' Ue, non vuole aumentare la spesa pubblica fino e oltre al 3% di deficit su Pil, ma fermarsi, al massimo all'1,5. Morale: scordatevi le promesse del Contratto di governo.

Lo conferma LA STAMPA:
«Gli accordi presi dalla Commissione di Bruxelles con il governo Gentiloni dicono che l’Italia dovrebbe darsi un obiettivo di deficit per l’anno prossimo non superiore allo 0,9 per cento del prodotto interno lordo. Tria ha fissato la linea del Piave all’1,5 per cento, dieci miliardi in più degli accordi precedenti. Per lui quello è l’obiettivo minimo, la soglia sotto la quale non intende andare. E’ già più della flessibilità che l’Europa è disposta a concedere – si dice fra i sei e gli otto miliardi - ma molto meno di quel che si aspetta la maggioranza. La quadratura del cerchio magari si troverà, ma sarà comunque dolorosa. Il premier Conte si prepara a mediare, il Quirinale osserva in silenzio con qualche apprensione».
Che aggiunge: 
«I mercati non attendono altro, perché quei numeri risponderanno alle domande finora inevase dalla maggioranza giallo-verde. L’Italia andrà allo scontro frontale con l’Europa o si mostrerà più realista? Logica vorrebbe che prevalesse la seconda ipotesi: le elezioni europee sono dietro l’angolo (a maggio 2019) e né alla Lega, né tantomeno al Movimento Cinque Stelle converrebbe presentarsi all’appuntamento con gli spread fuori controllo. L’ultima asta di titoli pubblici ha già fatto salire i rendimenti oltre il tre per cento. Sul comportamento dei mercati pesano le preoccupazioni per la situazione argentina e più in generale l’aumento dei tassi di interesse americani. Ma l’aumento dello spread con i Bund tedeschi (ora a 285 punti base) e con i titoli spagnoli e portoghesi spiega che gli investitori si chiedono soprattutto cosa accadrà in Italia. Per rassicurare sulle intenzioni del governo, il Tesoro sta valutando se anticipare di qualche giorno la presentazione della nota di aggiornamento».
La grande finanza predatoria, nel frattempo, affila le armi e muove le sue truppe per mettere il governo giallo-verde con le spalle al muro. Stasera, dopo la chiusura di Wall Street, l’agenzia di rating Fitch aggiornerà il suo giudizio sull’Italia. Previsioni? Non sarà lontano dal cosiddetto “non investement grade”, ovvero il livello sotto il quale il mercato considera un titolo “spazzatura”. Un avviso in evidente stile mafioso a Di Maio e Salvini: abbassate la cresta o scateneremo l'inferno.

E qui torno al dilemma di Salvini.

Egli forse spera che la partita con la Ue sulla Legge di bilancio finisca in una pari e patta, così da guadagnare tempo fino alle europee e lì fare il pieno di consensi. Poi si vedrà, e sarà possibile sbarazzarsi della Quinta colonna.

Ma le europee del maggio '19 solo lontane... Che finisca in pari e patta, poi, io non ci credo. Non ci credo anzitutto perché l'eurocrazia vorrà vincere, ed ha le armi di distruzione di massa (tra cui lo spread) per sperare di mettere in ginocchio il governo italiano e quindi spazzarlo via prima che sia troppo tardi.

E qui il dilemma di Salvini: restare imprigionato nella trama eurista (alla quale fanno da sponda i potenti notabili nordisti della Lega) o resistere? Nel primo caso sarebbe fatto fuori, nel secondo solo può sperare di restare protagonista e "capo-popolo". Ma questo secondo caso impone una mossa audace: non spezzare il blocco tattico con i Cinque Stelle ma anzi rinsaldarlo, trasformandolo in una vera e propria alleanza politica. Come scritto su questo blog
«per Di Maio e Salvini converrebbe aprire una crisi di governo per andare a passo di corsa verso elezioni anticipate e così raccogliere il crescente consenso popolare. Che solo in questo appoggio consiste la loro arma più potente».

giovedì 30 agosto 2018

LA SORTE CHE SPETTA A SALVINI di Sandokan

[ 30 agosto 2018 ]

Marcello Veneziani, uomo di destra a tutto tondo, si chiede, dopo l'agrigentino avviso di garanzia, quale sarà la sorte si Matteo Salvini.
Il titolo del suo pezzo è assertivo e profetico: "Ecco come andrà a finire". Veneziani prevede che Salvini, malgrado sulla questione dell'immigrazione goda di un consenso oceanico, sarà fatto fuori. Da chi? Dall'onnipotente solita élite oligarchica in sodalizio con la sinistra in tutte le sue sfumature.
Veneziani conclude quindi il suo articolo scrivendo:

«Per questo so come andrà a finire. Il consenso a Salvini prima o poi si sgonfierà, quando vedranno che non potrà dare i frutti sperati, che il loro Tribuno sarà isolato, le sue decisioni saranno sistematicamente smantellate dai Palazzi. Allora gli italiani si adatteranno, come sempre hanno fatto, abbozzeranno perché non vogliono mica imbarcarsi in una guerra civile. Si rifugeranno nelle tv e negli smartphone. E quello stanno aspettando gli sciacalli e le iene variamente disseminati nei media, nei tribunali, nei palazzi di potere. D’altra parte, è vero, non si può pensare di governare senza creare una classe dirigente, senza dotarsi di una strategia, ma soltanto a pelle, a orecchio, a botte di tweet, video e like. E così resterà quel divario assoluto tra la gente e il potere, ognuno troverà l’alibi per farsi i fatti suoi. E l’Italia sarà bell’e fottuta».

