«Finch:
Perché vuoi farlo?
Evey:
Perché lui aveva ragione
Finch:
Riguardo a cosa?
Evey:
Questo paese ha bisogno di qualcosa di più di un palazzo. Ha bisogno di una
speranza»
Premessa
C’è
quindi chi ci obietta, quando parliamo di sollevazione popolare, di
rivoluzione democratica, che scambiamo i nostri desideri per la realtà. Altri
ancora che proponiamo delle scorciatoie. Non nascondiamo che siamo dei
rivoluzionari, che speriamo di non dover morire in un Paese tanto triste. Ma
siamo dei sognatori coi i piedi ben piantati per terra. La rivoluzione
democratica non è solo necessaria, è la porta stretta attraverso la quale il
popolo dovrà passare per essere finalmente libero e sovrano.
Dalla democrazia
all’oligarchia
Esiste
una letteratura oramai sterminata sulle trasformazioni sociali avvenute nell’Occidente imperialista negli
ultimi decenni, risultate dal combinato disposto della iper-finanziarizzazione
dispiegata (capitalismo-casinò) e della restaurazione del capitalismo nei paesi
cosiddetti “socialisti”. In più occasioni abbiamo sottolineato che non si è
trattato solo di aggiustamenti cosmetici, ma di mutamenti sostanziali. Uno di
questi, e qui convergono gli analisti delle scuole di pensiero le più
disparate, è che siamo oramai incapsulati in un contesto “post-democratico”. E’
cambiata l’architettura sistemica, e con essa sono mutati i meccanismi di
comando grazie ai quali i dominanti esercitano la loro supremazia.
Possiamo
essere più precisi e chiamare le cose col loro nome: i sistemi democratici si
sono progressivamente trasformati in regimi oligarchici.
Ma
cos’è un regime oligarchico? La storia ne ha conosciuti di vari tipi, a seconda
delle epoche e della natura delle formazioni sociali (ad esempio schiavistiche
e feudali) ma, in estrema sintesi, possiamo dirla così: abbiamo un regime
oligarchico quando il potere politico viene sequestrato da una minuscola aristocrazia
di milionari, che lo esercita nell’interesse proprio, ai danni della
maggioranza. E quando diciamo maggioranza non intendiamo soltanto le
tradizionale classi subalterne, ma anche la stessa borghesia-di-massa, cresciuta col “trentennio dorato” e che con l’avvento della
iper-finanziarizzazione prima e della crisi sistemica poi, sono state
emarginate, private di ogni leva di potere, defraudate, diseredate.
Non
è questa la sede per ricapitolare i complessi e tortuosi passaggi coi quali è
maturata questa metamorfosi dalla democrazia all’oligarchia. Basti dire che pur
in forme e misure diverse, quella verso l’oligarchia si è affermata come
tendenza inesorabile, schiacciante, dominante. Secondo alcuni, coi quali ci
troviamo d’accordo, questa tendenza (all’assoluto predominio del capitale
finanziario) non è accidentale ma connaturata alla natura stessa del
capitalismo contemporaneo, per l’esattezza alla sua fase suprema
oligopolistica. Cosa furono infatti il fascismo ed il nazismo se non le
modalità con cui, in un contesto di guerra civile europea, pur di togliere di
mezzo le forze antagoniste, i grandi monopoli usarono strumenti
extra-cosituzionali per sbarazzarsi dei regimi parlamentari stessi e della
democrazia in ogni sua forma?
Qui da noi

Nel
nostro Paese l’avvento del regime oligarchico ha corrisposto al passaggio dalla
“prima” alla “seconda” Repubblica. A dosi crescenti, dopo aver conquistato
alcune decisive piazzeforti politiche e sociali, partendo da apparentemente
“modeste” “riforme” delle leggi elettorali in senso anti-proporzionale e
bipartitico, si è passati a veri e propri scardinamenti dell’ordinamento
Costituzionale repubblicano. Siamo così precipitati da una Repubblica
parlamentare —contrassegnata dalla supremazia delle camere elettive e di cui il
governo è organo strumentale e subalterno— ad un regime inverso, nel quale il
Parlamento è subordinato all’Esecutivo. Il governo è diventato una protesi di
possenti conglomerati finanziari globali, i partiti principali sono diventati loro
comitati d’affari, ed i corpi intermedi della società civile neutralizzati e
ridotti all’impotenza. Ciò, appunto, in ottemperanza ai desiderata della casta
oligarchica la quale, ritenuti i Parlamenti elettivi e gli stati nazionali un
intralcio all’esercizio della propria supremazia, aveva la necessità di collocare
personale politico servile e acquiescente ai posti di comando e di sfasciare
gli stati stessi.
