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sabato 27 luglio 2019

FATE TACERE DI MAIO di Sandokan

[ sabato 27 luglio 2019 ]

Ieri Di Maio ha rilasciato una lunga intervista a SKY TG24.  Ha detto cose ... "che voi umani"...

Delle diverse chicche ne debbo segnalare almeno tre.

La prima: si è vantato che i parlamentari europei 5 Stelle sono stati determinanti nell'eleggere la Ursula Von Der Leyen.

La seconda: alla giornalista che gli segnalava le parole di Salvini per cui, ove il ministro Tria si mettesse di traverso all'adozione di una finanziaria espansiva, dovrebbe lasciare il suo posto, Di Maio ha risposto che "queste polemiche sono dannose, io ho piena fiducia in Giovanni e Giuseppe".

Quindi la terza chicca: la giornalista chiede cosa egli pensi della proposta leghista della flat tax. Risposta: "stiamo discutendo del nulla... se si abbassano le tasse sono contentissimo, ma ancora non ho visto le coperture".

Dalla prima chicca abbiamo una conferma che dopo tanti tira e molla, molteplici zig-zag, l'attuale Movimento 5 Stelle ha abbandonato ogni discorso no-euro ed è entrato armi e bagagli nel campo europeista.

Dalla seconda sappiamo che Di Maio ha schierato il M5S con il partito eurista di Mattarella. Se prima avevamo tre governi in uno, adesso (ed è un cambiamento di rilievo) ne abbiamo due: da una parte la Lega dall'altra il blocco Conte-Tria-Di Maio. Il che fa la stragrande maggioranza nel Consiglio di ministri. Quale legge di bilancio possa partorire questo blocco è facile immaginare. Dietro l'angolo a me pare ci sia l'uscita della Lega dal governo.

Dalla terza che vien fuori? Vien fuori che le giravolte di Di Maio non sono estemporanee, che sono invece il risultato di un'adesione, non solo al campo eurista, ma all'ideologia ordoliberista. Vien fuori chiaro dal suo invocare "le coperture",  il vero e proprio primo comandamento dell'ordoliberismo euro-tedesco. In sostanza: rispetto pieno del famigerato "pareggio di bilancio", che in concreto significa non ad una Legge di bilancio in deficit, se riduzione delle tasse deve esserci la si faccia ma solo con altri tagli alla spesa pubblica e con ulteriori privatizzazioni dei beni pubblici.

La situazione è chiara. Terrorizzato all'idea che si vada ad elezioni anticipate che segnerebbero un nuovo crollo del Movimento, Di Maio è oramai aggrappato alla sottana di Mattarella ed è diventato la ruota di scorta del regime.

La sua scomparsa dalla scena politica come un pagliaccio sarebbe solo rimandata.


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mercoledì 29 maggio 2019

AL POSTO DI DI MAIO... di Sandokan

[ 29 maggio 2019 ]

NON POTEVA ESSERE DIVERSAMENTE.


La DRAMMATICA disfatta elettorale del Movimento 5 stelle sta provocando un terremoto che tocca i suoi vertici politici.
Domani gli iscritti sono chiamati a votare sulla piattaforma Rousseau per dire sì o no alle dimissioni di Di Maio come "capo politico".

Tante MALELINGUE già dicono che sarà una consultazione truccata, che tanto decideranno i capoccia in camera caritatis. Voglio sperare che non sarà così.

Dico subito che le dimissioni di "giggino" sono auspicabili. Della batosta infatti, dato che grazie ai suoi "super-poteri" e letteralmente saltando da una Tv all'altra è APPARSO l'unico simbolo del M5S, egli ne porta le principali (non certo esclusive) responsabilità.

Domanda: chi sarà eventualmente il successore di Di Maio come capo politico?
Non so voi ma io vedrei bene, come "capo politico", Gianluigi Paragone. Improbabile, mi suggeriscono i maligni, poiché troppo intelligente a verace antieuro.
Gira la notizia che Di Maio sarà rimpiazzato da Di Battista, col che il Movimento darebbe un segnale di ritorno alla radicalità delle origini. Come subordinata potrebbe andare bene.Ma Di battista si candida davvero? e che dice?
Per sapere quel che dice si deve andare alla sua pagina facebook di oggi.
Tra le pieghe del discorso leggiamo:
«Abbiamo fatto un mucchio di cazzate evidentemente. Cazzate politiche, strategiche, comunicative, di atteggiamento».
Esatto! Il problema è che resta sul vago e si guarda bene dal dirci quali siano state queste "cazzate". Insomma, non scopre le sue carte. Prima o poi, più prima che poi, sarà costretto a farlo ove Di Maio facesse l'auspicato un passo di lato. In questo caso gli attivisti del M5S saranno tenuti a scegliere chi prenderà il suo posto. E allora vedremo quale sarà, tra le due principali anime (quella radicale e quella moderata), quale avrà la meglio.

Una cosa però Di Battista, alla fine — chi ha orecchie per intendere intenda —, la dice:
«Siamo sempre stati impertinenti e sfrontati di fronte al potere. Continuiamo ad esserlo anche se al potere ci siamo noi. E un'ultima cosa. Provate a pensare che non abbiamo nulla da perdere. Nè ruoli, né poltrone, né carriera. Sono gli altri i politici di professione, non noi. Perché è proprio quando non si ha più nulla da perdere che si ricomincia a vincere.»
Solo una dichiarazione d'intenti, direte voi. Meglio comunque del gattopardismo (europeista) del Di Maio.