Al giudizio apologetico di Salvini e della sua crociata anti-immigrati fa da contraltare quello sprezzante, rancoroso (e francamente fascistoide)  sul "popolino italiano".
E' plausibile che vada a finire così?
Sì, lo è. E' possibile che Salvini, lasciato eventualmente solo dai Cinque Stelle e dai boiadi nordisti della Lega, venga lasciato solo e che a qual punto il sistema, dopo avergli permesso di salire alle stelle lo getti nelle stalle. Una delle tante meteore italiane insomma.
Andrà a finire così se Matteo si lascerà inchiodare alla croce dell'immigrazione. Se insomma resta prigioniero del suo ordine del giorno, che è oramai ben accetto dall'élite e su quell'albero vorrà impiccarlo.
Non andrà a finire così se Salvini farà finalmente la mossa del cavallo.
Dovrebbe smettere di picchiare ossessivamente sul tasto dell'immigrazione, prendere atto che facendolo fa il gioco dei suoi nemici. 
Dovrebbe cambiare spartito e musica e picchiare sul tasto che l'élite davvero teme, quello della politica economica e sociale. Nove italiani su dieci (anche quelli che hanno votato a sinistra e a destra) sperano che questo governo imprima una svolta seria per quanto attiene a lavoro, pensioni, reddito, sanità, scuola...
Lo farà?
Lo vedremo presto, nei prossimi mesi. 
Vedremo se davanti all'euro-oligarchia si farà paladino della sovranità popolare e nazionale (per ciò stesso democratica) o se diventerà uno dei tanti Masaniello d'Italia.

Ps

Con tutto il rispetto che si deve a quella figura  tragicomica di Masaniello, capopolo, fatto diventare Viceré, e poi finito ammazzato da scagnozzi dall'aristocrazia.



IL FASCISMO

I. Congresso del Komintern, estate 1919

[ 30 agosto 2018 ]

Riteniamo necessario, mentre si fa un gran baccano sul "fascio-leghismo", pubblicare un documento dell'Internazionale Comunista, per la precisione una risoluzione approvata nel giugno 1923, otto mesi dopo che Mussolini salì al potere. Questa risoluzione fissa degli importantissimi punti fermi, sia per quanto attiene alla natura del fascismo (e su questo torneremo) che al modo in cui si doveva combattere. Ci siamo permessi di sottolineare alcuni passaggi topici.


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RISOLUZIONE SUL FASCISMO
Approvata dal III. Plenum allargato dell'Internazionale Comunista (Komintern)
( 23 giugno 1923 )

Il fascismo è un fenomeno di decadenza caratteristico di questa epoca, espressione della progressiva dissoluzione dell’economia capitalistica e della decomposizione dello stato borghese.

La sua radice più profonda è nel fatto che la guerra imperialistica e il dissesto dell’economia capitalistica che essa ha accresciuto e favorito hanno distrutto le precedenti condizioni di vita e cioè la precedente sicurezza dell’esistenza di larghi strati della piccola e media borghesia, dei piccoli contadini e dell’«intellighenzia». Deluse son restate anche le confuse aspettative che alcuni membri di questi strati sociali avevano riposto in un energico miglioramento della società da parte del socialismo riformistico. Il tradimento della rivoluzione da parte dei capi riformisti del partito e dei sindacati, la loro capitolazione davanti al capitalismo, la loro coalizione con la borghesia allo scopo di restaurare il vecchio dominio di classe e sfruttamento di classe – tutto ciò all’insegna della «democrazia» - hanno fatto perdere a questa specie di «simpatizzanti» del proletariato la speranza nel socialismo stesso e nella sua forza di liberazione e di rinnovamento sociale. La debolezza di volontà e il terrore della lotta, con le quali la schiacciante maggioranza del proletariato fuori della Russia sovietica permette questo tradimento e lavora sotto gli scorpioni capitalistici per rafforzare il proprio sfruttamento e asservimento, hanno tolto ai piccolo e medio-borghesi in fermento, nonché agli «intellettuali»,  la fiducia nella classe operaia in quanto principale artefice di una trasformazione radicale della società. Ad essi si sono uniti alcuni elementi proletari i quali, decisi ad agire e pretendendo che si agisse, si sentivano insoddisfatti del comportamento di tutti i partiti politici. Al fascismo spingono inoltre disillusi e declassati, persone sradicate da ogni ceto sociale, specialmente però ex ufficiali che dalla fine della guerra in poi sono diventati disoccupati e senza guadagno.
In particolare ciò vale per gli Stati centrali sconfitti, dove di conseguenza il fascismo ha assunto una forte impronta repubblicana.


Senza conoscenze storiche e senza educazione politica, la masnada fascista socialmente variopinta, messa insieme a casaccio, attendeva ogni salvezza da uno «Stato» che, creatura e strumento suo, attuasse il suo confuso, contraddittorio programma in modo sedicente non-classista e apartitico, con o senza legalità borghese, mediante la «democrazia» o un dittatore.

Il fascismo, nel periodo del fermento rivoluzionario e della crescita del proletariato, ha simpatizzato o almeno ha civettato con obiettivi rivoluzionario-proletari.
Il presidium del II. Congresso del Komintern estate 1920
Le masse che lo seguivano oscillavano tra i due campi avversi dei grandi storici conflitti e contrasti di classe. Di fronte alla ripresa del dominio borghese e all’offensiva generale della borghesia, esse si sono tuttavia decisamente buttate dalla parte della borghesia, dove sin dall’inizio sono stati i loro capi. La borghesia ha assunto il fascismo al proprio servizio e lo ha assoldato per la propria lotta diretta a sconfiggere il proletariato e ad asservirlo durevolmente. 

