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lunedì 21 agosto 2017

GIÙ LE MANI DAL COMPAGNO BAGNAI!

[ 21 agosto 2017 ]

Leggendo un recente post su gooynomics veniamo a sapere che Alberto Bagnai è stato denunciato in sede civile da un pennivendolo poiché il Nostro lo avrebbe "offeso". Nessuna ingiuria ci fu, solo l'aver fatto notare che in giro ci sono tanti somari che parlano a vanvera. Ebbene, rito per direttissima e Bagnai è stato condannato al risarcimento di 5mila euro (ne erano stati chiesti ben 40mila). Cogliamo l'occasione per esprimere, assieme all'indignazione per questa condanna (che rischia di essere un inquietante precedente), la nostra più sincera solidarietà a Bagnai.
E lo facciamo rilanciando un suo recente e istruttivo intervento.

I disoccupati“veri”in Italia sono il 30%: più che in Grecia
di Alberto Bagnai


Fra due anni, Mario Draghi terminerà il suo mandato alla Bce, lasciando in legato al suo successore un bel patrimonio di frasi celebri. Tutti ricordano l’icastico whatever it takes, e per un’ottima ragione: affermando il 26 luglio 2012 la volontà della Bce di intervenire sui mercati a qualunque costo, Draghi invertì la tendenza dello spread, che stava crescendo nonostante l’Italia fosse stata “salvata” da Monti per decreto nel dicembre 2011.
Bastò la parola. Poi, col tempo, non bastò più. Il 22 gennaio 2015, Draghi annunciò che sarebbe partito il quantitative easing ( Q E) , l’incubo degli economisti rigorosi: 60 miliardi di euro sarebbero stati messi in circolo ogni mese in cambio di titoli detenuti dalle banche. Il decollo dell’inflazione, che Draghi auspicava e i rigorosi temevano, non ci fu (lo avevamo anticipato su queste colonne il 31 dicembre 2014), tant’è che il QE pare sia destinato a continuare.
AL POSTO dell’inflazione, abbiamo avuto un’altra frase celebre: “Ci sono forze che congiurano a tener bassa l’inflazione” ( Francoforte, 4 febbraio 2016). Spiazzati dall’elegante scelta lessicale, i beceri social media cianciarono di un Draghi complottista. Fu un peccato, perché così si perse il senso epocale di quella affermazione: Draghi confessava che la moneta non causa i prezzi. Restava da capire cosa li causasse. In fondo, le cose stavano andando meglio, ci veniva detto: l’economia riparte, la disoccupazione scende. Hai visto la Spagna? Hai visto l’Irlanda? Ma allora perché, nonostante tutti questi miracoli, i prezzi languono? Finalmente, nel maggio scorso, è arrivato l’ennesimo “contrordine compagni!”: nel Bollettino n. 3 dell’11 maggio 2017, la Bce ci informa che la disoccupazione nell’Eurozona non è bassa, tutt’altro!


I dati ufficiali la sottostimano: tenendo conto non solo dei disoccupati (persone che cercano lavoro), ma anche degli scoraggiati (persone che non cercano più lavoro ma vorrebbero lavorare) e dei sottoccupati (persone che vorrebbero un lavoro a tempo pieno ma hanno ottenuto solo un part time), la disoccupazione media dell’Eurozona passerebbe dal 9.5% al 18%. E che c’entra questa storia con l’inflazione? Il fatto è che: “Le risorse inutilizzate gravano sulla dinamica dei prezzi e dei salari”. Tradotto: i prezzi non dipendono da quanta moneta si stampa (come dicono i neoliberisti), ma dalla disoccupazione (come dicono i keynesiani). Se fuori della porta c’è un esercito di persone disposte a lavorare a meno, sarà difficile spuntare un salario dignitoso. Con salari bassi l’imprenditore prima è contento, perché abbassa i prezzi e paga poco il lavoratore, e poi chiude, perché smette di fatturare: se i lavoratori non hanno soldi in tasca, chi compra i beni prodotti ( nonostante i prezzi bassi)?
Si chiama “crisi di domanda interna”, e non si risolve quando lo Stato “stampa” moneta (l’ha detto Draghi), ma quando la spende per investimenti (per esempio ricostruendo nelle zone terremotate). Quest’ultima cosa non si può fare, perché l’Europa si oppone: c’è il pareggio di bilancio e poi aiutare

gli imprenditori terremotati è violare la concorrenza! Intanto, Draghi stampa... Vi chiederete: quella che la disoccupazione ufficiale è sottostimata è una novità? Assolutamente no. Negli Stati Uniti, per esempio, vengono pubblicate da tempo 6 misure del tasso di disoccupazione, l’ultima delle quali, U6, tiene conto di scoraggiati e sottoccupati.

I dati che vedete sono stati ottenuti con calcoli analoghi. Per una volta abbiamo la triste soddisfazione di arrivare primi: nel 2016 il nostro U6 è, se pure di poco, superiore perfino a quello della Grecia, e questo per la fortissima incidenza di scoraggiati. Si spiega così l’avanzata del cosiddetto populismo, e la batosta del Pd alle ultime elezioni.
SE INVECE osserviamo nel tempo la situazione dei quattro grandi dell’Eurozona, vediamo che dalla crisi in poi la Germania sta sempre meglio, e la Francia sempre peggio: questo ci spiega il rapido calo di popolarità del neoeletto Macron, che parla di rigore a un Paese in crescente affanno.