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venerdì 19 ottobre 2018

TROVATE LA QUADRA! SUBITO! di Piemme

[ 19 ottobre 2018 ]

Un autogol che ha dell'assurdo. 
Per la precisione un doppio autogol.

Come avevamo previsto la Commissione europea ha dichiarato formalmente guerra al governo italiano. Lo ha fatto con due mosse.

Anzitutto respingendo la Legge di bilancio giallo-verde — mai la Commissione di Juncker aveva usato un giudizio tanto duro: "deviazione senza precedenti del Patto di stabilità e crescita" —; quindi lanciando al governo, per metterlo in ginocchio, un incredibile ultimatum: "Rispondeteci entro mezzogiorno di lunedì" (!).

Ebbene, mentre qui si entra in una situazione critica che presto potrebbe diventare d'emergenza e chiede massima compattezza e determinazione — non si tratta solo di difendere la Legge di bilancio che qui oramai è in ballo il principio della sovranità nazionale —, scoppia una lite tra le due forze governative. Quel che è peggio è che essa scoppia con modalità che sono grottesche, assurde. 

Di Maio che invece di risolvere il contenzioso con la Lega in camera caritatis va a denunciare quello che lui ritiene un atto proditorio compiuto dall'alleato nel più infido dei salotti televisivi. Un autogol impressionante, non fosse che per l'ingenuità con cui è stato fatto. 

D'altra parte come non segnalare l'autogol della Lega? Per raccimolare una somma più che modesta di quattrini, ha introdotto, a vantaggio di pochi ricchi farabutti, una sanatoria di alcuni gravissimi illeciti tributari fornendo così ai nemici un'arma letale per discreditare e governo e Legge di bilancio  (ma su questo torneremo in dettaglio questa sera).

Ecco quindi che è scattata, da parte del partito disfattista dello spread, quello che vuole che l'Italia resti una semicolonia asservita all'euro-germania, una virulenta campagna di sputtanamento allo scopo di dar manforte all'offensiva di Bruxelles. 

Ci si chiede come mai questi clamorosi autogol? Certa stampa di regime gongola e avanza la tesi che la disputa tra M5s e Lega è l'inizio della fine dell'alleanza e del governo, che sia Di Maio che Salvini vorrebbero precipitare la loro sfida nelle urne.

Sarebbe un esito clamoroso quanto disastroso.

Fatela finita e trovate subito la quadra! Oggi stesso.














domenica 14 ottobre 2018

"DUE RAGAZZE A TORINO" di Luigi Di Maio

[ 14 ottobre 2018 ]

Venerdì hanno manifestato, in molte città, gli studenti, medi anzitutto. Chiedevano cose sacrosante, anzitutto di difendere la scuola pubblica, di chiudere coi tagli all'istruzione, ecc.
Le mobilitazioni sono state promosse da organismi studenteschi riferibili alla sinistra radicale.
A Torino alcuni manifestanti hanno dato fuoco a due manichini di Di Maio e Salvini. Un'azione simbolica che riteniamo del tutto sbagliata, non fosse che perché, volendo o meno, porta acqua al mulino dei poteri forti. Due ragazze sono state denunciate per vilipendio. 
Riteniamo doveroso riportare quanto  dichiarato in merito da Luigi Di Maio.

*  *  *

«Oggi due ragazze di 17 e 18 anni a Torino, durante una manifestazione studentesca, hanno dato fuoco a due manichini, uno con la mia faccia. È una cosa che non avrei mai fatto e che infatti in passato non ho mai fatto, ma i ragazzi, i giovani hanno tutto il diritto di protestare, anche con toni forti perché per troppo tempo la politica è stata sorda ai loro bisogni. Possono anche andare oltre righe, un po’ come ha fatto il MoVimento nella sua storia, a patto di non andare contro la legge e di non usare violenza. Quello mai.

Ora i tempi sono cambiati e al governo c’è una forza politica che fa dell’ascolto e della partecipazione il suo tratto distintivo. Urlare va bene, ma non c’è bisogno di sgolarsi. Le porte del ministero sono aperte a tutti e le mie orecchie pure. Le ho aperte ai riders, ai disoccupati, ai lavoratori, agli imprenditori. Sono aperte anche a tutti gli studenti che vogliono portare proposte per la scuola, per l’università e per il futuro del Paese. L'istruzione, i percorsi di formazione, i nuovi lavori sono tutti temi importantissimi per il Paese e in cui gli studenti devono essere coinvolti perché ne va della loro vita.


Dopo le manifestazioni, confrontiamoci insieme per scrivere una nuova storia. Le due ragazze sono state denunciate per vilipendio delle istituzioni e per l’accensione di fumogeni. Spero che la denuncia per vilipendio, un reato di epoca medievale, venga archiviata il prima possibile e che inizi un percorso sereno di confronto con gli studenti. 


La repressione non porta mai nulla di buono. Sono stato rappresentante studentesco per 5 anni della mia vita e so quanto sia importante la pressione politica per ottenere dei risultati. Le porte sono spalancate per chi ha voglia di confrontarsi. Avete la mia parola».




mercoledì 3 ottobre 2018

IL GOVERNO "FASCISTA" MANTIENE LE PROMESSE...