Quanto più a lungo e quanto più intensamente si sviluppa la decomposizione dell’economia capitalistica, quanto più insopportabili si fanno i pesi e le sofferenze che perciò premono sul proletariato, tanto meno bastano a difendere l’ordine borghese contro l’incalzare delle masse lavoratrici le prediche riformistiche di carattere pacifista e di collaborazione democratica tra i lavoratori. La borghesia ha bisogno per la propria difesa di un potere aggressivo contro la classe operaia. Il vecchio apparato di potere sedicente «apolitico» dello Stato borghese non le garantisce più sufficiente sicurezza. Essa procede a creare truppe speciali per la lotta di classe contro il proletariato. Tali truppe gliele fornisce il fascismo. Benché questo per la sua origine e per i suoi componenti includa anche tendenze rivoluzionarie che potrebbero volgersi contro il capitalismo e il suo Stato, esso diventa però una pericolosa forza della controrivoluzione. Lo dimostra dove vince: in Italia.

Si intende che il fascismo, a seconda delle condizioni storiche date nei diversi paesi, mostra tratti diversi, ma dappertutto la sua essenza consiste in un miscuglio della violenza terroristica più brutale con una fraseologia apparentemente rivoluzionaria che fa leva in modo demagogico sui bisogni e sugli umori di larghe masse lavoratrici. Il suo più maturo sviluppo esso lo ha avuto sino ad ora in Italia. Qui la passività del partito socialista e dei capi sindacali riformisti gli ha aperto la porta; qui la sua fraseologia rivoluzionaria gli ha dato il seguito di alcuni elementi proletari che ha reso possibile la sua vittoria. Nello sviluppo del fascismo in Italia si manifesta l’incapacità del partito e dei sindacati di utilizzare, ai fini di una crescita della lotta di classe proletaria, l’occupazione delle fabbriche da parte degli operai del 1920. La conseguenza della vittoria fascista è la proibizione di ogni movimento di lavoratori, anche della pura apolitica rivendicazione salariale. La vittoria del fascismo in Italia incita la borghesia degli altri paesi a far sconfiggere nello stesso modo il proletariato. Il destino dei fratelli italiani minaccia la classe operaia di tutto il mondo.

Soltanto che lo sviluppo del fascismo in Italia dimostra anche qualcos’altro: cioè che il fascismo ha carattere ambivalente e porta in sé forti elementi di dissoluzione e di decomposizione ideologica e politica. Il fine che esso persegue, di forgiare cioè il vecchio Stato borghese «democratico» a fascistico Stato forte, sprigiona conflitti tra la vecchia e la nuova burocrazia fascista; tra l’esercito regolare con i suoi ufficiali di carriera e la nuova milizia con i suoi capi; tra la violenta e fascistica politica nell’economia e nello Stato e l’ideologia dei residui liberali  e democratici della borghesia; tra monarchici e repubblicani; tra i veri e propri fascisti delle camicie nere e i nazionalisti accolti nel partito e nella milizia; tra l’originario programma dei fascisti che illuse e conquistò le masse, e l’odierna politica fascista che fa gli interessi del capitale industriale e in prima linea dell’industria pesante artificialmente ingrassata. Dietro questi ed altri conflitti stanno però, insuperabili e inconciliabili, i conflitti economici e sociali tra i diversi strati sociali capitalistici, tra la grande borghesia e i piccoli e medi borghesi, tra la piccola borghesia terriera e l’intellighenzia e, al di sopra di tutti questi, il maggiore di tutti i conflitti economici e sociali: il conflitto di classe tra borghesia e proletariato. Sulla base di detti conflitti s’è verificata la bancarotta ideologica del fascismo nella contraddizione tra il programma fascista e il modo con cui esso s’è attuato. L’organizzazione armata e il terrore senza scrupoli potranno impedire ancora per qualche tempo l’esplosione di questi contrasti e nascondere questa bancarotta ideologica. Ma alla fine questi grandi contrasti si faranno valere nelle stesse forze armate e faranno saltare il fascismo.

L’avanguardia rivoluzionaria del proletariato non deve assistere passivamente al processo di dissoluzione del fascismo, ma è piuttosto suo dovere storico favorirlo attivamente e consapevolmente. Gli elementi rivoluzionari confusamente e inconsapevolmente conquistati al fascismo devono essere spinti alla lotta di classe proletaria contro il dominio di classe e il potere di sfruttamento della borghesia.
Il superamento ideologico e politico del fascismo deve preparare la sua sconfitta militare.
All’avanguardia cosciente e rivoluzionaria della classe operaia spetta il compito di prendere nelle sue mani la lotta contro il fascismo che si va organizzando in tutto il mondo. Essa deve disarmare politicamente il fascismo e deve organizzare i lavoratori per una forte ed efficace autodifesa contro le sue violenze. A questo scopo dev’essere fatto quanto segue:

