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mercoledì 28 agosto 2019

SINEDDOCHE BIBIANO di Il Pedante

[ mercoledì 28 agosto 2019 ]



Un patologia sociale?


Confesso che quando alcuni amici mi hanno chiesto un commento strutturato sull'inchiesta di Bibbiano, ho dubitato di potercela fare. Perché se fosse confermata anche solo una frazione di ciò che i magistrati contestano agli operatori sociali, alle famiglie affidatarie e agli amministratori della Val d’Enza, ci troveremmo di fronte alla più pura epifania del male. Da quei fatti emergerebbe una volontà sadica e più che bestiale di traumatizzare a vita i più innocenti e di gettare le loro famiglie in uno strazio senza fine e senza scampo – perché imposto dalla legge – spezzando in un sol colpo i vincoli sociali e della carne. Per un genitore è insopportabile il pensiero di quei piccoli che si addormentano tra le lacrime, lontani da casa, indotti a odiare chi li ama, in certi casi maltrattati, affidati a squilibrati o molestati sessualmente (!), mentre padri e madri inviano lettere e regali che non saranno mai recapitati e pregano di uscire da un incubo che non osano denunciare per non perdere l’ultima speranza di riabbracciare i loro figli. Con buona pace del codice penale, i reati qui ipotizzati superano per gravità l’omicidio: perché fanno morire l’anima, non il corpo. Svuotano le persone e le lasciano vivere nel dolore.

I presunti abusi della Val d’Enza sono, appunto, presunti fino a sentenza. Ma il loro modus operandi e il ricorrere di alcuni protagonisti hanno fatto riemergere il ricordo di altri allontanamenti famigliari poi rivelatisi, anche in giudizio, gravemente ingiustificati, e dell'irreparabile scia di dolore che hanno inciso nelle comunità colpite. Il clamore delle cronache ha inoltre ridato forza alla denuncia di poche voci finora isolate, di un sistema che anche quando resta nel perimetro di una legalità formale conferisce agli operatori sociali un potere senza effettivi contrappesi in grado di strappare i figli alle famiglie per anni con le più arbitrarie delle motivazioni: dalla «inadeguatezza educativa» all'indigenza, dalla conflittualità tra i coniugi al disordine domestico, dalla «ipostimolazione» dei figli alla «immaturità» dei genitori. Queste fattispecie non sarebbero residuali ma prevalenti, come si apprende da un'indagine parlamentare conclusasi nel 2018:



Da un lato appare perciò urgente mettere in mora ogni altra priorità per emendare questo sistema partendo dai gradi più alti dell’amministrazione dello Stato, perché sarebbe vano e penoso discettare in prima serata di rinascite politiche, economiche e culturali mentre si erodono le basi biologiche della comunità. Sarebbe – come di fatto è – la metafora più calzante dell’impotenza etica e civile dell’umanità a noi coeva, che mentre blatera di salvare il mondo non riesce a proteggere la vita dei suoi figli da una carta bollata. Dall'altro, è però utile riflettere sulle salvaguardie culturali che da anni presidiano questo sistema. Superando le circostanze della cronaca, il dibattito sui dintorni e i precedenti di Bibbiano ha suscitato in molti il sospetto di una civiltà che non fa argine all'orrore ma lo veste con le sue procedure e i suoi feticci. Indagando su questi ultimi ci si accorgerebbe che gli abusi qui accertati, denunciati o ipotizzati possono alludere a problemi più radicali.

* * *

Secondo chi ha condotto le indagini, i responsabili dei servizi sociali della Val d’Enza avrebbero agito «in modo tale da sostenere aprioristicamente e in modo privo di qualsivoglia minimo equilibrio, le tesi o i sospetti… che i bambini avessero subito abusi sessuali» anche quando le presunte vittime negavano e imploravano di ritornare in famiglia. Avrebbero cioè anteposto all'indagine psicologica un'ideologia dell’abuso da «dimostrare» a tutti i costi. Un'ideologia, aggiungiamo noi, che nelle sue motivazioni e verbalizzazioni ambiva a collocarsi nel più ampio alveo di una precisa area politica e culturale, come si evince dagli scritti e dalle scelte di alcuni dei principali protagonisti dell'inchiesta: dalla retorica femminista e già marxista del maschio-padrone («In questo Paese è ancora troppo forte l’idea della famiglia patriarcale padrona dei figli», commentava l'assistente sociale Anghinolfi su La Stampa, nel 2016) all'attivismo per i diritti e la genitorialità LGBT, dal sostegno alle ONG del Mediterraneo alla partecipazione a incontri, convegni e audizioni organizzati dalla sinistra locale e nazionale.

È tutto legittimo e nulla aggiunge ai reati contestati. Né implica che esistano oggi schieramenti politici «che rubano i bambini» come una volta si diceva che li mangiassero. Qui non mi interessano i mandanti morali - qualsiasi cosa significhi, peraltro - ma il modo in cui queste vicende sono state recepite e tradotte in simboli da parte del corpo sociale, e la solidità dell'ipotesi che gli eccessi riconosciuti in parte a Bibbiano (sette minori affidati sono già rientrati nelle famiglie di origine) e certificati altrove si siano fatti scudo, nel loro reiterarsi, di una rispettabilità non solo scientifica, ma anche etica e culturale.


Reductio ad pueros


Da anni mi colpisce l’attenzione ossessiva, ma insieme chirurgicamente selettiva, che i progressisti riservano all'infanzia sofferente. In un articolo di qualche tempo fa coniavo il termine «reductio ad pueros» per denunciare l’uso di asservire la rappresentazione delle tragedie che colpiscono i più piccoli alla promozione di un obiettivo politico. È vivo il ricordo del giovanissimo Alan Kurdi, annegato nel 2015 durante un tentativo fallito di raggiungere clandestinamente le coste greche al seguito del padre. La foto straziante del suo corpo fu riprodotta ovunque e quasi ovunque accompagnata da inviti ad «aprire le frontiere» e ad allargare le maglie del diritto d’asilo per evitare il ripetersi di tragedie simili. Qualche anno dopo Beppe Severgnini teorizzava sul Corriere della Sera la liceità, anzi il dovere, di «mostrare la foto di un bimbo che muore» per denunciare misfatti come quello di Douma, dove il governo siriano avrebbe usato il gas nervino contro il suo stesso popolo. Per crimini di questa portata, spiegava il giornalista, «non può esistere il sospetto che sia un modo di speculare sui minori». Purtroppo (per lui, non per i siriani) l’Organizzazione per la proibizioni delle armi chimiche avrebbe di lì a poco certificato che quell’attacco chimico non era mai avvenuto. Ma non è un caso, né un’eccezione.

Nello stesso articolo osservavo che spesso le rappresentazioni della sofferenza puerile, oltreché accuratamente filtrate per rinforzare un messaggio, risultano a una più attenta analisi stiracchiate, esagerate o semplicemente inventate. Il piccolo Kurdi, ad esempio, non poteva essere stato vittima del negato diritto d’asilo in quanto la sua famiglia fuggita dalla Siria godeva già da tempo della protezione internazionale in Turchia. E tante altre piccole presunte vittime delle bombe o dei cecchini siriani erano in realtà attori, protagonisti di videoclip o testimonial delle fazioni ribelli. Così come non sono mai esistite le centinaia di bambini inglesi morti di morbillo ripetutamente citate dall’ex ministro Lorenzin in televisione per sostenere l’urgenza del suo decreto vaccinale. Così come non è credibile che i nostri bimbi «ci chiedano» di ridurre il debito pubblico o, se stranieri, di ottenere la cittadinanza italiana prima dei diciotto anni, a parità di diritti.