[ 3 ottobre 2018 ]

«Al governo bisogna riconoscere che non solo ha accettato la nostra proposta, ma il ministro Di Maio è venuto di fronte ai cancelli e ha mantenuto ciò che ha promesso». [Daniele Calosi, segretario generale della Fiom-Cgil di Firenze]
Il CORRIERE DELLA SERA di oggi da conto dell'accordo appena raggiunto alla Bekaert di Firenze: nessun licenziamento, cassa integrazione per i 318 dipendenti, ciò reso possibile dal primo decreto del governo che reintroduce la cassa integrazione cancellata dal Jobs act di Renzi.

*  *  *

BEKAERT: ACCORDO NELLA NOTTE
di Marco Gasperetti

Attività produttiva garantita sino a fine 2018, cassa integrazione per tutto il 2019 e poi un processo di reindustrializzazione e ricollocazione. Risultato: nessun licenziamento per i 318 lavoratori della Bekaert, la fabbrica ex Pirelli di Figline Valdarno che per la prima volta ha beneficiato del decreto governativo per ripristinare la cassa integrazione che il Jobs Act del governo Renzi aveva cancellato. Anche il cantante inglese Sting aveva espresso solidarietà agli operai e a luglio aveva deciso di suonare davanti alla fabbrica. L’accordo è stato firmato al ministero dello Sviluppo Economico nella notte dopo dieci ore di trattative. «Siamo riusciti a raggiungere un accordo, che ha evitato che l'azienda procedesse oggi 3 ottobre al licenziamento di tutti i lavoratori», ha confermato Ferdinando Uliano, segretario nazionale della Fim-Cisl.

L’intesa prevede anche un sistema di incentivazione all'uscita per ogni dipendenti che si differenzia a secondo della anzianità (meno di 15 anni, da 15 a 25 anni, oltre 25 anni) che vanno da 16, 20 e 24 mensilità e che diminuisce con il trascorrere dei 12 mesi. Per facilitare la ricollocazione per le aziende esterne all'attuale perimetro aziendale, ad ogni assunzione a tempo indeterminato riceveranno, in aggiunta a quanto già previsto dalla normativa attuale, 10.000 euro per ogni assunzione a tempo indeterminato. La proprietà ha anche accettato di mantenere una parte dell'attività e in particolar modo la produzione del `filo tubo´ consentendo che preparto e macchinari fossero disponibili per una reindustrializzazione con eventuali assunzioni.

Positivi anche i commenti della Cgil. «La determinazione del sindacato dei lavoratori e di un intera comunità ha pagato, la solidarietà ha vinto», ha detto Daniele Calosi, segretario generale della Fiom-Cgil di Firenze che ha lodato l’iniziativa del governo. «Al governo bisogna riconoscere che non solo ha accettato la nostra proposta, ma il ministro Di Maio è venuto di fronte ai cancelli e ha mantenuto ciò che ha promesso», ha spiegato il sindacalista. Calosi ha infine sottolineato che «abbiamo voluto mettere nell'accordo le quantità economiche che le imprese che reindustrializzeranno il sito di Figline metteranno come dote per chi assume: sono 40mila euro a lavoratore. Se assumeranno 100 lavoratori, saranno 4 milioni di euro che l'azienda darà come contributo. È come se lo stabilimento fosse regalato».



Il “concerto” di Sting del 18 luglio davanti alla fabbrica come atto di solidarietà dei lavoratori della Bekaert aveva sorpreso tutti. E lo stesso cantautore, che da tempo ha acquistato una tenuta nel Valdarno, aveva raccontato la sua esperienza in un lungo articolo sul Corriere della Sera

«Stare sulla linea del picchetto ha una risonanza emotiva per me. – aveva scritto tra l’altro Sting -. Sono nato e cresciuto a Wallsend, una città nel nord-est dell’Inghilterra. C’erano solo due fonti di impiego nella città, una miniera di carbone (ora chiusa) e un cantiere navale alla fine della mia strada, famoso per aver costruito alcune delle navi più grandi e più belle del mondo, tra cui la «RMS Mauretania» e la «RMS Carpathia». Ma quando l’industria navale britannica declinò negli anni Ottanta e Novanta il cantiere navale a Wallsend chiuse, lasciando l’intera comunità senza lavoro. Questa è stata l’ispirazione per il mio spettacolo «The Last Ship», che ha fatto il tour della Gran Bretagna all’inizio di quest’anno». Ricordando poi che la storia di Figline e la storia della mia città natale non erano solo collegate, «ma anche indicative di una questione mondiale, che deve essere affrontata con urgenza dai nostri economisti e dai nostri responsabili politici. Ovviamente le fabbriche si chiuderanno, poiché certi prodotti fabbricati diventano obsoleti, tuttavia ciò che viene raramente riconosciuto è l’importanza e il valore economico delle comunità che sono supportate quasi interamente da quelle fabbriche. Le multinazionali sanno come trarre vantaggio dalle comunità cresciute intorno a un luogo di lavoro, non si dovrebbero assumere la responsabilità della sostenibilità di tali comunità?».

