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lunedì 19 agosto 2019

I BARBARI, GLI OTTIMATI E IL GRANDE INCIUCIO

[ lunedì 19 agosto 2019 ]


Infinite sono le cose che ci dividono da Ernesto Galli Della Loggia. Egli è un liberale, noi per niente. Non tutti i liberali sono tuttavia accecati dall'ideologia.
Così, mentre il GRANDE INCIUCIO prende forma, segnaliamo ai lettori quanto egli scrive sul CORRIERE DELLA SERA di oggi...


* OTTIMATI. In origine influenzavano la vita politica romana, essendo la gestione della Res Publica appannaggio soltanto di quella ristretta cerchia di nobili che avevano le possibilità e la cultura per dedicarsi alla politica. In seguito alla Secessione dell'Aventino, però, le classi popolari e piccolo e medio borghesi riuscirono a ritagliarsi una fetta di potere, da esercitare mediante loro rappresentanti: i tribuni della plebemagistrati dotati di potere legislativo (per esempio il diritto di veto su qualsiasi legge o decreto del Senato), nonché di auctoritas, ovvero l'autorità morale. Inoltre erano conferiti della sanctitas, ossia la sacra inviolabilità della loro persona, che rendeva ogni atto sovversivo, finalizzato a danneggiarli materialmente o fisicamente, un delitto gravissimo. Per rispondere a questa organizzazione politica del popolo, anche i patrizi romani si allearono tra di loro nel movimento politico degli "optimates" (it. "ottimi", "nobili"), cioè il partito aristocratico.

*  *  *

OTTIMATI CONTRO I BARBARI

di Ernesto Galli Della Loggia


E così abbiamo i Barbari in casa, almeno a quanto dice l’Italia per bene, educata e rispettosa di tutte le etichette, l’Italia degli Ottimati. La quale ha scoperto che accanto a lei ma assai diversa da lei vive un’altra Italia: un Paese maleducato, sudaticcio, incolto, ignaro di cosa siano il «bene pubblico», la Costituzione e la London School, un Paese che detesta Greta e le Ong, frequenta spiagge troppo affollate e che quindi proprio per questo vota Lega o anche 5Stelle. L’Italia barbara, appunto.

Personalmente vedo le cose in modo alquanto diverso. Ma se stanno davvero così allora però sorge inevitabilmente una domanda: mentre i «Barbari» cominciavano a dilagare, che cosa facevano gli altri, gli Ottimati? Quali battaglie ingaggiavano per proteggere la cittadella democratica? Quali difese approntavano? Non si direbbero particolarmente memorabili le prime né granché efficaci le seconde, visti i risultati. Viene insomma da pensare che parlare di «Barbari», evocando con tale parola l’idea di una forza selvaggia e soverchiante, di una spinta incontenibile, serva oggi ai suddetti Ottimati più che altro per nascondere la propria diserzione dal campo di battaglia: la propria incapacità divenuta oggettiva complicità con il nemico. L’invasione insomma poteva benissimo essere fermata. Bastava combattere. Capire quando bisognava farlo.

Sarebbe bastato ad esempio fare delle riforme della scuola diverse da quelle approvate per tanti anni. Al di là delle apparenze approvate da Destra e Sinistra insieme, entrambe convinte che la scuola dovesse servire alla società e a preparare al mercato del lavoro. Entrambe d’accordo nel riempirla di scartoffie e di burocrazia, di lavagne digitali, di famiglie saccenti, di democraticismi demagogici, di «successo formativo» obbligatorio, di circolari insulse in anglo italiano. Per tenere lontano i «Barbari» forse sarebbe bastato a suo tempo lasciare nei programmi la storia e la geografia invece di ridurre entrambe ai minimi termini o di cancellarle del tutto. Forse sarebbe bastato insistere con qualche riassunto, con qualche mezzo canto della Divina Commedia mandato a memoria, con qualche ora di matematica in più e qualche gita scolastica a Barcellona in meno. E sarebbe bastato anche che qualcuno dei tanti intellettuali che oggi soltanto scoprono il disastro accaduto avessero impiegato un po’ di tempo a occuparsi della scuola del proprio Paese anche cinque o dieci anni fa, spingendosi magari, dio non voglia, fino a fare le bucce a qualche ministro dell’istruzione Pd. Peccato che agli Ottimati, ai Buoni per definizione, quel campo di battaglia però allora non interessasse, non si accorgessero di quanto lì stava accadendo.

Gli Ottimati, la classe dirigente italiana — quella com’è noto assolutamente ligia alle regole nonché sempre avvedutissima — non aveva tempo allora per certe cose. E così poi, per dirne un’altra ancora, mentre i «Barbari» crescevano e ad esempio riunivano le loro schiere sotto le bandiere del federalismo secessionista, del dileggio verso Roma ladrona e l’unità nazionale in nome del localismo filoborbonico e del «vaffa» alla casta e al Parlamento, anche stavolta l’attenzione degli Ottimati era rivolta altrove. A riformare il titolo V della Costituzione, ad esempio: come dire a fornire ai «Barbari» la migliore delle munizioni. E infatti adesso quelli, forti guarda un po’ proprio della riforma suddetta, pretendono di accrescere smisuratamente il proprio potere nei territori dove già comandano, mettendo le mani su tutto il possibile a cominciare dalla scuola, rifiutandosi di contribuire a qualunque spesa che non sia la loro, e così via barbareggiando.

Da tempo insomma l’onda nemica cresceva, ma gli Ottimati non si sa dove fossero e che cosa facessero. Avrebbero potuto, per dirne qualcuna, cercare di far pagare le tasse agli evasori, impedire che nelle carceri finissero solo i poveracci, cancellare l’obbrobrio correntizio del Csm, far diminuire di almeno un milione il debito invece di farlo crescere di continuo, avrebbero potuto assumere cento ispettori del lavoro (licenziando cento portaborse) per ripulire le campagne pugliesi e calabresi dai proprietari negrieri. Avrebbero potuto tentare mille cose per fermare la «barbarie» montante: chessò, inventarsi un programma anche minimo d’integrazione per gli immigrati, ridiscutere il trattato di Dublino — loro che sanno come si sta in Europa — oppure pensarci due volte prima di firmare il contratto di concessione con la società Autostrade, e magari, visto che c’erano, dare pure una controllata a qualche viadotto qua e là per la Penisola. Avrebbero potuto…. Se lo avessero fatto oggi di sicuro ci sarebbe in giro qualche «barbaro» in meno.

Perché i barbari esistono davvero, sia chiaro, non vorrei che si pensasse il contrario. L’Italia sta effettivamente imbarbarendosi. Ciò che però mi sembra contrario alla verità è l’attribuzione di tale barbarie a una sola parte politica, alla solita Italia degli altri, all’Italia che «non ci piace». Inaccettabile è il gioco dello scaricabarile di cui la classe dirigente italiana è specialista da sempre, e che si sta ripetendo puntualmente anche questa volta chiamandosi fuori come al solito ogni volta che il Paese è costretto a fare i conti (che quasi sempre non tornano) con il proprio modo d’essere, con la propria storia.