Nel concludere con la massima «ubi puer ibi mendacium», avanzavo l’ipotesi che il dolore dei bambini – vero o più spesso inventato – servisse a disattivare le resistenze razionali del pubblico per indurlo ad accettare proposte politiche altrimenti controverse, agganciandole a un’emozione innata, immediata e profonda. Il facile successo di questa operazione, non dissimile da quella di chi sceglie un corpo avvenente per reclamizzare un prodotto, è tale da avere spinto qualcuno addirittura ad auspicare quel dolore. Così accadeva ad esempio allo scrittore Edoardo Albinati, che un anno fa confessava in pubblico di avere «desiderato che morisse qualcuno sulla nave Aquarius. Ho detto: adesso, se muore un bambino, io voglio vedere che cosa succede per il nostro governo».

Aggiungo qui una terza proprietà della reductio ad pueros: che nel selezionare (prima proprietà) una disgrazia minorile in termini iperbolici, deformanti o fantasiosi (seconda proprietà) per dissimulare un fine ideologico (movente), promuove quasi sempre una disgrazia di molti ordini più grave. Questa disgrazia maggiore, per effetto della prima proprietà, resta in sordina e può così dispiegarsi in tutta la sua atrocità senza resistenze o rimedi. Consideriamo l'esempio fondativo della Guerra del Golfo, quando un'attricetta quindicenne seminò raccapriccio in mondovisione spacciandosi per un'infermiera sotto i cui occhi sarebbero stati barbaramente uccisi alcuni neonati kuwaitiani. Quella testimonianza (falsa) ebbe l'effetto di convincere l'opinione occidentale della necessità di muovere guerra contro il governo iracheno. La conseguenza (vera) fu che decine di migliaia di bambini (veri) persero la vita sotto le bombe e centinaia di migliaia (veri) per le privazioni causate dal successivo embargo. In un esempio più recente, la necessità di agevolare il trasferimento di massa di esseri umani dall'Africa all'Europa (movente) è stata in certi casi sostenuta rappresentando le sofferenze (presunte) patite dagli immigranti minorenni (presunti) in patria e in viaggio, con la conseguenza di consegnare molti di loro a un destino (vero) di sfruttamento lavorativo e sessuale, o alla sparizione.


Il fenomeno degli allontanamenti famigliari per motivi futili o inesistenti, per errore o per dolo, può soddisfare i requisiti della reductio ad pueros. In questi casi la giusta attenzione rivolta al fenomeno degli abusi in famiglia e della loro eventuale sottostima (prima proprietà) si è accompagnata all'urgenza di ingigantirne o immaginarne i segnali se non addirittura, come ipotizzano i magistrati reggiani, di «supportare in modo subdolo e artificioso indizi, o aggravare quelli esistenti, nascondendo elementi indicatori di possibili spiegazioni alternative» (seconda proprietà). La fabbricazione della falsa sofferenza da abuso ha infine prodotto la sofferenza vera dello sradicamento affettivo e della conseguente distruzione di vite e famiglie (terza proprietà).

Resta da indagare il movente.


Familles je vous hais!


Secondo gli inquirenti, in Val d'Enza le «false rappresentazioni della realtà» sarebbero state «tese in ogni caso a dipingere il nucleo famigliare originario come connivente (almeno se non complice o peggio) con il presunto adulto abusante». Altri autorevoli commentatori hanno denunciato più direttamente una «cultura molto invadente che vede nella famiglia... un luogo potenzialmente oppressivo e perciò da colpire». Secondo altri, esisterebbe un piano per «distruggere la famiglia» tout court.

All'estremo opposto leggiamo le parole di Claudio Foti, lo psicanalista (anche della citata Anghinolfi) e direttore scientifico dell'associazione Hansel e Gretel che collaborava con i servizi sociali di Bibbiano, secondo il quale il problema sarebbe invece che
per una parte della comunità sociale la famiglia è sacra ed intoccabile. E guai a chi la tocca! La famiglia è sempre e comunque un microcosmo idealizzato dove i bambini sono protetti e benvoluti! E gli operatori che si occupano di tutela,di abusi, che mettono in discussione l'immagine sacra ed idealizzata della famiglia diventano il bersaglio di una rabbia talvolta cieca e distruttiva!

Il professionista oggi sotto inchiesta, nel riconosce nella famiglia «la più straordinaria risorsa educativa dei bambini», ritiene che tra chi oggi si indigna per le cronache bibbianesi vi sia «un'area vasta di persone... che tendono a schierarsi a priori a difesa dei genitori e della famiglia (“un padre ed una madre non possono aver fatto questa cosa terribile!”)» e che la loro reazione violenta «si [sia] sviluppat[a] mano a mano che crescevano gli interventi sociali e psicologici per sostenere i genitori, ma anche per limitare la loro onnipotenza e... nella società maturava una consapevolezza critica nei confronti della famiglia».

Queste contrapposizioni segnalano senz'altro una radicalizzazione del dibattito, sia pure nella forma speciale della reciproca accusa di ideologia. A essere onesti, è però difficile imbattersi in qualcuno che voglia distruggere tutte le famiglie in quanto tali, inclusa la propria. E ancora più difficile è che altri le considerino tutte sante e immacolate in quanto tali. A quali persone si riferisce il dottor Foti? Pur frequentando sponde politiche molto lontane dalle sue non ne ho mai Incontrata una, neanche tra coloro che oggi augurano i peggiori supplizi agli indagati di Bibbiano. Il mio sospetto è che qui si faccia confusione tra sostanze prime e seconde in senso aristotelico: la sacralizzazione o quasi-sacralizzazione dell'istituto famigliare (sostanza seconda), in senso religioso (Gen 2,24, Mc 10,6-9) o civile (Cost. art. 31), non esclude che se ne possano criticare i singoli σύνολαgenitoriali (sostanza prima), e che anzi lo si debba fare se indegni. Persino la sacralità intrinseca del sacerdozio non impedisce alla dottrina di condannare i cattivi sacerdoti, anzi lo impone. Il peccato che dissacra il progetto divino è una condizione ineliminabile dell'uomo e il peccato più grave è anche quello originario, di presumere che le cose degli uomini possano diventare sacre nel senso di fregiarsi della perfezione divina (ὕβϱις).

Quelli di Foti e dei suoi eventuali nemici massimalisti sembrano perciò essere argomenti fantoccio le cui iperboli alludono a scontri culturali più profondi, alla dialettica tra la ragion di Stato del princeps e le ragioni del sangue del pater familias e, in radice, tra legge (νόμος) e natura (φύσις) umana. Oggi il polo normativo, quello del dover essere, vive una fase ipertrofica e le sue invasioni nel campo dell'essere sono evidenti. Ambisce a istituire la genitorialità di chi non può generare, a promuovere o imporre la bioingegneria di massa, a comprimere la realtà fisica in algoritmi e flussi di dati, a sostituire i sessi biologici con accrocchi culturali (ruoli e identità di genere) e altro, ma le sue pretese non sono nuove.


Né è è nuova l'idea a cui Foti sembra aderire, che il progresso sociale debba reclamare anche la demistificazione, il contenimento e la critica dei diritti familiari. Nel 1958 il sociologo Edward Banfield coniava la fortunata definizione di «familismo amorale» per spiegare come l'arretratezza materiale e morale di certe aree del nostro Meridione trarrebbe origine dalla centralità assunta dai rapporti famigliari stretti a scapito di una socialità più strutturata, cooperativa e solidale. Il binomio arretratezza-famiglia trova sponda nel sentire comune, ad esempio quando si identificano le economie famigliari con mafie, corruzione e favoritismi (mentre le imprese familiari sono le più floride e resilienti) o si formula l'auspicio che i nostri giovani abbandonino presto le famiglie di origine per rendersi indipendenti e incrementare la forza lavoro nazionale, poco importa a quali condizioni. Che smettano, diceva un ex ministro di famiglia ricchissima, di fare i «bamboccioni» per consegnarsi a una più salutare «durezza del vivere». O ancora, quando si subordina l'integrazione dei giovani immigrati alla loro emancipazione da retaggi famigliari «arcaici» e «oppressivi», cioè al loro sradicamento affettivo.