Infine Sting scriveva che potrebbe essere legale chiudere un’intera fabbrica per ragioni economiche, ma si chiedeva se fosse giusto. «Cosa faremo noi umani se il lavoro, come lo definiamo attualmente, non esistesse più? Identità, dignità umana e comunità sono parte integrante dell’equazione macroeconomica. A mio avviso, l’economia, scollegata per ragioni di opportunità dai bisogni umani di base, diventerà insostenibile a lungo termine. Ringrazio le persone di Figline, i lavoratori della Fabbrica Bekaert e il sindaco della città per aver condiviso con me la loro storia. Mi impegno a raccontare questa storia ovunque io pensi che possa essere utile».

domenica 19 agosto 2018

REALI CONNESSIONI SENTIMENTALI

[ 19 agosto 2018 ]




Così LA STAMPA di regime, imbarazzata:

Ai funerali di Genova insulti e fischi ai vecchi politici, ovazioni per i loro eredi

«La folla assiepata presso l’ingresso delle autorità ha riconosciuto l’ex ministro della Difesa Pinotti, e lì sono iniziate le urla, ingigantite all’apparizione del segretario Pd Martina. «Andatevene», «basta» e «vergogna» sono stati gli epiteti più ricorrenti. Mentre poco dopo la stessa folla (dove si è distinta una specie di spontanea claque) si è spellata le mani all’arrivo un filo teatrale di Salvini e Di Maio. I quali sono arrivati insieme e, col passo sicuro di chi rappresenta il nuovo, esente dalle colpe passate, hanno preso posizione dietro alle bare. È stata la consacrazione, perfino un po’ selvaggia, della loro popolarità».

martedì 22 maggio 2018

SAVONA ALL'ECONOMIA, MATTARELLA A CASA! di Piemme

[ 22 maggio 2018 ]

Siamo stati facili profeti.

Scrivevo il 16 maggio:
«La campagna di paura è solo l'antipasto. Il peggio deve ancora venire. Lorsignori, usando Mattarella, tenteranno di uccidere nella culla il tentativo di un governo dei "populisti antieuropei". Nel caso non vi riuscissero, nei prossimi mesi, forse già nelle prossime settimane, scateneranno l'inferno. Il precedente del 2011 è noto. Noto è l'assedio a cui sottomisero la Grecia».
Non è servito smussare il "contratto". Non hanno giovato i ghirigori linguistici di Di Maio e Salvini. Né le rassicurazioni che "L'Europa non ha nulla da temere". Le élite eurocratiche avendo messo nel conto possibili dissimulazioni aspettavano i "populisti" al varco del Ministro dell'economia, che considerano, più ancora del Presidente del Consiglio, la cartina di tornasole per saggiare il grado di sudditanza e di fedeltà all'Unione europea, un presidio inespugnabile.

Mattarella (sulla disonestà di costui aveva ben detto Mazzei) non solo non "gradisce" Conte come Presidente del Consiglio (è già partita questa mattina la campagna di sputtanamento), ha posto il veto su Paolo Savona, che non è un sovversivo marxista, e nemmeno un autentico keynesiano. E' anzi un boiardo di stato che tuttavia non ha mai cessato di sostenere che la Terra è tonda, ovvero che l'euro è una "moneta sbagliata", che l'Unione europea, se non cambia radicalmente, è destinata a miglior vita, che è destituito di fondamento il dogma neoliberista per il cui il mercato capitalistico va lasciato a sé stesso. 

Delle posizioni del Savona abbiamo dato conto, al tempo, su questo blog: LETTERA A VAROUFAKIS E.... di Giulio Tremonti e Paolo Savona (gennaio 2015);  "NON CEDIAMO ALLA UE LA NOSTRA SOVRANITÀ FISCALE" di Paolo Savona (agosto 2015);  PAOLO SAVONA: "L'EURO? COSÌ È FALLITO" (maggio 2016); 

Questo è Savona e tuttavia, l'eurista Congregazione per la dottrina della fede che ha Mattarella come primate, lo ritene pericoloso, poiché non è un euroinomane, perché il suo tasso di europeismo non è sufficiente per guidare il Ministero. La "casta"? Altro che "casta", qui verifichiamo che c'è una vera e propria cosca di illuminati fuorilegge che vaglia e quindi decide chi debba guidare il Paese. Ove il criterio decisivo per assurgere alla guida non è la fedeltà all'interesse nazionale, né tantomeno alla Costituzione, bensì il grado di sudditanza all'euro-germania.

Si apre, ove Mattarella non recedesse dal suo veto e Di Maio e  Salvini non capitolassero, una crisi istituzionale gravissima e senza precedenti nella storia repubblicana. Il potere di "nomina" dei ministri da parte del Quirinale, siccome non siamo in un regime presidenziale, non significa che i ministri li scelga Mattarella. La composizione del governo, essendo esso un organismo strumentale del Parlamento (che rappresenta la volontà popolare)  è decisa dai partiti che hanno al suo interno la maggioranza. Il Presidente della Repubblica, in quanto garante dell'ordinamento costituzionale, può sindacare se e solo riscontri, nel programma di governo o nella lista dei ministri, profili di palese incostituzionalità. Qui abbiamo l'opposto, il paradosso per cui proprio il Quirinale, in quanto garante del "vincolo esterno" e delle oligarchie eurocratiche, si pone in aperto conflitto del dettato costituzionale. Mattarella compirebbe un gesto ancor più grave del suo sodale e mentore Napolitano.

Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento, quest'ultimo può e deve rimuoverlo ove esso si metta di traverso alla volontà popolare, ove cioè si ponga come eversore del principio cardinale della Costituzione.

Salvini e Di Maio hanno non solo il dovere ma l'obbligo di resistere ai veti del Quirinale. C'è di mezzo, oltre allo loro dignità politica, la democrazia in questo Paese, il principio della sovranità popolare e nazionale. Se chineranno il capo, se accetteranno il veto di Mattarella, questo sarà il segnale che sono dei pagliacci, che il nostro Paese resterà un protettorato. Questo esito va evitato, se serve con una grande mobilitazione popolare affinché Mattarella se ne vada.