L’Italia barbara esiste, ma è ben più vasta di questo o quell’elettorato. E’ il Paese che sta perdendo il senso delle regole e si sta abituando a violarle quasi tutte, che non ha più rispetto per ciò che è importante e degno, che non crede più nelle leggi e nella giustizia, che non ha più fiducia nell’autorità perché avverte la sostanziale mancanza di capacità di controllo da parte di quella cosa che un tempo si chiamava Stato. E’ il Paese che non legge, che passa le ore con lo smartphone in mano, che si sta convincendo che la politica sia qualcosa a metà tra una televendita e un’intervista di Barbara d’Urso. E’ l’Italia su cui gli Ottimati, in massima parte per la loro propria responsabilità, hanno perduto ogni egemonia, non sapendo dare a questa le nuove forme e i nuovi contenuti che dopo la grande frattura del 1992-94 sarebbero stati necessari. L’Italia di una classe dirigente che ancora illudersi di poter dirigere qualcosa.


venerdì 16 agosto 2019

COSE MAI VISTE...

[ venerdì 16 agosto 2019 ]


Chi segue il nostro blog sa come la pensiamo. Il 7 agosto quando Salvini la spuntava (purtroppo) sul TAV e però minacciava sfracelli, titolavamo SIAMO ALLA FRUTTA

Poi lo sfracello c'è stato e subito abbiamo scritto che SALVINI HA FATTO UNA GRANDE CAZZATA.
non perché egli si fosse infilato in cul de sac (ce ne importerebbe poco), bensì poiché con la sua mossa ha aperto un'autostrada al "GOVERNO URSULA".
Altro che "alla frutta"! Salvini, pur dimostrare che si è pentito e per "ricucire" con 5 stelle, avrebbe fatto circolare la notizia bomba che sarebbe pronto a resuscitare il governo giallo-verde(blu?) con Di Maio Presidente del Consiglio.

Prima si sfila dalla maggioranza convinto della immediata caduta del governo (che non c'è stata, anche perché non ha ritirato i suoi ministri), e altrettanto certo di elezioni immediate (che dati tutti i fattori in gioco risultano altamente improbabili). 
Dopo queste clamorose pugnalate al governo ed ai 5stelle tira fuori la bidonata (che il nostro, pensate un po', immaginava fosse un colpo di genio!) per cui era pronto a votare la riduzione dei parlamentari (sciagurata proposta dei pentastellati e vecchio cavallo di
battaglia di Renzi che implica l'ennesimo sbrego della Costituzione) e quindi andare subito al voto.
Oltreché mossa da serpente a sonagli inaccettabile costituzionalmente, come gli ha fatto notare informalmente il Quirinale.
Dulcis in fundo, l'ultimo colpo di scena:  "Luigi, facciamo finta che non è successo niente, tu diventi Presidente del Consiglio e si va avanti".

Vogliamo pensare che sia una fake news, poiché fosse vera dovremmo concludere che Salvini abbia bisogno di un bravo psicanalista. 

Di Maio ha risposto nisba, che "la frittata è fatta". Atro che frittata qui le uova si sono infatti sfracellate tra le mani del grande chef Matteo Salvini e della sua squadra di cucinieri da strapazzo.

Tuttavia a questa nuova cazzata stanno abboccando in diversi, tra cui l'amico Diego Fusaro che molto a caldo (troppo) ha dichiarato questa mattina:

«Benissimo se la Lega riapre ai 5Stelle e si torna alla saldatura gialloverde. Ora i 5Stelle prendano atto che Salvini ha capito di aver commesso un errore e non commettano lo stesso errore. La sola speranza è il governo gialloverde, populista e sovranista, antiliberista e che ponga al centro la sovranità dello Stato nazionale, tenendo fuori il vecchio liquame della sinistra fucsia e della destra liberista. È la sola via per tutelare l'interesse nazionale e per reagire all'interesse della global class dominante che dice più Europa, più mercato, più globalizzazione».
Capiamo che questa crisi di governo, essendo un colossale pasticcio, abbia spiazzato tanti (FASSINA CHE ADDIRITTURA SI AUGURA UN GOVERNO DI LEGISLATURA COL PD!), che ci sia cascato anche Fusaro....

Il governo giallo-verde è morto, schiacciato sotto le sue stesse macerie, ovvero dai suoi errori, dalla sua mancanza di coraggio, dai suoi compromessi, dai suoi zig-zag. Dopo i voltafaccia clamorosi dei 5 Stelle (ultimo lo scandaloso voto per la Von Der Leyen), il colpo di grazia, su pressione di Giorgetti e dei colonnelli padani, glielo ha dato Salvini.

Non risorgerà questo governo, e con questa dipartita è stato fatto a pezzi quello che abbiamo chiamato "campo populista", ovvero un blocco sociale che malgrado tutti si suoi limiti aveva messo all'angolo le forze oligarchiche ed eurocratiche. Che ora gongolano e cercheranno la rivincita...

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giovedì 15 agosto 2019

TUTTO IL POTERE A BAGNAI? NO, NO, A GIORGETTI di Emmezeta

[ giovedì 15 agosto 2019]


Sono tanti i commentatori che ancora si interrogano sul vero scopo della crisi voluta da Salvini. Elezioni subito ammazza tutti, dicono i fans. Volontà di scansare la responsabilità delle Legge di Bilancio, dicono maligni i cultori dell’austerità come medicina sociale. Semplice manovra per ottenere un rimpasto, secondo alcuni maldestri minimalisti.
La cosa migliore è dare allora la parola al diretto interessato. Il quale così chiarisce
«Quello a cui penso io? È un governo con Giancarlo Giorgetti ministro dell’Economia. Questo è quello che voglio e per cui lavoro». Accidenti, roba hard: «Tutto il potere a Giorgetti». 
Che audacia il Salvini!


Ma, come direbbe il redivivo di Rignano, Giorgetti chi?
Che sia l’ex sindaco di Cazzago Brabbia, cugino del banchiere Ponzellini, probabilmente interesserà a pochi. Che sia l’uomo dei potentati economici del Nord, quello che parla con Draghi ed inciucia con Mattarella qualcosa di più già ci dice del personaggio.

Ma Giorgetti è anche colui che stroncò sul nascere l’idea dei mini-Bot, dopo che il parlamento li aveva approvati. Più che stroncato, semplicemente deriso il suo ideatore:
«C’è ancora chi crede a Borghi? Ma vi sembrano verosimili i mini-Bot? Se si potessero fare, li farebbero tutti». 
Così liquidò la questione sulle pagine del Sole 24 Ore, facendo chiaramente intendere chi comanda nella Lega su certe cose.

Bene, oggi è su questo personaggio che dovrebbero riporre le speranze gli italiani, specie quelli che vorrebbero liberarsi dalle grinfie euriste? Secondo il Salvini-pensiero sì. 

In verità, l’intervista del leader della Lega al Corsera di ieri pare più che altro lo sproloquio di un pugile suonato, dove si legge perfino che: 
«Noi dialoghiamo con tutti quelli che la pensano come noi». 
Insomma, uno sforzo titanico. 

Nell’intervista Salvini insiste sull’assurdità di voler tagliare il numero dei parlamentari per poi andare al voto il giorno dopo. Non si può fare per ragioni costituzionali, ma chissenefrega. 