Mentre politici ed economisti di area liberale mettono i figli contro i padri e i padri contro i nonni insinuando che i più anziani starebbero «rubando il futuro» ai giovani con i loro «privilegi» pensionistici, le cure sanitarie di cui fruiscono e, a monte, il debito pubblico spensieratamente accumulato, negli ambienti accademici più blasonati raccoglie consensi l'idea di inasprire le tasse di successione affinché i nuovi lavoratori, non più protetti dal patrimonio di famiglia, si immolino nell'arena della competizione meritocratica «in un Paese dove spesso un giovane adulto conta troppo, volente o nolente, sulla casa e sui finanziamenti dei genitori o sulla raccomandazione del parente». Nel frattempo chi detta le riforme dell'istruzione chiede che i nostri figli trascorrano molto più tempo tra i banchi - e quindi meno in famiglia - con l'estensione dell'obbligo scolastico a partire dai tre anni e il tempo lungo obblgatorio fino ai quattordici. Ciò servirebbe, commenta candidamente il Corriere, «proprio a ridurre il peso(sic) dei condizionamenti ambientali e familiari».

Sul terreno della salute si osano gli esperimenti più audaci. Nel dibattito sorto attorno ai nuovi obblighi di vaccinazione per l'infanzia si è discussa con allarmante ossessione l'opportunità di sottrarre i figli ai genitori renitenti alle inoculazioni, accettando così la certezza di traumatizzare a vita i più piccoli (terza proprietà della citata reductio) per preservarli da rischi eventuali e remoti (seconda proprietà). Ricorderanno i lettori che questa opzione mai osata nel nostro ordinamento, di annichilire la dissidenza disgregandone gli affetti, era prevista a chiare lettere nel comma 5 dell'articolo 1 del decreto Lorenzin, poi abrogato nella conversione in legge. Per motivi analoghi, si reclama la facoltà dei minori, anche giovanissimi, di sottoporsi a test e trattamenti sanitari senza il consenso parentale, li si rappresenta come eroi quando si affidano agli apparati medici contro la volontà di genitori naturalmente retrogradi, si autorizza lo scempio chemioterapico dei loro corpi per sperimentare nuovi paradigmi sessuali e si patologizzano le loro difficoltà e il loro carattere per affidarli alle cure di appositi esperti, fin quasi dalla culla.

È difficile non vedere il filo rosso che lega queste e altre vicende. Il progressismo è la la volontà di imporre un progresso che, per il fatto di dover essere imposto, non è riconosciuto come tale dai suoi presunti beneficiari. Il suo momento propositivo è perciò eternamente posposto e schiacciato dall'urgenza preliminare di forzare le resistenze sociali al cambiamento e i sedimenti pregressi di costume e pensiero, tanto che finisce quasi sempre per identificarsi con la sola pars destruens, con una guerra al vecchio di cui il nuovo non è più il fine, ma il pretesto. Non può dunque sorprendere che il progressismo mal tolleri i diritti delle famiglie. Perché queste sono luogo della traditio letteralmente intesa in cui valori, rappresentazioni e credenze si «consegnano» da una generazione all'altra legandosi al veicolo inespugnabile e primordiale degli affetti. Chi vuole aggredire il vecchio deve aggredire le famiglie e spezzarne la catena di trasmissione: anche fisicamente, non disponendo gli uomini di surrogati pedagogici altrettanto incisivi (ma ci si sta lavorando).

* * *

Attraverso una minuziosa analisi di accordi, intese e raccomandazioni internazionali, Elisabetta Frezza ha ricostruito le tappe di un processo che dal dopoguerra a oggi ha preparato e promosso la progressiva esautorazione dei riferimenti pedagogici famigliari per favorire programmi di educazione pansessualista e di eroticizzazione precoce dei fanciulli a cura degli apparati scolastici. In un intervento recente la studiosa ha citato un passo da L'impatto della scienza sulla società (1951) di Bertrand Russel dove il filosofo britannico immaginava una «dittatura scientifica» in cui «i socio-psicologi del futuro» potranno «convincere chiunque di qualunque cosa», anche che «la neve sia nera... a patto di poter lavorare con pazienza sin dalla giovane età». In ciò il principale ostacolo da superare sarà, appunto, l'«influenza della famiglia».

Anche queste idee sono antiche. Se l'utopia è l'esercizio più estremo e trasparente di progressismo, la dissoluzione della famiglia era già predicata nel testo utopico più antico che conosciamo, la Repubblica di Platone. Nella polis dei sapienti (che oggi chiameremmo «tecnici» avendo messo la ragioneria davanti alla metafisica) le donne sono «tutte in comune», la convivenza coniugale è vietata e «il padre non conosc[e] il figlio, né il figlio il padre» giacché «autorità apposite... prenderanno in consegna i neonati» subito dopo il parto per indirizzarli all'educazione e alle carriere stabilite dai guardiani dell'oligarchia. Importante è il passaggio del libro VII dove si descrive il modo in cui avverrà questa rivoluzione. «I veri filosofi che prenderanno il potere nelle città», spiega Socrate a Glaucone,
manderanno in campagna tutti i cittadini al di sopra dei dieci anni, prenderanno in cura i loro figli ancora immuni dai costumi dei genitori e li cresceranno secondo i modi di vita e le leggi loro propri... Questo è il modo più rapido e più facile per istituire quella città è quella costituzione di cui abbiamo parlato.

Duemilacinquecento anni fa il testo platonico fissava così un archetipo, la scorciatoia contronatura che da lì in poi avrebbe sedotto tutti i rivoluzionari frettolosi e incompresi. Sulla china di quella tragica illusione, di rigenerare la società minando le basi biologiche del matrimonio «prima societas» e della famiglia «principium urbis et quasi seminarium rei publicae» (Cicerone, De officiis) furono in molti a seguire l'ateniese, dal Campanella de La città del sole ai socialisti utopici alla Fourier, ma purtroppo anche governi non letterari come quello cambogiano del quadriennio rosso o quello canadese, che strappava i figli agli indigeni per cancellarne anche fisicamente il retaggio.

Tra gli esponenti più citati, spesso a sproposito, di questa tendenza, Marx ed Engels non avversavano l'istituto famigliare in sé ma criticavano nella «famiglia borghese» uno strumento con cui le classi dominanti opprimerebbero sia le famiglie proletarie («sie findet ihre Ergänzung in der erzwungenen Familienlosigkeit der Proletarier») sia le mogli («ein bloßes Produktionsinstrument») e i figli («die Ausbeutung der Kinder durch ihre Eltern») propri. In seguito, seguaci e divulgatori più o meno consapevoli estesero gradualmente le definizioni di famiglia borghese, di classe dominante e di «padre-padrone» a tutte le famiglie convenzionali dell'emisfero ricco, quasi senza eccezioni, rendendole sistemiche e giustificando così la partecipazione in prima linea delle sinistre nelle battaglie per il divorzio, l'aborto e altre «conquiste» atte a indebolire un modello non più politico, ma antropologico.

Da questa breve e insufficiente antologia sembra emergere che l'idea di migliorare la società criticando la forma-famiglia o aggredendone l'integrità è antica e frusta, in qualche modo onnipresente, sempre pronta a infliggere i suoi fallimenti. Se non il fenomeno degli affidi troppo facili, può certo spiegare l'intensità delle reazioni che esso sta suscitando in entrambe le sponde del dibattito. Negare l'enormità della posta in gioco è tanto più disonesto se non si riconosce che queste cronache portano munizioni a una guerra in corso contro la definizione e il ruolo della famiglia. Una guerra che parte dai livelli più alti - precisamente quelli delle «classi dominanti», su scala mondiale - e si dispiega negli ambiti dell'istruzione, della salute e della sessualità, avendo già colpito quello della sussistenza con la deflazione di salari, occupazione e servizi. Al di là dell'oggetto, l'invito a «non parlare di Bibbiano» rischia perciò di apparire come un tentativo poco credibile di anestetizzare un conflitto che già divampa nelle retrovie e di normalizzare i tentativi sempre più audaci di espugnare una delle trincee psicologiche, assistenziali, culturali e spirituali più tenaci, perché prepolitica, di un popolo che si ostina a non voler prendere la medicina globale.

