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venerdì 4 agosto 2017

POESIE PER MASSIMO BONTEMPELLI di Marino Badiale

[ 4 agosto 2017 ]

Sei anni fa, il 31 luglio 2011, a Pisa, dopo breve malattia, ci lasciava il nostro grande amico, filosofo e storico Massimo Bontempelli [nella foto]. 

Pubblichiamo alcune poesie scritte in sua memoria da chi gli fu vicino, Marino Badiale, pubblicate nella sue recente raccolta.




1.
Difficile spiegare chi eri.
Mi prenderebbero per pazzo.
E non sono molto coraggioso,
lo abbiamo sempre saputo.
Ma non ti ho rinnegato, questo certamente no,
anche se il gallo ha cantato molte volte da allora.
Mi chiedo se ti ho meritato.
Penso di no.
Sì, c'è ancora tempo,
non sono finito,
ma non credo di avere le forze
per fare molto più di ciò che ho fatto.
Ho troppi conti da pagare,
troppe email a cui rispondere,
e devo curarmi
una discopatia alle cervicali.
Cerco di salvarmi la vita.
Perché non ritornerai circondato di gloria
alla destra del Padre,
lo sappiamo bene.
E allora questo solo posso dirti.
Perdonami, accoglimi, ascoltami.
Come hai sempre fatto.



2.
Plotino si vergognava di avere un corpo.
Hegel non saprei, ma credo di no.
Il tuo problema non era certo la vergogna,
era il dolore, quel buco nero
che ti ha rubato i giorni della vita,
e alla fine ti ha ucciso.
Ma quando ti lasciava libero
nel tuo corpo non ci stavi male.
Ti godevi le piccole cose:
un buon caffè, una spiaggia tranquilla,
il silenzio, soprattutto.
Ti muovevi con un po' di incertezza.
Era forse l'eccesso di cose
che portavi al futuro.
Cercavi, esitando, con chi dividerle.
Qualcuno l'hai trovato, dopotutto.
Dopotutto, sei stato felice.



3.
Come si può vivere decentemente
in un tempo senza speranza
come il nostro?
Ce lo siamo chiesti a lungo, ricordi?
Dovevamo anche scriverci un libro.
Tu avresti parlato di Proclo e Giamblico.
Il tuo destino ha deciso diversamente.
Hai fatto quello che hai potuto.
Hai protetto i semi
che forse nasceranno.
Hai copiato antichi manoscritti.
Hai detto, a chi la chiedeva,
la parola che aiuta,
e forse salva.
Hai fatto quello che hai potuto.
Come fanno tutti, si potrebbe dire.
Ma davvero non come tutti.



4.
Cos'è che ci salva?
Era questa la domanda
che non ti ho mai fatto,
distratto dalle tante altre cose
di cui volevo parlarti.
Perché alcuni sono sommersi
dalle onde della vita
e sprofondano giù,
nel buio, perduti,
e altri riescono ad afferrare
un senso che riscatta il dolore
e ti salva?
Dove sta l'impercettibile
punto di svolta?
Il crinale fra coraggio e viltà?
Forse non avresti risposto,
scuotendo la testa imbarazzato,
come quando mi vedevi commettere
i miei errori.
In interiore homine habitat veritas.
E Sant'Agostino, lo possiamo dire,
se ne intendeva.
Ma forse so perché non te l'ho mai domandato.
Perché non era quello che volevo chiederti
ma solo
salvami, ti prego”.
E questo davvero
non lo potevi fare.



5.
La storia ha un modo di ridere che è ripugnante
scriveva un poeta che amo.
Parlava della grande Storia dei popoli e delle classi.
Ma anche le piccole storie degli individui
non sono da meno.
Ti è sempre mancato il tempo
per scrivere, per dare al mondo quello
che solo tu potevi,
e quando finalmente il tuo orizzonte si è aperto
la vecchia falce l'ha richiuso,
quasi subito.
Ho fatto i conti,
hai dato esattamente
l'otto virgola tre periodico per cento
di quello che avevi.
Anche così, è stato sufficiente
a cambiarmi la vita.
Ma adesso i demoni meschini
sono lì che mi attendono,
ghignando,
adesso che tu non ci sei.



6.
Gli uomini sono esseri mirabili
scriveva ancora quello stesso poeta
parlando del celebre marxista ungherese.
Chissà cosa intendeva veramente.
Di certo tu non ti saresti mai
espresso così.
Conoscevi troppo bene i nodi
che dentro ognuno di noi
legano il bene al male,
le piccole viltà che ci rendono impossibile
ciò che in verità potremmo.
Mirabile è ciò che nell'uomo
può manifestarsi
se lo sappiamo volere.
Gli uomini sono esseri liberi”
avresti forse detto
e ne pagano il prezzo”



7.
Ti mancava l'ironia,
questa forma civilizzata
dell'odio.
Eri incapace di odiare,
appunto.
Ridevi come ridono i bambini.
Temevo che non sapessi proteggerti.
Avevo paura per te.
Che sciocco.
Alla fine
sei tu che hai vinto.



8.
Raccolgo cose disperse che abbiamo scritto,
ne faccio un libro
dalla copertina buia,
come i tempi che ci attendono,
e che tu non vedrai.
Non oso soffermarmi a pensare
allo spreco assurdo
di te
che il nostro tempo ha fatto.
Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti
scrissero i due saggi tedeschi.
Ma quando né la classe dominante
né quella dominata
hanno più nulla
che assomigli a un'idea
che cosa domina il tempo?
La risposta è ovvia,
il nulla produce il nulla,
il vuoto che corrode
tutto ciò che appare solido
e si dissolve nell'aria.
Non era il tempo per te.
In fondo è già molto
se ti hanno lasciato vivere.



