[ 31 luglio ]
«L’affermazione di Bagnai è assolutamente corretta, dal mio punto di vista —ma perché Bagnai non è un eroe della sinistra e l’abbiamo lasciato alla destra? Certo lui farà anche male, quelli sono inaffidabili, ma la sinistra, credetemi, fa salire proprio la rabbia».
Per capire la crisi più lunga che l’Europa sta attraversando, le cause del crollo delle economie nazionali e il perché dovremmo pensare, sapendo che non sarà un percorso facile, a liberarci dalla gabbia dell’Europa e dell’euro, proviamo ad andare a lezione di economia. L’intervista che segue a Sergio Cesaratto professore ordinario di Economia internazionale, Politica monetaria europea e Post-Keynesian Economics presso l’Università di Siena, autore del saggio “Sei lezioni di economia”, offre un panoramica sui macrotemi dell’economia e sulle dinamiche originarie che hanno portato il mondo del lavoro e l’economia europea in un loop da cui è necessario uscire al più presto.
D. Professor Cesaratto, lei è un economista eterodosso rispetto agli economisti marxisti che ritengono ancora oggi valida la legge sulla caduta tendenziale del saggio di profitto. Ci può spiegare in breve in cosa consiste il suo disaccordo sulla teoria del valore?
R. Se ne discute da 150 anni, difficile rispondere in poche righe. Ricardo sapeva già che la teoria del valore lavoro non funziona rigorosamente, e anche Marx. Questi cerca una soluzione, e si avvicina in un certo senso a quella di Sraffa. Tale soluzione alla teoria dei prezzi e della distribuzione comporta l’abbandono del valore-lavoro, ma non dell’idea che i profitti derivino dallo sfruttamento, L’abbandono della legge tendenziale della caduta del saggio del profitto non dovrebbe poi preoccupare. Quella legge è basata sul valore-lavoro e perciò è sbagliata. Perché, inoltre, dovremmo attenderci che il capitalismo cada come una pera matura? Attardarci su una legge previsione sbagliata porta a errori politici rilevanti: si trascura il ruolo della scarsità di domanda aggregata e della distribuzione diseguale nel determinare la crisi del capitalismo, per esempio. Si ritiene il capitalismo irriformabile, in tal modo trascurando gli spazi che vi sono potenzialmente per conquiste sociali nell’ambito di una economia di mercato (con un maggior ruolo dello Stato, naturalmente).
Si afferma sempre più e da voci autorevoli nel campo dell’economia che questa Europa è irriformabile e così com’è oggi ha come unico obiettivo lo smantellamento di tutti i sistemi finanziari e degli spazi nazionali.
D. Allora, professor Cesaratto, può dirci le motivazioni fondanti e spiegarci il perché?
R. Che l’Europa sia irriformabile siamo purtroppo ancora in pochi ad affermarlo. Non può cambiare per ragioni politiche: è un consesso di nazioni diverse. La solidarietà europea, persino fra i lavoratori, è nei sogni di certa sinistra. I lavoratori tedeschi od olandesi non hanno nessuna fantasia di risolvere i nostri problemi. Aver messo assieme la moneta con queste altre nazioni è stata una follia. Lo sa perché molti a sinistra hanno cambiato idea sull’Europa? Lo han fatto dopo essersi trovati a discutere con la sinistra europea, socialista, sindacale ma non solo. Ricordiamo che anche in Podemos, oltre che in Syriza e per la maggioranza della Linke l’argomento Europa è tabù.
D. La crisi in atto ha come punto nevralgico la mancanza di sovranità monetaria nazionale e quindi di banche CENTRALI nazionali?
R. Direi di sì. Un po’ di flessibilità del cambio avrebbe dato ossigeno alla nostra economia. La questione gira tutta attorno a questo nodo. Taluni lo negano.
D. Tutta colpa del neoliberismo, dell’ordoliberismo tedesco (economia sociale di mercato) e delle banche? O c’è anche dell’altro? E tra liberismo e ordoliberismo quali le differenze sul ruolo del rapporto fra Stato e mercato?