Quel che però più gli preme è l’attacco, in perfetto stile confindustriale, al Reddito di cittadinanza. 
«Sarà doveroso verificare il reddito di cittadinanza. Ci arrivano centinaia di segnalazioni, molte delle quali a me personalmente, da parte di imprenditori che quest’anno non riescono ad assumere i lavoratori che avevano l’anno scorso». 
Insomma, non ridete, Salvini sarebbe preoccupato dal lavoro in nero di chi fa piccoli lavoretti dopo aver incassato il "Reddito di Cittadinanza".

Tutti sanno che se il Reddito di cittadinanza non ha funzionato è per i troppi paletti che i vincoli di Bruxelles hanno imposto e che il governo Conte ha accettato. Per i leghisti invece il problema è opposto. In troppi — pensate un po’ — lo avrebbero avuto senza averne diritto: addirittura il 70% secondo il viceministro dell’Economia, il leghista Garavaglia. Davvero non c’è bisogno di alcun commento. 

Ma torniamo al salvatore Giorgetti, nelle parole di Salvini: 
«Io voglio fare una manovra importante e coraggiosa con una persona di cui si fida il mondo come Giorgetti». 
Il mondo, quale mondo? Quello della finanza e degli eurocrati evidentemente. Insomma, lo dico per certi sinceri sovranisti, l’uomo del miracolo salviniano sarebbe nientemeno che il grigio (anche nel senso di oscuro) Giorgetti, mica i Bagnai o i Borghi.

Il bello è che il Giorgetti è quello che ora va dicendo che Salvini ha sbagliato i tempi

Accidenti che macchina da guerra, quella della Lega! Capisco che ci sia ancora chi si illude che Salvini voglia uscire dall’euro, per intanto sarebbe già molto se uscisse da Twitter. 

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sabato 10 agosto 2019

IL 12 OTTOBRE E LA CRISI DI GOVERNO

[ sabato 10 agosto 2019]



Comunicato stampa del Comitato organizzatore della manifestazione nazionale del 12 ottobre

In molti ci chiedono, viste la caduta del governo e la possibilità di elezioni anticipate, che fine farà la manifestazione del 12 ottobre.

Essa si svolgerà a maggior ragione, poiché non solo restano sul tappeto tutti i drammatici problemi sociali che ci hanno spinto ad organizzarla, ma c’è anche il rischio che i poteri forti approfittino della funesta mossa di Salvini per mettere in piedi un nuovo governo “tecnico” o dei “responsabili”, così da far passare una ennesima legge di bilancio austeritaria e liberista (“ce lo chiede l’Europa”).

Confermiamo dunque la manifestazione LIBERIAMO L’ITALIA del 12 ottobre (ore 14:00, Roma, Piazza della Repubblica) per riscattare la dignità del popolo italiano e per affermare cinque grandi Sì: applicare la Costituzione del 1948, uscire dalla gabbia della UE, riprendere la sovranità monetaria, riconquistare la democrazia, lavoro e la dignità per tutti!

Il Comitato Promotore

Roma, 9 agosto 2018

* Fonte: LIBERIAMO L'ITALIA

venerdì 9 agosto 2019

TANTO TUONÒ CHE PIOVVE

[ venerdì 9 agosto 2019 ]

In altri tempi si sarebbe chiamata "crisi balneare". Invece la cosa è molto più seria.
Siamo ad una nuova puntata di una crisi che è sistemica ("organica" avrebbe detto Gramsci): economica, sociale, politica e istituzionale. Che il governo fosse "in coma", per la precisione un governo-zombi, lo avevamo scritto un mese fa, come avevamo detto che approfittando del marasma tra i due litiganti il terzo (leggi: la Quinta colonna mattarelliana Conte-Tria) fosse quello che godeva. Prima il Def, poi l'accordo con Bruxelles per evitare la cosiddetta "procedura d'infrazione", quindi il passaggio dei 5 stelle nel campo eurista col voto alla Von Der Leyen. Morale: il governo giallo-verde era stato addomesticato dai poteri forti.

Tuttavia questi stessi poteri oggi tirano un sospiro di sollievo. Per quanto siano riusciti a tagliare le unghie ai "populisti", per quante siano le incognite future e deboli le loro protesi politiche (Pd anzitutto), la morte del governo è per essi una sostanziale vittoria; fa premio alla loro campagna di opposizione e denigrazione sistematica dei "populisti" come inaffidabili, incapaci a governare il Paese. Tanto più essi gongolano per il modo farsesco con cui questo governo "del cambiamento" si è autoaffondato. Faranno quindi salti di gioia anche a Bruxelles, Berlino e Parigi: muore il primo governo che nell'Unione europea non era sorto sotto i loro auspici.

Il "capitano" Matteo Salvini chiede che la parola passi ai cittadini, convinto che presto ci saranno elezioni anticipate che lo incoroneranno nuovo Duce.* Non sappiamo se egli c'è o ci fa. Con il suo atto di forza, infatti, egli passa la palla al Quirinale, a Mattarella, che esperirà ogni possibile tentativo per evitare che si torni alle urne in autunno. Egli tenterà di far nascere un governo "di transizione" o "ponte" che approvi la legge di bilancio — "ce lo chiede l'Europa" — per promettere di votare in primavera. Ma la primavera è lontana e il governo "ponte", fatta la legge di bilancio, potrebbe dare il tempo che serve ai poteri forti per compattarsi e calare il loro asso nella manica. Un asso che potrebbe avere un nome e un cognome: Mario Draghi — se non lui qualcuno di pari spessore. Solo dopo semmai si andrebbe alle urne. Come andrà a finire lo scontro tra l'esercito eurista con capo Draghi e la paccottiglia guidata da Salvini? Sono aperte le scommesse. La crisi sistemica è come un Moloch implacabile che divora chi sale alla ribalta. E' toccato a Grillo, a Renzi, a Di Maio. Salvini ha appeso il suo destino al filo di elezioni immediate. Ha in mano un assegno che potrebbe andare protestato ove non gli fosse permesso di portarlo subito all'incasso.

Il nostro, nel suo delirio di onnipotenza, immagina di essere Napoleone, ma non ne ha né la stoffa né la visione strategica. Ha scelto di staccare la spina ad agosto, scoprirà che ha fatto un clamoroso errore politico. Lo abbiamo detto: per votare a settembre avrebbe dovuto staccare la spina a giugno, massimo a luglio. Quello era il momento giusto anche perché avrebbe potuto giustificare la rottura con motivazioni potenti: il rifiuto di sottostare ai diktat eurocratici, facendo dunque appello al sempre più diffuso sentimento patriottico che monta nel Paese. Non lo ha fatto, anche perché, ammesso che la mossa gli sia balenata in testa, non glielo avrebbe permesso la Lega nordista ed eurista che, per nome e per conto della borghesia padana, se non lo tiene in pugno, condiziona ogni suo passo.


In questo contesto che fine fa la manifestazione del 12 ottobre?

Essa diventa ancora più necessaria. Comunque vada a finire non c'è nulla di buono all'orizzonte per i cittadini. I poteri forti, l'Unione europea, approfitteranno del disastro del governo giallo-verde per imporci nuovamente il cammino dell'austerità, tanto più mentre è in arrivo una recessione internazionale con il rischio fortissimo di una devastante bolla finanziaria. Non ci sono alternative alla mobilitazione dal basso, alla protesta popolare ferma e consapevole, per aiutare il nostro Paese a riconquistare la sua sovranità nazionale.



