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venerdì 14 febbraio 2020

FOIBE E IPOCRISIA NAZIONALISTA di Sandokan

Da quando, con la legge 30 marzo 2004 n. 92, è stato istituito, sulla falsa riga del "Giorno della memoria" quello del "ricordo" — per «conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale» — abbiamo parlato di foibe alcune volte su questo blog. La prima il 16 febbraio 2010. L'ultima l'anno scorso.

venerdì 9 novembre 2018

AD ENRICO ANGELINI, 2 VOLTE PARTIGIANO

[ 9 novembre 2018 ]

Riceviamo e pubblichiamo dalla sezione di Foligno di Programma 101

All'età di 93 anni, ieri se ne è andato Enrico Angelini, partigiano di Foligno.
Oggi pomeriggio ai funerali presso il cimitero di Foligno, i compagni di Programma 101 - Umbria gli hanno reso l'ultimo omaggio.

Una rosa rossa, deposta sulla sua bara. 
Un omaggio simbolico come la rosa rossa deposta da Enrico a Cascina Radicosa, luogo simbolo della Resistenza umbra, vilipesa da ignoti con lo scarabocchio di una svastica. 
Partigiano per la seconda volta, il novantenne Enrico nel marzo 2015, si era arrampicato fino a Radicosa, al confine tra il Comune di Foligno e quello di Trevi, armato di sverniciatori, spazzola a ferro e detergenti per cancellare con le sue mani quell'offesa infame, restituendo con quel gesto un senso alla parola Memoria.
Perché lì Enrico c'era stato. 
Per combattere e e contribuire a liberare il paese dalla dittatura nazifascista.
Quando neppure ventenne si era unito alla IV Brigata Garibaldi, istituita proprio a Radicosa.
Enrico riuscì a salvarsi dalla retata nazista nella notte fra il 2 e 3 febbraio del '44. 
I suoi amici e compagni, 24 giovani, furono arrestati e deportati verso i campi di concentramento di Mathausen e Flossemburg, dove trovarono la morte.

Onore, Enrico, le tue parole ci accompagnino nel nostro cammino:
«Debbo dire che vengo spesso a Raticosa perché mi ricorda tante cose. Dopo settant’anni ed oltre sono tornato quassù.Dove i sentieri, i boschi le montagne e le pietraie hanno visto passare i miei 18 anni.
Quando salivano le nere colonne della morte e la neve si tingeva di rosso. Sono tornato quassù per cercare un nome di un amico, di un partigiano, magari inciso su una pietra, rimasto ragazzo per sempre.
Sono tornato quassù dopo tanto tempo, i miei capelli grigi vorrebbero confondersi con le fluenti chiome dei giovani di oggi e urlare a loro continuate voi il nostro cammino perché essi morirono per voi, Ricordate!!! Sono tornato quassù infine per riflettere insieme ai morti se le nostre battaglie furono capite, nonostante neri lampi di rabbia diciamo tutti insieme: sì sono state sofferte ma sono servite sopratutto a far esplodere quella primavera che sognavamo, quella primavera di fiori e di speranze e che porta un’estate di frutti maturi. Per sempre, per sempre!»

CONTRO LA DITTATURA FASCISTA IERI! CONTRO L’EURO-DITTATURA OGGI!


Trailer del corto-doc "Per la seconda volta" di Andrea Mugnai, una delle ultime testimonianze del Partigiano Enrico Angelini.





giovedì 17 maggio 2018

PALESTINA: MASSACRO ORDINARIO

[ 17 maggio 2018 ]




1948. 70 anni fa nasceva Israele. Per i palestinesi una NAKBA, una catastrofe. Cosa fu la NAKBA? Una colossale pulizia etnica, quasi un milione di palestinesi cacciati dalle loro case,  condannati all'esilio o chiusi nei campi profughi. Nell'anniversario i palestinesi stanno manifestando per  rivendicare il diritto al ritorno. Voi al loro posto che avreste fatto?
Quel che fa Israele è sotto gli occhi di tutti. 

60 morti ammazzati, tra cui 18 bambini. 2700 feriti, mille i bambini rimasti feriti. 
Colpiti da bombe "intelligenti"? Morti a causa degli "effetti collaterali" della guerra? 
No, caduti per il tiro al bersaglio dei  cecchini dell'esercito israeliano.
E' forse "antisemitismo" denunciare questo massacro?

*  *  *

Comunicato stampa di Save the Children
15 maggio 2018


Gaza: 18 bambini hanno perso la vita dall’inizio delle proteste, 1.000 quelli rimasti feriti


Almeno 13 bambini hanno perso la vita a Gaza da quando, più di sei settimane fa, sono cominciate le proteste, mentre il numero di persone rimaste ferite ha ormai superato quota 10.000,di cui almeno 1.000 sono minori. Quella di ieri, sottolinea Save the Children – l’Organizzazione internazionale che dal 1919 lotta per salvare la vita dei bambini e garantire loro un futuro – è stata una delle giornate più sanguinose dalla guerra del 2014, con 6 bambini che hanno perso la vita e più di 220 rimasti feriti, tra cui, secondo i dati del Ministero palestinese per la Salute a Gaza, più di 150 colpiti da colpi d’arma da fuoco. Lo stesso Ministero, del resto, conferma che circa 600 bambini sono stati finora ricoverati in strutture ospedaliere, mentre secondo le informazioni diffuse da un’agenzia impegnata nella protezione dei civili almeno 600 minori hanno attualmente bisogno di supporto psicosociale.

“L’uccisione dei bambini non può essere giustificata. Chiediamo con urgenza a tutte le parti di adottare misure concrete per garantire l’incolumità e la protezione dei bambini, nel rispetto delle convenzioni di Ginevra, del diritto umanitario internazionale e delle leggi internazionali sui diritti umani. Chiediamo inoltre a tutte le parti di impegnarsi affinché tutte le proteste rimangano pacifiche, di affrontare le cause alla radice del conflitto e di promuovere dignità e sicurezza sia per gli israeliani che per i palestinesi”, ha affermato Jennifer Moorehead, Direttrice di Save the Children nei Territori palestinesi occupati.

