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lunedì 4 febbraio 2019

CONTRO LE AUTONOMIE REGIONALI di Marco Bulletta

[ 4 febbraio 2019 ]

Siamo alla minaccia incombente del "regionalismo differenziato". Ne abbiamo scritto diverse volte nell'ultimo periodo. Il Comitato centrale di Programma 101 ha dichiarato di recente il suo netto NO spiegando che si tratta di un serio pericolo alla sovranità del nostro Paese. Diversi di noi, assieme ad altre decine e decine di cittadini hanno promosso e sostenuto la petizione «NO ALLO SPEZZATINO! DIFENDIAMO L'UNITÀ DELL'ITALIA rivolta a Conte, Di Maio e Salvini affinché bloccassero la procedura avviata dal governo Gentiloni.
C'è di mezzo, com'è evidente, la Costituzione, quindi la questione della natura e della forma dello Stato. Di contro alla tendenza, che l'Unione europea favorisce, all'indebolimento se non smembramento degli stati nazionali, vien fuori una resistenza "sovranista" che ripudia ogni concezione federalista dello Stato nazione. 
Volentieri pubblichiamo questo contributo dell'amico Marco Bulletta. Di contro a chi punta a spezzettare la nazione egli si spinge a chiedere la soppressione delle stesse regioni a statuto speciale — c'è anche chi, nel dibattito su come dovrebbe essere l'Italia di domani, propone l'abolizione, sic et simpliciter, delle regioni per invece ripristinare a pino titolo le province. Qui vale ribadire che per i sinceri democratici la sola sede per ridisegnare l'assetto della Repubblica, la sia voglia centralista su modello francese, o federalista alla Svizzera o alla Tedesca, si deve necessariamente passare per un processo serio che coinvolga cittadini, giuristi, politici e giunga a conclusioni ponderate e condivise; quindi per un'Assemblea costituente in quanto massima espressione della sovranità popolare  — non quindi lasciando le decisione alla maggioranza parlamentare del momento, tantomeno ad un qualche governo  di dilettanti come avviene da tempo in Italia.



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Altro che autonomia a Lombardia Veneto ed Emilia
abolire lo Statuto Speciale

Sta andando in scena un’ennesima assurda farsa italiota: la concessione dell’autonomia a Lombardia Veneto ed Emilia Romagna, a seguito dei referendum regionali tenutisi nell'ottobre del 2017. Si sta, cioè, andando in direzione esattamente opposta a quella in cui, nell’anno Domini 2019, il buonsenso suggerirebbe di andare in ossequio alla semplice, banale considerazione che lo “statuto speciale”e l’autonomia di alcune regioni, nell’attuale situazione internazionale appaiono come un anacronismo inammissibile e lesivo dei principi costituzionali. Si, perché lo statuto speciale seguita a regalare anacronistici e inammissibili privilegi a cittadini di alcuni territori, togliendone, per evidenti considerazioni di “relatività”, a tutti gli altri, e alimentando in tal modo quelle odiose asimmetrie economiche imposte dal paradigma neoliberista, che oggi vengono giustamente combattute dalle spinte “sovran-populiste”.

Pochi hanno finora avuto il coraggio di portare alla ribalta queste incongruenze, che, se un tempo, all’indomani della guerra, potevano, forse, avere un senso, per ragioni in parte geopolitiche, culturali, economiche, oggi non hanno più ragione di sussistere, viepiù nell’attuale contingenza geopolitica economica e finanziaria.
Viene infatti spontanea la considerazione che, alle soglie della terza decade del ventunesimo secolo, con problemi di ben altra natura rispetto a quelli che quasi ottant’anni prima il Paese si trovava a fronteggiare, il buonsenso e la logica spingerebbero ad andare verso una, seppur graduale, eliminazione delle differenze fra territori e cittadini in essi residenti.
E allora ci si domanda: Per quale ragione, in un simile frangente, si sta procedendo in fretta e furia all’espletamento degli iter per concedere alle tre regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna quell’autonomia che invece andrebbe tolta a quelle realtà territoriali locali che, secondo le considerazioni anzidette, non hanno più motivo di fruirne?
Andiamo con ordine. Vediamo in breve gli aspetti storici, giuridici e fiscali.
Qual è la principale differenza fra lo statuto ordinario e quello speciale? Lo statuto ordinario, detto statuto di diritto comune, è adottato e modificato con legge regionale, mentre lo statuto speciale è adottato con legge costituzionale, così come avviene per ogni sua modifica.