* Fonte: Il Pedante

domenica 18 novembre 2018

VACCINI: LA SCIENZA, LA MORALE, LA LEGGE di Ivan Cavicchi

[ 18 novembre 2018 ]

Appena uscito il libro degli amici Il Pedante e Pier Paolo Dal Monte — IMMUNITÀ DI LEGGE. I vaccini obbligatori tra scienza al governo e governo della scienza — ha ricevuto tanto successo quanto suscitato polemiche. 
Walter Ricciardi — uno dei grandi sacerdoti della "scienza che non è democratica", nonché paladino dell'obbligo vaccinale, nonché sodale di Roberto Burioni, nonché Presidente dell'Istituto Superiore di Sanità —, ha chiesto una punizione pubblica esemplare per Giancarlo Pizza, presidente dell'Ordine dei medici di Bologna, colpevole di aver scritto la prefazione al libro IMMUNITÀ DI LEGGE. 
E la caccia all'untore si è scatenata....


* * *


Vaccini. Perché Pizza ha ragione e Ricciardi torto
di Ivan Cavicchi

Pochi giorni fa il professor Ricciardi, presidente dell’istituto superiore di sanità (Iss) ha inviato una lettera al direttore di questo giornale (Qs 10 ottobre 2018), a mio parere, tanto assurda quanto inquietante, ma nello stesso tempo agli occhi dell’ermeneuta un “iper testo” di grande interesse fenomenologico

La lettera, rivolge al dottor Giancarlo Pizza, presidente dell’ordine dei medici di Bologna, una accusa infamante per un medico ippocratico, da equivalere, a quella che, a partire dall’ XI secolo per arrivale al XVI, sarebbe corrisposta ad una eresia, e ne chiede le dimissioni, cioè una punizione pubblica esemplare che, riferita allo stesso periodo storico, potrebbe essere l’equivalente del rogo, della decapitazione o dell’impalamento.


La lettera e l’accusa

La lettera del professor Ricciardi ritiene un grave reato che, un medico, presidente di ordine, scriva una prefazione ad un libro che critica le cattive politiche e le tendenze oscurantiste sui vaccini del precedente governo.  Il titolo “immunità di legge” e il sottotitolo “tra scienza al governo e governo della scienza” chiarisce che non si tratta di un libro no vax.
 
L’accusa è interessante, soprattutto da un punto di vista logico, infatti essa non è, null’altro, che un sillogismo fondato su una arbitraria quanto intransigente regola transitiva, quella meccanica tipica che è, nello stesso tempo, alla base del pregiudizio e di certi processi sommari:


- siccome
…il dottor Pizza ha firmato una prefazione ad un libro critico non nei confronti dell’obbligo vaccinale, attenzione, ma nei confronti delle convinzioni personali per quanto scientifiche del professor Ricciardi che considera l’obbligo vaccinale una strategia profilattica fondamentale…,
- dal momento che egli è medico e presidente di ordine,
- allora egli commette una serie di reati cioè viola norme deontologiche, mette in discussione il valore della profilassi, invita i medici a non rispettare le evidenze scientifiche e a trasgredire le disposizioni di legge,
- per cui egli, dovrebbe dimettersi cioè come medico, dovrebbe esser radiato e, come presidente di ordine, dovrebbe o auto-radiarsi o essere per lo meno commissariato da una istanza istituzionale superiore.
 

Il fenomeno

Per comprendere lo spirito di questa lettera, non basta leggerla, e meno che mai condannarla tout court, ma è necessario capire soprattutto chi l’ha scritta in ossequio a quel principio, dell’ontologia scolastica, “operari sequitur esse” (l’agire segue l’essere).
 
Vorrei quindi assumere la lettera e il professor Ricciardi, come le parti necessarie di un fenomeno unitario, semplicemente con la curiosità intellettuale di capirlo meglio.
 
Inizierei, per non urtare la suscettibilità del professor Ricciardi, dalla definizione preliminare di “fenomeno”: per la fenomenologia, il “fenomeno” non è il mostro esibito nei baracconi delle fiere, ma è ciò che appare come dato immediato del reale e che bisogna studiare per carpirne i segreti.
 
Cioè il professor Ricciardi e la lettera, che ha scritto, per me sono un “fenomeno” ma in senso culturale, filosofico e scientifico.


Pier Paolo Dal Monte
Il “dato immediato” che a me, ermeneuta, interessa è la comprensione del pensiero che c’è dietro alla lettera, anche per usare l’occasione per riprendere a riflettere sulla questione dei vaccini dal momento che, in parlamento sono in discussione, diverse proposte di legge.
 
Chi è Ricciardi?


Chi è il professor Ricciardi che chiede pene così severe per punire coloro che non sono d’accordo con lui?
 
Per rispondere vediamo da vicino il “fenomeno”.
Wikipedia lo definisce come un personaggio eclettico “medico, accademico, attore e politico italiano”negandogli la qualifica di “scienziato” che è la qualifica alla quale probabilmente il professor Ricciardi tiene di più.
 
Secondo me, egli non è uno scienziato, nel senso comune del termine, ma è un grande funzionario della scienza, fino ad esserne, nel caso dei vaccini, forse il guardiano più intransigente. Il suo mondo non è il laboratorio ma è quello dei “comitati” cioè gli enti deputati semmai a discutere di come usare la scienza.  Tante sono le cariche, le onorificenze, gli incarichi, le commissioni di cui è membro che si fa prima a dire quello che non è.
 
Come è noto è stato nominato presidente dell’Iss dal ministro Lorenzin, è stato il principale ispiratore della legge sull’obbligatorietà dei vaccini cioè il massimo teorico del principio di obbligatorietà. Probabilmente se all’Iss, ci fosse stato un altro presidente, la legge sui vaccini sarebbe stata diversa.
 
Nella sua lettera non accusa Pizza e il libro di essere contro i vaccini ma di essere contro il “principio di obbligatorietà”. Ma per lui essere contro questo principio equivale ad essere contro i vaccini. Per lui la libera scelta in medicina per evidenza scientifica non può essere ammessa.
 
Le opinioni politiche del professor Ricciardi


Walter Ricciardi

Wikipedia definisce Il prof Ricciardi anche come un “politico” ma nella scheda bibliografica mentre cita i film del professore non cita le sue esperienze politiche. Probabilmente si riferisce a “Italia futura” il movimento proposto da Montezemolo nel 2009 con un esito inglorioso, rispetto al quale il professor Ricciardi era considerato in qualche modo, il ministro della sanità in pectore.
 
Ma il vero Professor Ricciardi politico, secondo me, viene fuori dalle sue affermazioni pubbliche.
 
In un articolo molto stimolante scritto di recente da Sarina Biraghi (La Verità 10 ottobre 2018) che riferisce, usando le virgolette, di un intervento del professor Ricciardi in un convegno, si possono capire le sue opinioni politiche.
 
Secondo lui, usando a mia volta le virgolette, le persone sono “a razionalità limitata”, oggi “la classe dirigente” è in contrapposizione con la scienza, i governi sono “chiusi e richiusi …con idee di respingimento e non di inclusione”, esiste “una emergenza democratica che provoca problemi sanitari”, l’Italia “è una bomba” di malattie infettive”, ecc., ecc.
 
Tutte queste affermazioni, per quello che mi riguarda, non esprimono evidenze scientifiche, ma opinioni personali che di scientifico hanno ben poco. Intendiamoci legittime opinioni personali ma, in quanto tali, esattamente identiche a quelle altrettanto legittime del dottor Pizza e degli autori di “immunità per legge”. Con la differenza che costoro non chiedono la testa del professor Ricciardi mentre il professor Ricciardi la loro sì.
 
No obligation


Oggi il professor Ricciardi è clamorosamente spiazzato, rispetto alla legge sui vaccini, da un quadro politico che quella legge ha avversato e che quindi vuole cambiare.  Proprio per questo la sua lettera appare ancor più fuori contesto come se fosse un patetico colpo di coda di un drago morente.
 