Anche prima dell’inizio delle proteste, gli ospedali di Gaza erano quasi al collasso con il 90% dei posti letto già occupati. L’afflusso di nuovi feriti ha significato che tante persone vengono curate nei corridoi o dimesse prima di essere adeguatamente curate. A peggiorare ulteriormente la situazione, secondo l’Organizzazione Mondiale per la Sanità, solo a pochissimi feriti viene permesso di lasciare Gaza per cercare assistenza medica, il che aumenta le probabilità di complicazioni e impedisce ai bambini di ricevere le cure di cui hanno bisogno.

“Le famiglie che incontriamo ci dicono che stanno letteralmente lottando per sopravvivere, mentre cercano di prendersi cura dei propri cari che sono rimasti feriti. Spesso non possono permettersi cure e medicinali e ci raccontano di essere estremamente preoccupate per il futuro dei loro bambini, già devastati da più di 10 anni di blocco israeliano e dal sempre minore interesse da parte dei donatori. Le continue interruzioni di corrente e il congelamento degli stipendi dovuto alle continue divisioni tra l’Autorità Palestinese che governa la West Bank e l’autorità de facto di Gaza, inoltre, significa aggravare ulteriormente le condizioni di vita di famiglie già disperate”, ha concluso Moorehead.

* Fonte: InfoPal

martedì 24 aprile 2018

IL NOSTRO 25 APRILE

[ 24 aprile 2018 ]

Riceviamo e pubblichiamo dalla sezione di Foligno di Programma 101








*  *  *


CONTRO LA DITTATURA FASCISTA IERI

CONTRO L’EURO-DITTATURA OGGI

Sono trascorsi più di 70 anni dalla liberazione dell'Italia dalla feroce occupazione nazi-fascista.


Con lo stesso spirito dei tanti italiani che allora combatterono contro gli oppressori, noi denunciamo e combattiamo gli oppressori di oggi.

Quella lotta, infatti, non è finita. Alla vecchia dittatura è subentrata la nuova: abbiamo un nuovo oppressore, un nuovo nemico da combattere.
Cascina Raticosa: I primi ribelli della IV Brigata Garibaldi

Sono le classi dirigenti ed i loro partiti , i quali, oggi come ieri, pur di obbedire a potenze esterne, hanno provocato lo sfascio del Paese, gettato sul lastrico milioni di cittadini con le loro crudeli politiche di austerità, calpestato la Costituzione svendendo la sovranità popolare e nazionale.

Contro ogni celebrazione ritualistica e ipocrita, evitando ogni collusione con la sinistra di regime, le compagne ed i compagni umbri di Programma 101 saranno a Cascina Raticosa (sulle montagne tra Foligno e Trevi), rifugio e poi comando della IV Brigata Garibaldi dove, nella notte tra il 2 e il 3 febbraio 1944, ventiquattro giovani partigiani furono catturati dai nazisti e inviati al lager di Mathausen, fra i quali  Augusto Bizzarri, Franco Pizzoni e Franco Santocchia. Mentre lì trovarono la morte Catarinelli Filippo, un bambino di 8 anni, e Salvati Gregorio.*




Invitiamo a celebrare con noi l’anniversario del 25 aprile, facendo nostra la lezione della Resistenza, difendendo gli ideali di chi combatté per una Patria sovrana e democratica, fondata sugli ideali dell’eguaglianza, della libertà e della fratellanza.*


In particolare vogliamo ricordare la umbra IV Brigata Garibalidi la quale, assieme alla Brigata Gramsci, non solo diede filo da torcere ai nazi-fascisti, ma liberò per mesi la Valnerina e lì proclamò la prima Repubblica partigiana.

Appuntamento a Ponze di Trevi per le ore 11:30.
Di lì marceremo per Cascina Raticosa. 
Poi ritorneremo a Ponze per pranzare e festeggiare tutti assieme.


* *La targa commemorativa di Cascina Raticosa venne distrutta anni addietro. 

Il partigiano novantenne folignate Enrico Angelini [nella foto in basso], che all'età di 19 anni entrò nella IV Garibaldi, di sua iniziativa, con raschietto ed acquaragia, si recò nuovamente in montagna e cancellò la svastica.


mercoledì 5 aprile 2017

ALITALIA IN SCIOPERO. L'INTERVENTO DI FABIO FRATI

[ 6 aprile ]


 COMUNICATO STAMPA 
SCIOPERO ALITALIA: ADESIONE OLTRE IL 90%

Lo sciopero nazionale dei lavoratori Alitalia indetto per l’intera giornata di oggi, 5.4.2017, dalla Cub Trasporti, dall’Usb, dalle Associazioni Prof. di Piloti e Assistenti di Volo (Anpac e Anpav e Assovolo) e da Cgil, Cisl, Uil ed Ugl ha registrato adesioni oltre il 90% del personale in servizio sia a terra (Manutenzioni, Handling, Informatica, Call-Center, Amministrativi, ecc.) sia a volo (AA/VV e Piloti): una percentuale che non si registrava da molti anni nella ex-Compagnia di Bandiera e nel comparto aereo-aeroportuale-indotto. 
La categoria ha, di fatto, respinto all’unanimità il Piano finanziario approvato dagli azionisti di Alitalia (banche ed Etihad), nonché ha bocciato i pesanti sacrifici per i lavoratori: oltre 2500 licenziamenti, esternalizzazione di settori strategici, tagli salariali (fino al 30% per gli Assistenti di Volo) e normativi.

L'intervento di Fabio Frati della C.U.B.