Le cinque Regioni autonome hanno quindi fondamento nei rispettivi statuti, derivanti da leggi Costituzionali; quelle a statuto ordinario fanno invece riferimento dall’articolo 117 della Costituzione. Sono tutte soggetti giuridici per cui valgono tre tipi di potestà legislativa: Potestà legislativa Primaria, che spetta alle Regioni a Statuto Speciale, e riguarda le materie deliberate dagli statuti speciali, dove la legge regionale è la fonte normativa preminente. I limiti sono nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico. Potestà legislativa Concorrente: la normativa nelle materie indicate dall’art.117 deriva dal concorso di una legislazione per principi che spetta allo Stato e di una legislazione dettagliata che spetta alle Regioni a statuto speciale, e non va sottoposta alla preventiva emanazione di leggi quadro. Potestà legislativa integrativa – attuativa: c’è un limite che si identifica con tutta la legislazione statale, di principio e di dettaglio. L’art 117 prevede inoltre che le leggi della Repubblica possano demandare alle Regioni a statuto speciale il potere di emanare norme per la loro attuazione. Lo Stato può comunque avvalersi delle leggi regionali in vista di una legislazione integrativa simile a quella del secondo tipo.
La legge n. 59/97 ha poi ampliato i poteri legislativi delle Regioni a statuto speciale, che hanno così ancor più autonomia legislativa, comprendente in tal modo anche il potere di diffondere norme attuative ai sensi del secondo comma dell’art 117.
Le Regioni a statuto speciale, rispetto alle ordinarie, hanno poi l’importante privilegio fiscale di poter trattenere quasi tutte le imposte (Irpef e Iva) pagate dai cittadini sul loro territorio. Privilegio non eguale per tutte: la Sicilia trattiene il totale delle imposte, Valle d’Aosta e Trentino i nove decimi, la Sardegna i sette decimi, il Friuli i sei decimi.
Vediamo nel dettaglio. Lo statuto speciale della Regione Sicilia  proviene dal R.D. n.455 del 15.05.1946, recepito dalla Legge Costituzionale n.2 del 1948, e originato dalle spinte indipendentiste che, presenti da molto tempo e represse dal Fascismo, riemersero con lo sbarco alleato del ‘43. La Sicilia, oltre ad un’ampia autonomia amministrativa, gode della maggiore autonomia fiscale, essendo la regione che trattiene localmente la maggior quantità dei tributi raccolti nel territorio regionale, compresi introiti di gioco e lotterie, ottenendo ulteriori risorse dallo stato centrale. Le aziende con sedi produttive in Sicilia, ma sede fiscale in altre regioni, versano una quota delle imposte sugli utili direttamente alla Regione Sicilia.

Le aspettative indipendentiste della Sardegna nacquero dopo la I Guerra mondiale, che costò all’isola un  notevole tributo di vite. Vennero poi represse dal Fascismo e riemersero dopo la II Guerra, portando al riconoscimento dello Statuto Speciale con la Legge Costituzionale n. 3 del 1948. Dal punto di vista fiscale, la Regione Sardegna trattiene il 70% dell’imposizione Irpef e Irpeg raccolta sul territorio e il 90% dell’imposizione derivante dalle altre tasse.
La Valle d’Aosta, ceduta dalla Francia al Regno Piemontese nel 1860 e di seguito entrata nel neonato Regno d’Italia, vide ridursi l’originale cultura francofona con le migrazioni interne prima, e con la politica di “italianizzazione” del Fascismo poi. Sul finire della II Guerra, lo Stato Italiano concesse un’ampia autonomia anche a questa regione per scongiurare un ritorno sotto l’amministrazione francese. La Legge Costituzionale n. 4 del 1948 sancì lo statuto speciale anche per questa che è la più piccola regione italiana, non suddivisa in province. Fiscalmente la regione Valle d’Aosta trattiene il 90% di tutti i tributi raccolti sul territorio regionale.

Il Trentino e l’Alto Adige entrarono, come noto, a far parte dello Stato Italiano dopo la I Guerra Mondiale. La provincia di Bolzano è prevalentemente di lingua e cultura tedesche, con minoranze di lingua e cultura ladine. Durante il Fascismo, ed in seguito durante la guerra, le popolazioni alto atesine hanno subito prima le politiche di italianizzazione, in seguito l’invito a spostarsi nella Germania allora alleata dell’Italia, prima di essere travolte dal dramma della Guerra, a cui gli abitanti di questa regione hanno partecipato sia tra le file tedesche sia tra quelle partigiane. L’Italia uscita dalla guerra non esitò a concedere larghe autonomie per smorzare le pulsioni indipendentiste, che hanno continuato ad esprimersi anche attraverso atti di terrorismo fino agli anni ’80, e che tutt’ora si manifestano col largo consenso attribuito ai partiti indipendentisti. Dal 1972 la Regione Trentino-Alto Adige/SudTirol si articola nelle due province autonome di Trento e Bolzano, la prima di maggioranza linguistica italiana e la seconda a maggioranza linguistica tedesca, che hanno incorporato la maggioranza delle competenze in precedenza attribuite alla Regione. La Provincia di Bolzano ha scuole divise tra i gruppi linguistici italiano, tedesco e ladino, così come mantiene delle ripartizioni in merito alle posizioni amministrative, o nell’assegnazione delle case popolari. A tutti funzionari pubblici è inoltre prescritto il bilinguismo italo-tedesco. Fiscalmente il Trentino-Alto Adige, in forma unitaria o sotto forma delle due province che la compongono, trattiene il 90% della maggior parte delle tasse raccolte sul territorio, e il 100% delle imposte ipotecarie e delle imposte sul consumo dell’energia elettrica.

Il Friuli-Venezia Giulia ottenne lo statuto speciale solo nel 1963, anche per ragioni geopolitiche derivanti dalla divisione del mondo in due blocchi vigente a quell’epoca. Differisce dalle altre 4 regioni a statuto speciale per vari motivi. Fiscalmente trattiene molto meno del gettito locale rispetto alle altre: solo 4 tipi di tasse, e in misura più ridotta: 60% dell’Irpef; 45% dell’Irpeg; 80% dell’IVA e 90% dell’imposta di consumo dell’energia elettrica. Riguardo alla suddivisione amministrativa, le 4 amministrazioni provinciali verranno soppresse e non è passata nemmeno la proposta di suddividere la regione in 2 province autonome come per il Trentino-Alto Adige. Come forma di suddivisione amministrativa rimarranno le 18 Unioni Territoriali Intercomunali, facenti capo alle città principali e composte ciascuna da un numero di comuni compreso tra 6 e 22. L’articolazione delle materie di esclusiva competenza ricalca quelle delle altre regioni a statuto speciale.
La traduzione in cifre di questi privilegi fiscali dà il senso delle dimensioni. Le cifre divulgate relativamente agli ultimi anni presi in esame, evidenziano ad esempio che per la Sicilia l’Irpef si aggira oltre i 5 miliardi di euro; per la Sardegna intorno a 2,8 miliardi. Il  totale delle loro entrate è intorno a 42 miliardi, laddove per l’insieme delle 15 regioni ordinarie si aggira sui 125 miliardi.
Se si prendono in considerazione le spese, le Regioni autonome hanno ampia libertà di azione. Ad esempio la Valle d’Aosta ha una spesa pro-capite che si aggira intorno a 11.700 euro e dunque è oltre quattro volte quella di una Regione ordinaria pur importante come la Lombardia, che si attesta intorno ai 2.200 euro; la spesa pro-capite di Trento e Bolzano è circa tre volte a quella lombarda, mentre in Sardegna e in Friuli è circa il doppio.
Ma è l’efficacia che la dice lunga sulle disparità che tutto questo genera: in Trentino-Alto Adige e in Valle d’Aosta i soldi della Regione alimentano servizi sociali di livello “scandinavo”, mentre in Sicilia sostengono il classico “carrozzone” tutto sprechi e inefficienza, per usare eufemismi.