Secondo me questo spiazzamento, per quota parte si intende, è la conseguenza anche di una legge sui vaccini sbagliata e di una eccessiva promiscuità tra ideologia scienza e politica. Una questione che è un po’ il cuore del libro prefato dal dottor Pizza.
 
Sono due le critiche politiche che personalmente rivolgo a coloro che, come il professor Ricciardi, hanno scritto la legge sui vaccini:
- di non essere stati in grado in ragione delle loro opinioni personali e politiche, non in ragione delle evidenze scientifiche, (tralascio per amore di patria la faccenda degli interessi e degli immigrati) di trovare una mediazione accettabile tra le verità scientifiche della medicina e le verità personali della gente, cioè tra la scienza e la società, causando in questo modo una crescita della sfiducia sociale nei confronti sia della scienza che della medicina che dei medici,
- di aver usato strumentalmente la questione vaccini quindi l’argomento scienza come arma di lotta elettorale.
 
A parte far notare che, chi ha usato i vaccini, in questo modo, ha ridotto il proprio partito al 16%, (questa è indiscutibilmente una evidenza) vorrei sottolineare che ridurre la scienza a ideologia usando l’ideologia quale arma politica, elettoralmente non ha pagato.
 
Le persone saranno pure come dice il professor Ricciardi a “razionalità limitata” ma quando votano scelgono e non scelgono mai chi, in ragione di una sospetta razionalità illimitata, non vuole farli scegliere ma solo obbligarli ad accettare le loro discutibili opinioni.
 
A votare contro il Pd non sono stati solo i no vax (non così tanti da spiegare il crollo elettorale del Pd) ma milioni di cittadini che non hanno condiviso il modo obbligatorio e vessatorio di imporre i vaccini pur essendo favorevoli ad essi.
 
No obligationanziché no vax.  Aver confuso le due cose al PD è costato caro. Questa società alla ideologia dell’obbligatorietà ha detto no. Questa società vuole la scienza ma vuole una scienza molto diversa da quella di cui il professor Ricciardi, è custode.
 
Il principio di obbligatorietà


Il principio dell’obbligatorietà si oppone al principio di libera scelta.
 
Due le grandi fesserie politiche fatte, pensare che:
- fosse possibile imporre degli obblighi ad una società che ormai basa i propri comportamenti interamente sulla libera scelta,  
- bastasse sbandierare un po’ di evidenze scientifiche per convincere la gente, ignorando che una caratteristica della società post moderna è quella di essersi emancipata dal paternalismo della scienza e in particolare della medicina. 
 
Il principio di obbligatorietà, nel pensiero di Ricciardi, ha due significati: il primo scientifico e il secondo politico. Questi due ambiti sono così strettamente intrecciati da rendere difficile, almeno per me, ma penso anche per gli autori del libro incriminato, e per l’eretico Pizza, distinguere la scienza dall’ideologia e l’ideologia dalla politica.
 
Il significato scientifico


Secondo gli obbligazionisti chi comanda, nel giudizio medico, è l’evidenza scientifica che per loro, diversamente da quello che è emerso dal dibattito sulla scienza del 900, è una verità dogmatica, cioè assoluta non relativa, e nemmeno probabile e meno che mai ridiscutibile o interpretabile.


Giancarlo Pizza
In quanto dogmatica, l’evidenza, quale verità, ha natura epistemologica imperativa e autoritaria cioè impositiva e performativa. Secondo l’evidenza scientifica è obbligatorio fare i vaccini. La società ha una razionalità limitata quindi bisogna per il suo bene (interesse collettivo) obbligarla a fare i vaccini. E, in nessun caso, è possibile fare i vaccini in altro modo per esempio attraverso il consenso informato come si stava facendo proficuamente in Veneto.
 
Agli obbligazionisti non sfiora minimamente l’idea che, a valore scientifico invariato dei vaccini e quindi della profilassi, oltre l’obbligatorietà, esistano altre modalità epistemiche, perché la loro visione della scienza è ad una sola modalità.
 
La logica modale


Ricordo a tutti che esiste una branca della logica che si chiama “logica modale”, nella quale oltre alla modalità “necessario” e quindi “obbligatorio”, si prevedono le modalità del “possibile”, del “reale” del “contingente”, del “complesso” del “singolare”.
Le modalità dell’essere servono semplicemente ad esprimere, nei suoi contesti di riferimento, la sua irriducibile complessità. In medicina non esiste un malato senza modalità e le sue modalità sono molteplici. Per cui il malato nella sua singolarità è ontologicamente un ente molteplice.
 
In medicina quindi è impossibile fare il medico con una sola modalità logica. La complessità, in questo campo, è talmente ampia che, davanti al caso, per definizione singolare, anche quando si fa un vaccino, il medico è costretto a pensare in modo multimodale. Anche la profilassi, al pari di altre discipline mediche, ha i suoi problemi di singolarità e di multi-modalità. L’obbligatorietà è la negazione della multi-modalità.
 
Basterebbe questo a mettere in crisi non l’idea di evidenza scientifica, che, in medicina, nonostante le sue aporie, resta l’unico strumento epistemologico importante, ma il modo dogmatico di usarla proposto dal professor Ricciardi.
 
L’evidenza scientifica, come ha dimostrato la crisi dell’ebm, sorta nell’incontrare, quello che i geriatri per primi e i medici internisti dopo, hanno definito il “malato complesso”, purtroppo resta una verità relativa ad un certo grado di complessità. O come spiego, ai miei studenti, una verità polivalente cioè una verità che è vera o non vera in un gradiente tra 0 e 1. Per cui l’evidenza non è una verità apodittica come pensa il professor Ricciardi ma è una verità, come si dice in logica, para-completa e para-consistente.
 
Questo significa che l’evidenza dovremmo classificarla nelle logiche che ammettono due cose:
- lacune nei valori di verità ( truth valeu gap)
- eccessi di valori di verità (truth valeu glut)
 
L’evidenza, ad essere logici, andrebbe considerata una verità tra gap e glut.
 
I vaccini tra scienza e morale


Oggi non è moralmente corretto imporre in medicina l’obbligatorietà sulla base di verità scientifiche para-consistenti o para-complete, cioè verità che nei confronti della singolarità del malato possono essere sia “né vere e né false”, o “sia vere che false”.
 
Il rischio che si corre con l’obbligatorietà, che assume le evidenze scientifiche come verità apodittiche, è di fare una medicina inadeguata alle necessità reali del malato. E’ l’inadeguatezza scientifica, di ciò che è sommariamente obbligatorio, a creare problemi di moralità. Nessuna evidenza scientifica è in grado oggi di essere adeguata, in quanto tale, alla teoria infinita delle necessità singolari e delle variabilità individuali. Per cui l’obbligatorietà resta un atto puramente ideologico.
 
Quando si insiste, come nel caso del professor Ricciardi, nel considerare, nonostante il dibattito sulla scienza del 900, le evidenze scientifiche come verità dogmatiche in questo caso la scienza scivola nell’ideologia facendo, come si è visto, danni sociali incalcolabili. La gente non vuole essere curata con l’ideologia ma con una scienza tutt’altro che ideologica.
 
Il significato politico


Nella lettera del professor Ricciardi si legge che “firmare la prefazione di un libro contro l’obbligo vaccinale sostenendone le posizioni, significa invitare di fatto i medici a privilegiare un discrezionale metodo di convincimento invece che rispettare le evidenze scientifiche, ecc.”. 
 
Queste affermazioni per l’epistemologo valgono come il contrappore:
- ad un metodo meccanico impositivo basato sull’equazione evidenza/obbligatorietà,
- un metodo discrezionale dialettico basato sull’equazione evidenza/ consensualità.
 