Nessun dorma!

Ps

Voglio essere sincero: temo, come è stato scritto su questo blog, che il Di Maio sia "il problema", che sia il lato arrendevole della coalizione giallo-verde. Ove Di Maio si dimostrasse lo Tsipras italiano, ove la partita del governo fosse vinta da Mattarella, sarebbe una sconfitta per tutti i patrioti democratici. Grama consolazione che ciò sarebbe anche la fine del Movimento Cinque Stelle.





martedì 15 maggio 2018

IL PROBLEMA DI MAIO di Sandokan

[ 15 maggio 2018 ]

Non vi confondete. Non dico "il problema di Di Maio".
Togliete il complemento di specificazione. 
Dico proprio che Di Maio è un problema.
Un problema (leggi OSTACOLO) sulla via di un governo patriottico giallo-verde — oltre a quelli frapposti da Mattarella e dai poteri forti.
Non passerà molto tempo che sapremo cosa sta accadendo davvero nel negoziato tra leghisti e pentastellati.

La sensazione è che Di Maio, proprio lui, sia il Cavallo di Troia di lorsignori, di chi comanda davvero, della casta europeista che non vuole far entrare "i barbari" nella stanza dei bottoni.
Una sensazione avvalorata da quel che va dicendo Giulio Sapelli.

Che ha detto il Sapelli?
Ha detto, chiamato in causa dalla Lega, di aver dato la sua disponibilità a fare il Presidente del consiglio e che dopo un primo sì, è stato Di Maio a porre il veto.
C'è da credergli?
Oh sì che c'è da credergli!

E se stan così le cose, come interpretare il dietrofront di Di Maio?
In un solo modo: il capo politico di M5S ha ceduto alle pressioni della tanto vituperata "casta".

Poiché è certo che la "casta" e Mattarella non possono accettare come capo del governo un economista serio e keynesiano, noto per la sua immensa mole di libri critici del capitalismo casinò e dei meccanismi diabolici della Ue, un uomo tutto di un pezzo che avrebbe tenuto testa, in nome dell'interesse nazionale, ai vampiri di Bruxelles.
Sapelli ha poi rivelato che all'incontro di sabato sera con Salvini e lo stesso Di Maio, quest'ultimo avrebbe chiesto al Sapelli (udite! udite!): «Mi scusi, ma qual è la sua visione dell'economia?».

Abbiamo capito bene?  Che uno che pretende di fare il primo ministro non sa un'acca del pensiero di Sapelli...

Sì, uno di tal fatta può ben essere lo Tsipras italiano.
Solo un capo senza capo né coda né palle, ma con smisurata ambizione, può infatti candidarsi a tradire per trenta denari la spinta alla svolta radicale che è venuta dai suoi elettori...

martedì 1 maggio 2018

E ORA VEDIAMO CHI INCIUCIA... di Leonardo Mazzei

[ 2 maggio 2018 ]


Elezioni o governo destra-Pd: le responsabilità di Di Maio e quelle di Salvini

Non abbiamo risparmiato critiche a Di Maio, né prima né dopo le elezioni. La svolta, europeista e sistemica, di M5S l'andiamo denunciando da un anno ormai. Il tentativo di un accordo con il Pd si commenta da solo. E, tuttavia, giocate tutte le carte a disposizione, il leader pentastellato ha almeno detto di no al cosiddetto "governo del presidente", chiedendo nuove elezioni a giugno. Sul punto, invece, Salvini per ora nicchia. Domandiamoci il perché.

Che da questi due mezzi populismi - mezzi perché per l'altra metà abbondante compromessi con le forze sistemiche e la loro ideologia liberista - non ce ne venga fuori neppure uno minimamente decente, è un dubbio più che legittimo. Nondimeno, più del 50% degli elettori è lì che si è rivolto per colpire l'oligarchia, per uscire dall'austerità, per mandare a quel paese l'Europa. Un dato imprescindibile, che ci ha portato a pronunciarci per un governo M5S-Lega.  


Le stucchevoli sceneggiate degli ultimi quaranta giorni sono comunque agli sgoccioli. Siamo ad un passo dal momento della verità. Quel momento riguarda soprattutto Matteo Salvini. Perché ormai i casi sono due e solo due: o elezioni subito (al massimo nella prima metà di luglio) o nascerà un governo tra la destra ed il Pd.

Vediamo il perché chiarendo tre punti sui quali la confusione regna sovrana. E regna perché mentre i media del regime fanno il loro sporco lavoro, sul web scarseggia la capacità di sfuggire ai luoghi comuni ed ai trucchi semantici diffusi dagli strilloni di lorsignori.

Primo punto: non è vero che non si possa votare prima di settembre. 
E' vero che non lo si voglia. Che non lo vogliano cioè i poteri sistemici, intenti come sono a guadagnare tempo, fossero anche solo poche settimane. Ma non è affatto vero dal punto di vista della legge. Il testo unico della legge elettorale del 1957 dice semplicemente che «Il decreto (di indizione delle elezioni, ndrè pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale non oltre il 45° giorno antecedente quello della votazione» (comma 3, art. 11). Ciò significa che sciogliendo le camere entro il 9 maggio sarebbe possibile votare il 24 giugno. Ma, nel casino legale prodotto dai legislatori dell'ultimo quarto di secolo - quello, ovviamente, della "competenza" - gli azzeccagarbugli in servizio permanente effettivo hanno già trovato il cavillo per allungare i tempi. Si tratta del Regolamento applicativo della legge sul voto degli italiani all'estero, che fissa i primi adempimenti al 60° giorno antecedente al voto. 