9.
Il grande poeta tedesco
esaltava l'umile
che strappa al saggio la saggezza
perché sa volerla.
A te non bisognava strappare nulla,
eri pronto a dare
sapere e sapienza,
ma certo bisognava volerlo
e assumersene
le conseguenze.
Posso dire di averlo fatto?
Nel mio modo imperfetto,
poco utile,
e poco coraggioso,
lottando contro le ansie 
che mi porto dentro,
sì,
l'ho fatto.




- “In interiore homine habitat veritas”: Sant'Agostino, appunto
- “un poeta che amo”: Franco Fortini
- “celebre marxista ungherese”: György Lukács
- “i due saggi tedeschi”: ovviamente, Marx ed Engels
- “grande poeta tedesco”: B.Brecht, nella “Leggenda sull'origine del libro Taoteking dettato da Laotse sulla via dell'emigrazione”.


giovedì 7 luglio 2016

TUTTO È PERDUTO? NO, TUTTO È ANCORA POSSIBILE! di Moreno Pasquinelli

[ 7 luglio ]

Distratti dalla tragedia greca i più non si aspettavano che la catena dell'Unione europea si sarebbe rotta a Nord, tantomeno che la Gran Bretagna si sarebbe dimostrato l'anello che per primo si sarebbe spezzato. 
Eppure bastava ricordare gli esiti di tutti i referendum nazionali che hanno preceduto la Brexit: Francia, Olanda, Irlanda, per citare i più importanti. Dappertutto la maggioranza dei cittadini ha disubbidito alle élite europeiste, che ne sono uscite con le ossa rotte.

Il referendum britannico, in magnitudine, supera di gran lunga quelli che lo hanno preceduto. Sta diventando senso comune che Brexit innesca un processo a catena che potrebbe condurre alla dissoluzione della Unione europea. E' giusto questo senso comune? Sì lo è.

Diciamola così: Brexit annuncia ufficialmente che l'Unione europea ha imboccato la via del tramonto. Di più: è un fattore che accelera e velocizza il processo inevitabile di decomposizione della Ue a trazione tedesca.

Ma questo che vuol dire? Vuol dire che siamo appena entrati in una nuova tappa della crisi europea, che diventa così, usando un concetto caro a Gramsci, "crisi organica": non più solo economica e finanziaria, ma politica, istituzionale e geopolitica. Non si uscirà da questa crisi organica in modo indolore. Le élite oligarchiche dominanti tenteranno con ogni mezzo di difendere la loro mostruosa creatura, di resistere per non farsi da parte. E' per loro questione di vita o di morte. Entriamo insomma in una fase che sarà segnata da nuove e più profonde turbolenze politiche, da instabilità sociale crescente, e questo nella cornice di un progressivo marasma economico e finanziario.
Siamo precipitati in un ciclo lungo, in un vortice che, sul piano psico-caratteriale, non si presta ai deboli di cuore, alle anime belle, a chi ama la vita tranquilla.

Ora la domanda che si pone è questa: il destino avrebbe già scritto la storia futura? Detto altrimenti: l'esito di questa vicenda è già predeterminato? 

No che non lo è. Siamo solo alle prime battute di una guerra prolungata, che decide le sorti del nostro continente e del mondo intero. Per usare un'analogia che sta nella storia europea: una nuova "guerra dei trent'anni" che sarà segnata da numerose battaglie, da vittorie precarie e sconfitte momentanee, da capovolgimenti di fronte, da miasmi d'ogni sorta. Seguirà quella che, per restare all'analogia, sarà una nuova "Pace di Westfalia". Una nuova Europa nascerà sulle ceneri di quella attuale.

Un fatto è per noi certo, e lo andiamo dicendo da tempo: crollato l'edificio unionista, resteranno le fondamenta degli stati nazionali. Che questi cadano sotto il tallone di regime reazionari e dispotici, o che invece si strutturino attorno a forme avanzate di democrazia e sovranità popolari, e quindi si associno in forme federative non imperiali, ebbene, questo nessuno può stabilirlo a tavolino, è ciò che sarà deciso nel fuoco della lotta. E nella lotta contano diversi fattori, tra i quali quello della potenza politica delle classi subalterne, la quale ha a che fare con il fattore soggettivo della direzione strategica delle masse popolari.

Tuttavia la scossa tellurica venuta dal Regno Unito, proprio per  la sua dimensione, non ha solo seminato un panico isterico tra le fila degli euro-oligarchi, delle classi dominanti e delle loro élite culturali. Ha disorientato, spiazzato, mandato nel pallone, non solo molte schegge di quanto resta della sinistra antagonista e "altreuropeista", anche numerosi stimati intellettuali. 
La lettura che essi danno della Brexit è monocromatica, fosca, anzi nera: con il NO avrebbe vinto la destra xenofoba, populista, nazionalista, reazionaria. 
C'è insomma chi, invece di cogliere la grande opportunità che il terremoto partito dal Regno Unito ci offre —dandosi da fare alacremente per costruire un'alternativa strategica sia al blocco eurista che a quello anti-eurista di destra— conclude, al contrario, che la Brexit non ce ne da alcuna.