In ogni caso i dati attestano il passivo di tutte e sei le realtà autonome, le quali, ancorché beneficiarie di ampia elasticità di introiti e spese, nonché di potestà legislativa, sono tutte in rosso, seppur con grosse differenze fra loro; infatti il deficit pro-capite di Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige si aggira sui 2.000 euro; le altre sono oltre i 4.000, con il primato negativo della Valle d’Aosta che sfiora i 5.000 euro. Se si prendono in considerazione i valori assoluti, evidentemente più indicativi del peso che questa situazione ha sull’economia del Paese, il quadro cambia ancora. Il deficit della Valle D’Aosta risulta di appena 617 milioni di euro, quello della Sicilia di quasi 22 miliardi, la Sardegna è sui 7 miliardi, le altre due regioni si attestano sui 2 miliardi ciascuna.
Dunque la spesa pubblica delle tre Regioni Autonome del nord è eccessiva, ma almeno garantisce efficienza, laddove nel meridione l’inefficienza e lo spreco, superiore al 50%, non giustificano l’ingente  utilizzo delle risorse finanziarie. E a proposito di sprechi, il dato riguardante i dipendenti è ancor più esplicito: la Sicilia ne ha tanti quanti tutte le altre regioni a statuto speciale messe assieme. Nel 2011 sono costati 1,27 miliardi di euro. Nello stesso anno, e per la stessa causa, la Lombardia ha speso 171,5 milioni: l’amministrazione ai lombardi è costata 13 euro a testa, ai siciliani 204.

Le Regioni autonome, insomma, costano molto a tutti, ma sicuramente molto di più a chi vive nelle Regioni ordinarie, che spende per garantire un welfare da sogno a trentini, altoatesini e valdostani, e sprechi alla Sicilia, oltre a una serie di facilitazioni varie a sardi e friulani.
Dai dati emerge dunque una “Casta a Statuto Speciale”, che stavolta comprende diffusa non solo politici ed amministratori ma una decina di milioni di cittadini “di serie A” a cui tutti gli altri, inevitabilmente definibili “di serie B”, pagano molti privilegi. Tutto ciò da quasi tre quarti di secolo, un po' perché a causa delle varie garanzie statutarie lo Stato non ha potuto chiedere alle Regioni autonome i sacrifici richiesti alle altre Regioni, un po’ a causa della tradizionale debolezza della politica italiana, che negli anni non solo non è riuscita a ricondurre le anacronistiche e ingiustificabili asimmetrie economiche interne a quel logico ridimensionamento che il volgere dei tempi avrebbe richiesto, ma non è riuscita nemmeno a frenare le successive pretese di questi realtà privilegiate, che così hanno visto crescere anziché ridursi i propri immotivati e odiosi privilegi.

Risultato: esistono due Italie. Una, “ordinaria”, in cui le imprese, gravate da troppe tasse,  fronteggiano alla meno peggio il “moloch neoliberista globalitario” incarnato dall’UE, e quando, a causa dell’oppressione del “dogma” da esso imposto son costrette a chiudere i battenti, come tristemente si è verificato nell’ultimo decennio, i lavoratori perdono il posto, e tutti, comunque, scontano le restrizioni e i tagli allo stato sociale che da decenni le scellerate politiche neoliberiste impongono. L’altra Italia, “a statuto speciale”, in cui il settore pubblico offre facili posti di lavoro ai soliti amici (è il caso dell'esorbitante numero dei dipendenti della Regione Sicilia, che paiono essere intorno ai ventimila, ossia sette volte più della Lombardia, senza contare i trentamila “operai forestali stagionali”), le aziende fronteggiano una pressione fiscale inferiore (ad esempio in Trentino le “startup” hanno enormi agevolazioni fiscali) e nel caso di difficoltà si può contare su una serie di aiuti e sostegni pubblici nemmeno lontanamente immaginabili “nell'Italia ordinaria”, oltre a beneficiare, nelle tre regioni”speciali” del nord, di uno stato sociale altrettanto inimmaginabile altrove.

