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martedì 28 maggio 2019

FRANCIA: IL DISASTRO FRANCE INSOUMISE di Jacques Sapir

[ martedì 28 maggio 2019 ]

Successo non pienissimo per il Rassemblement National, sconfitta attenuata per En Marche, una mezza sorpresa per gli ambientalisti e opposizione per il resto atomizzata, sia a destra che a sinistra: ecco il panorama politico che sta emergendo dopo le elezioni europee. Se gli avversari di Macron vogliono contare qualcosa, dovranno avviare cambiamenti radicali.

Le elezioni europee in Francia si sono basate principalmente su temi francesi. Questa è la prima lezione che se ne può trarre: erano un voto sul Presidente.

Questo spiega perché il numero di astensionisti è stato molto inferiore rispetto al 2014. Sebbene le classi lavoratrici, e anche i giovani, si siano ampiamente astenuti, il tasso di partecipazione è aumentato di quasi otto punti percentuali rispetto al livello eccezionalmente basso del 2014.



Il fallimento di Emmanuel Macron


Queste elezioni hanno visto il relativo successo del Rassemblement National (RN), che batte la lista La République En Marche (LREM) – Mouvement Democrate (MoDem)- Renaissance, guidata da Nathalie Loiseau. Il relativo insuccesso di questa lista, nonostante il sostegno attivo ricevuto da parte del presidente, è degno di nota. Emmanuel Macron aveva appoggiato oltre ogni decenza, visto il suo ruolo, la lista LREM. Questo sostegno, per molti aspetti scandaloso, non ne ha evitato il fallimento. È quindi una sconfitta personale e inciderà sulla capacità del presidente di rianimare la sua politica. Emmanuel Macron ora è costretto in una posizione difensiva e un po’ più screditato, sia a livello nazionale che a livello europeo.

Il successo della lista RN, guidata da Jordan Bardella, è innegabile, ma non si tratta affatto di un trionfo. L’RN fatica a riconquistare la percentuale del 24% ottenuta nel 2014.

L’insuccesso della lista Loiseau è comunque relativo, per due motivi: il primo è la percentuale ottenuta, superiore al 22% della lista LREM. Quindi non si tratta di un crollo.

La seconda ragione è il vero collasso, invece, del partito Les Républicains (LR), guidato da François-Xavier Bellamy. Con poco più dell’8% e il quarto posto, la lista LR subisce una vera e propria disfatta, che può solo mettere in discussione la direzione esercitata da Laurent Wauquiez. Una sconfitta che può essere spiegata dalla polarizzazione tra RN e LREM che si è imposta nelle ultime settimane della campagna.

Un certo numero di elettori di LR sono passati a uno di questi due partiti, e probabilmente più verso LREM che su RN. Questo non è sorprendente. Emmanuel Macron è diventato, a causa del movimento dei gilet gialli, il simbolo del partito dell’ordine. È quindi naturale che una parte dell’elettorato della destra legittimista, come una parte degli elettori di François Fillon nel primo turno della presidenziale 2017, si sia ritrovato tra gli elettori che hanno votato per la lista LREM.

Le conseguenze di questa situazione sono contraddittorie. Emmanuel Macron ha sicuramente limitato i danni e può cantare vittoria a breve termine. Ma il suo potenziale serbatoio di voti si è ridotto e ha esaurito le sue riserve. Ciò avrà conseguenze sulle prossime elezioni amministrative del 2020, perché i Repubblicani possono sperare di recuperare solo schierandosi apertamente all’opposizione, contro Emmanuel Macron. Liste unitarie ora sono meno probabili a livello locale. Tuttavia, è attraverso queste elezioni che la capacità di LREM di mettere radici a livello locale sarà persa o vinta, il che è la condizione della sua sopravvivenza e quindi della capacità di Emmanuel Macron di ripresentarsi nel 2022.



Il successo di EELV, il fallimento di France Insoumise


Il successo di Europe Écologie Les Verts (EELV) è indiscutibile. La lista dell’EELV arriva terza, con oltre il 12% dei voti. Ma bisogna ricordare che le elezioni europee sono sempre state favorevoli alle formazioni ecologiste. Le percentuali di domenica sera non sono il risultato più alto mai raggiunto dagli ambientalisti. Inoltre, questo risultato è collegato all’altra sorpresa di queste elezioni: il crollo, non c’è altra parola, della lista di La France Insoumise (LFI), guidata da Manon Aubry, così come il cattivo risultato registrato dalla lista del Partito Comunista Francese (PCF), guidata da Yan Brossat, con il 2,4% circa.

Per La France Insoumise il problema è più grave. Con poco più del 6,5%, alla pari con la lista di PS – Place Publique, LFI registra una sconfitta che è un vero disastro. Le cause sono note. Proprio come in Spagna, dove Podemos paga a caro prezzo le sue esitazioni e la sua politica confusa, LFI paga fino all’ultimo spicciolo il suo cambio di linea, che si è verificato a partire dalla fine della primavera 2018, e che ha provocato manovre interne indegne e l’esclusione o l’abbandono volontario dei cosiddetti “sovranisti di sinistra”.

L’abbandono della linea di “assemblea del popolo”, che ha portato Jean-Luc Mélenchon a quasi il 20% nel primo turno delle elezioni presidenziali del 2017, è la causa di questo collasso. Lo testimoniano le dichiarazioni di Jean-Luc Mélenchon, rilasciate nella serata di domenica 26: nelle frasi esitanti, nel vocabolario che si voleva gollista, appariva l’estrema confusione di quello che è il leader di fatto di LFI. La France Insoumise non potrà risparmiarsi una profonda autocritica, che implichi un raddrizzamento della linea politica – che dovrebbe tornare alle posizioni della primavera 2017 – e una istituzionalizzazione democratica, con strutture di funzionamento chiare e trasparenti.

Il problema principale è quello della linea politica. Alcuni, che sognano solo di riportare LFI sulle sterili posizioni di una unione delle sinistre, lo hanno capito bene. Abbiamo potuto vederlo durante la serata post-elettorale. Ma anche la questione della democrazia interna e della trasparenza ha giocato un ruolo in questa sconfitta. LFI non ha certo mostrato il suo volto migliore negli ultimi nove mesi. C’è tuttavia da temere che la vittoria del RN spinga alcuni dei quadri in una logica di farlocco antifascismo da operetta, mentre la logica dovrebbe essere quella di sfidare la presa di RN sulle masse rispondendo alle loro aspirazioni e rilanciando il tema della sovranità.



Sovranisti, il prezzo della divisione


Bisogna analizzare inoltre il fallimento delle diverse formazioni che rivendicano anche la sovranità. Pagano tutti la mancanza di maturità politica. Il partito di Nicolas Dupont-Aignan, Debout la France (DLF), a fronte della drammatica caduta della lista LR, a rigor di logica avrebbe dovuto progredire. E invece ha fatto marcia indietro rispetto al risultato del primo turno delle elezioni presidenziali. Un’analisi seria della strategia, ma anche dello stile di leadership, è essenziale come condizione per la sopravvivenza stessa di questo partito.

Questo vale anche per l’Union Populaire Républicaine (UPR) e Les Patriotes. L’UPR supera di poco l’1% e Les Patriotes si è fermata allo 0,7%. Eppure la loro esposizione mediatica è stata superiore a quella del partito animalista, arrivato circa al 2,4%. Siamo ben oltre il momento in cui bisogna smetterla con le esclusioni reciproche, con il comportamento settario degli uni verso gli altri. L’esistenza di tanti micropartiti non è giustificata e li condanna a vegetare, come avviene oggi. Si pone la questione di una fusione tra DLF, UPR e Les Patriotes, tanto più importante quanto è evidente il fallimento della strategia di DLF, che aveva moderato le sue posizioni sull’UE nella speranza di strappare qualche voto ai repubblicani. La legittimità dell’esistenza di questi tre partiti è posta direttamente in questione, dopo le elezioni europee del 26 maggio. E quando si rivendicano gollismo e sovranità, si dovrebbe dare una certa importanza alla questione della legittimità.



Un’opposizione in briciole?