* Nel discorso di Pescara che ha aperto de facto la crisi di governo, Salvini le ha sparate grosse mostrando a quale livello sia giunto il suo delirio di onnipotenza. Ha chiesto di vincere per "avere pieni poteri". Ha detto che "l'Italia ha bisogno di regole, ordine e disciplina". Quindi ha ringraziato "Dio per non essere nato comunista. O magari di esserlo nato e di aver avuto modo di cambiare"; Quindi giù con l'invocazione della vergine Madonna...



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sabato 3 agosto 2019

IL MODELLO TEDESCO NON FUNZIONA NEANCHE IN GERMANIA di D. Moro

[ sabato 3 agosto 2019 ]

Da anni la Germania viene portata a esempio agli altri Paesi europei, soprattutto a quelli meridionali. Eppure, il modello tedesco, basato sull’export manifatturiero e su un ampio surplus commerciale unito a forti attivi di bilancio pubblico, appare in difficoltà, rivelandosi dannoso per la stessa Germania. Malgrado l’export di maggio 2019, rispetto al maggio 2018, sia cresciuto del 4,5% e il surplus commerciale ammonti a 20,6 miliardi contro i 20 dell’anno precedente, la manifattura tedesca, secondo uno studio della KFW, la Cassa depositi e prestiti tedesca, è in recessione. Una affermazione confermata dall’indice di Ihs Markit e dai dati di eurostat, che denotano un evidente calo della produzione manifatturiera.

L’indice di acquisto manifatturiero di luglio (PMI), elaborato dalla Ihs Markit, è a 43,1, il minimo da 84 mesi, cioè da sette anni. A pesare sarebbero soprattutto le prospettive del settore auto. Per quanto riguarda la produzione manifatturiera complessiva in volume, la Germania, dopo aver registrato una crescita tra la metà del 2016 e la metà del 2018, risulta in calo tra la metà del 2018 e il primo trimestre 2019. Inoltre, se guardiamo a tutto il periodo dal quarto trimestre 2015 al primo trimestre 2019 l’Italia fa meglio della “locomotiva” tedesca (Graf. 1). Anche nell’indice Markit l’Italia (48,84) e l’eurozona (46,4) si situano al di sopra della Germania.



Produzione manifatturiera di Germania e Italia in volume per trimestre 
(indice 2015=100; dati destagionalizzati e corretti per gli effetti di calendario)



Fonte: Eurostat, Production in industry – quarterly data [sts_inpr_q]

Le difficoltà della Germania nella manifattura, ma non solo in essa, si manifestano anche negli esuberi di personale proprio nelle grandi aziende che rappresentano i campioni tedeschi a livello mondiale. Sono 85mila i dipendenti a tempo pieno che, si prevede, verranno espulsi dalla produzione nel prossimo futuro. Si parte dalle banche: Deutsche Bank ha annunciato esuberi per 18mila unità e Commerzbank per 5.300. Nella manifattura si annunciano tagli tra 5mila e 7mila unità in Daimler, 4mila in Bmw, 6mila in Basf entro il 2021, 6000 in ThyssenKrupp, 12.700 in Siemens, 3000 in Sap e 4500 in Bayer.

Il pericolo principale per l’economia tedesca, che già si trova a far fronte a una riduzione dei titoli in borsa e degli utili, è la contrazione del mercato mondiale, legata anche alle guerre commerciali intraprese da Trump, che, dopo la Cina potrebbe prendere di mira la Germania. Del resto, come abbiamo detto, la manifattura tedesca è orientata all’export, come è dimostrato dall’alta quota delle esportazioni di beni sul Pil, che arriva intorno al 40%, mentre l’Italia, la Francia e il Regno Unito raggiungono rispettivamente il 26, il 20 e il 16%. Inoltre, va rilevato che la frenata tedesca ha un impatto negativo anche sull’economia italiana e sul suo export, specie per quanto riguarda la parte della componentistica auto. La Germania, infatti, a giugno ha ridotto la produzione di autovetture del 24%, che equivale a un taglio di 340mila unità.

In un quadro del genere, in cui aumenta la competizione tecnologica, ad esempio sull’auto elettrica, e sulle infrastrutture fisiche e digitali, la disciplina di bilancio che la Germania pratica e che ha imposto anche al resto d’Europa, è deleteria per la Germania stessa. Ci sarebbe bisogno di nuovi investimenti da parte statale, come sottolinea Marcel Fratzscher dell’influente think tank DIW.

Il punto è che basarsi solamente sulle esportazioni è pericoloso, perché espone alle variazioni del mercato mondiale. Bisognerebbe, invece, rafforzare il mercato interno. In poche parole il modello tedesco andrebbe cambiato. La Germania dovrebbe diventare una economia trainata dall’economia interna. Ma, per fare ciò, deve rafforzare la domanda interna con più investimenti in infrastrutture, educazione, formazione, tecnologia e digitale e, a sua volta, questo richiede l’abbandono della disciplina fiscale così cara alla banca centrale e ai governi tedeschi. Un salto di paradigma di questo tipo, però, non sembra così facile da far passare, non solo per l’orientamento che le autorità politiche e monetarie tedesche hanno assunto tradizionalmente, ma anche perché va a confliggere con i vincoli europei al debito e al deficit pubblici. Per concludere, le regole europee, basate sulla ricerca a tutti i costi di surplus del bilancio pubblico, si manifestano sempre più chiaramente come una gabbia per l’economia non solo nei Paesi più deboli come la Grecia, ma persino nella forte Germania.

Dietro alle difficoltà della Germania e al fallimento delle regole europee c’è, però, un altro fattore più profondo: la crisi strutturale dell’economia capitalistica. La risposta alla crisi era stata l’export, ma se, da una parte, ci sono paesi con ampi surplus commerciale, come la Cina e la Germania, dall’altra parte devono esserci necessariamente Paesi con alti deficit commerciali, come gli Usa, e questo non può durare a lungo. La fase attuale, caratterizzata da una crescente competizione da parte dei Paesi emergenti e dall’introduzione di misure che limitano la libera circolazione delle merci da parte degli Usa mette in difficoltà proprio chi, come la Germania, si era orientato alle esportazioni per risolvere la sovraccumulazione di capitale e la sovrapproduzione di merci. Il taglio della produzione e dell’occupazione cui siamo assistendo in Germania è l’indicatore del riemergere della sovraccumulazione strutturale del capitale.


* Fonte: Laboratorio


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giovedì 4 aprile 2019

LA CRISI ECONOMICA E LE BANCHE CENTRALI di Eric Toussaint

[ 4 aprile 2019 ]

Gli elementi di una nuova crisi finanziaria internazionale sono tutti presenti; non si sa quando essa scoppierà ma quando accadrà il suo effetto su tutto il pianeta sarà importante

I principali fattori di crisi sono:
da una parte l’aumento ingente dei debiti privati delle imprese
dall’altra la bolla speculativa sui prezzi degli attivi finanziari1: borse valori, prezzi dei titoli del debito2, e, in certi paesi (Stati Uniti, Cina …), di nuovo il settore immobiliare. I due fattori sono strettamente interconnessi.