Una sorta di Eden, nel quale le famiglie che vivono nelle regioni Autonome trovano molti benefici. I valdostani, ad esempio, beneficiano da parte della Regione del finanziamento di una parte del riscaldamento domestico; i trentini beneficano di contributi sulle spese odontoiatriche, sulle badanti, sui pannolini per i bambini, della possibilità di un reddito minimo e di alloggi per chi si separa. Sempre in Valle d'Aosta è a carico della Regione addirittura la “tata” familiare. Un “welfare” efficientissimo, ma costoso per le casse pubbliche, in parte per gli abitanti delle Regioni Autonome, ma in buona parte anche a carico di quelli delle atre Regioni.
Talora lo Stato centrale ha tentato di limitare questi privilegi, ma dieci milioni di abitanti sono altrettanti voti, e nessuno ha avuto la forza di intaccarne i privilegi, che, anzi, sono cresciuti.
Le regioni a statuto speciale hanno avuto un senso in un’epoca diversa, ormai alle nostre spalle da molto tempo. Si trattasse di un dopoguerra con annessioni o di una guerra fredda, di sostegno economico o di rischio di separatismo. Ma oggi le cose sono molto diverse e non ha più alcun senso l’esistenza di statuti speciali che violano i principi costituzionali e creano solo disparità tra cittadini, accentuando le differenze mai colmate sin dall’inizio della storia unitaria.

Del resto anche fra le regioni ordinarie sussistono notevoli squilibri fra loro sulla sanità, bilanci, fisco, ecc. Oggi queste disparità sono anacronistiche e dannose. Tutte insensatezze, e alcune più di altre. Le sbandierate “ragioni storiche” e i vari diritti acquisiti ormai sono soltanto il paravento di inammissibili privilegi, che cozzano con i ben più importanti principi di giustizia ed equità sanciti dalla Costituzione.
Sorgono ordunque, “alla fine della fiera”, alcune considerazioni spontanee.
Innanzitutto a proposito dell’incoerenza della cosiddetta sinistra, che ben lungi dal difendere gli interessi del popolo come entità unica, da un lato ha sempre protetto, durante questi decenni, le suddette autonomie per prendere voti (prova ne sia che in Trentino-Alto Adige il crollo del PD non ha avuto le proporzioni che ha avuto nel resto d’Italia) e dall’altro si ostina ottusamente a farsi improbabile paladina del dogma neoliberista-eurocratico-globalitario che schiaccia ogni istanza di identità culturale dei popoli.
Inoltre a proposito dell’incoerenza della Lega, che ad onta di un presunto rinnovamento mostrato in occasione delle elezioni politiche dello scorso anno e volto all’apertura ad un progetto di ricostruzione della dignità nazionale basata sul sovranismo, appare irrevocabilmente dominata dalle tendenze separatiste e dalle mentalità asfittiche degli innumerevoli inquietanti personaggi che da sempre ne animano le politiche, che in ultima istanza conducono all’asservimento ai modelli imposti da parte delle èlites eurocratiche germanocentriche.
Ancora, osservando che il secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione recita: “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta` e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” e pertanto l’assurda scelta di favorire le mire “autonomistiche” di Lombardia Veneto ed Emilia suona apertamente come una violazione di questo sacrosanto principio.

Dunque, con buona pace delle varie incoerenze, da quelle della pseudo sinistra neoliberista e globalista, serva sciocca delle élites, a quelle della Lega, che malgrado gli sforzi del suo attuale capo politico è ancora evidentemente ostaggio di miopi e asfittiche convinzioni diffuse in buona parte dei suoi elettori del nord, sarebbe ora, anziché di accentuare i divari economici e le anacronistiche a assurde disparità di trattamento dei cittadini, sempre più discriminati in base alle collocazioni territoriali (questione del resto storicamente “datata” e mai risolta), sarebbe, dunque,  veramente ora di affrontare in modo serio, razionale, aperto e scevro da stupidi egoismi un problema che amplifica le asimmetrie economiche e geopolitiche già ampiamente consolidate dal paradigma neoliberista e sottaciute dalla politica codarda e opportunista. Sarebbe ora di tracciare  una volta per tutte la strada per restituire dignità e giustizia a quei “cittadini di serie B” che si vedono vessati anche dall’ingiusto mantenimento dei privilegi dei “cittadini di serie A”. Sarebbe ora di voltare pagina nella storia di questo Paese e cogliere l’opportunità di questo momento politicamente fluido per saldare un cambio di paradigma politico-economico con un cambio di mentalità, e comprendere che un nuovo modello sovranista di economia mista e di politica volta a colmare le ingiustizie e i divari può essere la strada per restituire dignità a questo Paese e alla gente che ci vive.




domenica 30 dicembre 2018

LA PROSSIMA GRANDE BATTAGLIA di Piemme

[ 30 dicembre 2018 ]

CHE FARE PER DIFENDERE L'UNITÀ E LA SOVRANITÀ NAZIONALI?


Sovranismo senza nazione ha scritto l'altro ieri Nello De Bellis, lanciando l'allarme per l'eventualità che il Parlamento sancisca definitivamente l'autonomia "differenziata" per Veneto, Lombardia e Emilia-Romagna.  De Bellis ha detto l'essenziale: verrebbe portato un colpo esiziale all'unità, quindi alla sovranità nazionale.

Dopo i due referendum in Veneto e Lombardia (22 ottobre 2017) e la richiesta dell'Emilia-Romagna, il Governo Gentiloni firmava (28 febbraio 2018) con le suddette regioni un protocollo d'intesa per devolvere loro competenze per una ventina di materie tra cui istruzione, sanità, rapporti con l'Unione europea, ambiente, beni culturali, tutela del lavoro. Su tutte spicca la facoltà di trattenere la maggior parte degli introiti fiscali. 
Il 21 dicembre scorso il governo giallo-verde, in fretta e furia, ha raccolto il testimone delineando " il percorso per il completamento dell'acquisizione delle intese", stabilendo che entro il 15 febbraio prossimo sarà definito l'accordo definitivo. Poi la parola passerà al Parlamento.