Resta vero che, nonostante la RN, l’opposizione a Emmanuel Macron è a pezzi. La sua forza deriva dalla debolezza dei suoi avversari. Possono solo sperare di rifondare la loro legittimità e costruire le condizioni della loro unità attraverso i comitati per raccogliere i 4,7 milioni di voti necessari per il referendum sulla privatizzazione dell’Aéroports de Paris. L’impegno per questa campagna, senza alcun calcolo di bottega e senza esclusioni, sarà quindi nelle prossime settimane il test per capire se un’opposizione a Emmanuel Macron è in grado di ricostituirsi, ripartire e lavorare insieme, chiave per il suo successo.


martedì 6 novembre 2018

AHI, AHI, AHI MÉLENCHON...

[ 6 novembre 2018 ]

Mentre l'indice di gradimento di Macron è ai minimi (più basso di quello di Hollande, il che è un vero e proprio record) La France Insoumise è precipitata nei sondaggi all'11%. Un vero e proprio tracollo.

Come si spiega? Per i giornali francesi sarebbe tutta colpa di Melenchon, dei suoi errori clamorosi, del suo caratteraccio collerico, della sua incontenibile superbia.

Si riferiscono alla reazione avuta da Mélenchon il 16 ottobre scorso, mentre veniva perquisita la sede del movimento. Secondo la Procura Mélenchon avrebbe gravemente violato la legge sul finanziamento delle campagne elettorali. Il nostro è andato su tutte le furie, ed ha, come si dice, "sbroccato". Nel parapiglia Mélenchon ha urlato agli agenti ed al procuratore invettive che han fatto il giro di tutti i media: "La Repubblica sono Io !... la mia persona è sacra!".

Alla stampa di regime non è parso il vero. Ha scatenato una campagna per sputtanare Mélenchon e azzoppare La France Insoumise. "Affidereste la presidenza della Repubblica ad un leader che perde la testa in questo modo?".

Come se non bastasse, nei giorni successivi Mélenchon ha rivolto accuse pesanti ai giornali che stanno scavando sulle presunte irregolarità dal suo partito compiute.

Non c'è dubbio che nell'inchiesta giudiziaria c'è lo zampino di Macron, come è sicuro che la campagna di stampa è finalizzata a colpire La France Insoumise, già alle prese con una crisi politica interna.

Ciliegina sulla torta i giornali francesi il 4 novembre davano la notizia che il Consiglio dell'ordine del Grande Oriente di Francia, la più grande loggia massonica francese vuole espellere Mélenchon proprio per il modo scomposto con cui ha reagito alla perquisizione a  casa sua e nell'ufficio del movimento.

In poche parole Mélenchon è un massone. Cosa che lo stesso ha ammesso (Liberation del 4 novembre) ma precisando: 
«Entrai nella massoneria nel 1983... E' un'avventura assai lontana... Non ho mai avuto il tempo di andarci, ma sono restato fedele e da allora pago la mia quota».



venerdì 26 ottobre 2018

FRANCIA: BEN DETTO MÉLENCHON!

[ 26 ottobre 2018 ]

Jean-Luc Mélenchon, leader della France Insoumise, è una strana e alquanto impulsiva e oscillante bestia politica. Si dichiarò contrario, sull'immigrazione, all'accoglientismo a prescindere. Poi, forzato da una dura polemica interna a La France Insoumise, tornò sui suoi passi. Infine, governo Conte appena nato, Mélenchon sbrodolò sostenendo che si trattava di un governo fascistoide.
Ora però, mentre è travolto dai guai per una insidiosa inchiesta giudiziaria a suo carico, spiazza certi suoi amici italiani, sostenendo il governo giallo-verde in nome della sovranità nazionale e della resistenza all'oligarchia eurocratica. Bene così, ma non tornare suoi tuoi passi.

*  *  *


MÉLENCHON IL SOVRANISTA SOSTIENE IL GOVERNO ITALIANO
di Anna Maria Merlo

Jean-Luc Mélenchon, leader della France Insoumise, ha concluso una settimana di fuoco che lo ha visto scendere in guerra contro magistratura, stampa e «macronismo», e appoggiare il governo italiano contro i «nostri avversari», la Commissione Ue: «Evidentemente, prendo posizione a favore del governo italiano», in nome del «rispetto della volontà popolare». Senza entrare nel merito del budget italiano, rimandato al mittente dalla Commissione, e pure ammettendo che «si possono condannare le scelte politiche in Italia», Mélenchon insiste sulla sovranità: i governanti a Roma «hanno il diritto di decidere cosa è bene per il popolo italiano». Mentre sull’«identità nazionale francese», avverte che «è un’identità repubblicana che si confonde con le idee di sovranità popolare».

QUESTA PRESA DI POSIZIONE ha aggravato la divisione della sinistra in Francia. «Una rottura» per il segretario dei socialisti, Olivier Faure. «È la prima volta che la sinistra della sinistra va a sostegno di un budget difeso dall’estrema destra». «Se continua così, dove sono i disaccordi con Marine Le Pen?», si è chiesto l’ex segretario Ps, Jean-Christophe Cambadélis. Benoît Hamon, leader di Génération.s, è ormai più popolare di Mélenchon, dopo essere sceso in campo a difesa della «libertà di stampa», il “sorpasso” ha avuto luogo in seguito alla settimana di fuoco che ha visto il numero uno della France Insoumise dare in escandescenze per le perquisizioni di cui è stato vittima, strattonare un magistrato, trattare i giornalisti da «imbecilli» e «bugiardi». RadioFrance ieri ha sporto denuncia, in seguito agli insulti ricevuti dal giornalista che ha realizzato un’inchiesta sui conti della France Insoumise, sotto indagine sia per sospetti di sovrafatturazione durante la campagna delle presidenziali del 2017, sia per frode all’Europarlamento per il lavoro di alcuni assistenti parlamentari (in questo caso, su denuncia di una ex deputata Fn). Anche Mélenchon ha sporto denuncia, per «violazione del segreto istruttorio», contro Mediapart, perché ha pubblicato particolari sulla perquisizione al suo domicilio.

LE PERQUISIZIONI hanno avuto luogo martedì scorso, all’alba, in una quindicina di domicili e uffici di militanti della France Insoumise. L’irruzione degli agenti, giudicati troppo numerosi, ha fatto andare Mélenchon su tutte le furie: «Un’offensiva politica», ha detto in un video mandato su Facebook, messa in pratica attraverso magistrati al servizio del potere politico. Mélenchon si sente vittima, accusa governo e stampa (in realtà, per sospetti analoghi, tre eurodeputati del Fronte nazionale sono già imputati, il MoDem è sotto inchiesta, mentre controlli e perquisizioni sui conti della campagna elettorale sono stati realizzati anche per Macron, François Fillon è sempre sotto inchiesta, cominciata durante la campagna e che gli ha fatto perdere la presidenziale).

Mélenchon ha perso la calma anche perché i poliziotti hanno trovato a casa sua, alle 7 del mattino, Sophie Chikirou, la direttrice della comunicazione della campagna, principale sospettata per le sovrafatturazioni. Mediapart ha parlato di «relazione extra professionale di lunga data», Mélenchon ha invece affermato di aver l’abitudine di «ospitare i compagni» se si fa tardi la sera. Chirikou si è difesa accusando i giornalisti di essere «misogini».

IL RISULTATO di queste tensioni è la conferma che la sinistra andrà alle europee divisa e in conflitto. Un’inchiesta della fondazione Jean Jaurès rivela che un terzo dell’elettorato resta legato alle idee social-democratiche, pro-europee, di solidarietà, di apertura. Con la crisi di questi giorni, la France Insoumise si sta chiudendo sul suo nocciolo duro. Il Ps, che cerca un capolista (sta pensando a Ségolène Royal), ha perso l’ala sinistra, che si è avvicinata alla France Insoumise, non sembra più in grado di captare questo elettorato. Il Pcf corre da solo, alle europee c’è il proporzionale su base nazionale, è un invito a «contarsi». Génération.s di Hamon non è riuscito ad accordarsi con i Verdi, perché Eelv guarda con ottimismo ai risultati recenti in Baviera e in Belgio e si sente il vento in poppa. Poi ci saranno le liste Lutte ouvrière e Npa, in tutto 7 concorrenti a sinistra. E una parte di questo terzo di francesi aspetta ancora che Macron dica qualcosa di sinistra (alle presidenziali ha preso i voti di questo elettorato, in parte anche al primo turno).