Anche le imprese che hanno un’enorme liquidità3 a loro disposizione come Apple si indebitano massicciamente perché approfittano dei bassi tassi di interesse4 per prestare ad altre il denaro che esse prendono a prestito. Apple e numerose altre imprese prendono a prestito per prestare a loro volta e non per investire nella produzione. Apple prende a prestito anche per riacquistare le proprie azioni5 in borsa6. Ho spiegato questo in un articolo intitolato «La montagna dei debiti privati delle imprese sarà al centro dellaprossima crisi finanziaria» , pubblicato il 9 novembre del 1917.

Banche centrali e bolla in arrivo

Le bolle speculative ora citate sono il risultato delle politiche condotte dalle grandi banche centrali (Federal Rèserve degli Stati Uniti, BCE7, Banca d’Inghilterra, da 10 anni, e dalla Banca del Giappone dallo scoppio della bolla immobiliare negli anni 1990) che hanno iniettato migliaia di miliardi di dollari, euro, sterline, yen nelle banche private per mantenerle a galla. Queste politiche sono state chiamate Quantitative easing o allentamento monetario quantitativo. I mezzi finanziari che le banche centrali hanno distribuito a profusione non sono stati utilizzati dalle banche e dalle grandi imprese
capitaliste degli altri settori per l’investimento produttivo. Essi sono serviti a acquistare attivi finanziari: azioni di borsa, obbligazioni8 di debiti delle imprese, titoli di Stato sovrani9, prodotti strutturati10 e derivati11… Questo ha generato una bolla speculativa sul mercato borsistico, sul mercato obbligazionario (vale a dire le obbligazioni dei debiti) e, in alcuni paesi, nel settore immobiliare. Tutte le grandi imprese sono sovra-indebitate.
Questa politica delle banche centrali testimonia il fatto che le decisioni dei loro dirigenti sono determinate interamente dagli interessi a breve termine delle grandi banche private e delle grandi imprese capitaliste degli altri settori: impedire fallimenti a catena e, di conseguenza, perdite considerevoli dei grandi azionisti.
Questa politica ha anche a che fare con una caratteristica dell’odierno capitalismo finanziario: una parte sempre meno importante del nuovo valore creato è reinvestito nella produzione-
Una parte crescente del nuovo valore è utilizzata sotto forma di dividendi per gli azionisti o di riacquisto di proprie azioni, di investimenti speculativi particolarmente in prodotti strutturati e derivati … François Chesnais parla in particolare di <> [1].
Torniamo alla politica adottata dalle banche centrali per combattere la crisi esplosa nel 2007/2008. Il loro intervento non è riuscito a risanare il sistema, anzi, gli elementi di fragilità sono rimasti o sono aumentati: il rapporto fra i fondi propri (i capitali dell’ impresa12) e gli impegni assunti dall’impresa é troppo debole. In effetti, il livello di questo rapporto è insufficiente per fare fronte ad una perdita di valore che sarebbe provocata da una caduta dei valori borsistici, del mercato obbligazionario o di altri attivi finanziari posseduti dall’impresa, sia essa una banca o un’impresa come Apple o General Electric per citare due esempi. Tutte le imprese sono fortemente indebitate perché il ricorso al prestito costa loro molto poco grazie ai tassi di interesse che sono molto bassi (0% nella zona euro, -0,1% in Giappone, 0,75% in Gran Bretagna, 2,5% negli Stati Uniti) e una pletora di capitali sono alla ricerca di un massimo del rendimento finanziario pronti ad acquistare dei titoli di debiti dubbi (junk bonds13) emessi da imprese in situazione precaria. Quindi imprese come Apple che hanno una buona reputazione in termini di salute finanziaria si indebitano per poi acquistare titoli cattivi ad alto rendimento. Le imprese in cattive acque che emettono questi titoli cattivi ad alto rendimento si trovano in una situazione permanente di indebitamento: esse si indebitano per poter rimborsare i prestiti precedenti.
Alla fine di dicembre 2018, un grande crack in borsa ha rischiato di esplodere negli Stati Uniti e l’effetto del contagio è stato immediato. Si è trattato di un ulteriore segnale annunciatore di un importante crack futuro.
Il mercato immobiliare statunitense è tornato fragile: il prezzo degli immobili è aumentato del 50% rispetto al 2012 e il suo livello supera quello raggiunto subito prima della crisi che era iniziata nel 2005-2006 e ha provocato la grande crisi internazionale del 2008-2009. Alcuni specialisti ritengono che potrebbe essere l’alba di una nuova crisi del settore immobiliare perché l’attività ha cominciato a rallentare e le vendite delle abitazioni sono diminuite. Il proseguimento della politica di allentamento monetario (Quantitative Easing) in Europa, come pure la sua fine negli USA costituiscono fattori di crisi.
Le grandi banche private dette sistemiche sono estremamente fragili e il valore delle loro azioni nella seconda metà del 2018 è calato fortemente negli Stati Uniti e in Europa e la caduta sta continuando nel primo trimestre del 2019. Le grandi banche private sono sostenute dalle banche centrali14 dei rispettivi paesi. La Fed non rispetta il proprio impegno di rivendere i titoli del debito privato tossico (i famosi mortgage backed securities – MBS -). Nel marzo 2019 essa detiene un volume enorme di 1600 miliardi di $ di MBS (vedi QUI consultato il 17 marzo 2019) acquistati nel 2008-2009 dalle grandi banche private per salvarle. La Fed sa benissimo che se essa vendesse massicciamente questi titoli come ha promesso, il prezzo di questi crollerebbe e in conseguenza, anche il mercato obbligazionario degli Stati Uniti. Essa sa pure che se aumentasse il tasso d’interesse al di sopra del 2,5% tutta una serie di imprese indebitate andrebbero incontro a gravi difficoltà di rimborso/rifinanziamento dei propri debiti. Senza contare che questo farebbe crescere anche il costo del rimborso del debito pubblico.
La BCE da parte sua continua a concedere prestiti di liquidità alle banche a tasso 0% e sta promettendo loro di non aumentare i tassi prima del 2020 (vedi Martine Orange, “La BCE di fronte ai propri limiti”, pubblicato l’8 marzo 2019 e Delphine Cuny (La Tribune), “La BCE scuote i mercatirinviando l’innalzamento dei tassi”,[l-actu-du-jour]-20190308, pubblicato il 7 marzo 2019). Inoltre la BCE concede alle banche private nuovi ingenti prestiti a medio e lungo termine, quello che in gergo si chiama TLTRO (Targeted longer-term refinancing operations). A dipenderne maggiormente sono le banche italiane e spagnole (secondo JPMorgan esse costituiscono il 55% del monte prestiti in occasione dell’ultimo TLTRO) ma poiché tutte le banche sono interconnesse, tutte ne dipendono più o meno direttamente. Aggiungiamo che le banche europee usano massicciamente il denaro che esse ottengono a tasso zero per acquistare titoli del debito sovrano, di preferenza quello del proprio Stato, ma anche di altri Stati europei, cosa che procura loro un rendimento positivo da titoli considerati come sicuri perché emessi dagli Stati.
L’infatuazione delle banche e degli altri attori presenti sui mercati finanziari15 per i titoli del debito pubblico è impressionante: tutti gli Stati della zona euro sono riusciti a prendere in prestito grosse somme di denaro nel corso dei primi tre mesi del 2019 (come già nel 2018). Ogni offerta di prestiti vede affluire le offerte d’acquisto. In genere, quando uno Stato vuole prendere in prestito un miliardo di €, le banche ne propongono 4, tanta é la liquidità di cui dispongono (che proviene ampiamente dalle banche centrali a loro servizio),ciò segnala quanto esse vogliono acquistare dei titoli pubblici perché remunerativi e sicuri. Inoltre, come ho dimostrato nel mio libro Bancocratie, il fatto di acquistare titoli sovrani permette alle banche di aumentare artificialmente il rapporto dei loro fondi propri rispetto al loro bilancio grazie ai sistemi della ponderazione degli attivi per il rischio (vedere «Tout va très bien madame la marquise»  e Bancocratie, capitolo 12, Aden, Bruxelles, 2014). Ma quando la crisi assumerà un andamento catastrofico, i media dominanti e i banchieri accuseranno di nuovo gli Stati di fare troppe spese pubbliche e di emettere troppo debito pubblico.
Crescita in generale molto debole, stagnazione o forte recessione16 in una serie di casi
La crescita economica nei “vecchi” paesi più industrializzati resta debole ed è in diminuzione in molti paesi chiave. In particolare in Europa dove, dopo una piccola crescita nel 2017, l’anno 2018 è terminato con una stagnazione e nel caso della Germania, con una caduta della produzione industriale nel quarto trimestre del 2018 e nel primo del 2019 (Financial Times, «Germanindustrial production drops unexpectedly», 11 Marzo 2019, ). Le autorità tedesche hanno rivisto al ribasso le previsioni di crescita del 2019 riportandola all’1% (mentre nel 2016-2017 esso superava il 2%). Gli investimenti nell’Unione Europea hanno impiegato 12 anni per ritornare al livello del 2007 prima dello scoppio della crisi (Financial Times, « EU investment rebounds to level before 2008 financial crash », 9 Marzo 2019).
A livello della zona euro, la crescita nel terzo trimestre 2018 è stata appena dello 0,2%, la più bassa da 4 anni. L’Italia è in recessione. La Francia conosce una piccola ripresa grazie alla leggera crescita dei consumi che è il risultato del movimento dei Gilet gialli che ha portato Macron a non rispettare ciecamente la disciplina di bilancio (vedere il mio articolo: Europe : désobéir pourmettre en œuvre une alternative favorable aux peuples, 12 février 2019, )
In Giappone, la crescita nel periodo aprile 2018-marzo 2019 è di circa lo 0,9%, anch’essa in ribasso rispetto al 2017. L’economia USA è anch’essa in fase di rallentamento, il FMI17 prevede una crescita del 2,5% nel 2019 contro il 2,9% nel 2018. Altri esperti prevedono una crescita più debole. Questo ha portato la Fédéral Réserve degli Stati Uniti a sospendere provvisoriamente l’aumento dei tassi di interesse iniziato alla fine del 2016.
La crescita cinese rallenta ancora anche se il paese continua ad essere la locomotiva mondiale; essa sarebbe dell’ordine del 6%, la più bassa da 25 anni. In Cina, una crisi finanziaria può esplodere in ogni momento, far cadere la crescita domestica e mondiale, aggravare le condizioni di vita di centinaia di milioni di cinesi, uomini e donne.
Anche l’economia degli altri BRIC rallenta, eccetto l’India che conosce un tasso di crescita un pò superiore al 7%. La Russia ha una crescita molto debole, dell’ordine dell’1,2% nel 2018 e una previsione dell’1,3% nel 2019. L’Africa del Sud è stata in recessione nel corso della prima metà del 2018 e conosce un piccolo recupero. Il Brasile che ha conosciuto una forte recessione nel 2015-2016 ha ritrovato un po’ di crescita ma essa è molto debole, appena poco sopra l’1% nel 2018.
Crisi molto forti colpiscono già una serie di paesi detti emergenti: Turchia, Argentina, Venezuela … Svalutazione18 della moneta, grosse difficoltà a effettuare i rimborsi del debito estero pubblico e privato.
Una serie di paesi periferici fra i più poveri si trovano ad affrontare una crisi acuta del debito (Mozambico, …). Non è che l’inizio di una lista che si sta allungando.
Malgrado questa crescita economica molto debole a livello mondiale e in particolare nelle principali vecchie potenze industriali contaminanti, i fattori che spingono all’accelerazione del cambiamento climatico non si attenuano. Ne abbiamo sotto gli occhi delle prove tangibili con gli effetti dello sconvolgimento e del cambiamento climatico ai quattro angoli del pianeta. Di fronte a questa crisi le cui conseguenze drammatiche sono in crescita, i governi ricorrono a promesse puramente retoriche, cosa che fortunatamente produce delle forti reazioni nella popolazione in generale e fra i giovani in particolare.