Qui dall’ambito scientifico si passa a quello politico. Il punto è che oltre alle aporie epistemiche dell’evidenza scientifica esistono anche quelle legate al suo rapporto difficile con le opinioni, cioè con la società complessa nella quale viviamo e che spesso nutre sentimenti di diffidenza, non contro la scienza tout court, ma contro il modo paternalista di intenderla. L’obbligatorietà è nella sua intransigenza un atto paternalistico.
Da poco è stata approvata una legge, quella sul consenso informato e le dichiarazioni anticipate di trattamento, che ha stabilito un principio anti-paternalistico senza eccezioni: tutti i trattamenti sanitari devono essere sottoposti a consenso informato. Quindi anche i vaccini.
 
Verità scientifiche contro verità personali


Questa cosa immagino che, per il professor Ricciardi, sia inaccettabile, nel senso che se l’evidenza scientifica è una verità apodittica, nessuna opinione ha diritto di esistere e soprattutto di contrastarla, perché l’opinione non è una verità scientificamente verificata con un metodo affidabile. Cioè non è decidibile.
 
Ma nel momento in cui l’evidenza è considerata, come suggerisce la logica una verità para-completa o para-consistente, il ruolo dell’opinione diventa centrale nel senso che senza opinione la verità scientifica è incompleta.
 
Vorrei precisare che le opinioni, per l’epistemologo, non sono solo parole al vento, ma sono delle verità personali che anziché essere verificate con un metodo scientifico sono verificate dalle esperienze della gente.
 
Disprezzare le opinioni degli altri significa disprezzare la gente e le loro esperienze cioè accettare una concezione in-umana della scienza. Che è esattamente quello che questa società non vuole.
 
Piaccia o non piaccia noi viviamo in una società che, grazie al consenso informato, (ben 11 articoli di legge), ha di fatto chiesto, che, le evidenze scientifiche, proprio perché verità imperfette, siano considerate verità con-validabili attraverso le opinioni del malato. Convalidare in questo caso vale, sul piano epistemico, come rendere più vera una verità.
 
L’evidenza scientifica come verità para-completa o para-consistente oggi non è più una verità autosufficiente, essa per essere una verità clinica “davvero vera”, cioè spendibile sul piano epistemico, deve essere, come dice la legge, corroborata dalle opinioni dei malati.
Se il consenso informato è con-validazione della scienza, da parte della società, allora, è giusto e ragionevole che questa società chieda alla scienza di smetterla di essere paternalista e autoritaria.
 
Perché obbligare quando si può concordare? E quando concordare diventa una condizione di verità?
 
Il dovere paradossale di essere delle trivial machine 


Nella lettera, il professor Ricciardi, accusa il dottor Pizza di “alimentare la convinzione diffusa che gli scienziati esprimano opinioni in luogo di evidenze”.
 
A parte il fatto che mi è difficile immaginare un medico, ammesso che sia uno scienziato, senza opinioni, senza esperienze personali, senza dubbi, senza convinzioni, o, al contrario di immaginare un medico guidato solo da evidenze, da procedure, da algoritmi, ma la cosa che per me resta inaccettabile è che in ragione del principio di obbligatorietà il medico per il professor Ricciardi ha paradossalmente il dovere di essere una trivial machine.
 
Per inciso, la nuova deontologia messa a punto dall’ordine di Trento, ha lo scopo di evitare che il medico diventi una trivial machine.
 
L’accusa vera contro il dottor Pizza è, rispetto al principio di obbligatorietà, quella di essersi rifiutato come medico e come presidente di ordine di essere una trivial machine. Il professor Ricciardi dimentica, nella sua lettera, di dire, che, al tempo della diatriba sulla legge, il dottor Pizza cioè l’ordine di Bologna anziché buttarsi nella mischia, decise di tacere, ma nello stesso tempo di istituire una commissione di studio sui vaccini nella quale confluirono le migliori intelligenze scientifiche e giuridiche di Bologna e che dopo mesi di lavoro ha sfornato un rapporto di straordinario valore scientifico e politico che raccomando a tutti di leggere.
 
Ma torniamo al punto: il principio di obbligatorietà per funzionare non solo deve basarsi su una idea di verità apodittica ma nello stesso tempo ha bisogno di cancellare qualsiasi autonomia professionale perché esso non ha bisogno di “autori” come sostiene la deontologia trentina, ma di “esecutori” cioè di trivial machine.
 
L’obbligatorietà (mi dispiace che i miei amici medici non l’abbiano capito) è l’ideologia che sovraintende, soprattutto attraverso il proceduralismo, a qualsiasi forma di medicina amministrata
 
Il principio del consenso 


Nel lavoro, che ho appena citato, sulla deontologia dell’ordine di Trento“riformare la deontologia medica” (2018) vi è un titolo 9 dedicato alla “relazione di cura”. In esso si definisce il “consenso” come principio in questo modo:
“in una relazione di cura nessun criterio decisionale è superiore al consenso. In ragione del principio del consenso la questione della scelta per un medico equivale al dovere di favorire un giudizio condiviso e una decisione condivisa”. 
 
Segue il “principio della fiducia”:
“Il principio del consenso è fondato sulla fiducia. Il medico ha il dovere di creare nei confronti del malato le migliori condizioni di fiducia e il malato dal canto suo deve cooperare con lui ai fini di concorrere entrambi alla riuscita della buona cura.” 
 
Segue quindi la definizione di “alleanza per la cura”:
“l’alleanza per la cura è quella particolare cooperazione epistemica tra il malato e il medico nella quale le loro diverse conoscenze e valori che li rendono cooperanti sono la condizione senza la quale l’adozione del principio del consenso sarebbe di difficile attuazione”
 
Oggi se vogliamo fare pace con la società ma soprattutto se vogliamo una profilassi efficace dobbiamo riscrivere la legge sui vaccini sul principio del consenso, della fiducia e dell’alleanza di cura.
 
Cioè accettando la “cooperazione epistemica” tra evidenze scientifiche e opinioni.
 
Conclusioni


Agli autori del libro “immunità di legge” esprimo il mio apprezzamento e la mia gratitudine. Un bel libro, colto, intelligente, financo piacevole e utile a capire la complessità della questione vaccini. Leggetelo.
 
All’eretico dottor Pizza esprimo a lui e all’ordine di Bologna la mia solidarietà quella che a dir il vero non ho visto negli articoli di circostanza dei suoi colleghi che, nei loro commenti, apparivano non solo imbarazzati ma più simpatizzanti con l’inquisitore che con l’inquisito.
 
A costoro di cui posso capire  l’imbarazzo dal momento che il dottor Pizza resta ai loro occhi un presidente “sco” (Qs 23 ottobre 2017), rammento solo che oggi la grande battaglia, che è al centro dei futuri Stati generali della professione organizzati per il 2019 dalla Fnomceo, è ricreare le condizioni in questa società per ridefinire l’autonomia intellettuale del medico che rischia di essere una trivial machine sempre più inadeguata perché sempre più vittima dei modi vecchi e sbagliati di intendere la medicina.
 
Se un presidente di ordine in “scienza e coscienza” per quanto “sco”, non è più libero neanche di scrivere una prefazione ad un libro che tutto sommato, come questo editoriale, auspica una scienza e una politica capaci entrambi di dialogare con questa difficile società, allora siamo messi davvero male.



* Fonte: Quotidiano Sanità

venerdì 13 aprile 2018

ORDINE DEI MEDICI: RADIATA PER REATO D'OPINIONE di SiAMO

[ 13 aprile 2018 ]

Mentre l'Ordine dei medici mantiene al suo interno noti delinquenti seriali (sotto la lista), l'ordine dei Medici di Milano radia una dottoressa colpevole di aver espresso dubbi sull'obbligo vaccinale di massa (legge Lorenzin). Pubblichiamo il comunicato di SÌAMO a sostegno della d.ssa Gabriella Lesmo.


«SIAMO manifesta il proprio incondizionato sostegno e solidarietà alla d.ssa Maria Gabriella Lesmo, radiata dall’Ordine dei Medici di Milano con la motivazione di “reato di opinione”.