Delegati al IV. Congresso del Komintern, estate 1922
I.  In ogni paese deve esser creato da  parte dei partiti e delle organizzazioni operaie di ogni orientamento un organo speciale per dirigere la lotta contro il fascismo.
I compiti di questo organo sono:
1) Raccolta delle notizie sul movimento fascista nel proprio paese.
2) Sistematica illustrazione, per la classe operaia, del carattere di classe del movimento fascista mediante articoli di giornale, opuscoli, manifesti, riunioni, ecc.
3) Sistematica illustrazione alle masse neoproletarie o minacciate di sicura proletarizzazione della loro condizione della funzione di difesa dell’alta borghesia svolta dal fascismo.
4) Organizzazione della lotta difensiva dei lavoratori mediante fondazione di squadre e loro armamento. Poiché i fascisti fanno propaganda specialmente fra la gioventù e la gioventù lavoratrice  dev’essere immessa nel fronte unico, è necessario accogliere giovani dai 17 anni in poi nelle squadre comuni. Organizzazione di comitati operai di controllo per impedire il trasporto di bande fasciste e di armi ad esse. Battere senza riguardi ogni tentativo fascista di terrorizzare i lavoratori e di impedire le manifestazioni della loro vita di classe.
5) Attrarre a questa lotta tutti i lavoratori senza distinzione di orientamento. Far appello a tutti partiti operai, ai sindacati e soprattutto  a tutte le organizzazioni proletarie di massa per la comune difesa del fascismo.
6) Lotta contro il fascismo nel Parlamento e in tutte le altre istituzioni pubbliche. Nel far ciò è da sottolineare il carattere sciovinistico del fascismo nei diversi paesi, grazie al quale s’accresce il pericolo di nuove guerre internazionali.
II.  L’organizzazione delle forze fasciste si compie a livello internazionale,  quindi è necessario organizzare anche la lotta dei lavoratori internazionalmente. A questo scopo deve crearsi un comitato operaio internazionale. Compito di questo comitato internazionale, oltre lo scambio delle esperienze, l’organizzazione di azioni internazionali, il primo luogo contro il fascismo italiano e i suoi rappresentanti all’estero.
Per la lotta contro di esso si devono prendere in considerazione:
1) Una campagna internazionale di propaganda, mediante giornali, opuscoli, immagini, riunioni di massa, del carattere assolutamente antioperaio della dittatura dei fascisti in Italia e della distruzione sistematica di tutte le organizzazioni dei lavoratori da parte sua.
2) Organizzazione di riunioni di massa internazionali e dimostrazioni internazionali contro il fascismo, contro i rappresentanti dello Stato fascista all’estero, ecc.
3) Lotta nel Parlamento; appelli e parlamenti, ai gruppi parlamentari dei partiti operai, alle organizzazioni internazionali dei lavoratori, per l’invio in Italia di commissioni per indagare sulla situazione della classe operaia.
4) Lotta per l’immediata liberazione dei lavoratori comunisti, socialisti e senza partito arrestati o condannati.
5) Preparazione di un boicottaggio internazionale di tutti i lavoratori contro l’Italia: rifiuto delle forniture di carbone all’Italia; rifiuto di tutti i lavoratori dei trasporti di scaricare e di trasportare merci da e per l’Italia, ecc. A questo scopo creazione di comitati internazionali di minatori, di marinai, di ferrovieri, di lavoratori dei trasporti di ogni specie.
6) Sostegno materiale e morale dei lavoratori italiani perseguitati con collette, sistemazione dei profughi, sostegno del loro lavoro all’estero, ecc. Riorganizzazione corrispondente a questo scopo del Soccorso Rosso. Le associazioni operaie devono essere indotto a fornire questo soccorso.


Si deve imprimere bene nella coscienza dei lavoratori che il destino della classe operaia italiana sarà il loro destino, se essi non impediranno, con un’energica, rivoluzionaria lotta contro la classe dominante, il confluire nel fascismo degli elementi provvisti di minore coscienza di classe. Le organizzazioni operaie devono perciò respingere con la massima energia le più vaste masse popolari contro il capitale, per difenderle dallo sfruttamento e dall’oppressione e devono contrapporre la più seria lotta di massa alle demagogiche parole d’ordine apparentemente rivoluzionarie del fascismo. Esse devono inoltre battersi con tutte le forze contro i primi tentativi delle organizzazioni fasciste nel proprio paese e devono essere convinte che esse combatteranno nel modo più efficace il fascismo in Italia, combattendolo nel modo più energico nel proprio paese.

* In Aldo Agosti, La Terza Internazionale storia documentaria, volume I, tomo II, Editori Riuniti, 1974

LA POVERTÀ CI FARÀ BENE?

[ 29 agosto 2018 ]

Ci pare utile pubblicare un vecchio intervento dell'amico Massimo Fini, l'antimodernista. E' del dicembre 2007, quando la Grande crisi faceva capolino. Quella di Fini, con ogni evidenza, è una versione della decrescita, con buona pace della versione "felice"di Pallante.

Magari viene fuori una discussione seria.. 



*  *  * 

LA POVERTÀ CI FARÀ BENE  
di Massimo Fini

«La responsabilità non è né del governo Prodi né di quello precedente. Il nostro impoverimento dipende da quel meccanismo che si chiama globalizzazione che è, in estrema sintesi, una spietata competizione planetaria. 
Per rimanere all'altezza tutti gli Stati sono costretti ad investire sempre di più, chiedendo sacrifici sempre più pesanti alle popolazioni, sia in termini di aumento del lavoro che di riduzione dei salari (ottenuta o direttamente o con l'aumento delle tasse o con l'inflazione). 

Il bello (si fa per dire) è che nessuno esce realmente vincente da questa competizione. 
Se tutti corrono a una velocità sempre più folle, è come se tutti stessero fermi. E' però anche vero che chi rallenta è perduto. 
Della situazione si avvantaggiano, apparentemente, alcuni Paesi che sono partiti più tardi nella corsa del libero mercato internazionale, perché hanno più margini. 
Ma a costi umani devastanti. In Cina, da quando è iniziato il boom, il suicidio è la prima causa di morte fra i giovani e la terza fra gli adulti. 

Ha un senso, un senso umano dico, tutto questo? No, non ce l'ha. Tanto più che alla fine della folle corsa, iniziata due secoli e mezzo fa con la Rivoluzione Industriale, non ci può essere che la catastrofe, che sarà o energetica (basta vedere che cosa provoca un semplice sciopero dei Tir) o ecologica (il pianeta non ci sopporterà più) o finanziaria (c'è in giro una colossale quantità di denaro di cui il 99% non corrisponde a nulla se non a scommesse sempre più iperboliche sul futuro). 