Bilancio dell’azione della BCE

Dall’inizio della crisi nel 2007-2008, la BCE ha giocato un ruolo vitale per portare alla riscossa delle grandi banche private, dei loro grandi azionisti e principali dirigenti garantendo la continuazione dei loro grandi privilegi. Si può affermare senza rischio di sbagliarsi che senza l’azione della BCE, alcune grandi banche sarebbero fallite, cosa che avrebbe forzato i governi a prendere delle misure fortemente restrittive nei confronti dei loro dirigenti e grandi azionisti. Occorre aggiungere che l’azione della BCE ha rafforzato la concentrazione del settore bancario a profitto di una ventina di grandi banche che hanno un ruolo dominante. La BCE ha contribuito attivamente a mantenere in piedi e a sviluppare dei mostri bancari troppo grandi per poter fallire. Oltre al salvataggio dei grandi azionisti bancari, la BCE persegue ufficialmente l’obbiettivo di una inflazione19 del 2%. Da questo punto di vista, il bilancio della BCE è un fallimento perché il tasso d’inflazione nell’eurozona nel 2018 ha raggiunto solo il valore dell’1,6% e essa è in ribasso nel corso del primo trimestre del 2019.
Tre obbiettivi supplementari dell’azione della BCE possono essere riassunti nel modo seguente:
Difendere l’euro che è una camicia di forza per le economie più deboli della zona euro oltre che per tutte le popolazioni europee. L’euro è uno strumento al servizio delle grandi imprese private e delle classi dominanti europee (l’1% più ricco). I paesi che fanno parte della zona euro non possono svalutare le loro monete perché hanno adottato l’euro. Ora i paesi più deboli della zona euro avrebbero un vantaggio a svalutare per ritrovare competitività di fronte ai giganti economici tedeschi, francesi, del Benelux (Belgio, Olanda e Lussemburgo) e all’Austria. Paesi come la Grecia e il Portogallo, la Spagna o l’Italia sono così bloccati dalla loro appartenenza alla zona euro. Le autorità europee e i governi nazionali applicano da allora quella che viene definita la svalutazione interna: essi impongono una diminuzione dei salari a solo profitto delle grandi imprese private. La svalutazione interna è sinonimo di riduzione dei salari.
Rafforzare il dominio delle economie europee più forti (Germania, Francia, Benelux …) dove hanno sede le più grandi imprese private europee. Questo comporta mantenere forti asimmetrie fra le economie più forti e le più deboli.
Partecipare e sostenere in maniera offensiva gli attacchi del Capitale contro il Lavoro al fine di aumentare i profitti delle imprese e rendere le grandi imprese europee più competitive sul mercato mondiale di fronte ai loro concorrenti statunitensi, cinesi, giapponesi, coreani … Gli esempi dell’intervento della BCE per raggiungere questo obiettivo in Italia, in Grecia, a Cipro, in Portogallo, in Irlanda, in Spagna, … sono molteplici.
L’accanimento della BCE a contribuire agli attacchi contro coloro che sono più deboli s esprime ancora una volta molto chiaramente. In marzo 2019, la BCE e le banche dell’Eurosistema hanno rifiutato di rendere alla Grecia una parte degli utili realizzati sulla schiena del popolo greco [2] con il pretesto che il governo di Alexis Tsipras non aveva approfondito sufficientemente le controriforme sociali. Si tratta in particolare della volontà della BCE di veder sopprimere gli ultimi ostacoli all’espulsione delle famiglie greche incapaci di effettuare il rimborso del debito ipotecario per la loro residenza principale. Niente viene risparmiato in sacrifici al popolo greco che è una vittima espiatoria della Troïka20 in seno alla quale la BCE gioca un ruolo chiave.