Troviamo gravissimo che un Ordine professionale irroghi la massima sanzione prevista a un medico scrupoloso e capace, che manifesta dubbi legittimi e fondate preoccupazioni a fronte dell’obbligatorietà indiscriminata della pratica vaccinale.
Interrogarsi sull’esito della propria attività clinica e’ segno di un approccio corretto e non pregiudiziale e rappresenta la modalità con cui progredisce la ricerca scientifica.
Radiare un professionista perché mostra di non credere in modo dogmatico e fideistico ad una presunta “scienza” dalle incrollabili certezze, ci riporta ai secoli bui della Santa Inquisizione, dei roghi medievali delle streghe, al processo a Galileo e alla condanna a morte di Giordano Bruno».

MENTRE...
QUESTI NON SONO STATI RADIATI!

Dottor. Duilio Poggiolini direttore generale del servizio farmaceutico nazionale del Ministero della Sanità, coinvolto e accusato di aver istruito procedure per cui venivano autorizzati aumenti di prezzo dietro versamento di compensi "una tantum"
Accusato di aver favorito l'ingresso di alcuni farmaci nel prontuario sanitario dietro compensi. Inoltre è stato corrotto dalla farmaceutiche Bayer e la Baxter per la vendita dei flaconi infetti con i virus dell'HIV e delle epatiti.
Secondo alcune stime, in Italia i DECESSI per infezione da emoderivati sono, al 2009, circa 2.600 contagiati 60.000

Ad oggi il dottor Poggiolini non risulta radiato ne sospeso.


Dottor. Francesco De Lorenzo Coinvolto nello scandalo di Tangentopoli, ha avuto una condanna definitiva (5 anni) per associazione a delinquere finalizzata al finanziamento illecito ai partiti e corruzione in relazione a tangenti per un valore complessivo di circa nove miliardi di lire, solo in parte ottenute da industriali farmaceutici dal 1989 al 1992, fra cuo l'attuale Glaxo Smiht Klain, che chiese di rendere obbligatorio il vaccino dell'epatite B durante il suo ministero.

AD OGGI NON RISULTA NE RADIATO NE SOSPESO


Dottor. Pier Paolo Brega Massone, l'ex primario del reparto di chirurgia toracica della clinica Santa Rita di Milano. Lo ha deciso la prima sezione penale della Cassazione.  Anni prima condannato all'ergastolo, accusato di quattro omicidi volontari in relazione alla morte di altrettanti pazienti da lui operati e di un'ottantina di casi di lesioni, ora pare che la Cassazione abbia ritirato la condanna. Attualmente il Brega Massone sta già scontando una condanna definitiva a 15 anni e mezzo di reclusione per decine di casi di lesioni ai danni di pazienti, oltre alla truffa al sistema sanitario nazionale per avere eseguito interventi inutili o dannosi "a scopo di lucro".

AD OGGI NON RISULTA NE RADIATO NE SOSPESO


Dottor. Norberto Confalonieri, primario ortopedico a Milano, è finito agli arresti domiciliari per corruzione e turbativa d'asta e maltrattamenti e lesioni ai danni dei pazienti, avrebbe favorito due multinazionali (Johnson&Johnson e B.Braun) per la fornitura di protesi all’ospedale in cambio di consulenze, viaggi per la famiglia, cene, cravatte e varie comparsate in tv per reclamizzare le protesi in questione.

AD OGGI NON RISULTA NE RADIATO NE SOSPESO

giovedì 17 agosto 2017

VACCINI, SCIENZA E MACCHINA MEDIATICA di Sandro Arcais

E alla fine hanno ottenuto il loro decreto urgente in assenza di urgenza. La vicenda è emblematica, cristallinamente rappresentativa del saldo intreccio di interessi internazionali, piccoli e grandi, che presiede al governo mondiale, della macchina mediatica che lo copre e ne è strumento e che gli permette di governare “democraticamente” (almeno nei paesi occidentali), della trasformazione della scienza e dei suoi metodi in dogmatismo.

La scienza trasformata in dogma

Pochi giorni fa, esattamente il 29 luglio, il Consiglio direttivo nazionale della Società Italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia (SIPNEI) ha reso pubblico un comunicato ufficiale in cui prende posizione sul decreto legge sull’obbligo vaccinale e sul dibattito da esso suscitato. Subito dopo il riconoscimento che è
un dato oggettivo che i vaccini siano una risorsa di prevenzione sanitaria assolutamente preziosa
il documento afferma chiaramente che
La decisione governativa di estendere l’obbligatorietà delle vaccinazioni … non regge ad un esame ravvicinato dei dati e delle premesse su cui si fonda.
La premessa a sostegno dell’urgenza del decreto-legge era una sola, ma declinata in due modi diversi. Il primo modo rimandava alla “verità scientifica” che affermava che per debellare il morbillo definitivamente (perché è stato il morbillo il grimaldello utilizzato dal governo nella battaglia mediatica ingaggiata contro i fautori della libertà di scelta) fosse necessario raggiungere e superare il 95% di bambini vaccinati (la cosiddetta “immunità di gregge”). Il secondo modo rimandava a una ipotetica epidemia di morbillo scoppiata nei primi mesi del 2017.
In riferimento al secondo modo, il documento afferma:
La serie storica dei dati degli ultimi anni e il suo paragone con paesi europei simili, pur senza sottovalutare l’andamento dell’infezione, non confermano l’eccezionalità dell’attuale diffusione del morbillo. Al 16 luglio 2017 (ultimo dato disponibile al momento della redazione di questo documento) si sono registrati 3672 casi1, in tutto il 2013 i casi sono stati di meno (2258), ma nel 2011 sono stati di più (4671). C’è da notare che il massimo della copertura vaccinale si è registrato tra il 2008 e il 2012. (vedi la situazione aggiornata alla prima settimana di agosto)
Il documento passa poi subito a mettere in discussione la premessa generale, cioè che l’immunità di gregge abbia come conseguenza “scientifica” necessaria e automatica il debellamento definitivo del morbillo:
La premessa scientifica, su cui si fonda la decisione dell’estensione dell’obbligatorietà vaccinale, che è costituita dalla cosiddetta “Immunità di gregge”, secondo cui “è necessario raggiungere il 95% della copertura vaccinale per ottenere l’effetto gregge” e cioè la protezione totale della popolazione, presenta molte falle.
L’argomentazione che segue a supporto di tale affermazione è documentata, ricca di dati e ragionamenti rigorosi, ed è soprattutto scientifica nel senso che è confutabile.
La prima falla è che l’immunità di gregge non è necessaria per tutti i vaccini (e quindi, perché renderli obbligatori?). Infatti,
Ci sono vaccini per patologie che non sono trasmissibili da soggetto a soggetto, come il tetano
e altri che
sia per la bassa immunogenicità (che quindi causa una quota rilevante di vaccinati che non rispondono) sia per la scarsa durata dell’immunizzazione anche nei responders, non sono in grado di bloccare la trasmissione dell’agente infettivo.
Ma anche nel caso del morbillo ci sono elementi che mettono in dubbio il totem
dell’immunità di gregge. Il documento presenta al riguardo quattro casi che mettono in dubbio tale verità, o almeno la dovrebbero ridimensionare:
  1. la Cina ha una copertura vaccinale del 97%, eppure sono presenti ancora focolai di morbillo;
  2. la Vallonia, una regione del Belgio con una copertura vaccinale superiore al 95%, ha presentato recentemente un focolaio di morbillo;
  3. nel 2015 e nel 2016 il Portogallo, dove la copertura vaccinale è altissima, era stato dichiarato libero dal morbillo, ma recentemente ha presentato un focolaio di morbillo (stesso discorso vale per gli USA e per la Corea);
  4. un recente studio condotto nella Repubblica Ceca ha rivelato che più del 96% di coloro che avevano contratto il morbillo prima dell’entrata in vigore della vaccinazione presentavano gli anticorpi specifici, a fronte del 61-75% delle persone che erano state vaccinate.
A questi casi aggiungerei una considerazione che ho già posto in evidenza in un precedente post, il fatto cioè che non c’è perfetta coincidenza tra livello di copertura vaccinale e incidenza del morbillo né in Italia.