Certo, ci sono alcuni intellettuali meno pessimisti, pochi per la verità, che tuttavia preferiscono affidarsi agli eventi, credono che la Storia abbia una sua razionale intelligenza —che è come sperare nell'intervento salvifico della Divina provvidenza. Definiamo questo atteggiamento come attendismo. 

Ci sono poi, e son ben più numerosi, quelli che esplorando pensosi il proprio naso pontificano con serafico distacco che proprio perché la Storia è stupida, nessuno può cambiare il corso oggettivo delle cose dato che esso sarebbe una risultante casuale e l'esito finale stabilito per eterogenesi dei fini. E' quello che chiamiamo indifferentismo

Vi è infine una terza categoria, dell'indifferentismo raddoppiato, composta dai profeti delle sciagure che si autoavverano. Uno stato d'animo, più che una corrente di pensiero, potremmo definire come sconfittismo metafisico.

Questo stato d'animo, essendo pervasivo e contagioso, dovrebbe essere contrastato prima che diventi una pandemia. Questo sconfittismo metafisico è difficile da debellare, poiché è un precipitato della sconfitta storica subita dalle forze socialiste e anticapitaliste sul finire del secolo scorso. Duro da estirpare perché è un distillato di sentimenti prevalenti per chi viene da sinistra: una miscela di scoramento, prostrazione, sfiducia nelle proprie capacità, ed il cui elemento chimico coesivo è un radicale scetticismo. 

Questo stato d'animo l'ha espresso, con l'eleganza concettuale che lo distingue, l'amico Marino Badiale nelle sue considerazioni sulla Brexit.
Marino Badiale (a destra) con A. Bagnai al convegno di MPL dell'ottobre 2011

Il suo giustamente spietato giudizio sulla sinistra maggioritaria, quella infettata dal bacillo dell'europeismo a prescindere e che ha esecrato il sacrosanto voto dei britannici —"La reazione degli intellettuali di regime (di destra e di sinistra, ma in questo caso soprattutto di sinistra) contro il popolo inglese è in definitiva tanto più disgustosa quanto più evidente appare come essa si basi sulla sostanziale accettazione di una organizzazione sociale che non ha un futuro e che ci può portare solo ad una crisi di civiltà, le cui avvisaglie sono già piuttosto evidenti. Rabbiosi difensori del nulla, verranno ricordati solo come esempi di servilismo, superficialità, corruzione intellettuale."— fa tuttavia da cornice ad una conclusione errata, irricevibile. Sentiamo:
« [nonostante] nell'ambito dell'estrema sinistra alcuni hanno espresso posizioni molto sensate, come abbiamo documentato nel nostro blog: ci basti qui citare il gruppo di “Sollevazione”; quello di “Contropiano”, singole personalità come Giorgio Cremaschi, Ugo Boghetta, Mimmo Porcaro (...) non è sorta una autentica forza politica antisistemica. In questo modo si è realizzata la previsione di cui al punto 6): ormai lo spazio politico della lotta contro euroo-UE è stato occupato da forze politiche di destra che non esprimono convincenti posizioni antisistemiche, e anzi spesso esprimono posizioni liberiste (e magari razziste). Le forze anticapitalistiche hanno perso un'occasione storica, dimostrando la propria essenziale inutilità».
La lettura sconsolata che Badiale ci fornisce di Brexit è la stessa della sinistra sinistrata, ed è sbagliata. Non è vero che nel Regno Unito si sia in presenza di una montante ondata xenofoba, reazionaria o addirittura fascistoide, per di più destinata a travolgere tutta l'Unione. Sentimenti xenofobi hanno certo avuto un peso nella vittoria di Brexit, ma i sentimenti sovranisti, democratici, di classe, sono stati senza dubbio ben più determinanti. La crisi che sta investendo tutti i principali partiti britannici, dall'Ukip al Labour passando per i Tory, è segno di un'inedita crisi del sistema politico del paese, ed è salutare. Da lì si deve passare per costruire un'alternativa, che prenderà forma, appunto, tra miasmi e nuove fratturazioni sociali e politiche. Una cosa è sicura: l'avanguardia socialista dei popoli britannici respingerà la sentenza di Badiale che è stata persa un'occasione storica e che essa sarebbe votata alla nullità.

Non solo il futuro è sempre aperto a diverse possibilità, lo è tanto più oggi e non solo nel Regno Unito. Ammesso che ci siano forze profonde reazionarie nelle viscere di questa Unione europea, esse non avanzano dappertutto e con la stessa forza di spinta. A ben vedere esiste una faglia tettonica che separa alcuni paesi nordici da quelli meridionali e mediterranei. Non risulta che dal Portogallo alla Grecia, passando per l'Italia, si sia in presenza di avanzate neofasciste e xenofobe. Al contrario. La Francia sembra essere il paese che viene attraversato, spaccato, da questa faglia, e dove verrà giocata presto una battaglia decisiva.