* Fonte: il manifesto del 26 ottobre 2018

giovedì 11 ottobre 2018

MELENCHON: CHE FINE HA FATTO IL "PIANO B"? di J. Cotta

[ 11 ottobre 2018 ]

La città di Marsiglia è un villaggio in cui sembra impossibile non incontrarsi. O almeno questa è l’idea che sorge spontanea pensando all’improbabile incontro, venerdì 7 settembre, tra Mélenchon e Macron. 

Per la foto, la sequenza era perfetta [vedi sotto]. Quel che basta per rallegrare la giornata del Presidente della Repubblica, arrivato in città per incontrare A. Merkel, e quella di Mélenchon venuto nella sua circoscrizione. Nell’attuale contesto, contrassegnato dalla crisi di regime, dagli scandali e da una serie di provvedimenti a discapito delle classe popolari, dai giovani ai pensionati passando per i salariati, l’incontro tra i due avrebbe potuto essere se non teso, almeno franco e diretto. Soprattutto dopo che, solo qualche ora prima, Mélenchon aveva accusato Macron,riferendosi alla sua politica sull’immigrazione, “un grande xenofobo”. 

Ma, di fronte agli interessi, tutto scompare e lo stesso Mélenchon ha sottolineato che “si sarebbe trattato di una leggera esagerazione dovuta al dialetto marsigliese”. Dopo tutto come lo ha spiegato lo stesso Mélenchon intervistato su questa sua timida posizione nei confronti del Capo di stato, “il rispetto” spinge a “non litigare con il Presidente della repubblica, in un bar, a mezzanotte e mezza”. Ma non è questo il punto. E. Macron ha deciso i ruoli senza che il leader di F.I. discutesse su quello che gli era stato assegnato. Il suo vero avversario è, senza ombra di dubbio, il F.N.! Con J.M.L “abbiamo dei confronti politici, ma non è un mio nemico”. Ancora una volta Mélenchon non prende le distanze, non si smarca, è perfino cortese. Che si tratti di una mancanza di propositi o di un eccesso di fatica? O si tratta piuttosto del risultato di una manovra che condurrebbe sia Mélenchon che FI alla distruzione? 

LA LOTTA CONTRO IL POPULISMO
E. Macron ha fatto passare il suo messaggio. Ci si era impegnato dagli inizi di settembre e l’incontro con Mélenchon sembra capitare a puntino per dare l’affondo. Il 28 agosto, volando a Copenaghen, per recarsi poi ad Helsinki, il Presidente della repubblica aveva precisato il tema centrale della sua campagna europea, “l’asse dei progressisti” contro “l’asse dei nazionalisti”. Ignorando come scrisse Marx in “Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte” che “la storia si ripete due volte, la prima come tragedia la seconda come farsa”, Macron vorrebbe uscire dal vicolo cieco nel quale si trova e ripetere il colpo che lo ha portato a vincere le presidenziali. Di fronte all’estrema destra ed al fascismo che lo minaccerebbero, questa sarebbe la sola soluzione. Un gioco di ruoli, nel quale Macron è un vero esperto, è arrivato a confortarlo in questo tentativo. Orban, il capo di stato ungherese, e Salvini hanno così tuonato “l’altro campo, quello degli europeisti, capeggiato da Macron”, un colpo di fortuna per lo stesso Macron che ha risposto “Se hanno voluto vedere in me il loro più acerrimo nemico, hanno ragione… ci sarà una forte opposizione tra nazionalisti e progressisti in Europa” Che cosa dice Mélenchon della situazione all’interno dei diversi paesi in Europa? “Sono molto preoccupato” ha dichiarato il 20 maggio “non smetterò mai di ripetere che in tutta Europa la minaccia è immensa, in Ungheria, in Austria ed in Polonia ci sono fascisti ma sono comparsi anche nel Bundestag ed in Francia…” Ci sono delle similitudini evidenti tra le posizioni di JLM e quelle di Macron. Da notare che le esternazioni di Mélenchon sono meno recenti. Ma lasciamo perdere la data. Quel che conta è l’analisi e le conseguenze che ne dovrebbero logicamente seguire.

UN’ANALISI ERRATA
Lo spettro degli anni ’30 aleggia nei discorsi di Mélenchon e di Macron. Ognuno di loro, a suo modo, ne parla. Macron parla di populismo ogni volta che il popolo cerca di riprendere in mano le proprie sorti. Macron e Mélenchon parlano di razzismo e di xenofobia ogni volta che dei governanti europei esigono politiche migratorie diverse. Macron denuncia il sovranismo che Mélenchon si guarda bene dal rivendicare allorché un governo europeo decide una politica contraria alle esigenze dell’Unione europea e qualificano, come altro punto in comune, di Fascisti, senza distinzione, i governi ungherese, italiano, polacco, l’AFD in Germania, i “democratici” in Svezia, la FPO austriaca, o ancora il governo ceco, slovacco o croato, senza tralasciare, in Francia M. Le Penn ed il FN. L’analisi ancorché succinta delle forze delle forze politiche nominate, smentisce la parola usata sia da Mélenchon che da Macron.

Per quanto siano sgradevoli i rappresentanti di queste formazioni politiche che avanzano in una serie di paesi europei e per quanto siano poco frequentabili, non sono pertanto fascisti contrariamente a come vengono definiti da più parti. Rispondono effettivamente ai criteri di un fascismo che si rispetti? Sono per l’abolizione della democrazia? Al contrario, si vogliono democratici e fanno il gioco delle istituzioni e delle costituzioni che regolano i loro paesi. Rifiutano il suffragio universale? Anzi da lì traggono il loro potere. Un progetto totalitario? In generale, escluso il caso della Polonia, fanno adepti tra i post-sessantottini su una serie di fatti sociali che da noi i media ed alcuni rappresentanti politici metto sulla scala dei valori progressisti. Il responsabile olandese Theo Van Gogh, per esempio, è stato assassinato nel 2004, da un islamista perché denunciava
l’immigrazione musulmana in nome dei diritti dei gay e delle donne. La xenofobia? Ma cosa hanno da invidiare a Macron che parla degli italiani, alla Merkel quando parla dei greci o a Mélenchon quando si riferisce ai tedeschi? Tutto questo ha ancora meno senso perché gli aggettivi politici sono utilizzati come insulti e non per ciò che significano. 
Nazionalisti? Sono in generale abbastanza favorevoli all’America ed aderiscono all’Unione europea alla quale rimproverano, senza metterne in causa l’appartenenza, una linea troppo federale e poco democratica, che nega le nazioni, critica difficile da nn condividere. Il razzismo infine? Senza dubbio il razzismo è quello che ha resistito meglio, col passare del tempo, all’eredità storica di ogni nazione. La questione non ha molto di etico ma si inscrive in una realtà economica, politica e sociale. La distruzione delle nazioni sotto i colpi della mondializzazione che i nostri governi approvano ed incoraggiano, distrugge la nazione come quadro di vita comune. L’immigrazione è vista dalla gente comune come una nuova minaccia, aggressione che genera nuove difficoltà. L’opposizione all’immigrazione, che le buone coscienze sintetizzano come opposizione ai migranti, ha delle cause, anche in questo caso, politiche, economiche e sociali con le quali le buone coscienze morali, che qualificano chi si oppone alla migrazione come fascista, hanno poco da spartire. Se l’immigrazione è il metro di giudizio in base al quale vengono distribuiti brevetti di rispettabilità o messe al bando, se la politica in materia d’immigrazione permette di definire il fascismo allora le sorprese non sono finite.