Un Piano di ridimensionamento che lascia a terra oltre 20 aeromobili e che scarica inaccettabili “sacrifici” sui lavoratori, già colpiti da oltre 300 espulsioni di olleghi precari, lasciati a casa dopo oltre 10 anni di servizio e sostituiti da nuovi colleghi stagionali, nel momento in cui stavano per maturare il diritto alla stabilizzazione. 
Partecipatissima anche la Manifestazione ed il Corteo proclamato dalla Cub Trasporti al Terminal T1 dell’aeroporto di Fiumicino, con cui i dipendenti della ex-Compagnia di Bandiera hanno rivendicato la Nazionalizzazione dell’Alitalia, quale unica soluzione nell’interesse dei cittadini, del Paese e dei lavoratori, per riconsegnare al vettore di riferimento italiano un profilo di compagnia globale, risollevandola dalle secche in cui si è di nuovo arenata, dopo il fallimento della privatizzazione. 
Anche oggi come nei recenti scioperi del 23 febbraio, dell’8 e del 20 marzo, i lavoratori hanno sfilato nelle strade del Leonardo da Vinci, insieme anche ad altri colleghi aeroportuali e agli addetti delle pulizie di bordo della GH, già raggiunti dai licenziamenti innescati dalla crisi Alitalia, contro la pretesa di infierire sulla categoria pur di alleggerire la ex-Compagnia di Bandiera per cederla al miglior offerente in Europa (Lufthansa?). 

Purtroppo la giornata di oggi è stata macchiata dal rifiuto dei rappresentanti di Cgil, Cisl, Uil ed Ugl di consentire la riunificazione dei lavoratori in manifestazione al presidio indetto da quelle OO.SS. davanti alla palazzina di Alitalia, con quelli radunati allo scalo, presso il terminal T1, nel presidio organizzato dalla Cub Trasporti e partecipato anche da Usb. 
La possibilità di consentire la riunificazione dei presidi e delle assemblee tenutesi nei due concentramenti, avrebbe permesso ai lavoratori di consegnare un mandato unitario ed univoco a tutte le OO.SS., alla vigilia dell’avvio del confronto no-stop in programma da domani: una eventualità che i rappresentanti di Cgil, Cisl, Uil ed Ugl hanno evitato a scapito della trasparenza e della democrazia. 
La Cub Trasporti, nelle prossime ore, oltre a partecipare alle assemblee che verranno indette da Usb, proclamerà ulteriori iniziative di mobilitazione sia davanti alla sede dei Ministeri ove si effettueranno gli incontri tra azienda e sindacati, sia in aeroporto: un altro Piano è possibile e non possono essere chiamati i lavoratori a pagare per il fallimento della privatizzazione e delle scelte di ridimensionamento avallato dai Governi che si sono succeduti negli ultimi 15 anni
Un ridimensionamento della ex-Compagnia di Bandiera italiana imposto dai diktat della UE e palesati fin dal 2000 dal Commissario Europeo ai Trasporti, De Palacio, che previde che sarebbero sopravvissuti solo 3 vettori globali nel vecchio continente, quelli dei paesi di serie A dell’attuale Europa (Lufthansa, British e Air France), relegando tutte le altre compagnie ad effettuare traffico ancillare: un destino che sta per compiersi definitivamente per Alitalia e che non può essere accettato nel silenzio e nell’immobilismo dai lavoratori e dalle istituzioni del nostro Paese. 
Roma, 5.4.2017 CUB TRASPORTI 
Via Ponzio Cominio, 56 – 00175 Roma –06.76968412 – 0676980856 Fax 06.76983007 – 3939103997 - 3397405888 

email: cub_trasporti@libero.it – pec: cub.romaeprovincia@legalmail.it 

martedì 21 marzo 2017

NEMICI DEL POPOLO di Sandokan

[ 21 marzo ]

Ci hanno provato in ogni modo a silenziare i ribelli di Alitalia, ad oscurare lo sciopero indetto dalla CUB Traporti svoltosi ieri e che ha avuto l'aeroporto di Fiumicino come epicentro. Alla fine i media hanno capitolato, han dovuto ammettere che è stato un grande successo. Ne è prova incontrovertibile la cancellazione di ben 320 voli, un record, malgrado i settecento e passa comandati, obbligati a lavorare pena il licenziamento.
Per far fallire lo sciopero l'azienda le ha tentate tutte. Ha sguinzagliato capi e capetti per intimidire le maestranze, con le forze di pubblica sicurezza che, seguendo la massima "colpiscine uno per terrorizzarne cento", non hanno esitato a minacciare pesantemente il manipolo di sindacalisti della CUB sulle cui spalle stava tutta l'organizzazione. Il tutto in un'aerostazione che oramai rassomiglia ad una base militare.


Malgrado questo clima l'adesione è stata massiccia, anzitutto tra il personale di terra, ma anche tra quello navigante. Il partecipato e combattivo corteo svoltosi in mattinata per le strade dell'aeroporto ne è stata la conferma.

Di sicuro la protesta è giunta fin nelle ovattate sale del Ministero dei Trasporti, dove a sera si svolgeva l'ennesimo round del negoziato tra Alitalia e "parti sociali", dove per "parti sociali" sono da intendere le mafie sindacali che portano pesanti responsabilità per lo sfascio dell'ex compagnia di bandiera e che anche in questo caso finiranno per accettare un nuovo Piano che verrà spacciato per "industriale" ma che nella sostanza consisterà in un un'ulteriore demolizione di Alitalia, di cui i lavoratori pagheranno il prezzo più alto. Ovviamente con ricorso alle finanze pubbliche per ingrassare nuovamente le iene a cui verrà affidato il compito di "salvare" l'azienda.