In ogni caso penso che un po' di povertà ci farà bene. Ci renderà, forse, più solidali e, soprattutto, ci costringerà a riflettere sul modello paranoico che stiamo vivendo e subendo».

mercoledì 29 agosto 2018

FASCISTI, ANTIFASCISTI E NUMERI MAGICI

[ 29 agosto 2018 ]

Il Ministro Tria, da Pechino, smentisce Di Maio e ci fa sapere che non c'è trippa per gatti, che dunque la prossima Legge di bilancio rispetterà i vincoli europei tra cui quello del 3%. 

Corrono subito in suo soccorso i camerieri dei poteri forti. Rasentando il ridicolo il presidente della Liguria Toti la spara la più grossa: "Ora il governo per finanziare i cantieri rinunci a reddito di cittadinanza e flat tax". 

Brunetta (proprio colui che ha sempre urlato al colpo di stato dello spread che defenestrò Berlusconi), come al solito perentorio, rivela quale sia il vero numero magico. Intervistato ieri da Avvenire in nome e per conto di Bruxelles, ha affermato: 
“Se lo spread salisse a 500 vorrebbe dire il collasso del Paese. (...) Nel più breve tempo possibile il governo deve dare 3-4 numeri, forse ne basta anche uno solo: dire che, almeno, intende rispettare l'obbiettivo di deficit dell'un per cento, e questo vorrà dire che non si faranno né reddito di cittadinanza, né contro-riforma Fornero, né flat tax".
Ed infatti il numero magico, quello a cui l'eurocrazia tenterà di crocifiggere il governo giallo-verde non è il 3 bensì l'1 per cento — secondo la tabella di marcia Ue il deficit dovrebbe scendere allo 0,9% nel 2019. Tenendo conto che il rapporto deficit/Pil viaggia attualmente al 2,3%, farlo scendere all'1% implica un taglio alla spesa pubblica enorme (a spanne 22 miliardi), quindi una Legge di Bilancio draconiana.

Vedremo se Bruxelles consentirà una deroga a Roma. Anche ammesso che la conceda, che cioè accetti che il deficit 2019 non scenda rispetto all'attuale, Di Maio e Salvini dimentichino ogni aumento di spesa, quindi addio alle promesse con cui han vinto le elezioni, neanche l'ombra.

Di qui quella che abbiamo chiamato la Battaglia d'autunno

Quale sia la vera posta in palio, per i "mercati", ce lo spiega — con tanto di tabella (grafica a destra) in punti base sulla performance dei rendimenti dei titoli decennali negli ultimi 3 mesi— IL SOLE 24 ORE di oggi:
«Il fantasma mai veramente scacciato di Italexit continua a pesare sui titoli di Stato italiani. Nonostante le ripetute smentite del Governo, è evidente che l’ipotesi (pur remota) che l’Italia possa un giorno uscire dalla moneta unica gioca contro. Lo dimostrano le performance degli ultimi tre mesi dei rendimenti dei titoli di Stato decennali: quelli dei BTp italiani sono saliti di 89 punti base, mentre quasi tutti in Europa sono scesi. Sono diminuiti di 8 punti quelli francesi, di 12 quelli tedeschi, di 17 quelli olandesi. Di 22 quelli greci. Solo Spagna e Portogallo hanno, in minima parte, seguito l’Italia. Tra i principali 20 Paesi del mondo censiti da Bloomberg, solo l’Argentina ha fatto peggio».
 ITALEXIT, ecco il vero fantasma che si aggira, in Europa e oltre. Poiché, delle due l'una: o Di Maio e Salvini terranno ferma la loro promessa di invertire la rotta delle politiche austeritarie e deflattive, e allora dovranno disobbedire clamorosamente a Bruxelles, o si piegheranno ai diktat rispettando i vincoli eurocratici. Nel primo caso, questo noi pensiamo, la breccia dell'ITALEXIT, sia o non sia nelle intenzioni di Di Maio e Salvini, è aperta, nel secondo si aprirebbe, sia nel M5s che nella Lega, uno scontro interno dalle conseguenze imprevedibili.

Nel frattempo, come se si fosse da un'altra parte del mondo, fascisti e antifascisti, Casa Pound e "macchiette rosse" (oops! magliette!), come in una sceneggiata napoletana, se le danno, si fa per dire, di santa ragione.






martedì 28 agosto 2018

UNICREDIT AI FRANCESI? IL GOVERNO INTERVENGA PER IMPEDIRLO!

[ 28 agosto 2018 ]
L'impero napoleonico nel 1812

Pubblichiamo un articolo del sussidiario.net su una questione di rilevanza strategica per il nostro Paese: il potente sistema bancario francese vuole papparsi Unicredit, "l'unica banca italiana considerata sistemica a livello europeo". Si tratta di una nuova grande minaccia alla sovranità non solo economica, dell'Italia. Perché i francesi vogliano Unicredit e perché sia un pericolo gravissimo per il Paese è ben spiegato nell'articolo qui sotto. Questa acquisizione, sostenuta dalle lobbi eurocratiche, dev'essere bloccata, il governo Giallo-verde deve impedirla.