Il governo italiano che guida un paese che ha accolto più di 650000 migranti è molto più democratico del signor Macron che fa controllare i veicoli improvvisando dei check-point alla frontiera con l’Italia. E, spingendoci ai limiti dell’assurdo, è molto più democratico dello stesso Mélenchon che dimentica di proporre all’Aquarius il porto della città della quale è deputato mentre il governo italiano, dopo aver fornito assistenza medica, scorta la stessa verso la Spagna. Se le questioni sociali permettono di qualificare come fascisti gli uni e progressisti gli altri, allora dobbiamo aggiungere alla lista una buona parte degli appartenenti a LR. Allo stesso tempo dovremmo dare al signor Soros il brevetto di rispettabilità così come dovremmo fare per altri rappresentanti del capitale finanziario che vedono nell’immigrazione che incoraggiano, a discapito di paesi depredati da decenni, il nuovo mercato degli anni a venire. I propositi di Macron e Mélenchon sostituiscono un sentimento morale ad una realtà politica. Il fascismo è una forma di dominio del capitale che in una situazione estrema ha bisogno di distruggere fisicamente le organizzazioni operaie, i sindacati, le associazioni, i partiti, i militanti. Nel momento in cui la borghesia non riesce più a smorzare le contraddizioni esplosive della società, sono le bande armate a dover assicurare l’essenziale, la centralizzazione del potere statale, la distruzione delle conquiste operaie, la liquidazione delle associazioni operaie e democratiche, l’annientamento dei sindacati, delle associazioni, dei partiti. Nulla di tutto questo. In Francia, per esempio, il partito socialista ed Hollande, in seguito a l’UMP e Sarkozy e prima di Macron e lo LREM, hanno fatto il lavoro. Per resistere, per durare, per compiere al proprio ruolo, un movimento fascista deve, in più, ottenere il sostegno attivo di una parte significativa del capitale. E’ necessario, prima di prendere il potere, che abbia testato la reale forza delle sue bande armate, delle sue milizie organizzate. Deve aver testato le sue reali capacità nelle prove di forza contro il salariato, contro il mondo operaio. E’ chiaro che nulla di tutto questo convalida gli aggettivi usati sia da Macron che da Mélenchon.

PROGRESSISTI CONTRO FASCISTI?
La conseguenza che domina negli argomenti di Macron, ma anche di Mélenchon, dovrebbe a rigor di logica, spingere a delle convergenze mortali. Gli strateghi di FI rischiano di inciampare. Infatti la storia ci insegna che quando il pericolo fascista è alle porte, i democratici devono, malgrado le possibili divergenze sulle politiche da attuare, unirsi per opporsi alla peste bruna. Questo è per altro il senso della campagna che Macron sta mettendo in atto in vista delle elezioni europee che ha come fine quello di dominare il ventaglio degli oppositori al “totalitarismo”. Non cerca semplicemente di presentare un raggruppamento dei progressisti agli elettori tradizionali di destra o di sinistra, ma, in maniera più amplia si rivolge a tutti coloro che prendono sul serio i discorsi sul pericolo fascista, populista e sovranista. Gli stessi discorsi che fanno gli eletti di FI.

E’ qui che troviamo ora Mélenchon il quale era, ancora poco tempo fa, fermo ad un bivio, mentre ora sembra aver preso una strada senza uscita. In questa lotta immaginaria contro il nemico alle porte, i veri problemi vengono relativizzati. Il piano di austerità in preparazione, di cui qualche indiscrezione come la soppressione di 1600 posti di lavoro al ministero dello sport, danno un ‘idea, la riforma delle pensioni, i nuovi tagli ecc Ovviamente, caso per caso, il leader di FI reagisce, appella alla mobilitazione, condanna. Ma a cosa serve mobilitarsi se il quadro politico non è stabilito? La politica di Macron segue, quado non le anticipa, le regole dettate dalla Comunità europea. Ad un anno dalle elezioni, il quadro dovrebbe essere quello basato sull’esigenza di sovranità nazionale, di difesa della nazione. E non questa tiritera sul fascismo della quale non si capisce bene né la portata né la funzione. Mélenchon è ad un impasse? Com’è possibile non vederlo? Qual è dunque la coerenza politica che ha portato a dilapidare tutto ciò che era stato accumulato da un anno a questa parte? Quando Hamon, in occasione delle presidenziali, aveva propost a Mélenchon un’alleanza, per tentare di nascondere la caduta libera del PS, Mélenchon, giustamente, aveva rifiutato. Ma, a settembre, durante l’Assemblea, il presidente di FI ritorna sulla questione della sua indipendenza. Così, durante L’università estiva di Causa comune a Marsiglia, di fronte ai militanti del PS e dello MRC, dichiara “che finisca questa lunga solitudine che mi ha separato dalla mia famiglia intellettuale ed affettiva…perché tanto calorosi sono stati gli incontri che mi hanno portato alla costruzione di FI, che, cari amici, mi mancate.” Qual è l’idea e fino a dove? Tutto questo ha il sapore di una sinistra socialista ricostituita che ci riporta indietro di trent’anni. Quanto può valere l’argomento della tattica elettorale per giustificare questo tentativo di unirsi a sinistra con coloro la cui politica, l’orientamento ed i programmi, hanno portato questo paese dov’è ed hanno permesso la vittoria di Macron? Mélenchon può pensare che dopo aver fatto le prove, durante le presidenziali, sulla questione nazionale, sia necessario ora dare dei contentini ad altri per allargare il raggruppamento e poi imporre la sua ideologia. Ma questo è illusorio. C’è un’incompatibilità di fondo tra i partigiani di una mondializzazione sociale, di una Unione europea accettabile, progressista ed una Europa democratica che rispetta la sovranità dei popoli e la libertà dele nazioni che decidono di cooperare tra loro.

* Fonte: Pardem
** Traduzione a cura di SOLLEVAZIONE





lunedì 24 settembre 2018

L'IMMIGRAZIONE E LE DUE SINISTRE: IL CASO DI FRANCE INSOUMISE

[ 24 settembre 2018 ]

Leggiamo sempre quanto scrive il compagno Alessandro Visalli sul suo blog Nella fertilità cresce il tempo. L'ultimo suo pezzo — Scontri in France Insoumisse sull’immigrazione: Kuzmanovic e Autain — cè degno di nota perché ci informa sul dibattito (e la lotta) interna a France Insoumise
Il pomo della discordia? 
L'immigrazione, ovvero, come diciamo noi l'anarco-immigrazione o immigrazione all'ingrosso. Nel tempo abbiamo segnalato le posizioni anti-no-borders di Bernie Sanders, di Jeremy Corbin,  dello stesso J.L. Melenchon e, per ultimo, di Sahra Wagenknecht
Il dissidio interno a France Insoumise segnala un cambiamento di posizione di Melenchon. Non ne siamo stupiti. Un segnale che Melenchon era giunto agli inizi di luglio, quando ebbe a dire in Tv che il governo giallo-verde era "fascista". Una davvero rozza scivolata. Un cambiamento di profilo politico che Melenchon ha confermato il 7 settembre scorso a Marsiglia quando ha incontrato Macron — Macron: “abbiamo un confronto politico con Mélenchon, ma non è mio nemico", e Mélenchon "certo!". Ci torneremo su quel che è emerso da quella amichevole chiacchierata...
Segnaliamo lo scontro in France Insoumise anche nel quadro delle grandi manovre a sinistra in vista delle elezioni europee. Le cosiddette "sinistre radicali" europee saranno in grado di fare un listone unitario? 
Per questo anche è degno di nota l'articolo di Visalli. Egli ritiene che la questione migratoria segni la linea di demarcazione simbolica tra due sinistre, quella pro-liberale e quella anti-liberale; quella che mette la libertà prima dell'eguaglianza e quella che, al contrario, sostiene che, nelle condizioni date, prima viene l'eguaglianza e per questo non sia né accettabile né fattibile la cosiddetta "accoglienza" per tutti.

*  *  *

Scontri in France Insoumisse sull’immigrazione: 
Kuzmanovic contro Autain
di ALESSANDRO VISALLI

Ci si avvicina alle elezioni europee, in Francia c’è una soglia di sbarramento al 5% che in questo momento sono sicuri di superare solo Macron (oltre 20%), Le Pen (altro 20%), France Insoumisse (da 12 a 14%) e i gollisti (al 14%). Le altre forze socialiste e comuniste, ed i verdi, sono vicino o sotto la soglia, quindi rischiano. In questo quadro France Insoumisse sta cercando di aprire le sue liste[1], lasciando disponibili quindici posti per la sinistra socialista di Emanuel Maurel ed al movimento di Chenènement. Come valuta qualche osservatore, si tratta di un tentativo di allargare anche alle classi medie (‘riflessive’) che erano state lasciante sullo sfondo nel precedente posizionamento su periferie e classi popolari.
Una spia di questo movimento è l’aspro scontro che ha visto coinvolto il Responsabile esteri all’inizio di settembre a partire da due articoli su Obs. Djordje Kuzmanovic ha scritto un articolo di appoggio alla svolta della Wagenknecht e la deputata Clémentine Autain lo ha duramente attaccato. Il risultato è che Mélenchon ha preso le distanze.