E tuttavia è segno di strabismo quanto conclude Badiale:
«Comunque sia, ormai il danno è fatto ed è sostanzialmente irrimediabile. La battaglia politica più importante dell'immediato futuro, in relazione a euro/UE, è rappresentata dalle elezioni presidenziali francesi, e la sfida, con ogni probabilità, sarà fra un esponente dell'establishment e Marine Le Pen. La sinistra antisistemica, come sempre, potrà solo scegliere fra andare in aiuto all'establishment (in nome di antifascismo antirazzismo ecc.ecc.), oppure stare alla finestra a guardare Marine Le Pen combattere la battaglia che avrebbe dovuto essere la sua».
Non solo è una cavolata affermare che la situazione è "irrimediabile". E' sbagliato profetizzare che la battaglia più importante nel prossimo futuro si svolgerà l'anno prossimo in Francia con le presidenziali —avremo forse, come in Spagna, una situazione di stallo, di confusione in seno ai dominanti. Ce n'è una prima, Marino, di battaglia politica importante, e si svolgerà proprio qui da noi, in Italia, ed è il referendum che boccerà la "riforma" istituzionale chiesta dai poteri oligarchici euristi e che manderà a casa Renzi. Perché questa omissione? Forse perché la dai già per persa? 
Oltre allo sconfittismo metafisico anche l'autorazzismo?

sabato 7 novembre 2015

E NOI? ABBIAMO GIÀ PERSO? CI DIAMO ALL'IPPICA?

[ 7 novembre]

OGNI RIVOLUZIONE INIZIA A CAMMINARE CON SCARPETTE DA BAMBINO

L'amico Marino Badiale, dopo un'analisi sostanzialmente condivisibile della situazione generale, così concludeva il suo articolo dell'altro ieri dal titolo LA FORZA DI RENZI:
«In secondo luogo, se quanto sopra detto ha senso, è chiaro che chi voglia opporsi alla brutale regressione sociale e civile verso la quale ci stanno portando gli attuali ceti dirigenti, non può fare affidamento su improbabili sollevazioni popolari. Purtroppo molti attivisti antisistemici sembrano condividere la rozza idea che il peggioramento delle condizioni materiali della masse faciliti l'opera dei rivoluzionari. I fatti dimostrano che non è così. La crisi, l'attacco a redditi e diritti, invece di suscitare sollevazioni, è lo strumento fondamentale per ridisegnare Stato e società in funzione antipopolare, regressiva, barbarica. Il peggioramento delle condizioni di vita sta portando all'accettazione passiva di una realtà di impoverimento e regressione. La rabbia che tutto questo genera non si traduce in politica ma in imbarbarimento della vita quotidiana. Chi sta sotto non si ribella contro chi sta sopra ma se la prende con il proprio vicino, o con chi sta ancora più sotto. Tutto questo si radica, io credo, in aspetti profondi della configurazione che la psiche umana ha assunto all'interno della società attuale, aspetti che purtroppo gli attivisti antisistemici non tengono in considerazione».
Un quadro desolante. Anche noi riteniamo "rozza l' idea che il peggioramento delle condizioni materiali della masse faciliti l'opera dei rivoluzionari". Tuttavia dissentiamo dal quadro sconfortante dipinto da Badiale. Si tratta della vecchia e banale diatriba tra la schiera dei "Pessimisti" e la falange degli "ottimisti"—nella quale noi ci iscriviamo? No, c'è dell'altro. C'è una lettura diversa della realtà sociale.

Con perfetta sincronia, un'altro nostro grande amico Fiorenzo Fraioli, in un post dal titolo PENSIERINO NOTTURNO, sembra condividere lo sconforto di Badial ed anzi aggrava la dose scrivendo:
«Vado in giro, vedo gente, faccio cose, ma da mesi, se non sono io che porto il discorso sull'euro, sull'UE e il tema della sovranità, di queste cose non sento parlare. Ne parlo solo nella mia nicchia social. Anzi, nella mia nicchia social parlo solo con gente interessata all'euro, all'UE e alla sovranità.
Eppure abbiamo ragione noi! Cribbio, perché gli altri non capiscono?
Poi penso al 18 luglio del 1943, il giorno prima del bombardamento di San Lorenzo e sei prima del gran consiglio che si concluse con l'arresto di Mussolini, e mi dico: "Belin! anzi... Bail-in!".
Che non lo sapevano i romani, quella sera del 18 luglio del 1943, che c'era già stato lo sbarco in Sicilia degli alleati? Eppure affollavano Piazza Esedra ascoltando le orchestrine e tirando tardi!
Anche perché, lo dicevano tutti, c'erano le armi segrete...
Ve lo dico adesso e ricordatevelo: io a Piazzale Loreto non ci sarò, insieme a questa massa di coglioni che ancora oggi delira di casta-cricca-corruzione e reddito di cittadinanza. Anzi, mi dedicherò a difendere gli euristi sconfitti.
Sempre dalla parte dei perdenti! La mia è una vocazione».
Scrivevamo nel MANIFESTO con cui fondammo l'Mpl nella marzo 2012:
«L’alternativa secca è tra il subire questa catastrofe sociale —che non è un singolo evento fatidico, ma un processo già in atto— o sollevarsi per un vero e proprio cambio di sistema. Se questo rivolgimento non ci sarà presto, il paese sarà ridotto in macerie, col rischio che la miseria generale possa causare un devastante conflitto tra poveri ed infine lasciare spazio ad avventure populiste e reazionarie, animate da una borghesia che tiene sempre in serbo primigenie pulsioni reazionarie, senza nemmeno escludere l’eventualità di uno sgretolamento dello Stato-nazione. Conflitti aspri saranno inevitabili, così come una polarizzazione di forze contrapposte.
Di sicuro la crisi sprigionerà grandi energie sociali, energie che questo sistema politico marcio sarà incapace di ammansire e rappresentare. Queste forze sono la sola leva su cui si possa fare affidamento per cambiare radicalmente questo paese. Vanno quindi alimentate, aiutate ad emergere. Bisogna dare loro una consistenza politica, uno sbocco, una prospettiva. Per farlo non è sufficiente affermare dei no, occorre anche indicare quale possa essere l’alternativa, il nuovo modello sociale.
Questo è esattamente il compito che ci proponiamo come Movimento Popolare di Liberazione (MPL). Esso non consiste anzitutto nell’accendere fuochi di conflitto sociale, poiché essi già esistono come risultato di una resistenza diffusa che scaturisce da condizioni oggettive. Il compito nostro è quello di risvegliare le coscienze sopite, di chiamare a raccolta le migliori intelligenze, di raggruppare e dunque di far scendere in campo centinaia e migliaia di cittadini che di fronte alla miseria sociale e politica generale, sono decisi a prendersi ognuno la propria responsabilità, fino a quella di battersi per rovesciare lo stato di cose esistenti».
Noi continuiamo a pensare che il sistema vive una crisi sistemica, di più, che siamo ad un vero e proprio passaggio epocale, di civiltà. E' quindi una crisi da tempi lunghi, che vedrà passaggi dolorosi e mutamente repentini. E anche ove fosse che forze di stampo reazionario salissero al potere, in questo o quel paese, in altri, l'indignazione popolare —che oggi si manifesta in forme minimalistiche e per niente anti-sistemiche, e che si rappresenta in movimenti come M5S, Podemos o SYRIZA— sarà seguita dalla sollevazione. Giungeremo al bivio: o rivoluzione democratica di chi sta in basso o controrivoluzione pilotata da chi sta in alto.