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Licenziata la Legge di bilancio, questa della "autonomia differenziata" è senza dubbio la questione più scottante, sulla quale, secondo alcuni, si gioca la stessa sopravvivenza del governo. Ci si chiede come il Movimento 5 Stelle, i cui consensi vengono soprattutto dal Mezzogiorno, possa effettivamente acconsentire a quella che è già stata battezzata come "secessione dei ricchi", che lascerebbe il Sud del Paese alla definitiva deriva.

Ma questa vicenda metterà alla prova anche il "salvinismo", ovvero il nuovo corso nazional-populista della sua Lega. Si vedrà se la rimozione del lemma "Nord" dal nome del partito, nonché il riferimento all'indipendenza della "Padania" siano stati soli dei trucchi o se dietro ci sia quello che è stato spacciato come un effettiva svolta strategica.

Di più: La "secessione dei ricchi", a bene vedere come si van posizionando i diversi poteri ed i loro fantocci politici, potrebbe scompaginare i due grandi campi contrapposti che si sono dati battaglia su Legge di bilancio e rapporti con l'Unione europea.


Giorgetti, che sembra essere il grande burattinaio della Lega, ha minacciato a chiare lettere che "L'autonomia di Lombardia e Veneto è una questione di esistenza del governo stesso". Gli ha fatto eco Lorenzo Fontana: "L'autonomia vale più di un governo, più di qualsiasi governo". Tutti e due facendo eco a Zaia: "L'autonomia viene prima di qualsiasi nostro ruolo governativo". Vedremo presto se Salvini è davvero il grande capo della Lega o se egli è solo un fantoccio.

Non c'è alcun dubbio che le "autonomie differenziate" ubbidiscono al disegno strategico di potenziare l'Unione europea, ciò che chiede l'indebolimento della sovranità nazionale. Non più stati sovrani, ma macroregioni — a destra il Progetto sponsorizzato dalla Ue di "Euro regione alpina" e più sotto le eventuali macroregioni nella futura Unione europea— come mere entità amministrative sottomesse a Bruxelles.

Potrà sembrare eccessivo ma ancora una volta l'Italia si trova ad essere il più avanzato laboratorio politico d'Europa, il luogo ove i super-poteri eurocratici vogliono sperimentare la loro strategia. Il paradosso è che la testa d'ariete di questa offensiva eurocratica sembra essere proprio la Lega di Matteo Salvini. Che ciò possa accadere senza fratturazioni interne al leghismo sembra alquanto improbabile. Vedremo, e vedremo anche se i Cinque stelle staranno al gioco. Sotto ogni punto di vista questa vicenda sarà la cartina al tornasole per verificare sostanza e tenuta di tutti e due i populismi italici.


Lo sarà anche per il campo eurocratico, rappresentato da Pd e Forza Italia. Toti, che stupido non è dice che "E' ora di un blocco ampio anche con chi votava Pd. L'asse sul federalismo diventi una bandiera". Non va infatti dimenticato che il "regionalismo differenziato" è figlio della riforma del titolo V della Costituzione (2001) targata D'Alema e Amato; che dunque il PD, primo paladino del disegno strategico europeista, non farà certo barricate quando in Parlamento arriverà l'eventuale dispositivo legislativo per l'autonomia "differenziata".

Guardando a come si mettono le cose la battaglia per l'unità e la sovranità nazionale sembra pregiudicata. Non è detto. E ad ogni modo essa dovrà essere combattuta. Una piccola palla di neve, in circostante come queste, può diventare una valanga.

Le forze del campo sovranista e democratico sono chiamate alla loro prova più seria. Debbono e possono non solo far sentire la loro voce, mettere in moto un movimento popolare per inceppare l'infernale macchina. 

La SINISTRA PATRIOTTICA deve provare a fungere da lievito di un ampio fronte popolare in difesa della sovranità e dell'unità nazionali.


martedì 20 novembre 2018

E QUESTO SAREBBE SOVRANISMO ? di Piemme

[ 20 ottobre 2018 ]

LA TRAPPOLA DELLE "AUTONOMIE DIFFERENZIATE"

Francesco Verderami, per nome e per conto dell'élite neoliberista, ci ricorda sul Corrierone di oggi che la vera sfida su cui il governo giallo-verde si gioca tutto è quella dello scontro con l'Unione europea. La pensiamo, com'è noto, alla stessa maniera. Entrambi le parti invocano il dialogo ma nessuna sembra disposta a fare sostanziali concessioni. Il rischio è che per la prima volta un paese della Ue, per di più fondatore, venga sanzionato (procedura d'infrazione per eccesso di debito). In altri termini una pistola puntata alla tempia, non più solo del governo ma del Parlamento, ergo della Repubblica e del popolo italiano.

In questo quadro risultano non solo bizzarre ma inquietanti le baruffe quotidiane tra Salvini e Di Maio. A Salvini non è bastato fare della "sicurezza" motivo di decretazione d'urgenza, né lo sgambetto in Campania ai danni dei Cinque Stelle sugli inceneritori. Ieri ha acceso una nuova miccia, quella per cui il Parlamento dovrebbe approvare già in autunno la "riforma delle autonomia regionali".

Sul tema questo blog era già intervenuto l'8 novembre lanciando l'allarme: DISFARE L'ITALIA? I DUE VOLTI DELLA LEGA

Allarme più che giustificato ove davvero la Lega imponesse al Parlamento di consacrare il gravissimo accordo sulla cosiddetta "autonomia differenziata" firmato alla chetichella il 27 febbraio tra il governo piddino di Gentiloni (rappresentato dal sottosegretario agli Affari regionali Gianclaudio Bressa) ed i governatori di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Quell'accordo faceva seguito alla farsa dei referendum del 22 ottobre del 2017 svoltisi in Veneto e Lombardia, e alla richiesta di "maggiore autonomia" dell'Emilia-Romagna con una richiesta formale.