L'importanza dello sciopero di ieri, non è solo nel fatto che rappresenta, dopo anni di catalessi ed in un settore economico e sociale strategico, un sintomo di vitalità della resistenza proletaria —come altro volete chiamare la lotta di migliaia di lavoratori iper-precarizzati e trattati come servi della gleba? 
L'importanza sta anche nel fatto che alla testa di questa lotta, certo tutta difensiva, sta un gruppo di sindacalisti che ha avuto il coraggio di indicare la sola soluzione strategica possibile per l'Alitalia: la nazionalizzazione.

In questo rivendicare la "Nazionalizzazione come unica soluzione" c'è non solo un legittimo radicalismo sindacale. C'è qualcosa di molto più importante: c'è il rifiuto del paradigma neoliberista che "privato è bello", il che è già tanto. C'è il rovesciamento del racconto, ideologico e falso, che Alitalia pubblica era solo un "carrozzone mangiasoldi", rifugio di "maestranze scanzafatiche" —oggi la compagnia ha la metà dei dipendenti ma perde circa un milione di euro al giorno.

C'è in questa battaglia per nazionalizzare Alitalia, una cosa ancora più importante. Siamo davanti al fatto che un pezzo del mondo del lavoro inizia ad avere la consapevolezza che chi tira i fili dell'economia di questo Paese è una consorteria di parassiti, di ladroni, di banditi che mentre vogliono ridurre allo stato schiavistico chi lavora, azzannano lo Stato per papparsi le sue ricchezze. Una cosca di furfanti che si spacciano per "imprenditori", che in nome della globalizzazione e del mercato, perseguono il disegno di smembrare lo Stato e di sfasciare la nazione. E nello svolgere questa funzione disfattista essi godono del pieno e servile appoggio della multicolore casta dei politicanti.

Non è certo già, come suggeriva Antonio Gramsci, l'evidenza che classe proletaria si fa "classe nazionale", che sfida l'oligarchia dominante sul terreno che decide chi debba stare alla guida del Paese. E' solo un sintomo, un segnale, che va tuttavia raccolto perché non ci sarà salvezza per il nostro Paese se non de-globalizzando, senza cacciare dal potere l'associazione a delinquere che lo controlla.

Ecco cosa anzitutto insegna la resistenza dei lavoratori Alitalia: che ogni grande battaglia sindacale (tanto più in settori strategici che tirano in ballo l'architettura stessa di una nazione) ha oramai impatto e contenuto politico, chiede una soluzione ed una direzione politiche. I lavoratori sanno che non possono vincere senza una svolta politica generale.

È qui il punto dolente, anzi il vero e proprio disastro. La resistenza proletaria è isolata, i ribelli sono lasciati soli. Lo sciopero di ieri in Alitalia ne è stata la prova lampante. Nessun politicante ha avuto il coraggio di portare la sua solidarietà, nessuno è venuto allo scoperto condividendo la richiesta di nazionalizzazione. Non parliamo dei piddini, né degli esponenti delle destre che fanno del liberismo la loro religione. Qui parliamo dei parlamentari che si dicono di sinistra, che a chiacchiere dicono di difendere i diritti del mondo del lavoro ma quando i lavoratori fanno i fatti, si dimostrano tutti dei Ponzio Pilato.

Parliamo infine degli esponenti del Movimento 5 Stelle, che si sono ben guardati dall'aprire bocca, che si sono rifiutati di esprimere, anche solo a parole, una qualche solidarietà.

Una vera e propria vergogna per un movimento che tante speranze ha suscitato tra i lavoratori e che tanti voti ha preso. Un'indecenza, anzi, un'infamia, per un movimento che pretende di salire al potere con la promessa che tutto cambierà. Anche questo è un sintomo, che tanti politicanti che pretendono di essere "alternativi" sono prigionieri della "gabbia di ferro" ideologica neoliberista, nel caso dello sciopero di ieri che ha paralizzato Alitalia ed il trasporto aereo, che essi mettono avanti il consenso passivo ed egoistico dei sudditi-consumatori piuttosto che quello attivo dei lavoratori in lotta.

Vale per tutti loro quel che cantava Fabrizio De André:

«E se credete ora che tutto sia come prima
perché avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti,
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti».

* Tutte le foto sono dello sciopero di ieri all'aeroporto di Fiumicino


mercoledì 15 marzo 2017

ALITALIA: RESISTENZA E COSCIENZA PROLETARIA di Daniela Di Marco

Antonio Amoroso e Fabio Frati presiedono il convegno
[ 15 marzo ]

Si è svolto ieri a Roma un importante convegno pubblico sulla vicenda Alitalia; ad organizzarlo la CUB trasporti di Roma assieme al Comitato dei Precari Alitalia dell'aeroporto di Fiumicino.

Un convegno importante, partecipato (sala gremita), non solo per il parterre degli ospiti che vi hanno preso la parola 
— torneremo su quel che è stato detto dai diversi invitati— , ma soprattutto per la presenza degli stessi lavoratori e precari a rischio, con la cui pelle i predatori che hanno in mano Alitalia giocano al massacro.

Tutti gli interventi, considerato il terzo fallimento in pochi anni della privatizzazione della ex compagnia di bandiera italiana, hanno puntato il dito sul tracollo finanziario in cui versa Alitalia spiegando come ciò sia il risultato di una precisa volontà politica, di un disegno ideologico e strategico di lunga durata nonché di una palese catastrofica gestione.

E’ il liberismo, bellezza!

Per anni siamo stati indottrinati, ci hanno indotto a convincerci che “privato è bello”, più efficiente, sicuro, stabile.

Siamo andati avanti a colpi di privatizzazioni, deregulation, mercato libero spietatamente concorrenziale, finanziarizzazioni…

Nessuno ha mai spiegato che tutto ciò avveniva a discapito del “pubblico” ovvero dell’interesse generale della collettività e dei lavoratori stessi.