Nel tentativo di descrivere più precisamente coma la pensassimo, scrivevamo nel marzo 2014:
«Questo sistema non vuole cambiare, ubbidisce alla più tetragona volontà di sopravvivenza. Ciò alimenta la tendenza allo scontro sociale, di cui la sollevazione è solo un momento, un tornante.
Ci sono quattro fasi che scandiscono la condotta sociale di questi nuovi poveri. La prima segna il passaggio dal sonno ipnotico al risveglio. La seconda attiene al passaggio dal risveglio all’indignazione. La terza fase è quella in cui l’indignazione si trasforma in rivolta spontanea. La quarta vede la rivolta trasformutarsi in sollevazione organizzata.
Noi siamo appena entrati nella terza fase, quella del passaggio dall’indignazione alla rivolta. Il compito dei rivoluzionari è quello di aiutare l’indignazione a diventare rivolta dispiegata. Lo si può e deve fare lavorando su due piani strettamente intrecciati: quello dell’organizzazione e quello della proposta politica». 
Proviamo ad aprire una discussione che vada nel profondo.

sabato 6 giugno 2015

ANCORA SU DESTRA E SINISTRA di Marino Badiale

[ 6 giugno]

L''amico Marino Badiale risponde a Moreno Pasquinelli sul tema della dicotomia destra-sinistra". 
Volentieri lo pubblichiamo.

Mi sembra che il tema della dicotomia destra/sinistra, con le tesi contrapposte della sua perdurante validità oppure del suo superamento, sia sottinteso in alcune delle discussioni a cui abbiamo assistito negli ultimi tempi (per esempio quella relativa a Diego Fusaro, e proseguita QUI). 

Si tratta però di una tematica che resta spesso sottintesa, o magari accennata e liquidata con poche battute. Il risultato è che sul tema del superamento di destra e sinistra vi è un certo grado di confusione. Penso sia bene provare almeno a dissipare un po’ di questa confusione. Un’occasione per farlo può essere un articolo di Moreno Pasquinelli [2] che ha il merito di affrontare esplicitamente la questione. In realtà lo scopo ultimo dell’articolo mi sembra sia quello di portare un attacco al tentativo, attribuito a Fusaro, di creare di una forza politica sovranista ma non caratterizzata in termini di destra e sinistra. 

Non è però di questo che intendo trattare adesso: mi interessa invece discutere la ricostruzione della genesi della tesi sul superamento di destra e sinistra (d’ora in poi, per brevità , la chiamerò ”tesi del superamento”), ricostruzione proposta da Pasquinelli all’inizio dell’articolo. Mi trovo infatti a dissentire su alcuni aspetti di tale ricostruzione, e penso che esplicitare questo dissenso possa essere un contributo a fare chiarezza su questi temi.

Pasquinelli indica due fattori causali per la nascita della “tesi del superamento”: sul piano materiale, la relativa stabilizzazione del capitalismo, avvenuta dopo i turbolenti anni Settanta del Novecento, e la conseguente “cetomedizzazione” dei ceti subalterni. Sul piano intellettuale, le critiche al marxismo sviluppate dal mondo intellettuale post-strutturalista, e in generale l’egemonia conquistata dalla “narrazione” intellettuale post-modernista. Il complesso di queste correnti intellettuali (lo “spirito del tempo”, potremmo dire) convergeva nella tesi che “le società occidentali non erano più capitalistiche ma strane amebe “post-borghesi” “. Queste posizioni avrebbero influenzato alcuni autori di estrazione marxista, come Preve. Ma con la crisi attuale esse avrebbero dimostrato di avere il fiato corto: “L’apparenza che fossimo entrati in una società post-capitalistica e post-borghese, che la storia fosse finita, che la lotta di classe fosse un ricordo di tempi andati, ha lasciato tracce ma sta esaurendo la sua forza espansiva”. La crisi, secondo Pasquinelli, porterà alla ripresa della lotta di classe e quindi alla ripresa dell’opposizione di destra e sinistra.