La necessità di soluzioni radicali

La nuova crisi finanziaria che è in arrivo si iscrive in un contesto più ampio di crisi sistemica del capitalismo globale. Questa crisi sistemica è multidimensionale: economica, ecologica, sociale, politica, morale, istituzionale, …
Occorre rompere in maniera radicale con la logica che guida oggi i governi in carica e prendere delle decisioni urgenti. All’opposto del sistema attuale che offre l’impunità e dei paracadute dorati ai responsabili delle debacles, è necessario far pagare il conto dei salvataggi bancari a quelli e quelle che ne sono responsabili.
Le misure annunciate per disciplinare le banche sono semplici artifizi. La supervisione centralizzata delle banche della zona euro, la creazione di un fondo europeo di garanzia dei depositi, l’interdizione di certe operazioni (che toccano solo il 2% delle attività bancarie globali), il tetto massimo per i bonus, la trasparenza delle attività bancarie o ancora le nuove regole di Basilea III21 non costituiscono altro che delle raccomandazioni, delle promesse o, tutt’al più, delle misure del tutto insufficienti in relazione ai problemi da risolvere. Ora è necessario imporre delle vere regole molto strette e non aggirabili.
Questa crisi dovrebbe essere risolta con la realizzazione di misure che toccano la struttura stessa del mondo della finanza e del sistema capitalista [3].
Il compito della banca è troppo serio per essere lasciato nelle mani del settore privato. È necessario socializzare il settore bancario (ciò che implica il suo esproprio) e di porlo sotto il controllo cittadino (dei dipendenti delle banche, dei clienti, delle associazioni e dei rappresentanti degli attori pubblici locali), perché deve essere sottomesso alle regole di un servizio pubblico e i profitti che la loro attività genera devono essere utilizzati per il bene comune.
Il debito pubblico assunto per salvare le banche è chiaramente illegittimo e deve essere ripudiato. Un audit22 cittadino deve individuare gli altri debiti illegittimi, illegali, odiosi, insostenibili … e consentire una mobilitazione tale che un’alternativa anticapitalistica credibile possa prendere forma.
Queste due misure devono essere iscritte in un programma più vasto che noi abbiamo disegnato in un altro lavoro. (Vedere: Gilet gialli: imparare la storia e agirenel presente)
Le banche centrali devono essere radicalmente rifondate, le loro missioni devono essere ridefinite. Esse devono assumere di nuovo il ruolo di creazione monetaria in favore del settore pubblico e contribuire attivamente al finanziamento della transizione ecologica e alla lotta contro l’ingiustizia sociale.
La mobilitazione cittadina e l’auto organizzazione sociale costituiscono la conditio sine qua non alla la realizzazione delle diverse soluzioni proposte.