Leggiamo questi articoli.

Il primo articolo sostiene che “Il discorso di Sahra Wagenknecht è di salute pubblica”; il rappresentante di Insoumisse, che a luglio era presente ad un incontro a Roma, insieme ad un deputato tedesco molto vicino alla Wagenknecht, con il gruppo di Fassina e con Senso Comune[2], inizia con una narrativa molto familiare, attaccando con tutta evidenza Mitterrand[3], sostiene che trenta anni fa la socialdemocrazia ha deliberatamente scelto di costruire un’Unione Europea liberale, rinunciando a difendere le classi lavoratrici. Quindi si è schiacciata sulle posizioni della destra liberale, dalla quale però doveva differenziarsi elettoralmente. Allora si è concentrata su questioni che non sono specificamente ‘di sinistra’, ma liberali-radicali: femminismo, diritti LGBT, migranti.
Si tratta, riconosce, di questioni importanti che “non dovrebbero essere liquidate”, ma che allo stesso tempo “non possono essere separate dal cuore della lotta di sinistra: la difesa delle classi popolari e la lotta contro il capitale”.

Djordje Kuzmanovic


La sinistra si è invece accomodata in una sorta di “buona coscienza” che, in particolare sull’immigrazione di fatto “impedisce una concreta riflessione su come rallentare o addirittura fermare i flussi migratori”, che invece e probabilmente aumenterebbero per effetto dei cambiamenti climatici.
Sostenere che bisogna “accogliere tutti” è letto da Kuzmanovic come una posizione ingenua e controproducente quando il centro dell’attenzione deve essere andare contro le politiche ultraliberali, ad esempio, dice, “denunciando gli accordi di partenariato economico (APE) con i paesi africani. Accordi che distruggono i mercati dei paesi economicamente più deboli e creano miseria su larga scala, aumentando i candidati all’emigrazione”.

Il cambiamento di linea che indica il Responsabile esteri è causato, a suo dire, dalle emergenze che negli ultimi cinque anni si sono accumulate, le disuguaglianze in aumento e l’esplosione demografica. Il problema, però, non sono i migranti in sé, ma “la distruzione economica che spinge milioni di persone fuori dei loro paesi di nascita”.

Il giornalista a questo punto ricorda che alcuni sottolineano come le attuali politiche di aiuto in realtà rendano più mobili le persone[4]. In effetti è vero, si tratta di politiche che provocano una tendenza alla riconversione dell’economia africana tradizionale in economia rivolta all’esportazione di prodotti di base, e attraverso le catene logistiche e relazionali che si creano, incoraggia di fatto le persone sradicate a spostarsi[5]. Il paradigma proposto da Insoumisse è quindi diverso: lo chiama “protezionismo solidale”. Una linea simile al vecchio movimento Burkinabe di Thomas Sankara[6]: proteggere i paesi africani e le loro economie, impedendo che siano schiacciati dalle multinazionali e del debito, in una logica internazionalista di uguaglianza e rispetto per le nazioni. Lo spirito dei vecchi paesi non allineati e di Bandung, quello che nel suo ultimo discorso avrebbe voluto partisse da Addis Abeba[7].

Ma continua in modo molto opportuno che questo concetto si riproduce anche entro i confini europei, dove i paesi orientali, Romania, Bulgaria, ma anche Grecia, Portogallo ed Italia, vedono partenze di massa dei loro giovani più formati. Si tratta di un fenomeno di dumping sociale che interessa direttamente l’Europa e solo in misura minore i paesi dell’Africa sub-sahariana. Ma un processo che si estende ad anello: “i lavoratori polacchi non subiscono l’arrivo di lavoratori africani, ma ucraini”.

Venendo sul piano elettorale il problema non è tanto quindi di recuperare i voti che stanno andando a destra (Front National in Francia e Afd in Germania, o la Lega in Italia), ma la gran parte delle categorie popolari che tende ad astenersi. Il rischio, dice, “se non ci riusciamo, è trovarci in una situazione simile all’Italia, dove le forze progressiste sono in frantumi e la destra xenofoba è al potere”.

Qui cade la frase che dà il titolo: “il discorso che Sahra Wagenknecht ha fatto sulla questione della migrazione è di salute pubblica”.

Proseguendo si viene ad un punto cruciale: il sentimento di insicurezza culturale e di pericolo per la stabilità della propria forma di vita. Kuzmanovic ricorda che è stato candidato in un collegio del nord nel quale ci sono moltissimi immigrati (polacchi, italiani e marocchini) che “sono stati portati lì per fare i lavori più difficili”, ma nel quale il tasso di povertà è del 40% e la disoccupazione del 30%. In queste condizioni è naturale che ci sia un “sentimento di disintegrazione della propria cultura che è legato ad un regresso comunitario”. Una cosa che si spiega però con la crisi politica ed economica.

La tesi è semplice: “queste tensioni si ridurrebbero se fossimo in grado di combattere la precarietà. Condividendo la ricchezza prodotta che finisce prevalentemente nelle mani di pochi ultraricchi”.

All’obiezione, usuale, che connettere disoccupazione e migrazione porta vantaggi alla retorica dell’estrema destra, risponde in modo netto: “questa accusa è assurda”. Si tratta di una sinistra che ha dimenticato le tradizioni del movimento francese, i discorsi di Jaurès sul “socialismo doganale”, ad esempio. Se la sinistra parla come il mondo degli affari, di fatto avendo la stessa posizione degli industriali la cosa non può che essere un problema. Qui arriva uno dei punti che ha fatto scandalo: “quello che stiamo dicendo non è nuovo, è un’analisi puramente marxista: il capitale crea un esercito di riserva”. Si tratta di un meccanismo semplice, se si pagano male lavoratori privi di documenti c’è una pressione al ribasso dei salari[8].

L’argomento che sarebbe una tesi di destra per l’esponente di Insoumisse è “il risultato di una grave confusione tra gli ideali dell’illuminismo, che sostengono la libertà di movimento delle persone e delle idee, e cui siamo ovviamente legati, e il regime imposto dalla globalizzazione del capitalismo. Se potesse uscire dalla sua tomba sono convinto che Rousseau non sosterrebbe lo spostamento di masse di contadini da un paese all’altro. La libertà di movimento si scontra con un principio di realtà: cosa possono fare le masse di migranti climatici che partono da zone soggette a stress idrico, quando diventano migranti economici che arrivano in zone dove non c'è lavoro?”

Ciò non significa aprire la “caccia ai migranti”, ma, al contrario, “attaccare coloro che assumono i lavoratori illegali” e contemporaneamente avviare una massiccia regolarizzazione dei migranti irregolari, in modo da costringere i datori di lavoro a pagare salari decenti su un piano di parità con la legge. Quindi bisogna porre fine al dumping sociale intra-europeo. Sono i datori di lavoro che massimizzano i profitti sfruttando la miseria del mondo. Come avevo scritto in questo post, si tratta dell’integrazione trainata e governata dal mercato, e quindi intrisa di concorrenza di tutti contro tutti, ad essere il problema.

Naturalmente le poche decine di migliaia di persone che meritano lo status di rifugiato, che fuggono dalla guerra, come dicono le Convenzioni di Ginevra del 1957, 1962, vanno accolti. Così come non si può lasciare nessuno morire nel mediterraneo.
Ma se non hanno diritto allo status di rifugiato vanno “rimandate nel loro paese, e rapidamente”.

Invece chi è già qui va anche aiutato a ricongiungersi con la sua famiglia, “sarebbe inumano altrimenti”, ma “ciò che conta è assicurare una vita dignitosa per tutti e fornire i mezzi per assicurare un'integrazione riuscita, specialmente nella scuola repubblicana, ma sarebbe necessario interrompere la rottura dell'educazione nazionale”.

Alla domanda sulla difficoltà di distinguere tra “migranti” e “rifugiati”, un altro dei punti di attacco dell’ideologia “no border”, l’esponente di Insoumisse risponde che in effetti si tratta di una distinzione difficile, cosa che farà scoppiare il sistema.

In sostanza “l’ordine neoliberista globale ci sta conducendo direttamente al muro”.