Coloro che ieri erano presenti a questa importante assemblea, espressione del settore più combattivo delle maestranze Alitalia, hanno cominciato a capirlo, volevano parlare, essere protagonisti.


Tutti i giovani, precari, arrabbiati.

Iniziano a capire che il casino in cui si trovano è un particolare di un disastro più generale. Rischiano di essere licenziati, di non avere il rinnovo del contratto, prendono 2 soldi in cambio
della loro forza lavoro, del loro tempo di vita, troppe ore trascorrono a lavoro ipercontrollati, sotto continua pressione, non riescono a campare dignitosamente perché lo stipendio non basta, devono ancora appoggiarsi a mamma e papà, non sanno cosa accadrà domani, se saranno ancora lì o dovranno cambiare tutto, sempre in bilico, sempre incerti, non è vita questa. 

Questi lavoratori solo adesso, grazie anche alla lotta che hanno intrapreso, cominciano ad avere una visione chiara, nonostante non sia semplice ed intuitivo comprendere i nessi e le cause della dolorosa vicenda di cui sono vittime. Non si sono limitati ad ascoltare ma con i loro applausi ed anche le loro interruzioni hanno fatto sentire oltre alla loro preoccupazione, la volontà di non perdere questa battaglia – la sensazione è quella che potrebbe essere l’ultima dentro Alitalia. Non si nascondono, questi settori di avanguardia, le difficoltà a coinvolgere molti colleghi impauriti, che guardano con simpatia alla lotta collettiva ma siccome tutte le altre battaglie sono state segnate dalla sconfitta, toccano ferro e sperano di non finire comunque nel tritacarne. 

Sotto questa luce si può comprendere le enormi responsabilità che gravano sulle spalle di questi lavoratori che sono la prima linea della resistenza in Alitalia, ed in particolar modo del nucleo di irriducibili sindacalisti romani della CUB trasporti con in testa Fabio Frati e Antonio Amoroso.
Paolo Maddalena, tra i più applauditi


La conferenza si è conclusa approvando con un lungo applauso questo Ordine del Giorno:

«Al termine del lungo e approfondito dibattito svolto, arricchito dagli importanti contributi di tutti i relatori, i partecipanti al Convegno convengono che:

la proposta della Nazionalizzazione di Alitalia, rimane l’unica credibile e percorribile in un’ottica di vero sviluppo e rilancio della compagnia.

Questa scelta scongiurerebbe qualsiasi ipotesi di ridimensionamento dell’attività e/o di una sua trasformazione in una low cost, evitando tagli occupazionali, salariali e normativi e consentendo la stabilizzazione di tutti i precari

La scelta di ricostruire una vera compagnia di bandiera, oltre a ribadire il controllo pubblico di un settore strategico del paese, farà tornare Alitalia al suo ruolo trainante per l’economia e l’occupazione di tutto il comparto aereo e aeroportuale italiano».


Approvato per acclamazione da tutti i presenti al CONVEGNO svoltosi a Roma il 14 marzo 2017
Alitalia: Nazionalizzazione Unica Soluzione


martedì 28 febbraio 2017

ALITALIA: «La cosa più bella che ho visto in 9 anni di aeroporto» di Daniele Moretti

[ 1 marzo ]

«Vorrei spendere due parole e ringraziare tutti quei colleghi e colleghe che dopo aver subito per anni pressioni di ogni tipo, dopo aver accettato compromessi raggiunti e imposti da persone che invece di tutelare, svendevano sia il nostro che il loro lavoro, dopo aver non solo lavorato ma vissuto nella precarietà per anni, hanno deciso che è stato raggiunto un limite sotto il quale non si può andare, hanno deciso che non si può lavorare ad ogni costo, hanno deciso che la parola Lavoro deve essere seguita dalla parola Dignità, queste persone hanno deciso di alzare la schiena, di mettersi in gioco, di rischiare, di lottare contro qualcuno infinitamente più grande e potente di loro, queste persone hanno e avranno sempre tutta la mia stima, queste persone sono la cosa più bella che ho visto in 9 anni di aeroporto ed io sono orgoglioso di farne parte.


Comunque vada un giorno potremmo dire che ci abbiamo provato, che ci abbiamo sperato e creduto, comunque vada un giorno potremmo dire che una volta forse solo una abbiamo avuto il coraggio di dire di no.

GRAZIE a tutti voi e grazie ai rappresentanti della Cub che ci stanno aiutando.

Per tutto il resto?!
C'è un foglio con un contratto da 5 ore che vi faranno firmare con le lacrime.. ma voi lacrime non ne avete perché vi hanno insegnato a sorridere a qualunque costo».



venerdì 24 febbraio 2017

«NAZIONALIZZARE ALITALIA!»: GRANDE SUCCESSO DELLO SCIOPERO A FIUMICINO

[ 24 febbraio ]

Si è svolto ieri lo sciopero in ALITALIA. 

Dopo anni di cedimenti vergognosi, anche CGIL, CISL e UIL, sotto la pressione dei loro stessi iscritti, sono stati costretti a chiamare alla mobilitazione. 4 ore di sciopero dalle 14:00 in poi. Adesione totale.

Di questo, ma sottovoce, hanno parlato anche i media. Censura totale invece, per il fatto più importante, lo sciopero e la mobilitazione indetta dai sindacati di base, per la precisione C.U.B. e U.S.B.già dalla mattinata del 23 febbraio. 

Nonostante le minacce dell'azienda (pesantissime) e delle forze dell'ordine (vero e proprio terrorismo!) dell'aeroporto di Fiumicino, tanti lavoratori, anzitutto precari, hanno dato vita ad assemblee ed ad un corteo la cui partecipazione e combattività è senza precedenti. 
Un segnale tanto importante, visto che per anni ha vinto l'azienda coi suoi ricatti, con le sue intimidazioni. Un segnale di svolta, ma ci torneremo.
Ancor più importante la consapevolezza, grazie  C.U.B. e U.S.B. che la sola soluzione è la NAZIONALIZZAZIONE  di Alitalia.