* Traduzione di Aldo Zanchetta
* Fonte: CADTM

NOTE TECNICHE
1 In generale, il termine <> fa riferimento a un bene che possiede un valore realizzabile, o che può generare dei ritorni. Nel caso contrario, si parla di <>, vale a dire la parte del bilancio costituita dalle risorse di cui dispone un’impresa. (i capitali propri apportati dai soci, gli accantonamenti per i rischi e gli impegni come pure i debiti.
2 I titoli del debito pubblico sono dei prestiti che uno Stato contrae per finanziare il proprio deficit (la differenza fra le sue entrate e la sue spese). Esso emette allora differenti titoli (titoli di stato, certificati del tesoro, buoni del tesoro, obbligazioni lineari, note di debito, etc) sui mercati finanziari -soprattutto oggi- che gli procureranno denaro in cambio di un rimborso futuro con interessi ad una certa scadenza (da 3 mesi a 39 anni). Esistono un mercato primario e un mercato secondario del debito pubblico.
3 Capitali di cui un’economia o una impresa può disporre in un determinato momento T. Una mancanza di liquidità può portare un’impresa alla liquidazione e una economia alla recessione.
4Quando A prende a prestito del denaro da B, B rimborsa il montante prestato da A (il capitale), ma anche una somma aggiuntiva detta interesse, affinché A abbia un interesse ad effettuare questa operazione finanziaria. Il tasso di interesse più o meno elevato serve a determinare l’importanza degli interessi.
5 Valore mobiliare emesso da una società per azioni. Questo titolo rappresenta una frazione del capitale sociale. Esso da al titolare (l’azionista) il diritto di ricevere una parte dei benefici distribuiti (il dividendo) e di partecipare alle assemblee generali.
6 La Borsa è il luogo in cui vengono emesse le obbligazioni e le azioni. Un’obbligazione è un titolo di prestito (chi la emette la vende al compratore la deve rimborsare a un tasso e a una scadenza determinata) e una azione è un titolo di proprietà di un’impresa. Le azioni e le obbligazioni possono essere rivendute e riacquistate a piacere sul mercato secondario della Borsa (il mercato primario è il luogo in cui i nuovi titoli vengono emessi per la prima volta). L’obbligazione (bond in inglese) è un titolo di debito emesso da società o enti pubblici che alla scadenza attribuisce al suo possessore il diritto al rimborso del capitale prestato all’emittente, più un interesse su tale somma.2
7 La Banca Centrale europea è un’istituzione europea localizzata Francoforte, creata nel 1998. I paesi della zona euro le hanno conferito le proprie competenze in materia monetaria e il suo ruolo ufficiale è di assicurare la stabilità dei prezzi (lottare quindi contro l’inflazione) in detta zona. I suoi tre organi di decisione (il consiglio dei governatori, il direttorio e il consiglio generale) sono tutti composti dai governatori delle banche centrali dei paesi membri e/o degli specialisti <>. I loro statuti la vogliono <> politicamente ma essa è influenzata direttamente dal mondo finanziario.
8 Parte di un prestito emesso da una società o un ente pubblica. Il detentore dell’obbligazione, l’obbligazionario, ha diritto a un interesse e al rimborso del montante sottoscritto. Egli può, se la società è quotata, rivendere il proprio titolo in borsa.
9 I bond sovrani o titoli di stato sono emessi dai governi o enti pubblici assimilati e si caratterizzano per la loro relativa sicurezza, godendo della garanzia pubblica. Negli ultimi anni, con la crisi del debito sovrano esplosa nell’Eurozona, i rendimenti di questi titoli hanno segnalato sempre più il rischio avvertito dal mercato, specie in relazione a quello di altri paesi, misurabile attraverso lo spread (differenza di rendimento tra due titoli (azioni, obbligazioni, titoli di stato).
10 Un prodotto strutturato è un prodotto in generale concepito da una banca. Spesso è una combinazione complessa di opzione, di swaps, etc. Il suo prezzo è determinato in base a modelli matematici che modellizzano il comportamento del prodotto in funzione del tempo e delle diverse evoluzioni del mercato. Sono spesso prodotti venduti con dei margini importanti e opachi. Lo swap appartiene alla categoria dei derivati ed è un contratto con il quale due controparti A e B decidono di scambiarsi somme di denaro (più comunemente la differenza tra queste ultime) in base alle specifiche del contratto stesso, specifiche che determinano la classificazione per tipologie dei contratti swap.
11 Derivato di credito : Prodotto finanziario la cui sottostante è un credito o un titolo rappresentativo di un credito (obbligazione). Lo scopo del derivato è di trasferire il rischio relativo al credito, senza trasferire l’attivo spesso con uno scopo di copertura. Una delle forme più correnti di derivato di credito è il Credit Default Swap.
12 Capitali conferiti o lasciati dai soci a disposizione di un’impresa. Si deve fare una distinzione fra fondi propri in senso stretto detti anche capitali propri (o capitale duro) e i fondi propri in senso allargato che comprendono anche debiti subordinati a durata illimitata.
13 Titolo spazzatura o junk bond, in inglese, è un titolo obbligazionario dal rendimento elevato, ma caratterizzato da un alto rischio per l’investitore.
14 La banca centrale di un paese gestisce la politica monetaria e detiene il monopolio dell’emissione della moneta nazionale. Le banche commerciali sono obbligate ad approvvigionarsi di moneta presso di essa secondo un costo di approvvigionamento determinato dai tassi regolatori della banca centrale.
15 Mercato dei capitali a lungo termine. Esso comprende un mercato primario, quello delle emissioni, e un mercato secondario, quello della rivendita. Oltre ai mercati regolamentati ci sono i mercati per accordo diretto che non sono tenuti a soddisfare condizioni minimali.
16Crescita negativa dell’attività economica in un paese o in un settore almeno durante due trimestri.
17 Il FMI è stato creato nel 1994 a Bretton Woods (assieme alla Banca Centrale, sua istituzione gemella). Il suo scopo era la stabilizzazione del sistema finanziario internazionale regolando la circolazione dei capitali. Ad oggi ne sono membri 188 paesi, come per la Banca Mondiale. La Banca Mondiale possiede un capitale apportato dai paesi membri e soprattutto trova prestiti sul mercato internazionale dei capitali. Essa finanzia progetti di settore, pubblici o privati, destinati ai paesi del Terzo Mondo e dell’ex-blocco sovietico.
18 Modifica al ribasso del tasso di cambio di una moneta rispetto alle altre.
19 Innalzamento cumulativo dell’insieme dei prezzi (per esempio, un innalzamento del prezzo del petrolio che trascina successivamente un riaggiustamento dei salari verso l’alto, seguito dall’innalzamento di altri prezzi, etc.). L’inflazione comporta una perdita del valore del denaro perché, nel tempo, occorre un montante superiore per procurarsi una certa merce. Le politiche neoliberiste cercano di combattere prioritariamente l’inflazione per questa ragione.
20 Troika : FMI, Commissione europea e Banca centrale europea, che assieme impongono tramite prestiti misure di austerità ai paesi in difficoltà.
21 Da Wikipedia: Basilea III è un insieme di riforme, sviluppate dal  Basel Committee on Banking Supervision della BIS per rafforzare la regolazione, la supervisione e la gestione dei rischi nel settore bancario e finanziario.

Il Comitato di Basilea,  formato dai governatori della banche centrali e capi della supervisione, hanno sottoscritto l’accordo alla base di Basilea III nel settembre 2009 e il Comitato ha concretizzato la proposta nel dicembre dello stesso anno. I documenti consultivi sono alla base della risposta alla crisi finanziaria e fanno parte delle iniziative su scala globale per rafforzare la regolazione del sistema finanziario avviato dai leader del G20 (ndt).

22 Da Wikipedia: L’audit è una valutazione indipendente volta a ottenere prove, relativamente a un determinato oggetto, e valutarle con obiettività, al fine di stabilire in quale misura i criteri prefissati siano stati soddisfatti o meno (ndt).
Note delll'autore
[1] Concordo con la conclusione dell’articolo di François Chesnais già menzionato: “Innanzi tutto sono le politiche pubbliche di austerità praticate ovunque, ma anche una situazione nella quale le imprese e la grande distribuzione devono persuadere delle famiglie il cui potere di acquisto ristagna a comprare, al di là dell’indispensabile quotidiano, delle cose che già possiedono. Parallelamente nella catene mondiali del valore gli emettitori di ordini premono sempre più i subfornitori e i trasportatori marittimi e terrestri lungo tutta la catena. La curva di accumulazione del capitale denaro generatore di interessi rafforza in tutti i paesi il peso economico e politico dei gestori di fondi e delle fortune dei manager dei gruppi finanziari industriali e commerciali interessati unicamente alla sicurezza dei flussi di interesse e alla massima distribuzione dei dividendi. Così i processi con effetto di contrazione che dominano l’economia mondiale si accompagnano a una accelerazione della dilapidazione delle risorse minerarie, della deforestazione e dell’esaurimento della fertilità dei suoli. Parallelamente, il montante degli investimenti pubblici richiesto da ogni “transazione ecologica” è irrealizzabile senza l’annullamento dei debiti pubblici che è più che mai una rivendicazione democratica assolutamente centrale”.
[2]  Sugli utili odiosi realizzati dalla BCE sulle spalle del popolo greco vedere : Eric Toussaint, « Les profits odieux de la BCE sur le dos du peuple grec », http://www.cadtm.org/Les-profits-odieux-de-la-BCE-sur pubblicato il 13 Ottobre 2017 e « La politique de la Troïka en Grèce : Voler le peuple grec et donner l’argent aux banques privées, à la BCE, au FMI et aux États dominant la zone euro », http://www.cadtm.org/La-politique-de-la-Troika-en-Grece-Voler-le-peuple-grec-et-donner-l-argent-aux publicato il 20 Agosto 2018.
[3]  Io sono del tutto d’accordo con il contenuto dell’articolo di Michael Roberts : <<Stagnation laïque, politique monétaire et John Law », https://www.anti-k.org/2019/03/16/stagnation-laique-politique-monetaire-et-john-law/, consultato il 17 marzo 2019.
Traduzione di Aldo Zanchetta e Giulia Heredia

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