Lo stesso giorno esce anche la posizione di Clémentine Autain, alla quale sono fatte le stesse domande. Alla fine della “buona coscienza” auspicata dalla Wagenknecht, risponde in modo vigoroso riaffermando la ricerca di congiunzione tra discorsi, azioni e principi etici connessi con “l’orizzonte emancipatorio”. L’ideale che anima la posizione è descritto come “umanista e internazionalista” e quindi indica la strada di “sopportare lo stigma” e riaffermare contro lo spirito popolare che lo straniero non è il capro espiatorio.

Clémentine Autain


Al discorso pragmatico di Kuzmanovic oppone un punto di vista espressamente identitario:

“Ogni volta che facciamo promesse al popolo sulla base del discorso dell'estrema destra, penso che stiamo perdendo la nostra anima e l’immagine. Dopo tutto, non siamo una setta, ma un collettivo vivente, quindi ovviamente abbiamo dei dibattiti fondamentali sull'apertura dei confini o sulle condizioni di accesso alla nazionalità ma non dobbiamo perdere il filo di ciò che ci anima, specialmente in quando il Mediterraneo si trasforma in un cimitero”.
Quindi sulla posizione della Wagenknecht afferma di non “voler suggerire” che ci sia un nesso tra disoccupazione e immigrazione. E di non voler raggiungere un nuovo elettorato se il prezzo è di prendere i temi dell’avversario politico, qui cade un tipico argomento “in genere l’originale è preferito alla copia”. Mentre l’estrema destra lavora sul risentimento e sulla costruzione del nemico, sostiene la Autain bisogna opporre una speranza basata sui diritti e le libertà.

Abbastanza sorprendentemente, però, per come ha condotto fin qui l’intervista continua:

“Sono d'accordo con Sahra Wagenknecht sulla descrizione del fenomeno che Marx chiamava ‘l'esercito di riserva’. Ma per evitare la concorrenza, bisogna operare per non abbassare i salari e le condizioni di lavoro. Alcuni potrebbero avere interesse a partecipare alle elezioni europee nel campo dell'identità. Dobbiamo invece metterlo su quello dell'uguaglianza. La costruzione europea e oggi la coppia Merkel-Macron hanno alimentato la competizione di tutti contro tutti. Sta a noi promuovere il legame e la solidarietà”.
In sostanza allinea una posizione identitaria di sinistra liberal (orientata a far prevalere la libertà sull’uguaglianza, che richiede meccanismi autoritaritativi e redistributivi che non possono essere immediatamente allargati a tutti) con una conclusione che indirizza all’uguaglianza. Un obiettivo privo degli strumenti per essere perseguito.

Alla fine, ad esempio, propone di allargare i criteri del diritto di asilo e di “sbattere i pugni sul tavolo” perché il peso sia ripartito in Europa, senza rimandare nessuno, né fuggito dalla guerra, né dalla miseria (o dai cambiamenti climatici che ne sono causa).

Alla domanda circa l’allontanarsi della sinistra dalle classi lavoratrici, con cui aveva cominciato Kuzmanovic, il deputato risponde con una posizione intermedia, da un lato ci sono gruppi come “Terra Nova” che propone di allontanarsi dal mondo del lavoro per concentrarsi sulla società, i giovani, le donne, gli immigrati (una classica posizione anni novanta[9]), dall’altra personalità come Christophe Guilluy propongono di tornare ad una agenda lavorista. A parere della Autain tutte e due le visioni sono vicoli ciechi, le questioni identitarie sono intrecciate a quelle sociali. Oggi la figura simbolica non è più l’operaio o il minatore, ma i cassieri dei supermercati, i lavoratori edili in nero, i giovani di McDo.

Kuzmanovic e la Autain hanno esattamente la stessa età, sono entrambi nati nel 1973, il primo è un ex militare, laureato in scienze politiche e geopolitica, che si è presentato nel collegio di Lens, dove la Le Pen fece il 58% e si presenta come candidato ‘patriottico’ che rivendica un ‘populismo di sinistra’. Seguendo l’eredità di Jaures, e talvolta citando l’eredità di Trotsky, Guevara o dell’Ira[10] il suo punto di battaglia è il Fronte Nazionale in un territorio devastato dalla chiusura di miniere, fabbriche e da delocalizzazioni. Sostiene la necessità di uscire dalla Nato ed è fortemente anti USA, nel 2009 si schiera contro l’intervento in Libia e dal 2013 è nell’Ufficio Nazionale del Partito, Responsabile esteri e difesa.
Clémentine Autain, invece è un membro di Ensemble!, che è un movimento femminista ed ecologista alleato con ilFront de Gauche è stata eletta a Parigi, e poi a Sevran nell’Ile-de-France, è co-segretarie della Copernic Foundation. Figlia di un’attrice e di un cantante e nipote di un ex deputato socialista, ed ex sindaco, sotto Mitterrand. Viene eletta nel 2017 alla Seine-Saint-Denis nell’11° distretto (si potrebbe dire semi-periferico, nella conurbazione di Parigi.

Insomma, sono molto diversi, rappresentano plasticamente le diverse sinistre.

Come detto all’inizio la France Insoumisse sta cercando un posizionamento nel quadro competitivo aperto dalle elezioni europee che la vede quarta forza, stretta tra Macron ed i Gollisti (due forze establishment) e il Fronte Nazionale, con piccole forze sulla soglia di poter andare da sole intorno a sé. Per crescere di qualche punto, e qualificarsi come candidato al possibile ballottaggio nel 2022, potrebbe avere quindi senso cercare di non rompere con l’elettorato che la Autain, per biografia, classe sociale, e area elettorale rappresenta ottimamente.

Probabilmente per questo risulterebbe (si veda questo articolo di Liberation) che Mèlenchon avrebbe sconfessato pubblicamente un militante che ha con sé da dieci anni per uscire da quella che il giornale chiama “la trappola”: fare dell’immigrazione il tema portante delle elezioni che arrivano.

Anche Le Monde ha un resoconto simile: “è inutile avere espressioni che infastidiscono i nostri amici. È sempre bene avere una buona coscienza umanistica. L'accoglienza, la generosità sono buoni valori”, ha sostenuto Alexis Corbière per conto di Mèlenchon. La linea di attacco a Macron deve, piuttosto, essere i Trattati europei e la politica ecologica.

Ma alla fine quale è la divergenza?

Tutti e due ammettono che l’arrivo di molti immigrati può influenzare la dinamica salariale, ma uno, che parla con i ceti popolari, ne vuole parlare, l’altra, che si candida vicino Parigi, pensa che sia pericoloso perché può far perdere l’identità alla sinistra (si può vedere così, il primo deve riconquistare persone che non votano, la seconda deve conservare un voto residuale). Uno guarda alla crescita ed alla riconquista dei voti e del potere perduto, l’altra alla conservazione di insediamenti sociali (ai quali appartiene) sotto pressione.
L’insieme del discorso di Sahra Wagenknecht è letto come necessario per la protezione della nazione, e la lotta contro i privilegi (di “salute pubblica” ha un particolare sapore per un francese), da Kuzmanovic, mentre la posizione “umanitaria e internazionalista” della Autain, che non vuole “perdere il filo di ciò che ci anima” la porta ad abbozzare un contraddittorio discorso su libertà e uguaglianza, che fa leva su legame sociale e solidarietà senza darsi gli strumenti per ottenerli.

La proposta del primo è di rallentare o fermare i flussi di immigrati non aventi i requisiti per essere qualificati come rifugiati (anche se al termine ammette la difficoltà di fare la distinzione nella pratica), denunciare lo sfruttamento francese dell’Africa, e lasciare che si organizzi da sé (ricorda, appunto Sankara), allargare lo stesso concetto in Europa, combattere la precarietà per riguadagnare coesione sociale. E, soprattutto, regolarizzare chi già c’è e combattere spietatamente coloro che assumono lavoratori illegali o li pagano poco. Porre fine al duping sociale intra ed extra europeo.

La proposta della seconda è di accogliere tutti, ma ottenere la solidarietà degli altri paesi. In modo molto indicativo afferma di “non voler suggerire” che ci sia un nesso tra disoccupazione e immigrazione (cita qualche controesempio sommario), anche se poi dice di essere d’accordo con la descrizione di “esercito di riserva”.