Qui sotto il video del corteo svoltosi ieri nell'aeroporto di Fiumicino, con in testa Fabio Frati.






martedì 24 maggio 2016

FRANCIA: QUANDO SI FA SUL SERIO di Giampaolo Martinotti

[ 24 maggio ]

In atto il blocco della produzione nei diversi settori industriali. I sindacati pronti a paralizzare la Francia. È in arrivo l’ottavo sciopero generale e nazionale
Dopo due mesi e mezzo di mobilitazione nazionale contro la loi El Khomri i sindacati più combattivi (CGT, FO, Solidaires, FSU) hanno deciso di mettere in pratica una strategia di blocco della produzione che non fa sconti al governo. Da diversi giorni infatti i caministi stanno incrociando le braccia, sei delle otto raffinerie presenti sul territorio francese sono bloccate, i depositi di carburante, vari porti e aeroporti sono sbarrati al pari di alcune delle più importanti arterie autostradali. Nel frattempo, continua lo sciopero dei ferrovieri e dei trasporti pubblici, che dal 2 giugno potrebbe divenire illimitato. La Francia dunque rischia seriamente la paralisi, se non quantomeno una certa penuria del carburante più amato dalle multinazionali. In questo senso, numerose prefetture avrebbero già adottato misure restrittive temporanee, mentre la violenta risposta del governo non si è fatta attendere dopo le affermazioni del ministro dell’Interno Bernard Cazeneuve: «i servizi pubblici devono funzionare». E giù botte, da Rouen a Lorient la CRS non ha risparmiato violente cariche e il proverbiale lancio di gas lacrimogeni all’indirizzo di lavoratori che esercitano il loro diritto di sciopero.

In questo contesto molto teso, il riequilibro dei rapporti di forza all’interno della lotta contro la precarizzazione del lavoro dipende in particolar modo dalla capacità di tenuta del fronte d’opposizione e, in parte, dalle prossime reazioni del governo socialista. Mentre il premier Manuel Valls dichiarava nei giorni scorsi che «bloccare i punti nervalgici dell’economia nazionale è inammissibile», promettendo senza mezzi termini di rafforzare la presenza della polizia alle manifestazioni, per alcuni analisti questa strategia del blocco della produzionenei diversi settori industriali deriva dalla consapevolezza delle organizzazioni sindacali di non avere i mezzi per mantenere in vita un certo livello di scontro sul medio-lungo termine. Questo tipo di analisi però, basate sull’oscillazione della partecipazione popolare alle varie iniziative, non tengono conto di alcuni fattori sicuramente importanti.

La maggior parte dei francesi infatti, e la stragrande maggioranza degli studenti e delle classi popolari, rifiutano categoricamente questa riforma del lavoro in senso neoliberista, ed è evidente come l’incessante susseguirsi di manifestazioni e scioperi possano far registrare un calo fisiologico all’interno della protesta nel suo complesso. Alla luce degli altissimi livelli raggiunti dallo scontro, il punto chiave in questo momento è l’estensione dello sciopero ad altri settori economici grazie alla solidarietà di tutte le forze in campo. In questo senso, i militanti della sinistra anticapitalista, gli studenti e gli attivisti della Nuit debout stanno rafforzando la loro presenza al fianco dei lavoratori che oggi, bloccando la Francia, spingono la paura dalla parte di un governo liberticida. Nel frattempo, sono già in programma altre due grandi giornate di azione: l’ottavo sciopero generale previsto per la giornata di giovedì 26 maggio e la grande manifestazione nazionale del 14 giugno a Parigi.

Il Parti socialiste, dopo aver strumentalizzato lo stato di emergenza per implementare le fallimentari politiche di austerità, messo in atto una brutale repressione fatta di abusi di polizia e violenze inaudite e aver imposto con l’utilizzo dell’articolo 49.3 la riforma del diritto del lavoro senza voto parlamentare, si trova ormai completamente delegittimato. Mentre il premier Valls spedisce i picchiatori della CRS e della BAC in giro per tutto il paese a caccia di streghe, il presidente François Hollande e il Medef, la confindustria francese, fanno appello alla “responsabilità” dei leader sindacali affinché intervengano per calmare la protesta. Forse l’esecutivo francese è talmente destabilizzato da credere di avere a che fare con Maurizio Landini e Susanna Camusso. Perché è bene ricordarlo, quello che i sindacati transalpini hanno fatto negli ultimi due mesi e mezzo, la Cgil non ha voluto farlo in dieci anni. La connivenza degli apparati dirigenti del sindacato nostrano con le più sciagurate classi dirigenti rappresenta un elemento di importanza fondamentale nelle dinamiche di declino del conflitto sociale e della perdita di diritti nel nostro belpaese.

Ma dalla Francia, al contrario, oggi ci arriva un esempio di coraggio che deve essere sostenuto con tutti i mezzi a disposizione. Per i francesi, che non hanno ancora voglia di piegare la schiena e di abbassare la testa, è strettamente necessario restare uniti nella convinzione che la convergenza delle lotte possa rappresentare l’arma vincente per arrivare al ritiro del Jobs Act e far cadere così nella più profonda crisi politica un governo liberalsocialista assolutamente da dimenticare.

* Fonte: Popoff

martedì 10 maggio 2016

ITALEXIT: NAPOLI 21 MAGGIO

[ 10 maggio ]

Sabato 21 maggio la PIATTAFORMA SOCIALE EUROSTOP organizza l'incontro a carattere nazionale «ITALEXIT: una via per rompere la gabbia dell'Unione Euro».