Cosa prevede quell'accordo? Che con legge dello Stato — quella appunto che Salvini vorrebbe fosse approvata prima della fine dell'anno — possano essere attribuite (in base all'Art.116 della Costituzione dopo la sciagurata riforma del 2001) anche alle regioni a statuto ordinario ulteriori e fondamentali forme e condizioni particolari di autonomia, rispetto alla già vasta lista delle materie a legislazione concorrente (terzo comma dell’articolo 117), e all’organizzazione della giustizia di pace, alle norme generali sull’istruzione e alla tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. E sempre l’articolo 116 prevede già che le regioni possano prendere l’iniziativa per richiedere maggiori dosi di autonomia.

In buon a sostanza un salto nel buio di un federalismo in salsa liberista che rischia di sfasciare, più di quanto globalizzazione e Unione europea non abbiamo già fatto, lo Stato e la Repubblica. Si può discutere certo dei mali di un eccessivo centralismo statale, si può discutere della trasformazione in senso federale e democratico della Repubblica, non è ammissibile che venga trasformato in legge, in quattro e quattr'otto, un federalismo bastardo come quello contemplato nell'accordo del 27 febbraio. E non solo perché esso è di marca liberista, per la fondamentale ragione che rebus sic stantibus, essendo che l'Italia fa parte dell'Unione europea, queste "autonomie differenziate" amplificano la distanza tra Nord e Sud del Paese, accentuano le forze centrifughe, rafforzano la tendenza, non solo del del Lombardo-Veneto, ma di tutto il Settentrione, a saldarsi con la Mitteleuropa se non direttamente con la potente economia tedesca.

La bandiera del Regno Lombardo-Veneto fu la bandiera
ufficiale utilizzata entro i confini della Lombardia e del
Veneto sotto l'amministrazione 
austriaca dal 1815 al 1859.
Mentre Zaia, dopo il referendum in Veneto, si lasciò scappare la battuta che sarebbe bello tornare al Lombardo-Veneto", Maroni ebbe a dire dopo la firma dell'accordo:
«Una giornata storica, dopo diciasette anni abbiamo firmato il primo accordo per dare più autonomia alle Regioni... È scritto, non si torna indietro, bisogna completare il percorso, si apre un nuovo corso per la Lombardia e le Regioni».
Venendo al nocciolo, ovvero in materia di finanziamenti l'ex presidente lombardo senza peli sulla lingua disse:
«Va calcolato quanto oggi lo Stato spende in Lombardia, queste risorse andranno nel bilancio della Regione: vuol dire risorse in più. Gli altri due criteri sono i costi e i fabbisogni standard che è una vecchia battaglia storica della Lega e che vuol dire che chi governa meglio ha un vantaggio perché spende meno e riceve di più dallo Stato. E poi la compartecipazione al gettito di uno o più tributi erariali, che è una pagina storica. Finisce il sistema dei trasferimenti, le tasse pagate in Lombardia vengono a Roma e da qui tornano indietro, in parte vuol dire che le tasse pagate in Lombardia in quota importante rimarranno in Lombardia».
Non solo un cattivo federalismo, un federalismo al contrario, di chiara marca liberista.

Va bene che la partita decisiva è quella con l'Unione europea, che sarebbe bene evitare le baruffe in seno al governo su cose che risultano oggi secondarie, ma questa non lo è affatto: Quindi no, questo federalismo non deve passare.

giovedì 8 novembre 2018

DISFARE L'ITALIA? I DUE VOLTI DELLA LEGA

[ 8 novembre 2018 ]

La Lega di Salvini tende a presentarsi con paladina della nazione. Parallelamente ha promosso i due referendum in Lombardia e Veneto per ottenere maggiore autonomia. Il cosiddetto "regionalismo differenziato", è un secessionismo a bassa intensità che rischia di sfasciare lo stato nazionale. 

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LA SECESSIONE ATTRAVERSO LA SCUOLA
di Domenico Gallo

C’è una cattiva notizia che non compare nei telegiornali perché la politica la tiene rigorosamente riservata, quando, al contrario, dovrebbe diventare oggetto di un dibattito vivacissimo prima che sia troppo tardi e vengano compiute scelte irreversibili.

Tutto è iniziato con i referendum leghisti svoltisi in Lombardia e nel Veneto nell’ottobre del 2017 con i quali le due Regioni hanno attivato l’iniziativa, ai sensi dell’art. 116 della Costituzione, per ottenere l’attribuzione di maggiore autonomia nelle materie (23) riservate alla legislazione concorrente. All’iniziativa si è aggiunta la Regione Emilia Romagna. Per essere più chiari la prospettiva è quella di giungere ad una regionalizzazione completa in settori fondamentali come l’istruzione, l’università e la ricerca, la sanità, le reti di trasporto e di comunicazione, la previdenza complementare ed integrativa, la tutela e la sicurezza del lavoro, il governo del territorio ed altro ancora. 

Dopo il referendum il Governo Gentiloni – in articulo mortis – a poche settimane dal voto del 4 marzo, stipulò un accordo preliminare con le tre regioni. Con l’avvento del nuovo governo, la prospettiva non si è arenata ma ha fatto un balzo in avanti. Il contratto di governo specifica l’obiettivo di portare a «rapida conclusione le trattative già aperte tra Governo e Regioni» per l’attribuzione di maggiori funzioni, con le «risorse necessarie per un autonomo esercizio delle stesse».