Fin qui l’articolo di Pasquinelli, che ho riassunto nella parte che mi interessa discutere. Credo che nel tentativo di dissipare la confusione che, come ho detto, mi sembra addensarsi in questi dibattiti, sia necessario cercare di delimitare l’oggetto della discussione. È chiaro infatti che alla “tesi del superamento” ci si può arrivare con percorsi molto diversi, ed essa può quindi avere valenze diverse. In questo articolo discuterò un ambito preciso nel quale è stata elaborata questa tesi: il gruppo intellettuale che ha pubblicato la rivista “Koiné” nella seconda metà degli anni Novanta. Farò riferimento al pensiero di Massimo Bontempelli e Costanzo Preve, che sono stati i principali “riferimenti filosofici” della rivista. Con una ulteriore precisazione: per quanto riguarda Bontempelli mi riferisco all’intero ambito della sua produzione, che conosco bene sia per letture sia per frequentazione personale. Per quanto riguarda Preve mi riferisco alla sua produzione degli anni Novanta, che conosco meglio di quella successiva. Fatte queste premesse, vediamo in che cosa la ricostruzione di Pasquinelli mi sembra poco convincente, almeno in riferimento al pensiero di Bontempelli e Preve.

1. Il post-modernismo

 Pasquinelli, come si è detto, vede l’origine intellettuale della “tesi del superamento” nel pensiero post-strutturalista e in generale nella temperie culturale post-moderna che è egemone nel mondo occidentale almeno a partire dagli anni Ottanta. Una tale affermazione a me sembra falsa se presa in senso stretto, e vuota se presa in senso generico. Vediamo quest’ultimo punto: proprio perché il post-moderno è il pensiero egemone da decenni, è lo “spirito del tempo” (come scrivevo sopra), è ovvio che in un modo o nell’altro ne siamo stati tutti influenzati: Bontempelli, Preve, io, Pasquinelli e così via. Ma questa ovvietà non dice chiaramente nulla sul modo specifico in cui questa influenza viene elaborata: è una vuota banalità. Se si va a vedere il contenuto specifico delle tesi fondamentali di Bontempelli e Preve, si scopre che esse si contrappongono frontalmente alle tesi fondamentali del post-modernismo, e quindi la tesi dell’influenza di quest’ultimo sui primi, se presa in senso stretto, cioè come affermazione del fatto che le tesi post-moderniste si ritrovino nel pensiero di Bontempelli e Preve, è semplicemente falsa. Infatti, qual è la tesi fondamentale del post-modernismo? Mi sembra che si possa sintetizzare nella tesi della non esistenza della Verità in senso forte, nel senso che la tradizione filosofica occidentale ha ad essa attribuito. Ma la tesi fondamentale del pensiero filosofico di Bontempelli e Preve è proprio quella del carattere veritativo della filosofia. Chi sono i pensatori di riferimento del post-modernismo? Molti e variati, naturalmente, ma credo si possa affermare che Nietzsche e Heidegger sono gli autori imprescindibili. Chi sono gli autori fondamentali per Bontempelli e Preve? Anche qui molti e vari, ma il riferimento fondamentale è ad Hegel e Marx, precisamente le due “bestie nere” del post-modernismo. Tutto questo è indice di una contrapposizione radicale fra il pensiero di Bontempelli e Preve e la temperie culturale post-moderna. Per mostrare questa contrapposizione si potrebbero portare citazioni dall’intera produzione di questi due autori, ma per brevità mi limito a una citazione per uno, prese entrambe da un libro che mette assieme un testo di Bontempelli e uno di Preve: “Nichilismo Verità Storia”, edizioni CRT 1997.
Bontempelli: “Il mondo storico umano contiene dunque in sé, come suo fondamento assoluto di verità, una articolazione universale e immodificabile di significati ontologici, che rappresentano, nella loro unità dialettica, la verità fondativa dell’essere sociale” (pagg.99-100).
Preve: 
“In Hegel la verità diventa correttamente l’oggetto di una scienza filosofica […]. La sua eredità non viene però raccolta […]. Invece della corretta nozione hegeliana di scienza filosofica, basata sulle reciproca connessione essenziale delle parti nell’intero che ne esprime la verità, si affermano nella modernità due concezioni separate e incomunicabili di scienza e filosofia.” (pag.127).
È immaginabile che un pensatore post-moderno possa scrivere frasi del genere? A me sembra di no.
Riassumendo: il pensiero di Bontempelli e Preve si contrappone frontalmente alle tesi fondamentali del pensiero post-moderno, quindi l’idea che la “tesi del superamento”, almeno nella forma che assume in Bontempelli e Preve, sia derivata dalla temperie culturale post-moderna, appare difficile da sostenere.