“Casta”
nel senso proprio del termine, di un ordine verticalizzato di tipo aristocratico,
di un’élite brahminica della quale si può far parte solo per cooptazione e non
per elezione, per comprovata osservanza dei precetti (liberisti), per
verificata abnegazione nel perseguire gli scopi della setta —quasi sempre
nascosti all’opinione pubblica.
Visto
che la maggioranza dei cittadini delle classi meno abbienti ha oramai smesso di
recarsi alle urne possiamo
affermare che da una sistema a suffragio universale siamo ritornati ad
un sistema censitario, per quanto camuffato. Nonostante le assemblee elettive
siano state svuotate di gran parte delle loro prerogative, diventate passacarte
e con poteri meramente consultivi, l’oligarchia è stata tuttavia caparbia nel
far sì che gli scranni parlamentari fossero occupati da propri lacchè. E’
evidente come questo sia potuto accadere: non si hanno speranze di venire
eletti senza ingenti risorse finanziare, contro o a prescindere dal possente e
capillare sistema mediatico quasi ovunque proprietà degli oligarchi medesimi.
La qual cosa ha accentuato la tendenza al distacco dei cittadini dalle nuove
istituzioni, all’apatia politica, al disincanto ed alla frustrazione sociale.
Da
noi la “casta” non sarebbe riuscita a vincere la partita ed a battere le
resistenze senza la complicità e l’appoggio diretto dei suoi soci in affari
stranieri. L’Unione europea non ha rappresentato solo un alibi o uno scudo per
la svolta oligarchica, è stata l’involucro che l’ha resa possibile. Ad ogni
passo avanti dell’Unione, in sostanziale simbiosi, corrispondeva qui da noi una
sterzata verso l’ordinamento oligarchico. La nostra “casta” oligarchica è
andata oltre. Quando con la tempesta finanziaria made in USA la crisi
dell’Unione è diventata manifesta e l’Italia è stata sull’orlo del default
(autunno 2011) essa ha accettato di porsi sotto la tutela esterna, svendendo
così gli ultimi scampoli di sovranita nazionale, cedendone gli ultimi pezzi ad
organismi oligarchici sovranazionali quali Bce, Commissione europea, FMI — la
famigerata “troika. Fenomeno che abbiamo chiamato già allora “compradorizzazione della grande
borghesia”, ovvero l’essere diventata, la grande borghesia italiana (col
pretesto del debito pubblico) cinghia di trasmissione della finanza predatoria globale,
della giugulazione ai danni della nazione.
“Populisti!”
Veniamo
al tema annunciato nel titolo.
Con
la grande recessione (che gli stessi Lorisgnori temono sia una “stagnazione
secolare”) le cose sono iniziate a cambiare. Con la crisi della struttura
economica del capitalismo iper-finanziarizzato vacilla la sua sovrastruttura,
il sistema oligarchico di dominio. Non solo nei cosiddetti paesi “periferici”
dell’Unione ma anche in quelli considerati “centrali”, la supremazia e
l’egemonia oligarchiche traballano. Pur in un contesto di conflitti sociali
decrescenti e nel campo da gioco di una democrazia truccata, come risultato
delle lacerazioni e delle sofferenze sociali e della diffusa sensazione che la
situazione è destinata a peggiorare, abbiamo assistito all’avanzata di nuovi
protagonisti politici, di diverso segno politico, che le grandi masse hanno
spinto sul proscenio a rappresentare la loro indignazione e la loro
insofferenza verso le élite
dominanti. Questo processo, già molto avanzato nei paesi dell’Unione senza euro
—dove cioè un barlume di sovranità nazionale è stato preservato— ha preso rapidamente piede nella stessa
euro-zona, cioè nei paesi ove la moneta unica rappresenta il “pilota
automatico” (Draghi docet), ovvero il potere gerarchicamente sovraordinato da
cui la sorte del resto dipende.
In
Grecia, nel paese dove la crisi è sfociata in una vera e propria catastrofe
sociale e umanitaria, un piccolo movimento della sinistra radicale è salito al
potere. In Italia, quasi dal nulla, il Movimento 5 Stelle è diventato il primo
partito. In Francia avanza inesorabile il Fronte Nazionale, in Spagna l’ascesa
di Podemos impedisce da mesi ai dominanti di formare un governo. In Portogallo
i cittadini hanno votato in massa per le sinistre radicali, col cui consenso è
stato formato un governo che dichiara di porre fine all’austerità —vedremo come
andrà a finire. Anche in Germania, crescono elettoralmente forze politiche come
AfD sorte fuori dal perimetro oligarchico. L’anatema lanciato contro tutte loro
è noto: “populisti!”. Questa scomunica, tuttavia, non sembra sortire più alcun
effetto dissuasivo.