R. Attenzione, “economia sociale di mercato” è un termine trappola da non indentificarsi con una genuina socialdemocrazia. Distinguere fra liberismo e ordoliberismo è complicato, anche perché non c’è un unico liberismo. Il liberismo estremo assegna allo stato un ruolo marginale; il liberismo compassionevole gli assegna un ruolo di regolazione dei mercati e di tutela dei più deboli; l’ordoliberismo è più complesso a definirsi. Per certi versi ha un contenuto di mercantilismo (pensiero che ha una grande tradizione in Germania via cameralismo e Friedrich List): lo Stato si mette al servizio del mercato. L’ordoliberismo è una sorta di mercantilismo liberista. Nel modello tedesco i sindacati vengono cooptati via con determinazione. Lo Stato c’è eccome in Germania: è un vero comitato d’affari della borghesia.
D. Con una Italexit dall’euro e dall’Europa, progetto non fruibilissimo, promosso anche dalla piattaforma Eurostop quali rischi e quali vantaggi s’incontrerebbero nel il sistema economico e finanziario nazionale? E come andrebbero a finire debiti e crediti?
R. I rischi sono molti, dall’isolamento politico a quello economico. C’è incertezza ovviamente sui vantaggi di un cambio flessibile, sebbene io propenda a ritenere che questi vi siano (a meno di ritorsioni). Il problema del debito estero non ridenominabile è serio. Naturalmente tutto si può affrontare e tutto si aggiusta, se le circostanze storiche ci portassero a una rottura. Questa non appare tuttavia all’orizzonte. Probabilmente verrà consentito all’Italia di tirare a campare. Del resto questo è nella tradizione tedesca: dobbiamo aiutare l’Italia a tenere la bocca appena fuori dall’acqua perché non affoghi, disse Helmut Schimdt nel 1975 in occasione di un prestito tedesco all’Italia (lo ricordavano spesso Marcello De Cecco e Nando Vianello). Del resto l’andamento demografico del paese ne fa vedere la lenta scomparsa, con i giovani più brillanti (finché ve ne saranno) che emigrano, e con le più modeste aspirazioni di vita di chi arriva. Un triste destino per un paese dall’immenso patrimonio culturale. Ma i suoi lettori mi daranno del rosso-bruno. Del resto, l’assenza di un orgoglio nazionale è un’altra caratteristica della “sinistra” (non certo della Resistenza).
D. Passiamo al suo “Sei lezioni di economia (conoscenze necessarie per capire la crisi più lunga), il suo ultimo saggio. Non è un testo decriptabile per tutti, quindi a quale fascia di lettori lo ha destinato e per quali fini? Forse per smontare le convinzioni di chi pensa ancora “È l’Europa a chiedercelo”?
R. Il testo è decriptabile a chiunque ci si metta seriamente sopra. L’ho scritto certamente per un pubblico relativamente giovane, più fresco di studi. Ma è rivolto a tutte/i, del resto perché interessarsi di politica se si dice che di economia non si capisce nulla? Il libro dimostra che l’economia è alla portata di tutte/i, certo nulla si ottiene senza un po’ di fatica. L’economia “mainstream” si ammanta di latinorum per mostrarsi impenetrabile ai più, ma è solo un mantello che copre la pochezza. Ma a sinistra il disinteresse per l’economia ha radici profonde. Da un lato essa non è mai stata riformista nel senso nobile dei padri del socialismo. Riformismo vuol dire concretezza. La sinistra italiana è astratta, intellettualistica, spesso retorica —infatti sono recentemente andati per la maggiore certi economisti simil-Saviano, anche se ora fortunatamente la loro affabulazione sta venendo a noia. Una volta, tanti anni fa quando il manifesto lanciò l’ennesima delle sue inutili campagne —la camera di compensazione mi sembra si chiamasse— sentii Alberto Asor Rosa, il noto intellettuale, dire con grande autocompiacimento di uno di questi econo-affabulatori: “Non capisco quello che dice, però mi sembra bravo”. Ecco questa è la sinistra, ci si autocompiace di parlarsi addosso. Dall’altro, poi, l’economia è oggi delegata a Bruxelles o Berlino, per cui ci si parla a sinistra in maniera autoreferenziale, come si vede dal tormentone sulla lista di sinistra, tutto politique politicienne. Bertinotti pare Togliatti al confronto! Al massimo a sinistra si parla di diritti civili. Ma lì si è tutti d’accordo (la gente comune spesso di meno). E mi faccia aggiungere. L’idea di ricostruire la sinistra “dal basso” con la Costituzione come asse è assai debole. I leaderini locali di un comitato per l’acqua pubblica più quelli del comitato per il no non fanno un progetto (e tantomeno radicamento in grandi masse). E la Costituzione fissa alcune direzioni, ma non come perseguirle. Non basta agitare i principi senza porsi il problema di come realizzarli.