E' questo un problema insormontabile? Ovviamente no. Si fa un decreto, approvato dal parlamento, riducendo quel termine ai 45 giorni previsti dal Testo Unico. E' solo una questione di volontà politica. Ma anche se non si volesse percorrere questa strada, c'è forse qualcosa che impedisce il voto nella prima metà del mese di luglio? Chiaramente no. C'è solo la consuetudine di non andare oltre giugno. Ma se è per questo anche il voto a settembre sarebbe altrettanto inconsueto. Però, si dirà, a luglio si va al mare! Ma come, da una parte si drammatizza la necessità di avere un governo nella pienezza dei suoi poteri e dall'altra si rinvia tutto per motivi balneari? Suvvia, siamo seri...
ABBRACCIO MORTALE...

La verità è che non c'è nessun impedimento legale, tantomeno costituzionale, al voto entro la prima metà di luglio. E che si tratti di un ipotesi plausibile ce lo conferma anche l'articolo di Ugo Magri su La Stampa di stamattina. La verità è che chi vuole rinviare lo vuol fare per ben altri motivi. Sul punto Di Maio ha dunque ragione da vendere. La sua richiesta a Salvini di presentarsi a Mattarella con la richiesta di elezioni subito sbarrerebbe la strada a qualsiasi inciucio.

Secondo punto: giugno-luglio o settembre pari non sono.
Si dirà che due o tre mesi non faranno poi tanta differenza. Ed invece la differenza c'è, eccome. Poiché al secondo round sarebbe francamente inimmaginabile il ripetersi della pantomima di queste settimane (vedi com'è andata in Spagna nel 2016), entro agosto avremmo di certo il nuovo governo nel pieno dei suoi poteri. Un governo che potrebbe prima ridisegnare gli obiettivi macroeconomici attraverso un nuovo DEF, per poi passare alla concreta stesura della Legge di Bilancio, vero banco di prova del grado di autonomia dai diktat europei. Viceversa, elezioni a settembre significherebbe ritrovarsi con una Legge di Bilancio fatta da un governo tra destra e Pd, un inciucio che ricalcherebbe esattamente i primi passi (governo Letta, benedetto da Napolitano) della precedente legislatura. Se a qualcuno questa conclusione sembrerà troppo drastica si legga con attenzione il punto seguente.

Terzo punto: il "governo del presidente" non esiste.
Lo ripeto: il "governo del presidente" non esiste. Esso è solo un trucco giornalistico, come lo fu quello di definire "tecnico" il governo Monti. Nonostante le disgrazie della democrazia di questa sciagurata stagione il nostro è pur sempre un regime parlamentare. Ogni governo ha una sua maggioranza parlamentare. Amen. Chi gli dà la fiducia è corresponsabile delle scelte di quel governo. Non c'è foglia di fico presidenziale, istituzionale o tecnica che si regga in piedi. Ora, siccome M5S ha detto chiaramente che vuole le elezioni, un tale governo potrebbe reggersi solo su una maggioranza destra-Pd. 

E' vero che Salvini ha sempre respinto l'ipotesi di un governo con il Partito Democratico, ma è altrettanto vero che - ad ora - non si è neppure pronunciato per le elezioni subito. Il che è altamente sospetto. D'altronde la sua insistenza nel voler tenere in piedi l'alleanza con lo Zombie di Arcore, qualche prezzo certamente lo impone. E dalle parti di Forza Italia se c'è una cosa che temono come la peste sono appunto nuove elezioni, tant'è che il suddetto zombie dice apertamente da mesi di lavorare ad un accordo con il Pd e con Renzi in particolare.

Solo fantapolitica? Lo spero sinceramente. Ma intanto stiamo ai fatti. Ed i fatti sono che M5S per ora ha soltanto sfiorato l'inciucio, mentre della Lega ancora non sappiamo. Ce lo diranno i prossimi giorni.


Addendum 1: sulla legge elettorale - Circola anche la favola che quello che chiamano "governo del presidente" dovrebbe riscrivere una nuova legge elettorale. Tutto ciò è semplicemente ridicolo, e prova ne è il fatto che tutti quelli che si esprimono per questa ipotesi non sanno poi dire su quale nuovo marchingegno dovrebbe convergere una qualsivoglia maggioranza parlamentare. Il fatto è che oggi non c'è nessuna soluzione in grado di avere questa maggioranza. 

Il discorso sarebbe lungo, ma qui andiamo con l'accetta: 1) Non è plausibile l'ipotesi di introdurre un premio di maggioranza, perché favorirebbe solo la destra e dunque non potrebbe avere il voto di M5S e Pd. 2) Idem per un sistema uninominale secco all'inglese, tipo Mattarellum. 3) A niente servirebbe tornare all'ipotesi del Tedeschellum in auge per breve tempo lo scorso anno, dato che produrrebbe risultati del tutto analoghi al Rosatellum in vigore. 4) In quanto al modello francese, sappiamo tutti che oltre ad essere pesantemente antidemocratico esso è semplicemente inapplicabile in un sistema bicamerale, come la stessa Consulta ha sentenziato. 5) Resterebbe il sistema spagnolo, che tanto piaceva ad M5S, ma a parte la complicazione di un ridisegno generale dei collegi, resta il fatto che anche questo modello determinava una maggioranza quando il sistema era bipolare, mentre oggi che non lo è più le alleanze sono necessarie anche a Madrid. 