Le trattative fra il Governo e le tre Regioni interessate sono portate avanti dalla ministra leghista Erika Stefani. Le trattative sono a buon punto, come ci ha informato Salvini (Repubblica, 30 agosto) che non vede l’ora di firmare l’accordo con le Regioni e tradurlo in legge. Per essere valido l’accordo deve essere approvato dal Parlamento con legge a maggioranza assoluta; una volta approvata la legge sarà difficilissimo tornare indietro, anche se cambiasse la compagine politica, perché occorrerebbe il consenso delle Regioni interessate.

Adesso stanno cominciando a venir fuori gli scenari che emergono dal fumo delle trattative riservate. Quello più inquietante riguarda la regionalizzazione della scuola pubblica. Ora se c’è un bene pubblico che non può essere frazionato e sottoposto a logiche localistiche questo è il bene pubblico dell’istruzione. Se c’è un’istituzione che non può essere divisa o spezzettata questa è la scuola pubblica. La scuola, anche se rende un servizio al pubblico, non è un servizio pubblico che può essere gestito in sede locale dalle comunità che ne usufruiscono, bensì una funzione pubblica, come la difesa, come la giustizia. Ciò ha fatto dire a Calamandrei che: "la scuola è un organo costituzionale, ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quegli organi che formano la Costituzione." La sua funzione è fondamentalmente quella di produrre la cittadinanza, di dare la parola a tutti perché tutti possano divenire sovrani, di rompere il muro delle diseguaglianze dando a ciascuno gli strumenti formativi e culturali, la lingua appunto, per consentirgli di partecipare, in condizioni di parità, all'organizzazione politica economica e sociale del paese, così come richiede l'art. 3, II comma della Costituzione. La scuola pertanto è una funzione pubblica, essa costituisce una istituzione, anzi la principale istituzione della cittadinanza e dell'eguaglianza. Poiché costruisce la cittadinanza, formando i cittadini, la scuola è anche la principale funzione pubblica che garantisce l’unità del paese. Se si vuole avviare una secessione delle Regioni del Nord, il primo passo è quello di spezzettare la scuola pubblica e introdurre livelli differenziati nell’istruzione per aree geografiche a cui seguirà una narrazione differenziata della nostra vita come comunità politica ed una declinazione differenziata dei diritti fondamentali, come insegnano le esperienze pilota delle scuole di Adro e di Lodi.

“Qui si fa l’Italia o si muore”, è il celebre aforisma attribuito a Garibaldi dallo scrittore Giuseppe Cesare Abba. Oggi, alla luce degli intendimenti leghisti si potrebbe declinare al contrario: qui o si disfa l’Italia o si muore.

* Fonte: Micromega

sabato 7 ottobre 2017

REFERENDUM LEGHISTI IN LOMBARDIA E VENETO, CHE DIO CE NE SCAMPI! di Piemme

[ 7 ottobre 2017 ]

Il CORRIERE DELLA SERA di ieri ci informa dei risultati di un sondaggio di Swg commissionato dai leghisti Maroni e Zaia su cosa pensino gli italiani del Nord sui due imminenti referendum "autonomisti". Risultati per i due politicanti assai inquietanti, per noi di buon auspicio.

Torneremo sulla questione ma dato che i due referendum sono alla porte, vogliamo, come Programma 101, anticipare la nostra opinione: noi invitiamo simpatizzanti e amici in Lombardia e Veneto ad impegnarsi per il boicottaggio, invitando i cittadini a non recarsi alle urne.

Il referendum è anzitutto una farsa. Quel pasticciaccio orribile (voluto dall'allora governo di centro-sinistra!) della riforma del Titolo V della Costituzione contempla in effetti la possibilità che le Regioni aprano con lo Stato centrale un tavolo negoziale per contrattare ulteriori funzioni legislative ed attribuzioni amministrative in una serie sterminata di materie (tra cui quella fiscale). Maroni e Zaia potevano quindi avviare l'iter negoziale senza ricorrere ai referendum, che appaiono dunque come scaltri spot elettorali pro domo loro in vista delle prossime elezioni politiche. Spot che, sia detto di passata, sono da inquadrare anche nella battaglia interna alla Lega, ovvero per depotenziare la svolta "nazionale" di Matteo salvini —che pare costretto, obtorto collo, a fare buon viso a cattivo gioco.

Sarebbero beghe leghiste se non ci fosse dell'altro, ovvero la sostanza. E la sostanza è che questi due referendum sono svolti in nome di un "federalismo-trappola", inaccettabile poiché punta, sul lungo periodo, a smembrare lo Stato italiano, a smantellare gli ultimi scampoli di sovranità per devolverli alle Ue. Maroni e Zaia non possono confessarlo, ma la loro visione è quella di una "Padania" che guarda all'incorporazione con l'euro-germania, che quindi si sgancia dal resto del Paese lasciato alla malora. Non a caso gli euro-liberisti di vario colore, vedi Piddini e pentastellati, hanno annunciato che voterranno SÌ.

Noi rispettiamo i sentimenti regionalisti ma che Dio ce ne scampi! da questi due referendum. Occorre fermare questo tentativo e battere Maroni e Zaia. E precisiamo: la cosa da fare non è quella di recarsi alle urne per votare NO, ma boicottare i referendum non andando a votare. Più l'affluenza sarà bassa meglio sarà, e se così sarà lomardi e veneti si libereranno di questi due ascari intimamente euristi e secessionisti.