2.Capitalismo e borghesia 

La “tesi del superamento” è da Pasquinelli collegata alla tesi che la società contemporanea sia una società post-borghese e post-capitalistica. Ma quest’ultima tesi non ha davvero nulla a che fare con quanto hanno teorizzato Bontempelli e Preve. Essi hanno sostenuto una cosa completamente diversa, cioè che la società attuale è una forma di capitalismo post-borghese. Naturalmente, una simile tesi ha senso solo se si comprende che per Bontempelli e Preve la nozione di “borghesia” è distinta da quella di “capitalismo”. Non è qui il luogo per approfondire questo tema (certo molto importante), quello che voglio sottolineare è che per i due autori in questione la società moderna è una società capitalistica contro le cui ingiustizie occorre lottare, e quindi è completamente fuorviante iscriverli al gruppo dei pensatori che hanno creduto alla fine “di ogni idea di emancipazione rivoluzionaria dal capitalismo”, come scrive Pasquinelli. La cosa buffa è che questo punto, oltre a ricorrere continuamente negli scritti di Bontempelli e Preve, è anche facilmente ricavabile dal passo di Preve che lo stesso Pasquinelli cita. Infatti in esso Preve parla della classe dominante “in un primo tempo borghese-capitalistica e oggi semplicemente capitalistica (e post-borghese)”: dove si capisce chiaramente che quanto Preve sostiene è il carattere capitalistico ma non borghese dell’attuale classe dominante (e quindi, come si inferisce facilmente, degli attuali rapporti sociali). Naturalmente, la tesi della distinzione fra borghesia e capitalismo può essere discussa, criticata e rifiutata, ma non può essere stravolta. Inserire Preve (o Bontempelli) nel calderone di chi teorizza una società genericamente post-capitalistica, come sembra fare Pasquinelli, è davvero fare violenza alla verità.

Questo era quanto mi sembrava necessario dire per contrastare quella che ritengo una ricostruzione poco convincente delle origini intellettuali della “tesi del superamento”, almeno nella forma che tale tesi assume in Bontempelli e Preve.
Pasquinelli solleva però molti altri temi, indipendenti dalla discussione sul pensiero di Preve, e meritevoli di una esame approfondito, che non posso fare qui per non allungare ulteriormente questo articolo. Mi limito ad accennare brevemente a due punti importanti.
Per prima cosa, osserviamo che Pasquinelli sembra ritenere che la ripresa dello scontro di classe, inevitabile nella attuale situazione di crisi generale del capitalismo, porterà alla ripresa della contrapposizione di destra e sinistra. Questo perché egli ritiene che la dicotomia di destra e sinistra “inequivocabilmente scaturisce” dalla “opposizione tra le classi”: ma è proprio questo il punto in questione. La questione, cioè, non è se esistano il capitalismo o la lotta di classe, la questione è se la lotta di classe nel capitalismo si rappresenti politicamente sempre e comunque nella forma della contrapposizione di destra e sinistra. Secondo Bontempelli, e secondo l’autore di queste righe, non è così: la contrapposizione di destra e sinistra è una forma particolare dello scontro politico all’interno del capitalismo, che è stata superata dagli sviluppi recenti delle società capitalistiche. Naturalmente, per capirci, occorre mettersi d’accordo su cosa si intende per sinistra (e destra). La nozione proposta da Bontempelli e me si può trovare nei nostri scritti 
[Cfr: M.Badiale, M.Bontempelli, La sinistra rivelata, Massari 2007. Id., La sfida politica della decrescita, Aracne 2014.]. 

In estrema sintesi, in questi testi sosteniamo che la sinistra è il luogo culturale e politico che nella modernità ha coniugato le istanze di emancipazione dei ceti subalterni con le istanze di sviluppo economico e tecnologico. La sinistra è stata vitale finché è stato possibile pensare di ottenere l’emancipazione attraverso lo sviluppo. Da alcuni decenni siamo entrati in una situazione nella quale lo sviluppo economico è essenzialmente de-emancipatorio, e questo toglie lo spazio vitale della sinistra.

Questa, dicevo, è la nozione di sinistra da noi utilizzata. Ovviamente, quanto appena detto rappresenta una semplice enunciazione dogmatica, non argomentata, di alcune tesi. Le argomentazioni si trovano nei testi citati. Riporto qui tale enunciazione solo per spiegare che la tesi del superamento di destra e sinistra è strettamente legata ad una precisa definizione di cosa si debba intendere per “sinistra”.

Vengo allora all’ultimo punto che volevo discutere: qual è la definizione di “sinistra” cui fa riferimento Pasquinelli?

Essa non è esplicitata nell’articolo che stiamo discutendo, ma si trova, espressa con tutta la chiarezza necessaria, in un commento ad un altro post pubblicato su SOLLEVAZIONE
“considero di sinistra chi e solo chi postula come necessario fuoriuscire dal capitalismo per una società dove la ricchezza venga equamente distribuita fra tutti e quindi i mezzi di produzione non siano più strumenti per i privilegi di una classe sociale (capitale) ma beni comuni, proprietà sociale”. 
Cioè per Pasquinelli “sinistra” è definita come “anticapitalismo socialista” (distinto quindi da un eventuale anticapitalismo reazionario o fascista). Questa è una definizione chiara e precisa, ma ha un difetto: è in contrasto col significato che la nozione di “sinistra” ha avuto nella storia, perché esclude la sinistra riformista (nel senso storico della parola “riformismo”, che non è ovviamente quello attuale). La sinistra è stata storicamente il luogo politico di chi lottava per l’emancipazione dei ceti subalterni, ma questa lotta non coincideva necessariamente con l’anticapitalismo. Nella sinistra si sono incontrati i rivoluzionari e i riformisti, chi voleva superare il capitalismo e chi nella sostanza lo accettava cercando di indirizzarne gli sviluppi a favore delle classi subalterne. Se questo è vero (e mi pare innegabile che lo sia), introdurre l’anticapitalismo come condizione necessaria nella definizione di “sinistra” significa in realtà rifiutare la nozione di “sinistra” come è storicamente esistita, e introdurre una nozione nuova. Questo vuol dire che Pasquinelli rifiuta anch’egli la sostanza della nozione storica di “sinistra”, ma invece di mettere da parte il nome assieme alla sostanza, preferisce tenersi la scatola con l’etichetta “sinistra” dopo averne cambiato il contenuto. Si tratta di una scelta teorica che non contribuisce, mi sembra, alla chiarezza intellettuale.

giovedì 7 maggio 2015

LA FUFFA E LA SINISTRA... "MIGLIORE" di Marino Badiale

[ 7 maggio]

Dopo aver portato all'attenzione dei lettori un mio vecchio saggio sul linguaggio della sinistra radicale (qui e qui) volevo proporre qualche rapida riflessione. Mi è venuta l'idea di ripubblicare il saggio quando ho letto che Gennaro Migliore nella foto] era il relatore del PD sulla nuova legge elettorale. 