Ora, è vero che la fantasia dei mascalzoni è fervida assai, ma in questo caso penso che dovranno rassegnarsi ad andare a nuove elezioni con il sistema in vigore. Che è assolutamente pessimo, ma meno di quello che costoro vorrebbero. Del resto sono stati proprio Pd, Forza Italia e Lega a votare non secoli fa, ma nell'ottobre 2017, il Rosatellum. Ricordiamolo ogni tanto. 

Tutto ciò è ben noto agli attori politici da cui dipenderanno le scelte dei prossimi giorni. Dunque chi dirà "nuova legge elettorale" lo farà sapendo di mentire. Lo farà solo per guadagnare tempo, per sé e per i poteri oligarchici che temono più di ogni altra cosa un governo non pienamente controllabile, peggio se permeabile alla profonda domanda di cambiamento che ribolle nel Paese.


Addendum 2: sull'economicismo e l'«autonomia del politico». Chi scrive non ha mai creduto all'ipotesi di un governo M5S-Pd. Questo per due motivi. Il primo è che un simile governo non avrebbe retto per più di qualche settimana. Il secondo è che si era capito fin dal principio come il niet di Renzi ad un governo con M5S fosse irremovibile.

La verità è che l'unico governo in grado di farcela - con mille difficoltà, diecimila contraddizioni e centomila pezzi d'artiglieria schierati contro - era il governo M5S-Lega. Non a caso il più voluto, quello ritenuto più "naturale" dalla grande maggioranza degli italiani. Al di là delle diverse considerazioni di merito, ogni altra maggioranza nascerebbe debole e destinata a vita grama. A qualcuno queste sembreranno banali note di buonsenso che nulla possono contro gli invincibili  disegni delle oligarchie. Ma fortunatamente il mondo reale è assai diverso da quello immaginato da costoro. Sta di fatto che alla fine il governo M5S-Pd, quello che lorsignori avrebbero considerato come il loro "male minore", non è nato.

E non è nato anche perché Renzi, certo per motivi ben diversi dai nostri, si è messo di traverso. Una cosa che dovrebbe far riflettere chi ritiene che gli attori politici siano semplicemente pilotati da quelli economici. Ed invece, anche in questa schifosissima epoca del dominio delle oligarchie finanziarie, esiste ancora l'«autonomia del politico». Beninteso, un'autonomia limitata. Fortemente limitata ma non del tutto annullata, specie in un periodo così tumultuoso, dove i progetti delle èlite sono tanti, spesso contraddittori. In un contesto come questo i dominanti non hanno mai una sola linea, il che se da un lato li rende più forti (sempre meglio avere un piano b), dall'altro li rende più divisi. Attenzione dunque alle visioni economicistiche che pretendono di dedurre sempre gli sviluppi politici in base ai semplici desiderata dei poteri economici. Specie in tempi di crisi le cose sono generalmente più complesse. E la vicenda politica di queste ultime settimane ne è una discreta dimostrazione. 

lunedì 30 aprile 2018

SUBITO AL VOTO! di Piemme

[ 1 maggio 2018 ]

Dunque Matteo Renzi ha affossato ogni possibile alleanza — Hops! "contratto di governo" — coi Cinque Stelle.
Meglio così, che sarebbe stata una  disgrazia: per il popolo lavoratore e per il Paese.

Per Luigi Di Maio, invece, disgrazia è già. Egli è bruciato: bruciato come primo ministro in pectore, bruciato come leader pentastellato.
E questa è una buona notizia.

Indisponente la sua boria governista, direttamente proporzionale ai suoi clamorosi cedimenti politici e programmatici. Morale della favola: a forza di fare salti mortali si è rotto l'osso del collo.

Si illude se pensa che col discorso fatto ieri possa rimettersi in pista.

Ma...
Ma, al di là della fuffa —"Noi siamo postideologici, né di destra né di sinistra —, una cosa giusta (una sola) il Di Maio l'ha detta: a questo punto, ha dichiarato, che si vada al voto, e che ci si vada a giugno.

Il rischio infatti, nel caso non si torni alle urne, è che la spuntino i poteri forti, che Mattarella tiri  fuori dal suo cilindro un mostro in nome della governabilità e della stabilità (di lorsignori): "del Presidente", "tecnico", di "larghe intese" o come diavolo si vorrà chiamarlo. Questo è infatti ciò che vogliono "i mercati", quindi le élite italiane ed europee ed i loro due principali partiti: Pd e Forza Italia. 

Vincerà il centro-destra? Sarebbe il male minore. Poi ce la vedremo.

Elezioni subito avrebbe un altro vantaggio, che non avremo tra i piedi Luigi Di Maio. A meno che Giggino, e la cupola che lo ha messo al posto di comando, non faccia fare alla regola ferrea dei due mandati la stessa fine delle altre, ovvero non se la metta sotto i piedi.

Di Maio, nel suo apologo di ieri ha concluso pomposamente: "i  cittadini debbono decidere o Rivoluzione o restaurazione!"

Rivoluzione, rivoluzione, e per questo devi toglierti di mezzo! Anche per la salvezza del Movimento Cinque Stelle.

martedì 17 aprile 2018

TRUFFA A CINQUE STELLE

[ 17 aprile 2018 ]

Una cosa così non si era mai vista!