Circa la constituency cui guardare, Kuzmanovic vede decisamente i ceti popolari, la cui riconquista, nelle attuali condizioni di disastro sociale sbarrerebbe la strada alla destra ed insieme riaprirebbe la partita del potere che ora giocano solo altri.
La deputata parigina spera di tenere insieme il residuo di constituency degli anni novanta-zero (giovani, donne, immigrati, minoranze culturali) con un lavoratore ormai disperso e disgregato di cui fa un elenco sommario.

Kuzmanovic fa un discorso pratico, con un obiettivo politico di avanzamento in terreni oggi abbandonati e che rischia di andare al punto, anche al prezzo di allargare il discorso e di rischiare qualche passaggio difficile.

La Autain fa un discorso identitario, con l’obiettivo di conservare ciò che la sinistra ha ancora, i ceti medi istruiti e che sono pieni di buoni sentimenti (potendoseli permettere), ma l’insieme delle contraddizioni e gli interdetti (ciò che non “vuole” dire) la lascia in pratica senza discorso.

Un’immagine degli attuali dilemmi della sinistra, tra “nuvole verbali” (Marx) e scelte difficili.


NOTE

[1] - Del resto è un movimento con al centro un partito, ma non esaurito in esso
[2] - Ovviamente prima di avviare l’iniziativa di Patria e Costituzione.
[3] - https://tempofertile.blogspot.com/2018/01/francois-mitterrand-e-le-svolte-degli.html
[4] - Una tesi sostenuta anche da Samir Amin, si veda, ad esempio “Lo sviluppo ineguale” 1973, “Oltre la mondializzazione”, 1999, “Per un mondo multipolare”, 2006, “La crisi”, 2009.
[5] - Si può vedere anche https://tempofertile.blogspot.com/2017/08/note-circa-leconomia-politica.html
[6]- Che viene ucciso in un colpo di stato tre mesi dopo aver pronunciato questo discorso contro il debito coloniale:https://youmedia.fanpage.it/video/al/WPCvk-SwgAVuR2bw
[7] - ...
allora, cari fratelli, col sostegno di tutti
potremo fare la pace a casa nostra
potremo anche usare le sue immense potenzialità
per sviluppare l'Africa, perché il nostro suolo
e il nostro sottosuolo sono ricchi
abbiamo abbastanza braccia e un mercato immenso
da nord a sud, da est a ovest
abbiamo abbastanza capacità intellettuali per creare
o almeno prendere la tecnologia e la scienza
in ogni luogo dove si trovano.
Signor presidente: facciamo in modo da realizzare
questo fronte unito di Addis Abeba contro il debito
facciamo in modo che a partire da Addis Abeba
decidiamo di limitare la corsa agli armamenti
tra paesi deboli e poveri
i manganelli e i coltellaci che compriamo sono inutili
Facciamo in modo che il mercato africano
sia il mercato degli africani
Produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa
Produciamo quello di cui abbiamo bisogno
e consumiamo quello che produciamo invece di importarlo
Il Burkina Faso è venuto qui ad esporvi la cotonnade
prodotto in Burkina Faso, tessuta in Burkina Faso
cucita in Burkina Faso per vestire i burkinabè
vorrei semplicemente dire
che dobbiamo accettare di vivere africano
è il solo modo di vivere liberi e degni
La ringrazio signor presidente
La patria o la morte, vinceremo!
[8] - si veda qui https://tempofertile.blogspot.com/2018/09/immigrazione-e-questione-sociale.html
[9] - Negli anni ottanta inoltrati e novanta il riflusso nel privato e le sconfitte della classe operaia, con l’indebolimento decisivo dei sindacati, sconfitti in simboliche battaglie in Inghilterra, in USA e anche in Italia alla Fiat, portarono una parte della cultura di sinistra a cercare altre strade. In questi anni intellettuali influenti come Jurgen Habermas, “Teoria dell’Agire Comunicativo”, 1981, Antony Giddens “Identità e società moderna”, 1991, “Oltre la destra e la sinistra”, 1994, “La terza via”, 1998, ma anche Ronald Inglehart “La società postmoderna”, 1996, sostengono che nella società postmoderna e frammentata si debba considerare risolto il problema fondamentale della sopravvivenza e quindi anche la lotta di classe, in favore di una ‘politica della vita’, incentrata sull’espansione dei diritti individuali e di autoespressione.
[10] -Come le faccia andare insieme sarebbe interessante capirlo.

lunedì 30 aprile 2018

INCIUCI (EUROPEISTI) DI SINISTRA

[ 30 aprile 2018 ]

Sul sito La città futura è appena apparso un articolo di critica alla Dichiarazione congiunta tra il Bloco de Esquerda portoghese, France Insoumise di Mélenchon e gli spagnoli di Podemos — ne davamo notizia il 18 aprile.  In Italia quella dichiarazione  è stata subito fatta propria da Potere al Popolo
Pubblichiamo la prima parte dell'articolo da la Città Futura, ampiamente condivisibile...

*  *  *


«Anche se nelle elezioni per il parlamento europeo non è possibile presentare liste transnazionali, in questa direzione si muove esplicitamente dal 2016 DiEM25, ovvero Il Movimento per la democrazia in Europa 2025, lanciato dall’ex ministro delle finanze greco Varoufakis, cui hanno aderito De Magistris e il movimento Generation S, lanciato dall’ex leader del partito socialista francese Hamon
A tale iniziativa hanno tentato di rispondere il 12 aprile il Bloco de Esquerda portoghese, France Insoumise di Mélenchon e gli spagnoli di Podemos lanciando a loro volta, anche in funzione delle elezioni europee previste per il prossimo anno un “movimento comune”. Come base programmatica le tre organizzazioni hanno steso una dichiarazione firmata a Lisbona.
Tale intento unitario è importante in particolare per France Insoumise e Podemos che non fanno parte del Partito della sinistra europea. D’altra parte il coordinamento a livello europeo di queste due forze risulta piuttosto complicato, dal momento che mentre Podemos mira a rappresentare una “alternativa democratica, popolare e in favore dei diritti umani e della sovranità popolare”, ma tutta interna al processo di unificazione europea, France Insoumise mira ad una “uscita concertata dai trattati europei” con il fine di rinegoziare nuove “regole”, ma al contempo, in caso di mancato successo di questo piano A, ha previsto un “piano B”, ossia la “uscita della Francia dai trattati europei”.
Dal momento che Podemos non intende prendere in considerazione il “piano B”, questo tratto caratteristico della politica europea della formazione di Mélenchon è stato omesso dalla dichiarazione di Lisbona. In tal modo, però, quel delicato equilibrio che era stato individuato affiancando al “piano A” un “piano B”, che aveva permesso una convivenza pacifica anche in Italia a formazioni della sinistra radicale “filo-europee” e “anti-europee” appare compromesso, dall’esigenza di France Insoumise di non farsi richiudere in un ambito sovranista dinanzi alla prospettiva paneuropea di Generation S.
In tal modo si sono venuti a costituire due movimenti delle forze della sinistra europea le cui prospettive rischiano di apparire, ai non addetti ai lavori, analoghe, tanto che persino Sinistra Italiana, volendo schierarsi a sinistra dei socialisti europei, guarda con interesse a entrambi i progetti. Inoltre non prevedendo nemmeno come piano di riserva la possibilità di una rottura con l’Unione europea si rischia di lasciare ulteriore spazio alle forze populiste che accrescono i loro consensi dal momento che le classi popolari sentono sempre più sulla loro pelle il peso delle politiche di austerità imposte dall’Ue e avvertono come utopistico il progetto di una sua democratizzazione. Infine l’abbandono del precario equilibrio rappresentato dalla posizione di Mélenchon, potrebbe produrre più che una necessaria ricomposizione in vista delle prossime elezioni europee delle forze antagoniste al capitalismo, un’ulteriore frammentazione fra “sovranisti” ed “europeisti”.
Quest’ultimo rischio pare per il momento scongiurato per quanto concerne Potere al popolo! (PaP). Appena tre giorni dopo la dichiarazione di Lisbona, era possibile leggere in evidenza sul sito di Pap: “la nostra adesione all’appello di Podemos, France Insoumise e Bloco De Esquerda”.
La questione, che sorgerebbe immediatamente in chi non conosca la complessa logica da inter-gruppi che presiede alle decisioni in PaP, è quale popolo abbia avuto la possibilità di riunirsi e deliberare in tre giorni questa adesione senza riserve a: “un appello importantissimo, proposto da tre delle forze popolari e di alternativa più grandi d’Europa, a cui non possiamo sottrarci”. Il non addetto ai lavori, a questo punto, dubiterebbe che una presa di posizione su una questione così importante e spinosa sia stata presa secondo lo spirito di una formazione che si autodefinisce Potere al popolo!, ossia che attraverso un ampio dibattito democratico che abbia coinvolto il popolo di PaP e in cui un’ampia maggioranza si sia espressa a favore dell’adesione incondizionata. Tanto più che nello stesso post si tiene a rimarcare nuovamente che “Potere al popolo! è nata per restituire la sovranità democratica al popolo, alla maggioranza”.
Presumibilmente si sarà deciso di aderire immediatamente e senza riserve per la necessità di mantenere buoni rapporti con quelle forze della sinistra europea che, come Podemos e France Insoumise, hanno riconosciuto PaP come un importante referente della sinistra radicale italiana. Inoltre si sarà scelto di non aprire un’ampia e democratica discussione che coinvolgesse la base per non mettere in difficoltà la complessa logica di inter-gruppi, con posizioni su diverse questioni cardine discordanti, che ha sinora ha diretto Pap. Per questo nell’adesione all’appello si è scelto di evidenziare gli aspetti più avanzati della dichiarazione, piuttosto che ragionare sugli elementi deboli e/o problematici. Anzi si è inserito un necessario: “Dobbiamo rompere i trattati militari che ci vincolano ad una follia guerrafondaia che non condividiamo” di cui purtroppo non c’è traccia nell’appello.
Del resto anche questo giornale nel numero precedente ha fatto una scelta analoga, ossia di tradurre subito la dichiarazione sottolineandone in modo volutamente unilaterale gli aspetti più avanzati. Adesso, però, ci pare giunto il momento di approfondire la riflessione ed evitare che le contraddizioni reali ora messe a tacere non riesplodano in maniera deflagrante nel momento in cui ci si troverà a definire la linea per le elezioni europee. Perciò, altrettanto unilateralmente, ci concentreremo sugli aspetti contraddittori».
(continua QUI)