Ecco ora quel che viene fuori dal sondaggio Swg: 
«Soprattutto, a non tranquillizzare è il sondaggio svolto per la Lega il 27 settembre da Swg. La prima domanda è se si ritiene «giusto» l’aver indetto il voto. E fin qui, siamo in zona di (relativa) tranquillità. Nel nord est l’aver indetto il referendum è molto o abbastanza giusto per il 56% (contrari il 36%) e nel nord ovest è 51% a 37%, a fronte di una media nazionale di 41 favorevoli contro 44 sfavorevoli. Sull’utilità del referendum già ci si muove in campo negativo: la consultazione sarà «utile» soltanto per il 45% degli intervistati (di opinione opposta il 48%) nel nord est. Nel nord ovest, meno ancora: utile per il 41%, di parere diverso il 51%. Ma le peggiori sono le risposte successive. La prima riguarda la spesa. La domanda è se l’intervistato sia d’accordo con chi sostiene che il voto sarà una spesa inutile. Condivide tale punto di vista il 56% degli intervistati nel nord ovest e il 52% nel nord est. Infine, una questione di opportunità: dato che la Costituzione prevede già la possibilità di una trattativa tra Regioni e Stato per ottenere ulteriori competenze, non era forse meglio impegnarsi subito in tale trattativa? La risposta è sì per il 49% nel nord ovest e, sorpresa, il nord est è ancora più scettico: meglio la trattativa diretta per il 53% degli intervistati».

venerdì 19 febbraio 2016

REGIONI AUTONOME E SOVRANITÀ NAZIONALE di Beppe De Santis

[ 19 febbraio ]

LA DISTRUZIONE NEOLIBERISTA DELLA SOVRANITÀ AUTONOMISTICA DELLE 5 REGIONI A STATUTO SPECIALE

In Sicilia, negli ultimi tempi, va di moda il tiro al bersaglio, massimamente masochistico, contro lo Statuto autonomistico speciale.

A parte il volgo, la plebe ignara e manipolata —che volge dove vuole il vento. A parte la canaglia politicante. Autonomista, separatista, la mattina. Centralista, autoritaria, la sera.I l fior fiore dei giuristi, di ogni scuola e risma. Costituzionalisti di chiara fama. E fame (di incarichi pubblici e para). Intellettuali post-marinettiani, e furenti, alla Pierangelo Buttafuoco.”Buttanissima Sicilia". Dall'Autonomia a Crocetta, tutta una rovina”. Stupidissima, penultima fatica del Nostro. Tutti, contro l'Autonomia speciale siciliana. E le altre Autonomie speciali di Sardegna, Valle D'Aosta, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia. Per la goduria delle oligarchie neoliberiste nostrane e d'oltralpe. E dei loro servi e lacchè. Le 5 regioni a Statuto speciale, dove vivono oltre 9 milioni di cittadini elettori, oltre il quindici per cento del popolo italiano. Che fanno da limes —sempre— geopoliticamente sensibile all'Italia intera. Sensibilità storiche e culturali pregiate, resilienti.

E' vero. Non sempre le potestà autonomistiche sono state bene usate. Dalle classi dirigenti, a volte, ascare, ancillari, servili delle Regioni autonome.

Ma da qui a tagliarsi le pudenda, ce ne passa.

Le Autonomie Speciali —gli Statuti autonomistici— sono pezzi pregiati, parti organiche, consustaziali, della Costituzione italiana. LE AUTONOMIE SPECIALI SONO COSTITUZIONE ITALIANA. Ecco, il punto.

Logorare, delegittimare, svuotare le Autonomie Speciali significa massacrare la Costituzione italiana, nel suo complesso.

Parziale cattivo uso della AUTONOMIE SPECIALI non significa inutilità o negatività delle autonomie stesse.

Il punto vero è che le Autonomie Speciali sono state —in gran parte— svuotate delle loro potestà costituzionali. Negli ultimi 35 anni. DAL NEOLIBERISMO IMPERANTE.

Molti critici —tra quelli in parziale buonafede ma in totale ignavia— delle Autonomie Speciali scambiano fischi per fiaschi.

Scambiano gli effetti per le cause.

Scambiano la progressiva debolezza, la progressiva inefficacia, la vera e propria impotenza delle Autonomie Speciali, provocate dal rullo compressore neoliberista, per impotenza SOGGETTIVA, per autoconsunzione soggettiva, per degenerazione soggettiva, per causa del proprio male, e non per effetto del massacro neoliberista. L'Autonomia Speciale, la VITTIMA, scambiata per CARNEFICE . Di se stessa.

Non è una crisi autogena, quella delle Autonomie Speciali.

Il rapporto tra SOVRANITA' NAZIONALE COSTITUZIONALE e SOVRANITA' AUTONOMISTICHE. Dunque.

Bisogna rovesciare lo sguardo analitico e politico.

Non guardare alla crisi delle Autonomie Speciali in modo autoreferenziale e separato.

La crisi delle Autonomie Speciali è un effetto specifico, e grave, dello svuotamento progressivo della sovranità nazionale costituzionale. Realizzato dal neoliberismo globale a carattere neo-totalitario. Dal neoliberismo europeista. Dall'euro.


Chi vuole salvaguardare, ripristinare le sovranità autonomistiche, deve battersi per salvaguardare, ripristinare LA SOVRANITA' NAZIONALE, COSTITUZIONALE E DEMOCRATICA.

Tutti i sinceri e consapevoli autonomisti della Valle D'Aosta, del Trentino Alto Adige, del Friuli Venezia Giulia, della Sardegna e della Sicilia devono battersi per il ripristino della sovranità nazionale, costituzionale e democratica.

E' questa la premessa, il fondamento delle sovranità autonomistiche regionali.

Perciò sono tra i promotori e firmatari dell'Appello del Programma 101.

Cari autonomisti di tutta Italia, valdostani, trentini e goriziani, friulani e giuliani, sardi, siciliani... il resto è aria fritta.

Palermo, 16 febbraio 2016

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