Tutti questi elementi portano alla conclusione che
 anche il vaccino antimorbillo, con gli anni, tende a perdere la sua efficacia.


Ora, qualcuno dirà che ci vuole ben altro per mettere in dubbio una verità scientifica acquisita (ben altro cosa? acquisita come? da chi? Ma lasciamo perdere queste quisquilie), e ammettiamo pure che l’immunità di gregge sia un obiettivo da raggiungere necessariamente per il bene pubblico. In questo caso si impone la questione se l’obbligo vaccinale sia lo strumento più idoneo per raggiungere e superare il fatidico 95%. Anche in questo caso una semplice ricerca scientifica che ha messo a confronto l’obbligatorietà o meno della vaccinazione con i livelli di vaccinazione stessa afferma qualcosa che mette in dubbio le granitiche certezze degli obbligazionisti:
This comparison cannot confirm any relationship between mandatory vaccination and rates of childhood immunization in the EU/EEA countries.
Peccato, vero? Sembra che appena applichi il rigore della ricerca e discussione scientifica alla questione vaccini tutti i puntelli delle sicumerezze degli obbligazionisti cadano.


Ma andiamo avanti.
La domanda che si impone a questo punto è: perché questi elementi, questi dati, risultato della applicazione del metodo scientifico di indagine, non hanno potuto entrare nella discussione sulla opportunità del decreto-legge? Una primo possibile livello di risposta è nelle motivazioni che hanno indotto gli estensori del documento della SINPEI ad attendere l’esito parlamentare del decreto-legge prima di prendere pubblicamente posizione:
Abbiamo atteso a prendere una posizione, sia come Società scientifica sia come singoli, perché, a nostro avviso, s’è infiammato un dibattito di scarso valore scientifico, tendenzioso e, a tratti, estremamente violento. La responsabilità della bagarre è di chi rifiuta i vaccini tout court con motivazioni extra-scientifiche (“è l’industria che condiziona il governo”) e, talvolta, schiettamente antiscientifiche (“I vaccini causano solo danni alla salute”), ma, lo diciamo con rammarico, è anche di chi avrebbe dovuto collocare la discussione pubblica su un terreno pacato, razionale e confortato da prove.
Istituzioni scientifiche, professionali e singole personalità, con l’amplificazione dei media, hanno dato una pessima prova, adottando un atteggiamento paternalistico, dogmatico e, a un tempo, di allarme sociale, bollando con marchio d’infamia tutti coloro che, anche in sede professionale e scientifica, hanno espresso valutazioni articolate e di merito sui singoli vaccini (efficacia, dinamica, costi-benefici etc.), fino al punto da sottoporre a procedimento disciplinare, conclusosi con la radiazione dagli Albi, alcuni medici critici.
Quello che si nota, a parte un certo fastidioso cerchiobottismo e una altrettanto fastidiosa schifiltoseria, è l’allusione a una generica violenza del dibattito che trova però nel proseguo del testo citato un’unica concretizzazione nel potere politico, medico e mediatico che ha bollato “con marchio d’infamia tutti coloro che … hanno espresso valutazioni articolate e di merito sui singoli vaccini …, fino al punto da sottoporre a procedimento disciplinare, conclusosi con la radiazione dagli Albi, alcuni medici critici”. Insomma, ci voleva molto coraggio personale a esporsi pubblicamente con una posizione critica nei suoi confronti prima della conclusione dell’iter del decreto-legge.
Ma com’è che tutto questo dogmatismo poco scientifico, tutta questa violenza e intimidazione, tutta questa evidente isteria in assenza di reale urgenza non hanno suscitato sospetto e resistenza nell’opinione pubblica, e in particolare in quella parte dell’opinione pubblica più istruita, progressista, di sinistra? Al contrario, l’istruito, progressista di sinistra, spesso, nei social, è stato in prima linea nell’appoggiare il decreto-legge, nel lanciare anatemi, nel combattere l'”oscurantismo medievale” di coloro che si opponevano all’obbligatorietà dei vaccini.
Qui veniamo alla seconda questione.

La macchina mediatica …

… ovvero la presstituta, per usare un neologismo, inventato da Paul Craig Roberts, che funziona benissimo anche per un italiano che non conosce l’inglese. Il fatto è che la maggior parte del “popolo di sinistra” legge La Repubblica delle Banane, e gli altri si costruiscono un’opinione sul Corriere della Serva o sullo Zerbino del Padrone. I più lobotomizzati si fanno asfaltare il cervello (quel poco che gli rimane) dalla tv. Rimangono solo le mamme con figli piccoli, in cui le “viscere” prevalgono sul “cervello”, la preoccupazione sulla manipolazione intimidatoria.
Sul controllo da parte degli spioni inglesi sull’informazione in Italia sin dalla occupazione Alleata del Meridione ha detto una parola definitiva Giovanni Fasanella nel suo Colonia Italia. Sulla dipendenza economica di tutte le maggiori testate italiane dalle banche e quindi dalla finanza ha scritto Luigi Zingales. Sulla vera e propria orchestrazione della campagna di stampa in appoggio del decreto-legge, sull’unisono delle tre maggiori testate, sulla medesima tempistica e vocabolario ho scritto io.
Alla domanda “Che cos’è il mainstream?” Giulietto Chiesa risponde con queste parole:
siamo nella situazione della comunicazione mondiale centralizzata … quello che si vede in superficie sono i proprietari, Murdock, la BBC, la CNN … ma non contano granché. Anche loro sono stati messi su dei binari da un sistema centrale unificato della comunicazione … L’informazione è unificata. Noi tutti, Italiani, Francesi, Tedeschi, siamo immersi in un flusso informativo che viene deciso da un centro, o alcuni centri, molto limitati di persone, i quali determinano l’agenda del giorno … E questa qualche parte [i centri che controllano il flusso informativo] … sono i servizi segreti … L’informazione anglosassone determina tutta l’informazione dell’Occidente e gran parte dell’informazione mondiale. Se tu stai dentro questi binari, vai bene. Se tu esci da questi binari, esci dal giornalismo … mainstream … Se tu stai dentro, tu sei costretto a raccontare bugie … perché loro selezionano i quadri … Questo mainstream è potentissimo, è invalicabile … Ci sono interi uffici che lavorano per nutrire il mainstream di notizie false, di notizie mezze false, di notizie false per un terzo, a seconda dei casi. E queste notizie diventano norma. Ormai nel giornalismo contemporaneo … non c’è più il criterio della verifica delle notizie. (vedi l‘intero video)
Appunto.
Se tutto quanto detto ha un qualche fondamento, la domanda che necessariamente qualsiasi cittadino (cittadino, dico) dovrebbe porsi è: ma come posso fidarmi di questa mastodontica fabbrica del consenso? Come non farmi sfiorare dal dubbio che perseguano uno scopo diverso da quello di informarmi? Come non arrivare all’umile e realistica conclusione che, data l’incommensurabile sproporzione di risorse, conoscenze, competenze e strumenti a disposizione di questa macchina in confronto a quelli a disposizione di un singolo individuo, io sono sempre in pericolo di essere manipolato?
Solo l’energia insopprimibile e “irragionevole” delle viscere materne può opporsi a questa macchina da guerra. Al contrario, lo spocchioso sentimento di superiorità che domina l’elettortipo istruito, progressista e di sinistra (in tutte le sue versioni, anche le più radicali) lo espone ad essere infiocinato dalla macchina manipolatoria mediatica mondiale senza neanche che se ne accorga. È tanto sicuro (l’elettortipo istruito, progressista e di sinistra) del suo senso critico, della sua indipendenza intellettuale, della sua capacità di non farsi influenzare che, abbassando le soglie della vigilanza critica, alla fine si ritrova a pensare pensieri costruiti per lui mentre è convinto che siano farina del suo sacco.
E per oggi è tutto, gente!

* Fonte: Pensieri Provinciali

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