D. Teoria del sovrappiù, ovvero la differenza fra il prodotto finale e i reimpieghi. È la prima lezione del saggio in cui intervengono i suoi ipotetici studenti ponendole domande specifiche sulla teoria. Per i lettori meno esperti può fornire un esempio di applicazione pratica di questa teoria? Fra quali classi sociali oggi viene ripartita?
R. Nel libro si mostra come la teoria del sovrappiù apra il tema della diseguaglianza, e questa quello della scarsità di domanda aggregata nel capitalismo. In questa luce si interpreta il mercantilismo tedesco. Gli antropologi economici, che utilizzano il concetto di sovrappiù (quello che avanza del prodotto sociale una volta pagate le sussistenze ai lavoratori), identificano con l’emergere del sovrappiù agricolo lo sviluppo della civilizzazione ma anche quello della diseguaglianza. Quest’ultima ha preso diverse forme nella storia (le forme economiche di Marx). Il capitalismo sta tornando, dopo la parentesi della “golden age” dovuta alla sfida socialista, ai suoi aspetti peggiori. L’immiserimento del proletariato previsto da Marx, e per il quale è stato ridicolizzato, sta avverandosi. Si era arrestato per le lotte del movimento operaio e nazionali, non perché il capitalismo arrechi giustizia sociale.
D. Nella seconda lezione si parla di economia marginale, riferendosi alla rivoluzione marginalista di fine XIX secolo. Vi è in questa teoria l’idea di individui con il doppio ruolo di proprietari e consumatori. Quali riferimenti ha con Ricardo e Marx con cui la teoria sembra essere in contraddizione. Mentre Ricardo afferma che il libero mercato non conduce al pieno impiego i marginalisti affermano il contrario…
R. Sì, le teorie “borghesi” di Smith e Ricardo non hanno nulla a che vedere col marginalismo, tant’è che Marx è un economista ricardiano. Rispetto a Ricardo storicizza il modo di produzione che sta esaminando, naturalmente. Due capitoli del libro spiegano come l’approccio del sovrappiù sia compatibile con la visione di Keynes.
D. Professor Cesaratto, nella quarta lezione si parla di moneta e vincolo estero. Ci avviciniamo al problema sovrano. Secondo la teoria cartalista e i sostenitori della Modern Monetary Theory “una moneta è accettata per i pagamenti nella misura in cui lo Stato assicura che con quella moneta si possano a pagare le imposte”. Come funziona con le banche, ovvero qual è il sistema di pagamento fra banche che infine si rivolgeranno a una banca centrale “la banca delle banche”, che detiene la loro riserva bancaria?
R. Il fatto che la moneta emessa da uno Stato sovrano sia accettata per i pagamenti in quanto può essere utilizzata per pagare le tasse, la nota tesi cartalista, non implica però che questa medesima moneta sia accettata dagli stranieri per pagare le importazioni. L’esistenza del vincolo della bilancia dei pagamenti, per la maggior parte dei paesi del mondo, è centrale in ogni discorso economico. Anche se potessimo tornare alla lira, l’ammontare di importazioni sarebbe per noi vincolato dalla valuta internazionale (valuta pregiata) che ci procacciamo con le esportazioni, materiali e immateriali. Purtroppo l’MMT sta propagandando la falsa tesi che il vincolo estero non esiste. Lo crede un gruppetto di economisti americani e australiani contro tutta l’economia eterodossa e anche ortodossa.
D. L’Uem (Unione economica monetaria) rassicura quindi i correntisti con questa funzione, ma questo non è avvenuto durante la tragedia greca del 2015, quando i correntisti furono costretti al razionamento giornaliero dei prelievi, ridotto a 60 euro al giorno. Cosa avvenne in effetti?
R. Sono contrario ad accusare Draghi di ogni male. Il Presidente della BCE fa il suo mestiere e lo fa bene, piaccia o meno. Non piace ai Tedeschi, che sono degli ottusi; non piace a certa sinistra che deve trovare un colpevole per il fallimento di Tsipras. Personalmente non lo accuso di nulla. La situazione greca era ed è drammatica, proprio per un drammatico vincolo estero. La sinistra dovrebbe imparare a guardare le cose per come stanno: le strade erano due: chinare la testa o andarsene. Uscire voleva dire misure da economia di guerra (è ridicolo, per tornare a quanto detto sopra, perorare che essa potesse uscire dall’euro e pagare le importazioni stampando dracme). Quindi controllo delle importazioni, razionamenti vari ecc. Ma di questo a sinistra non si discute, alle brigatekalispera piace ballare il sirtaki in piazza Syntagma. Il manifesto è poi l’agitprop di Syriza: i giornalisti greci a Roma sono comparabili a quello che Saddam dichiarava quando, coi carri americani a Bagdad, parlava di vittoria imminente. Questo impedisce ogni seria riflessione.