sabato 17 marzo 2018

FRANCIA: 22 MARZO 2018, GIORNATA DI FUOCO


[ 17 marzo 2018 ]

«I conflitti oggi sono numerosi e diversificati: guardie penitenziarie, personale del EHPAD [le strutture pubbliche per ospitare pensionati, anziani e malati, NR] e ospedaliero, mini-jacquerie contadine, multiple lotte per posti di lavoro e salariali in molte aziende, tensioni nelle scuole superiori e nelle università, nella polizia,  negli enti locali ... maturano le condizioni per un vasto movimento sociale unitario. (...) 
È necessario un vasto movimento sociale, che vada dagli agricoltori agli studenti delle scuole superiori, passando per i dipendenti pubblici e privati, i disoccupati, gli utenti dei servizi pubblici, i pensionati».
Così inizia il comunicato diffuso dai nostri compagni del PARDEM.

Da parte sua Melenchon ha diffuso un appello a partecipare in massa agli scioperi e alle mobilitazioni del prossimo 22 marzo.
«Chiamo quindi tutti coloro che si riconoscono nel programma dei francesi insubordinati [insoumise, NdR] per unire i loro sforzi a fianco degli impiegati in lotta. Chiedo loro di unirsi il più possibile a dimostrazioni e azioni di ogni tipo che rafforzeranno questa battaglia: scioperi, cortei, azioni di sensibilizzazione, ecc. In primo luogo, gli insubordinati si preoccuperanno di mobilitare l'opinione pubblica, quelli che non lavorano direttamente nei settori interessati ma che ci tengono alla qualità del servizio pubblico».
Ma che succede il 22 marzo? 

Succede che dopo diversi giorni di scioperi e proteste in vari settori sociali —anzitutto contro la privatizzazione di trasporti pubblici, contro i tagli allo stato sociale, ecc.— ci sarà lo sciopero generale dei dipendenti pubblici. La mobilitazione è stata proclamata congiuntamente, fatto inedito, da tutti e sette i principali sindacati del pubblico impiego.

Il clima, in vista del 22, inizia già a surriscaldarsi e Macron, il finanziare che tutto vuole privatizzare, e che con la Merkel si "preoccupa per l'esito delle elezioni italiane e sogna di rafforzare l'ordoliberismo europeo", non nasconde la sua preoccupazione.



mercoledì 2 agosto 2017

IMMIGRAZIONE: MELENCHON NON PIACE PIÙ AI COMPAGNI ITALIANI di Piemme

[ 2 agosto 2017 ]

Dato il grande successo di France Insoumise al primo turno delle presidenziali francesi (19,5%), nel variegato campo della sinistra radicale italiana, era tutto un osanna per J.L. Melenchon. Gli entusiasmi si raffreddarono tuttavia ben preso quando, in vista del secondo turno Melenchon, rifiutò, giustamente, di dare indicazione di voto per il banchiere Macron contro la Le Pen.

Da allora Melenchon e France Insoumise sono letteralmente scomparsi dalla visuale della sinistra radicale italiana. Fassina, ad esempio, esecrò la posizione astensionista dei "cugini" francesi.

C'è tuttavia un'altra spinosa ragione che spiega perché la sinistra radicale italiana ha fatto calare il sipario su Melenchon: la questione dell'immigrazione. I sinistrati italiani erano evidentemente distratti, non si erano accorti che Melenchon, già nella campagna per il primo turno, aveva respinto la posizione immigrazionista, ovvero dell'accoglienza indiscriminata, affermando che non è sostenibile per la Francia aprire le sue frontiere, non solo ai rifugiati aventi effettivamente diritto, ma indiscriminatamente a tutti ai migranti cosiddetti economici.

Ci permettiamo di sottolineare che una delle ragioni che permise a France Insoumise di ottenere il 19,5%, avvicinandosi alla possibilità di accedere al ballottaggio, fu proprio per questa posizione di rifiuto del diritto indiscriminato dei migranti ad entrare in Francia.

Se i cugini italiani, di Melenchon, invece di ubbidire ad un riflesso condizionato ("Che bello, siamo tutti di sinistra e siamo ancora vivi!") avessero fatto attenzione al programma di France Insoumise, se avessero seguito davvero come Melenchon parlava ai francesi, si sarebbero accorti, ad esempio, che la sinistra "politicamente corretta" francese aveva subito criticato il "populismo sovranista di Melenchon". 

Ai politicamente corretti facevano eco i gauchiste no-border (l'estrema sinistra) che alzarono un polverone bollando Melenchon niente meno che come "razzista". 
Per chi voglia approfondire l'argomento e conosca la lingua francese, consigliamo di leggere questo lungo attacco contro le "ambiguità populiste" di Melenchon, scritto dall'immancabile intellettuale progressista che, dopo avere sottolineato lo stretto legame tra la questione dell'immigrazione e quella della sovranità nazionale, così conclude penosamente la sua filippica:
« Benoît Hamon [il candidato socialista (sic!), NdR]», ora serio concorrente di Melenchon, ha affermato che la Francia deve "accogliere più migranti": il suo programma rivendica delle misure precise, notoriamente nei termini del diritto di asilo. Non possiamo pensare che Melenchon sia in materia meno progressista del partito socialista".
Che i sinistrati italiani, accoglientisti a prescindere, abbiano scelto, da almeno due mesi, la via della rimozione, possiamo capirlo.

Siamo invece stati molto sorpresi che anche gli amici di SENSO COMUNE, che pur perorando la modalità populista (anche troppo per la verità) siano finiti per rivolgere a Melenchon le medesime critiche dei sinistrati che dicono di aborrire:
«La nostra bussola è quella della solidarietà e dell’internazionalismo. Benché la storia dell’emancipazione popolare abbia occasionalmente abbracciato le ragioni della chiusura a scapito di quelle dell’accoglienza, è alla logica inclusiva che dobbiamo rivolgerci nell’articolare la nostra identità. Le morti quotidiane nel Mediterraneo chiamano in causa il nostro stesso senso d’umanità, e su questo non possiamo cedere di un passo. Nonostante sia palpabile fra molti il senso di scetticismo e ostilità, la fratellanza fra popoli intercetta elementi del senso comune che sono trasversali alla cultura italiana, nelle sue componenti laiche e religiose. Da qui si deve partire».
Abbiamo capito bene? "Da qui si deve partire"?!?





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