Nel saggio, scritto, lo ricordo, nel 2007, analizzavo fra gli altri documenti anche un suo articolo. Ora, credo si possa intuire, senza che io debba spendere molte parole, quale sia adesso il mio giudizio su questo personaggio che è passato con grande disinvoltura da Rifondazione a SEL al PD. Non vorrei però si pensasse che io consideri tutte le persone nell'ambito della sinistra radicale allo stesso livello di Migliore. Per esempio, nel saggio in questione sono molto critico anche nei confronti di un intervento di Haidi Giuliani, che giudico però una persona ben diversa da Migliore. Il problema, nel mondo della sinistra radicale, sta nel fatto che le persone come Haidi Giuliani convivono tranquillamente con le persone come Gennaro Migliore, e che alla fine sono sempre i Gennaro Migliore a prevalere. Penso che questo sia un problema molto serio e grave. Se mai nascerà in futuro una vera forza politica e sociale anticapitalistica, essa si troverà di fronte a questo stesso problema, e dovrà riuscire a risolverlo, per non fare la fine della “sinistra radicale” italiana. Vale quindi la pensa di ragionarci. 

Quello che mi sforzo di mostrare nel saggio è il carattere vuoto, retorico, irreale, illogico, dei discorsi che vengono normalmente prodotti nell'ambito della sinistra radicale. Per usare un neologismo che trovo molto efficace, quello che cerco di mostrare è che i discorsi prodotti in quel mondo sono in buona parte fuffa. Ora, il punto importante secondo me è questo: la fuffa è l'ambiente vitale dei Gennaro Migliore, l'ambiente nel quale essi crescono e prosperano, fino ad averla sempre vinta sulle tante brave persone come Haidi Giuliani. 

Come spiego nel saggio, i personaggi di quel tipo hanno bisogno della fuffa perché hanno bisogno di un linguaggio manipolabile a piacere, hanno bisogno che le parole non significhino nulla, per non essere mai impegnati seriamente da quello che dicono. Sembra allora facile trovare il modo per tenere lontani i Gennaro Migliore da un futuro movimento anticapitalista: basterà evitare la fuffa. Questa semplice deduzione purtroppo non risolve il problema perché ci porta ad un'altra domanda: come si fa a tener lontana la fuffa? E questa domanda ci porta alla successiva: perché mai la fuffa è così diffusa, nel mondo della sinistra radicale? Si potrebbe naturalmente osservare che essa è abbondantemente diffusa anche altrove, ma noi adesso stiamo parlando di un possibile futuro movimento anticapitalista, e siamo allora obbligati a confrontarci con le attuali realtà che si pretendono anticapitaliste, per individuarne i limiti e provare a immaginare come evitarli in futuro. 

Torniamo allora alla domanda: perché tanta fuffa? Se è così diffusa, vuol dire che la fuffa serve. La sua utilità per i Gennaro Migliore è ovvia, e ne abbiamo appena parlato. Ma a cosa serve la fuffa alle persone come Haidi Giuliani che (così mi ostino a pensare) sono pur sempre in maggioranza, in quegli ambiti, rispetto ai Gennaro Migliore? Propongo all'attenzione dei lettori un'ipotesi: la fuffa rappresenta una forma di difesa di un'identità minacciata. La crisi della sinistra, della quale si parla da decenni, è senz'altro anche la crisi di meccanismi identitari che per molte persone sono importanti, sono parti significative della vita. Un linguaggio che si confronti razionalmente con la realtà costringerebbe ad affrontare la realtà della sinistra, il che vuol dire la realtà del sostanziale abbandono, da parte di tutto il ceto politico di sinistra, degli aspetti essenziali di ciò che è stata la sinistra storica. 

Questo confronto metterebbe in crisi, per molte persone, la propria appartenenza alla “comunità della sinistra”. La fuffa serve ad evitare tutto questo, serve per continuare a credersi parte di una comunità di brave persone che lottano seriamente per dei grandi ideali. E questo è naturalmente quello che molte di queste persone davvero sono, sul piano soggettivo. Solo che, per queste persone, il piano soggettivo non entra mai in contatto col piano della realtà oggettiva. Per riassumere con una formula, la fuffa è il prodotto di una comunità che ha scelto l'identità contro la verità, quando tale comunità deve confrontarsi con qualcosa che potrebbe mettere in crisi quella identità. L'indicazione per il futuro, usando queste formule piuttosto astratte, sarebbe allora di costruire una comunità politica che metta sempre la verità al primo posto (e l'identità, eventualmente, al secondo). 
Purtroppo si tratta di una formula che è facile da enunciare, ma che non sappiamo come mettere in pratica. Può essere però un buon inizio di riflessione.

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