D. Quali sono attualmente per le banche i Paesi dell’Ue finanziariamente non affidabili?
R. Tutti i paesi sono affidabili sino a quando la BCE garantisce i loro titoli di Stato, e grosso modo lo fa —vedremo poi quando Draghi se ne andrà nel 2019 e verrà il falco Weidmann, uomo della Merkel. E sono affidabili sino a quando applicano moderazione fiscale, che è volta a tenere sotto controllo il loro indebitamento estero. Al momento non vedo segni di crisi finanziarie. Potrebbe essere l’ottusità tedesca, o una grave crisi politica in Italia (ma un Enrico Letta lo si trova sempre), a riaccendere la crisi. A proposito, anche sul proporzionalismo a tutti costi della sinistra avrei da ridire.
D. Secondo il suo collega Bagnai, se l’Italia tornasse ad un’ipotetica lira o altro conio nazionale, “il principale beneficio di un riallineamento nominale, sarebbe di aprire qualche spazio fiscale. In assenza di riallineamento, ogni politica fiscale espansiva comprometterebbe l’equilibrio esterno.
R. L’affermazione di Bagnai è assolutamente corretta, dal mio punto di vista —ma perché Bagnai non è un eroe della sinistra e l’abbiamo lasciato alla destra? Certo lui farà anche male, quelli sono inaffidabili, ma la sinistra, credetemi, fa salire proprio la rabbia.
D. Con la vittoria di Macron il pericolo scampato dalla Francia di ‘andare in bocca’ alla Le Pen’ introduce un elemento di stabilizzazione nella crisi europea e il populismo lepenista ha subito secondo lei una battuta d’arresto?
R. Non mi sono rallegrato per la sconfitta della Le Pen, certo non l’avrei votata, ma la sua sconfitta ha ora messo a tacere le proteste anti-europee, piaccia o non piaccia. Non sono francamente ottimista. Le scelte sono fra un adeguarsi al gioco europeo, quindi tentare di riguadagnare competitività attraverso un renzismo migliorato (insomma il ritorno al disastroso duetto Bersani- Letta). Questa strategia non ha futuro perché la ripresa della produttività dipende dalla ripresa della domanda interna, quindi dalla fine della deflazione marca europea. Ma dentro l’euro, senza un po’ dello spazio fiscale di cui parlava Bagnai, questo è impedito. Fuori dall’euro è un’incognita, ma quando il gioco si fa duro... Ma la sinistra italiana non è dura, è molliccia, melensa, autocompiaciuta, chiacchierona. Non sa di economia perché non le interessano i problemi, è autoreferenziale. Basta con i “ripensare la sinistra”, “cerchiamo ancora”, locuzioni del genere, questo arrovellarsi autoreferenziale, la sinistra grumble grumble. Quello che si deve sapere lo si sa. Io non ho soluzioni, ma conosco i problemi. So per esempio che la causa principale dello smarrimento della sinistra è la fine del socialismo reale. Quanti ne sono consapevoli? Pochi, ma del resto la sinistra è libertaria, e quel crollo ha acriticamente approvato.
Per il poco che posso organizzerò a Roma in autunno qualche evento di riflessione in merito. Conosco gli obiettivi più immediati: piena occupazione, giustizia sociale, più intervento pubblico. Le strade vanno cercate formulando varie ipotesi e scenari. Questo è discutere di contenuti. Se mi permettete un annuncio. Di tutto ciò ne parleremo a Roma il Campidoglio il 9 settembre con Leonardo Paggi, Antonella Stirati, Michele Prospero, Massimo D’Antoni, Onofrio Romano e Nello Preterossi (non sarà una passarella, saranno intervento meditati e con un comune sentire), e a seguire tavola rotonda con Fratoianni, Anna Falcone, Speranza, Lerner e Fassina. Organizza Sinistra per Roma. Personalmente non permetterò che i politici parlino politichese. Spero che l’assenza di esponenti comunisti sia casuale, l’avevo espressamente richiesta e mi batterò perché siano presenti.