Dopo i saluti del sindaco De Magistris e l'introduzione di Giorgio Cremaschi, sono previste due fasi di discussione. Numerosi i contributi annunciati (vedi sotto)
Questa redazione aderisce all'iniziativa ed invita i lettori a partecipare.



domenica 17 aprile 2016

LORDON: "NUIT DEBOUT: NON ABBIAMO NIENTE DA NEGOZIARE!"

[ 17 aprile ]

Discorso dell'economista e filosofo Frédéric Lordon a Place de la République

[nella foto]

Continuiamo a seguire il movimento Nuit Debout che sta scuotendo la Francia.

«Credendo di perseguire come sempre il suo piccolo amichevole cammino al servizio del capitalismo neoliberale, la Legge el-Khomry ha certamente creduto che, come spesso accaduto da 30 anni a questa parte, tutto sarebbe filato liscio. Non hanno avuto fortuna. Inavvertitamente hanno attraversato una di quelle soglie invisibile in cui, con una sola goccia, tutto cambia».


«I movimenti collettivi, come quello che sta nascendo oggi, non hanno più alcun bisogno di dichiarazioni solenni,  meno che meno personali. Abbiamo assemblee, concerti, tutte queste cose sono sufficienti per se stesse e non hanno bisogno di niente altro. Il comitato organizzatore mi ha chiesto di salire sul palco e, dopo aver esitato un po', mi sono deciso a parlare. E' che, anche se non sembra,  stiamo facendo tanto. Guardate come il potere ha tollerato le nostre lotte, locali, settoriali, dispersive e rivendicative. Questa volta, non avrà fortuna. Oggi cambiamo le regole del gioco. Abbiamo giocato con le regole del potere. D'ora in poi, giocheremo con le nostre. Il potere desidera che la nostra lotta sia locale, settoriale, dispersiva e rivendicativa. Comunichiamo invece che sarà globale, universale, comune e affermativa.

Dobbiamo dire grazie alla legge el-Khomry per averci restituito il senso di due cose che avevamo dimenticato da troppo tempo: il sentimento di comunanza e quella dell'affermazione. Offrendo all'arbitrio del capitale latitudini senza precedenti, questa legge generalizza la violenza neoliberista, che colpirà d'ora in avanti indistintamente tutte le categorie dei salariati per spingerli a scoprire ciò che hanno profondamente in comune, la condizione salariale appunto. Si annullano le differenze che li avevano separati. Sì, c'è qualcosa che accomuna nel profondo vicende come quelle della Goodyear, di Conti, dell'Air France [si riferisce alle recenti vertenze sindacali, Ndr], i ferrovieri che proprio ieri erano in lotta a Tolbiac; tra Henry, l'ingegnere súper-qualificato in subappaltato alla Renault, licenziabile perché ha parlato troppo nel documentario "Merci, patron!"; tra Rajah e Kefar, dipendenti precari della società di pulizia Onet, licenziati e costretti alla miseria a causa di piccoli difetti; e con tutti gli universitari alle prese con ciò che li attende; e gli studenti delle scuole superiori che li seguono da vicino. Si potrebbe estendere questa lista indefinitivamente dal momento che la realtà è che in questa epoca in cui viviamo tutto è indefinito.

La gente che si riunisce qui lo fa in primo luogo per raccontare le proprie lotte, in modo che tutte le lotte locali, condannate all'invisibilità, diventino visibili per tutti e affinché tutti quelli che si sollevano sappiano che non sono più soli. E sono qui anche per dare una forma politica a questa comunanza che stiamo scoprendo. Pertanto, grazie, sinceramente grazie a el-Khomry, a Valls e Hollande. Grazie, e ancora grazie. Grazie per aver spinto tanto oltre la vostra meschinità fino ad averci obbligato ad uscire dalla nostra sonnolenza politica. Per non averci dato altra altra scelta che uscire dall'isolamento, e dalla pauradi stare insieme. Grazie anche per averci aperto gli occhi ed averci fatto vedere che, al punto in cui siamo, non c'è nulla più da negoziare, nulla da rivendicare, che tutte queste pratiche rituali e codificate sono diventate grottesche. Abbandoniamo quindi ogni sindacalismo abituato a strisciare come i rettili. Siamo determinati ad imboccare un'altra strada, la strada che respinge le compatibilità, i ruoli già assegnati, la via della volontà politica che s'impone e si afferma.

Credendo di perseguire come sempre il suo piccolo amichevole cammino al servizio del capitalismo neoliberale, la Legge el-Khomry ha certamente creduto che, come spesso accaduto da 30 anni a questa parte, tutto sarebbe filato liscio. Non hanno avuto fortuna. Inavvertitamente hanno attraversato una di quelle soglie invisibile in cui, con una sola goccia, tutto cambia. 

In lingua greca "catastrofe" significa, cambiamento. Ed è vero che  Nuit Debout rappresenta la catastrofe per questo governo. A chi si aspettava che avremmo rivendicato educatamente, rispondiamo che non vogliamo rivendicare, che quelli che erano divisi ora sono uniti. Altre idee ci vengono in mente, idee sconcertanti. Pertanto, in questo senso, la situazione è catastrofica. E potrebbe essere la migliore notizia politica da decenni. Il primo atto della catastrofe —non l'ultimo, solo il primo— è un atto di immaginazione. Ed è per questo che ci siamo riuniti qui stasera, per immaginare la catastrofe, per entrare dentro la catastrofe».

martedì 8 marzo 2016

LIBIA: IL BOTTINO ED I PREDONI. No all'intervento NATO

clicca per ingrandire
[ 8 marzo ]

Il lupo perde il pelo ma non il vizio.
I paesi NATO, per niente soddisfatti di aver contribuito al disastro della Libia nel 2011 —quando diedero avvio ad una sanguinosa campagna di bombardamenti per defenestrare Gheddafi—, scalpitano per una seconda guerra d’aggressione. Allora il governo Italiano, Berlusconi primo ministro, malgrado i mal di pancia, partecipò all’aggressione. Renzi, in barba alle sue affermazioni, rischia di fare la stessa fine.