La cupola M5S ha sostituito i 20 pdf del PROGRAMMA ELETTORALE (approvati dalla base) con altri totalmente diversi. Soprattutto in politica estera.

Noi l'avevamo denunciato ieri —SIRIA, DI MAIO, VERGOGNA.

Il Foglio conferma:
 «Qualcuno al vertice del partito, probabilmente Di Maio (...) con il placet di Casaleggio (...), ha sostituito il programma votato dagli iscritti con un altro completamente differente (...). I venti pdf che componevano il programma votato online (...) sono stati sostituiti da venti pdf diversi, a cui ne sono stati aggiunti quattro su temi mai proposti né votati su Rousseau».
Non ci credete? pensate sia incredibile?
Leggere per credere!



giovedì 15 marzo 2018

M5S/EURO: CRONACA DI UN VOLTAFACCIA

[ 15 marzo 2018 ]

Ego della Rete ha fatto un'interessante scoperta.
Vi ricordate quando il Movimento 5 Stelle si dichiarava contro l'euro?  Vi ricordate quando venne promossa la raccolta di firme (per cui tanti attivisti a cinque stelle si svenarono) per svolgere un referendum affinché i cittadini decidessero se restare o uscire dall'eurozona?
In occasione della raccolta di firme M5S aprì un sito, per la precisione fuoridall'euro.com.
Scoperta: questo sito è stato chiuso. Provate voi stessi a verificare.
Sia chiaro, non siamo stupiti.
L'assunzione di Di Maio come capo politico di M5S ha corrisposto alla svolta pro-euro.
Una svolta non improvvisa, ma venuta avanti a dosi omeopatiche.
Nel luglio 2017 il primo segnale (peloso) di svolta. In margine ad un convegno sul debito pubblico. Di Maio afferma: “Referendum? Prima dobbiamo governare e andare in Europa a farci rispettare”.
Nel settembre 2017, in una conferenza stampa, il Di Maio aumenta la dose: "referendum estrema
ratio"
Nel gennaio 2018, a campagna elettorale oramai iniziata, sempre il Di Maio esclama: "Euro? Non è più il momento di uscire".
L'altro ieri, 13 marzo,  l'aperta ammissione di tradimento: “Con noi l'Italia resterà nell'Ue, nella Nato e in Occidente".
Ecco quindi spiegato perché, in sordina e alla faccia della "democrazia diretta" e "dell'uno vale uno", la cupola pentastellata ha chiuso d'ufficio il sito fuoridall'euro.com.
E' il sigillo simbolico della svolta opportunista della cupola a cinque stelle.
Che forse stiamo dicendo che M5S deve stare per sempre all'opposizione?
Al contrario!
I cittadini, col voto del 4 marzo, hanno parlato chiaro: via la casta! mandare i servi dell'Unione europea, Pd, Forza Italia, all'opposizione! Che i "populisti" governino per porre fine all'austerità!

Questo è il mandato popolare che Di Maio dovrebbe rispettare, invece di calarsi le braghe e di dimenarsi per risultare accettabile alle élite oligarchiche.
Avrà, Di Maio, il coraggio di rispettare il mandato popolare? Di sfidare i poteri forti?
Noi ne dubitiamo.
A maggior ragione chi ha a cuore le sorti del Paese deve incalzare Cinque Stelle e Lega, che i numeri li hanno, a fare il governo. 
Altrimenti i nemici del popolo avranno modo di svolgere le loro trame e i loro inciuci affinché nulla cambi e tutto resti come prima.







sabato 3 marzo 2018

FLOP A CINQUE STELLE


[ 3 marzo 2018 ]

I sondaggi danno i Cinque Stelle in grande spolvero.
Sarà vero? Basterà, come sembra, fare il pieno nel Mezzogiorno?
Noi ne dubitiamo.

Sondaggi contro sensazioni...
Sensazioni che tuttavia vengono dal parlare con amici e gente comune.


Noi annusiamo, annusiamo e percepiamo che i Cinque Stelle non ripeteranno l'exploit del 2013.
Detto francamente non se lo meritano.
Si meritano anzi, per la svolta dorotea (che se lo dice Matteo Renzi c'è da credergli), ovvero democristiana, compiuta nell'ultimo periodo, una sonora batosta.

Una batosta che darebbe una lezione ad una cupola politica che si è montata la testa, assetata di gloria e di potere.

Sensazioni, le nostre, che parrebbero confermate dai numeri fatti (anzi, non fatti) col comizio di chiusura svoltosi ieri a Piazza del Popolo a Roma.

Una piazza semivuota. Un flop, a conferma che i grillini non hanno più alle spalle quella spinta di protesta popolare che li spinse tanto in alto.

Un flop che ci dice che non c'è più alcuna spinta dal basso.
Basta paragonare Piazza del Popolo ieri [le due foto sopra]

con Piazza San Giovanni [foto accanto], molto molto più grande e stracolma, la sera del 22 febbraio 2013

Ci sbagliamo?
Ce lo diranno le urne.
Ma quando si tratta di fare i conti non mostrateci le percentuali, che quelle non dicono mai la verità.

Mostrateci i voti assoluti, la somma totale dei voti ottenuti e quindi la si paragoni a quella del 2013.

Rinfreschiamo la memoria a Di Maio: nelle elezioni svoltesi il 23-24 febbraio 2013 il M5S ottenne 8.689.458 voti, che fece il 25,5% data la percentuale di votanti del 75,18%.


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