La
domanda è: potranno queste forze, eventualmente conquistata la maggioranza
parlamentare e salite al governo, smantellare la macchina oligarchica di dominio
cacciando quindi le cricche oligarchiche dalle postazioni dalle quali
esercitano il loro potere reale e non solo? Potranno riuscirci senza spezzare le compatibilità
sistemiche, cioè limitandosi, dall’alto, in virtù della riconsegna ai
parlamenti delle loro potestà legislative? Potranno farcela senza ricorrere
alla mobilitazione attiva e consapevole dei popoli?
La
nostra risposta è no.
La rivoluzione democratica
Come
recita l’adagio: per fare la frittata occorre rompere le uova.
Non
solo i Parlamenti sono oggigiorno sotto-ordinati rispetto agli esecutivi,
questi ultimi non sono più gli organismi dove si prendono le decisioni
strategiche e che esercitano i poteri decisivi. Essi eseguono degli ordini, sono
terminali, per quanto importanti, di centrali che sfuggono ad ogni controllo
popolare. Salire al governo è un passo necessario, ma non sufficiente. Per
smantellare davvero l’ordinamento oligarchico occorre espugnare le loro
roccaforti strategiche. Quali sono queste roccaforti? Le casseforti in cui è
custodita la ricchezza delle nazioni: le banche centrali, le grandi banche, i colossi
finanziari e assicurativi; quindi i giganti strategici da cui dipende a cascata
l’economia dei diversi paesi; infine le grandi centrali mass-mediatiche di
intossicazione e manipolazione dell’opinione pubblica.
Supponiamo
ora che delle forze autenticamente democratiche salgano al governo, forze che
cioè si considerino veicoli della sovranità popolare e vogliano riprendersi la
piena sovranità nazionale, stracciando quindi i trattati europei di sudditanza
ed espugnare le roccaforti di cui sopra.
Bastano
pochi giorni, poche sedute del parlamento per prendere queste decisioni formali
e obbligare il governo ad applicarle e farle applicare. Il boicottaggio ed il
sabotaggio delle cricche oligarchiche interne, sostenuto da quelle esterne,
sarebbe immediato e implacabile. Come si pensa di potere vincere queste
resistenze che ove non fossero prontamente neutralizzate avrebbero effetti
devastanti? Ci si potrà fidare dei boiardi e dei burocrati di Stato? E dei
comandi delle forze dell’ordine e dei loro sottoposti?
No
che non ci si potrà fidare!
Occorrerà
avere alle spalle un potente movimento di massa, non esitare a chiamare il
popolo a sollevarsi a sostegno delle misure del governo. Quella che non si può
chiamare altrimenti che rivoluzione democratica: una sollevazione animata dai
settori più combattivi del popolo, in difesa non solo della volontà della
maggioranza dei cittadini ma di un governo e di un parlamento legittimati da
questa maggioranza.
Il
caso greco è la controprova fattuale di quanto sosteniamo. Il governo di Syriza
non voleva la luna, chiedeva anzi modeste riforme sociali e agli oligarchi
delle deroghe per fermare il massacro sociale. Lo spettacolo andato in onda ed
il suo epilogo tutti lo conoscono. Malgrado anche un referendum avesse detto a
Tsipras, “vai avanti!”, questi ha capitolato in modo ignominioso. E che han
fatto le élite oligarchiche per mettere in ginocchio Tsipras e mostrare chi
fosse davvero sovrano? Senza alcuna pietà, fottendosene dei risultati
elettorali e dell’esito del referendum, hanno adottato il provvedimento più
devastante che si potesse immaginare: hanno spinto la Bce a chiudere i
rubinetti della liquidità: banche chiuse, economia strangolata, una pistola
alla tempia del popolo con il colpo in canna. Come l’embargo, anzi l’assedio,
contro un paese in guerra. I dominanti non sono stati spietati per sbaglio:
hanno usato la Grecia per dare un esempio, per dimostrare fino a che punto
possono giungere pur di evitare ogni pur modesto mutamento di regime, per
avvertire e spaventare ogni altro popolo che, ove si azzardasse a superare la
linea rossa da essi tracciata, quella sarebbe la loro fine.
Chi
pensa, tanto più dopo il banco di prova della Grecia, di buttar giù il regime
oligarchico usando guanti di velluto, di sloggiare gli Dei dall’Olimpo solo per
via elettorale e parlamentare, o addirittura con il loro lasciapassare, vende
fumo, che sia in buona o malafede.