* * *

UNICREDIT-SOCGEN
L'affondo francese prima del blocco di Lega e M5s

Le trattative su una fusione tra Société Générale (SocGen) e Unicredit sarebbero ancora molto attuali. Per la Francia del resto questa è una ghiotta occasione 
di PAOLO ANNONI


Secondo Milano Finanza, le trattative su una fusione tra Société Générale (SocGen) e Unicredit sarebbero ancora molto attuali al punto che la banca italiana si sarebbe già affidata a un senior advisor di Rotschild, oltre che ex presidente di SocGen (Daniel Bouton), mentre quella francese invece avrebbe scelto come advisor Jp Morgan. La notizia è stata sepolta sotto tre metri di "spread" e un altro paio di banche centrali a Jackson Hole, ma in realtà meriterebbe ben altra attenzione. Se siamo già alla scelta degli advisor significa che l'ipotesi di fusione è in realtà qualcosa di molto più concreto.

Una fusione di questo tipo sarebbe ovviamente un'operazione di sistema ai massimi livelli; Unicredit è l'unica banca italiana considerata sistemica a livello europeo e SocGen una delle quattro francesi. Le banche sono una parte centrale del sistema Paese e di qualsiasi sua sovranità sostanziale; chi decide come erogare il credito o se comprare bond statali o meno è per definizione un pezzo centrale del sistema Paese.

Di questa fusione si parla, a scadenze, da un decennio e l'ipotesi è stata rilanciata a inizio giugno anche dal Financial Times. Sull'asse Francia/Italia le operazioni di sistema negli ultimi dieci anni si sono sprecate. Unicredit, così come la principale assicurazione italiana Generali, hanno due amministratori delegati francesi e Unicredit ha "appena" venduto il risparmio gestito, Pioneer, alla francese Amundi in un deal che senza l'approvazione dei due sistemi Paese non sarebbe stato possibile.

La Francia ha un interesse strategico in Italia perché negli ultimi due decenni ha comprato talmente tante società da diventare il Paese europeo che avrebbe più da perdere in caso di crollo economico-finanziario italiano. La dimensione delle acquisizioni e dell'intervento francese in Italia è stato così grande in termini dimensionali e così sbilanciato da determinare una situazione che avrebbe eguali sono nei casi di ex-colonie. L'Italia ha scelto di farsi comprare convinta che legandosi alla Francia avrebbe maggiore riparo in sede europea; oggi la Francia non può augurarsi un fallimento dell'Italia: telecomunicazioni, media, banche, assicurazioni, energia, industria, lusso, alimentare… non c'è un settore in cui non faccia capolino una società francese con ruoli di rilievo. Comprare o fondersi con la principale banca italiana non può essere un caso, soprattutto in una fase così delicata per l'economia italiana. Bisogna quindi chiedersi perché incrementare l'esposizione in Italia e perché oggi. Avanziamo alcuni possibili spunti.

L'Italia ha ancora una ricchezza che ha pochissimi eguali, ma davvero pochi, tra i Paesi del primo mondo e cioè il risparmio. Gli italiani hanno, per esempio, uno dei tassi di proprietà della prima casa più alti in Europa occidentale. Solo uno dei moltissimi indicatori che testimoniano la ricchezza finanziaria, i risparmi, delle famiglie italiane. Questo è un possibile spunto che si aggiunge al fatto che potrebbe essere meglio mettere i propri soldi in una banca più tutelata, in virtù di un sistema Paese più forte in sede europea, rispetto a quelle italiane.

Il secondo spunto è che comprando o mettendo le mani su una banca di queste dimensioni, ovviamente comanderebbe la Francia, si acquisirebbe una leva di controllo/indirizzo sul Governo italiano notevole. Pensiamo solo al ruolo delle banche italiane nella stabilizzazione dello spread. Si potrebbe pensare che in questo modo, in un certo senso raddoppiando l'esposizione, si arrivi a una situazione tale di sovranità sostanziale sull'Italia da poterne determinare le politiche sia in un vero e proprio senso coloniale, sia come assicurazione sui suoi fremiti "populisti". Non che in Francia siano messi molto meglio.

Il terzo spunto è come mai proprio nell'estate 2018 e dopo la vittoria dei "populisti" alle elezioni riparta questa trattativa. Oltre alle ragioni di cui al punto due ci potrebbe essere una valutazione "politica". In molti ritengono che la leadership francese di Unicredit, e anche Generali, possa essere messa in crisi da un Governo "sovranista" che potrebbe volere leadership "più italiane". Su questa nozione negativa di "sovranismo" in campo economico c'è quasi da ridere perché a parti invertite avrebbero schierato l'esercito pur di evitare quello che si è visto in Italia. Qualunque Governo senza una mentalità da colonia, dagli Stati Uniti alla Germania passando per l'Inghilterra, è sovranista in alcuni campi e la finanza è sicuramente uno di questi.

In ogni caso questo, soprattutto con l'Italia sotto attacco dei mercati, potrebbe essere il momento per affondare un colpo che probabilmente diventerebbe più complicato dopo le elezioni europee con il probabile successo dei partiti che oggi governano e che muoverebbero mari e monti pur di evitare la francesizzazione finale del sistema finanziario italiano. Oggi all'orizzonte, con il contributo determinante di un'opposizione inesistente e a tratti lunare, si intravede alle europee il successo dei "populisti". Non è affatto un augurio, solo un'analisi. Quindi si deve sfruttare una finestra che rischia di chiudersi.

Ultimo corollario: chiunque dipinga l'operazione come una fusione alla pari sbaglia o mente perché altrimenti i francesi non la farebbero mai. Chiunque dica che è un'operazione di mercato sbaglia o mente perché due banche sistemiche neanche iniziano a parlare senza l'appoggio esplicito di almeno uno dei due sistemi Paese.