«Il fatto che Matteo Renzi, in perfetto stile berlusconiano —in Tv e non in Parlamento— abbia detto che finché lui sarà primo ministro non ci sarà alcuna invasione italiana della Libia è una buona notizia che tuttavia non mette al riparo l’Italia dal trovarsi immischiata in un conflitto devastante e di lunga durata, e non assolve Renzi da tutte le sue porcate.
Tra queste porcate c’è infatti anche il decreto del 10 febbraio, secretato e quindi tenuto nascosto agli italiani e allo stesso Parlamento in violazione degli Art. 11 e 78 della Cosituzione —il primo fa divieto al nostro Paese di partecipare a guerre che noin sia difensive, il secondo stabilisce che lo stato di guerra sia dichiarato dal Parlamento. Cosa dice questo Decreto? Con lo stratagemma che le forze militari da inviare in teatro di guerra saranno poste sotto il comando dei servizi segreti, il Parlamento viene aggirato, anzi gli viene sottratta l’ultima parola, che spetterà invece solo al Presidente del Consiglio, cioè a Renzi stesso —è la governance, ovvero il massimo dell’accentramento dei poteri.
Sirte: da roccaforte di Gheddafi ad avamposto dello Stato Islamico
Forze spaciali
Insomma, Renzi, attacatissimo alla sua poltrona e ubbidendo alla sua smisurata ambizione, ben sapendo che la stragrande maggioranza degli italiani è contraria ad ogni avventura militare, non vuole una “invasione”, un invio di truppe in grande stile, contempla però di voler partecipare con truppe speciali alla spartizione del bottino libico —la lotta al nemico pubblico numero uno, l’ISIS, essendo un motivo del tutto secondario.

Di che bottino si tratta?
Ce lo dice senza peli sulla lingua l’organo della Confindustria:
«La Libia è un bottino da 130 miliardi di dollari subito e tre-quattro volte tanto nel caso che un ipotetico Stato libico, magari confederale e diviso per zone di influenza, tornasse a esportare come ai tempi di Gheddafi. Sono stime che sommano la produzione di petrolio con le riserve della Banca centrale e del Fondo sovrano libico che sta a Londra dove ha studiato per anni il prigioniero di Zintane, Seif Islam, il figlio di Gheddafi, un tempo gradito ospite di Buckingham Palace al pari di tutti gli arabi che hanno il cuore nella Mezzaluna e il portafoglio nella City. Oltre alla Bp e alla Shell in Cirenaica – dove peraltro ci sono consorzi francesi, americani tedeschi e cinesi – gli inglesi hanno da difendere l’asset finanziario dei petrodollari.
Anche i russi, estromessi nel 2011 perché contrari ai bombardamenti, vogliono dire la loro: lo faranno attraverso l’Egitto del generale Al Sisi al quale vendono armi a tutto spiano insieme alla Francia. (…) Ma ce n’è per tutti gli appetiti: questo è il fascino tenebroso della guerra libica.
Il bottino libico, nell’unico piano esistente, deve tornare sui mercati, accompagnato da un sistema di sicurezza regionale che, ignorando Tunisia e Algeria, farà della Francia il guardiano del Sahel nel Fezzan, della Gran Bretagna quello della Cirenaica, tenendo a bada le ambizioni dell’Egitto, e dell’Italia quello della Tripolitania. Agli americani la supervisione strategica».
Alberto Negri, Il Sole 24 Ore del 6 marzo.
A prescindere dalla dimensione delle forze che saranno inviate, l’intenzione del governo, col sostegno del Presidente della Repubblica —che abdica alle stesse prerogative attribuitegli dalla Costituzione—, è quindi quella di partecipare, assieme agli altri predoni imperialisti, alla spartizione della Libia. Renzi, attende solo un alibi, la messinscena della chiamata di un cosiddetto “governo di unità nazionale”, che cioè i corrotti zimbelli delle diverse potenze si mettano d’accordo. Ma se questo accordo tra questi burattini non c’è è proprio perché divisi sono i loro burattinai.
I predoni occidentali non fanno mistero su quale sia il loro disegno: fare a brandelli la Libia, distruggerla come Stato unitario per far posto ad uno spezzatino composto da 3 o 4 satrapie, ognuna sotto la tutela delle diverse potenze straniere, ognuna governata da lacchè alle loro dirette dipendenze.
Questa spartizione per zone d’influenza potrebbe seguire la divisione amministrativa che fu al tempo inventata —dopo vent’anni di guerra di sterminio— dal colonialismo fascista.
L’intervento militare dei paesi NATO, la loro brama di spartirsi le spoglie e le ricchezze della Libia non sarà indolore. Esso susciterà la tenace quanto legittima resistenza delle forze islamiche e patriottiche libiche, spingendo le varie milizie, quelle tribali incluse, a fare fronte comune, di contro a quelle ascare già ora su libro paga delle potenze straniere e delle diverse multinazionali (ENI compresa).
Se comune è la volontà delle potenze di procedere allo smembramento della Libia, esse sono tuttavia divise su quali debbano essere i confini dei loro rispettivi protettorati coloniali. Dietro alla comune volontà ci sono infatti opposti appetiti e ambizioni egemoniche conflittuali. La competizione neo-coloniale tra le stesse potenze europee, è l’ennesima dimostrazione che l’Unione europea è un’entità fallita. Il ginepraio libico potrebbe accentuare questa competizione, senza escludere che i soldati di questa o quella potenza possano prima o poi cadere vittima di “fuoco amico”.
Diciamo quindi no all’invio di truppe d’invasione in Libia, comunque mascherate. Che sia il popolo libico a porre fine alla guerra fratricida ed a decidere il proprio destino».
* Fonte: Programma101

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