UNGHERIA: INCHIESTA SULLA ORBANOMICS di Leonid Bershidsky

[ 28 agosto 2018 ]

Oggi, a Milano, Matteo Salvini incontra l'ungherese Viktor Orban. Per i media di regime è un mezzo scandalo. Salvini ammira la politica economica del governo ungherese (non solo la flat tax) e vorrebbe applicarla in Italia. Ma in cosa questa davvero consiste? Quali risultati sociali, al netto della propaganda, ha davvero prodotto? Perché l'Unione europea tollera ed anzi lautamente finanzia l'esperimento ungherese malgrado violi i dogmi ordoliberisti? 
L'articolo che presentiamo ai lettori è tratto dal sito di Bloomberg, blasonata e potente multinazionale mediatica americana di fede liberista. Fatta questa premessa l'articolo-inchiesta spiega molte cose. Le ragioni della popolarità di Orban e, noi riteniamo, perché l'orbanomics sia un liberismo sui generis o temperato.

*  *  *
Il sogno di Donald Trump di battere la globalizzazione e sollevare la fortuna delle sue vittime funziona davvero? Con una terza vittoria elettorale schiacciante dal 2010, il primo ministro ungherese Viktor Orban ha dimostrato che si può — almeno per un po'.

Orban è stato accusato di aver creato un governo autoritario, di aver messo su una macchina di propaganda in stile russo e fomentato più basici istinti xenofobi dei cittadini. Ma l'Ungheria rimane una democrazia funzionante, e il suo partito, Fidesz, deve il suo successo a una politica economica che accresce i salari e riduce la disoccupazione.


Ungheria: tasso di disoccupazione
Quando Orban prese il potere nel 2010, l'Ungheria era vicina al collasso. Il paese era impegnato in un programma di indebitamento in stile greco gestito dal Fondo Monetario Internazionale e dall'Unione Europea. Si è mosso in modo deciso per ripulire le finanze del paese, ridurre il deficit di bilancio dal 5,3% nel 2011 al 2,4% nel 2012 (era dell'1,9% l'anno scorso) e pagare i debiti all'UE e al FMI, riducendo la quota di debito in valuta estera. Per poterlo fare, Orban ha nazionalizzato i fondi pensione privati ​​dell'Ungheria e ha fatto irruzione nel loro deposito di contanti. Ha introdotto una tassa sul reddito pari al 15 percento (che ha migliorato notevolmente la raccolta) e aumentato l'imposta sul valore aggiunto al 27 percento, il tasso più alto nell'UE. Ha imposto tasse speciali sui settori dominati da società di proprietà straniera — energia, servizi pubblici, finanza, telecomunicazioni, vendita al dettaglio e media — tassando entrate e attività, non profitti, per rendere l'ottimizzazione non fattibile. E ha rinazionalizzato alcune aziende chiave per venderle agli investitori ungheresi, spesso ai suoi amici e alleati.

Presso il caffè nel Castello di Buda a Budapest, Laszlo Gyorgy, il capo economista del Szazadveg Economic Research Institute (il principale think tank economico del governo ungherese), ci ha descritto la politica economica ungherese. Egli ha smesso di flirtare con quello che l'economista americano e segretario del lavoro di Bill Clinton, Robert Reich, soprannominò "supercapitalismo". Quel sistema è dominato da società globali la cui ricerca di costi inferiori ha portato alla caduta dei salari per aumenti di produttività. L'Ungheria, sostiene Gyorgy, aveva perso un terzo dei suoi posti di lavoro durante la transizione postcomunista, rispetto al 20% della Polonia e al 10% della Repubblica ceca. Tra il 1995 e il 2010, precisa, la quota dei salari nella produzione economica dell'Ungheria  scese dal 52 al 44%. Allo stesso tempo, le industrie chiave erano dominate da imprese straniere che esercitavano il potere oligopolistico e pagavano molto meno tasse delle imprese ungheresi: il settore farmaceutico, ad esempio, aveva un'aliquota fiscale effettiva del 18% nel 2010, mentre la media impresa locale di medie dimensioni pagava il 52 percento.

Nel racconto di Gyorgy, il governo Orban si è semplicemente impegnato a riparare l'ingiustizia. Il taglio delle imposte sul reddito e le generose agevolazioni fiscali per le famiglie con due o più figli, finanziati dalle speciali imposte settoriali (hanno prodotto l'1,5% del PIL l'anno scorso) e la riduzione degli interessi sul debito estero hanno aumentato il salario reale netto del 36% tra 2010 e 2017. L'economia, nello stesso periodo, è cresciuta del 16 percento in termini real. Il governo ha anche speso introiti supplementari per generose prestazioni sociali come libri scolastici gratuiti e mense. Secondo Gyorgy, l'Ungheria, dal 201, ha ridistribuito il 3% del PIL annuale dai proprietari di capitali ai salariati
Crescita trimestrale annua delle retribuzioni

Aiutato da un ciclo economico favorevole e da un massiccio programma di lavori pubblici che ha dato lavoro a molti disoccupati di lungo periodo nelle zone rurali povere ungheresi, la disoccupazione è diminuita più rapidamente che in altri paesi dell'Europa orientale. Il governo Orban vanta di aver creato, dal 2010, 750.000 posti di lavoro, e promette di crearne un milione in 10 anni. In un paese di 10 milioni, c'è poco da fare spallucce.

Quando ho chiesto a Gyorgy se vedeva una contraddizione tra una tale politica di sinistra, redistributiva e la posizione politica risolutamente di destra di Orban, ha protestato. "Non è una politica di sinistra, è un'impostazione di bilanciamento", ha detto. "Non vogliamo dare soldi ai poveri incondizionatamente, vogliamo creare un equilibrio tra capitale e salari per dare alle persone uno stipendio decente e consentire loro di consumare di più".

Essenzialmente, Orban ha fatto quello che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha promesso di fare — alleviare gli effetti della globalizzazione sui suoi perdenti, in primo luogo i lavoratori a basso salario. Lo hanno ripagato con i loro voti nelle regioni più povere della nazione. Ma la lucida storia economica del governo si affievolisce leggermente quando la si considera il quadro più ampio.

Attila Chikan, ora professore all'Università Corvinus di Budapest e membro di numerosi consigli di amministrazione delle migliori compagnie ungheresi, è stato ministro dell'economia nel primo governo di Orban, alla fine degli anni '90. Mi ha detto che non avrebbe più lavorato per Orban: le loro opinioni economiche sono state radicalmente divergenti, e l'ex ministro ha denunciato la redistribuzione dei beni agli amici di Orban come corrotta.

Chikan sottolinea che le vittorie fiscali di Orban, che lo hanno aiutato a compensare la sua reputazione di pecora nera con i funzionari dell'Unione Europea, hanno avuto un prezzo. Grazie al raid di Orban sul sistema pensionistico, non è chiaro se i cinquantenni di oggi riceveranno una pensione per non parlare di se e quando andranno in pensione. "Orban ha raggiunto il suo equilibrio a spese dell'educazione e dell'assistenza sanitaria", ha detto Chikan. "Il budget dell'istruzione superiore di oggi è la metà di quello che era 10 anni fa".

Per quanto riguarda i posti di lavoro creati, Chikan ritiene che i numeri del governo siano gonfiati. Secondo Gyorgy, circa 100.000 dei 750.000 posti di lavoro in più provengono dal programma di lavori pubblici, ma le persone lavorano molto meno che a tempo pieno, andando a lavorare solo quando le loro comunità inventano qualcosa da fare per loro. "Se lavori un giorno al mese, ciò non dovrebbe essere considerato lavoro, ma in Ungheria lo si fa", dice Chikan. Inoltre, il numero 750.000 comprende circa 70.000 posti di lavoro all'estero di ungheresi il cui indirizzo è però registrato in Ungheria: lavoratori stagionali e pendolari transfrontalieri. L'orbanomics non ha nulla a che fare con la fornitura di quel tipo di lavoro.

Gli ungheresi non sono mai stati così mobili come i polacchi o i cittadini degli stati baltici, milioni dei quali sono andati a lavorare nel Regno Unito, in Germania e in altri paesi dell'Europa occidentale. Ma l'Ungheria, dice Chikan, ha perso, negli anni di Orban, da 400.000 a 500.000 persone verso l'emigrazione. In gran parte, si tratta di persone istruite e avventurose esodate dal paese sia perun senso soffocante di opportunità mancate sia da considerazioni economiche. Non vengono sostituiti: gli ungheresi della Romania, che negli anni '90 sono venuti in gran numero per cercare lavoro, hanno poche ragioni economiche per venire oggi. La Romania è cresciuta del 6,8% l'anno scorso, rispetto al 4% dell'Ungheria. In effetti, anche la Repubblica Ceca e la Polonia sono cresciute più velocemente rispetto all'Ungheria lo scorso anno. La Repubblica ceca lo ha fatto da una base più alta: è più ricco dell'Ungheria in termini di PIL pro capite.

I paesi dell'Europa orientale non solo sono stati dinamici quanto l'Ungheria (o anche più), ma hanno anche tenuto il passo con la crescita dei salari (l'Ungheria è stata notevolmente più veloce solo nel 2017), il tutto senza le politiche non ortodosse di "bilanciamento" di Orban.

Per di più i vicini dell'Ungheria, su base pro-capite, ricevono meno fondi dall'UE. L'esperienza politica di Orban e la sua conoscenza delle leve dell'UE sono evidenti dalla sua capacità di ottenere circa il 4% del valore del PIL del finanziamento annuale, nonostante egli stia combattendo apertamente contro quella che considera una violazione guidata da Bruxelles della sovranità dell'Ungheria. "Che tipo di indipendenza è se è finanziata dall'UE?", si chiede Chikan.
Gli investimenti netti procapite di fondi Ue nel 2016

Gli alleati di Orban vedono i fondi UE come compensazione per l'apertura del mercato ungherese alle imprese dell'Europa occidentale che facilmente hanno superato quelle locali negli anni '90 e '2000. Ma ciò non significa che l'Ungheria abbia automaticamente il diritto di continuare a riceverlo poiché cerca di cancellare i vantaggi competitivi delle multinazionali attraverso vari mezzi. Gli economisti che ho incontrato questa settimana a Budapes tutti mi hanno detto che l'Ungheria può continuare a crescere dal 3 al 4 per cento all'anno — il tasso normale per le economie della regione — solo se i fondi Ue continuano ad essere erogati. "In effetti, l'UE sta mantenendo Orban al potere", mi ha detto Viktor Zsiday, gestore di fondi di investimento e blogger economico.

Forse non è nemmeno un paradosso come sembra. L'Europa potrebbe essere saggia nel finanziare gli esperimenti di Orban e di altri governi nazionalisti, come quello in Polonia, solo per vedere come i loro risultati reggono accanto alle politiche più ortodosse [ordoliberiste, Ndr] dei paesi limitrofi. Finché i nazionalisti non si impegneranno in una cattiva e grossolana gestione macroeconomica e fiscale — e con Orban, questo non è mai stato un pericolo — è utile guardare a modelli diversi piuttosto che impiccarsi a quelli immaginati dagli accademici. L'Europa, con i suoi diversi governi, offre un'opportunità unica per la competizione politica e il confronto. L'esperienza di Orban è rilevante anche per gli Stati Uniti di Trump: alcuni dei suoi metodi potrebbero funzionare solo se i repubblicani hanno il coraggio di provarli.

* Fonte: Bloomberg.com del 13 aprile 2018
** Traduzione a cura di SOLLEVAZIONE

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