La disoccupazione U6 aiuta a capire tante cose: ma allora perché noi, nella nostra ansia di emulare gli Usa unendo l’Europa, non partiamo da questa cosa piccola ma essenziale: dotarci di una misura attendibile della tensione sul mercato del lavoro? La risposta è semplice: perché da quando ha abbandonato la flessibilità del cambio la nostra economia, a differenza di quella americana, si basa sulla disoccupazione competitiva. Quando arriva una crisi, vince il paese che taglia i salari prima e più del vicino, cioè che alza prima la disoccupazione: si chiama “svalutazione interna”.
NATURALMENTE, a ffinché questo gioco sia politicamente sostenibile, occorre che sia subdolo: l’esercito industriale di riserva deve mimetizzarsi nelle statistiche. Ed è questo il motivo per il quale la maggior parte di voi fino a oggi conosceva solo gli U2 (il gruppo), ma non gli U6 (i disoccupati). Qualche conte Attilio avrà invitato a troncare, sopire... Peccato: per una volta che eravamo in testa a una graduatoria! Lo dice San Draghi. A maggio la Bce legò questi numeri e l’inflazione zero: bassi salari, prezzi fermi.



giovedì 15 giugno 2017

APPELLO AL POPOLO PALERMITANO di Pino Prestigiacomo e Beppe De Santis

[ 15 giugno 2017 ]

«A questo ultimo proposito, organizzeremo, al più presto e bene, UNA GRANDE SINDACATO SICILIANO DEI DISOCCUPATI, organizzato in tutti i 390 Comuni siciliani e i tutti i quartieri delle grandi città».


APPELLO AL POPOLO PALERMITANO
OR.S.A - Organizzazione Sindacati Autonomi e di Base (Federazione di Palermo)


Fratelli e sorelle lavoratori e lavoratrici, precari, disoccupati, poveri
E’ TEMPO DI SOLLEVAZIONE, DI RIVOLTA.
Gran parte di noi, il Popolo di Palermo, è ridotta alla povertà, a diffuse forme di lavoro schiavistico, a umilianti ed eterni-lavori precari e part-time, a redditi miserabili e incerti, a subire ricatti dolorosi e insopportabili.

NOI, UMILIATI E OFFESI
NOI. Offesi da classi dominanti, parassitarie, voraci, predatorie, bugiarde, ignoranti e arroganti. Squallide. Al servizio delle oligarchie finanziarie speculative.

NOI. Offesi per la cacciata dei figli, in fuga incerta per il mondo, alla ricerca di una
sopravvivenza e di un’altra dignità sognate. Oltre 10.000 giovani palermitani all’anno —spesso qualificati e laureati— via di casa: un genocidio. Come nei tempi più bui degli esodi biblici del nostro Popolo.

NOI. Che sopravviviamo in città sempre più degradate e violente. Con servizi (trasporti, sanità, scuola e formazione) sempre più deteriorati e fatiscenti, massacrati dalle oligarchie finanziarie che dominano il mondo, in modo totalitario. Dove non si fanno nuove assunzioni da decenni. Dove i lavoratori, pesantemente ridotti di numero, anziani, malpagati, frustrati e maltrattati —a volte, criminalizzati— reggono a stento.

NOI. Senza pensioni, con pensioni di fame, con pensioni future incerte e miserabili.

NOI. Diciamo BASTA!

TUTTE le tradizionali classi dominanti vanno combattute frontalmente, liquidate e spazzate via.

NOI. Popolo.

Sappiamo che oggi, a dominare il mondo è il finanz-capitalismo globale speculativo, le 100.000 multinazionali globali che comandano al posto degli Stati svuotati di sovranità costituzionale.

Sappiamo che la distribuzione della ricchezza è piombata ai livelli degli inizi del Novecento o dei tempi anteriori alla rivoluzione francese (l’1-10% dell’umanità contro il restante 90%).

Sappiamo che l’Unione Europea è diventata il propulsore, l’acceleratore del dominio delle
oligarchie neoliberiste, e, il sistema monetario dell’euro lo strumento delle criminali politiche di austerità e di asservimento schiavistico del Popolo.

NOI. Pretendiamo, e combatteremo aspramente per questo, l’ATTUAZIONE INTEGRALE DELLA COSTITUZIONE ITALIANA, quella salvata con il referendum del 4 dicembre 2016 dal POPOLO CONTRO LE ELITES.

NOI. Pretendiamo la Repubblica fondata sul lavoro e sulla piena occupazione, secondo le politiche keynesiane —ivi sancite— e da ripristinare integralmente e radicalmente.

Il ruolo del SINDACATO va ripensato e rifondato in questo scenario globale di conflitto verticale tra finanzcapitalismo globale speculativo, da una parte, e Popolo, lavoratori, precari, poveri, famiglie, territori economia reale, rete delle Autonomie Locali, Autonomia Siciliana ( da rifondare), sovranità statali costituzionali da ripristinare, dall’altra parte.

C’è bisogno di un NUOVO SINDACALISMO categoriale e confederale, autonomo, libero, DEI lavoratori, CON i lavoratori, PER i lavoratori.

A partire da Palermo, dalla Sicilia, dal Sud.

I tradizionali sindacati confederali sono diventati definitivamente sindacati di regime, subalterni a queste classi politiche dominanti serve del finanzcapitalismo, gestori della distruzione dei diritti dei lavoratori, servili, impotenti e anche —in alcuni ambiti—, corrotti.

C’è bisogno, qui e ora, di una vera rifondazione e RIVOLUZIONE SINDACALE, nell’ambito della rivoluzione neo-sovranista generale, che sta germinando in tutta Europa e in Italia.

A Palermo e in Sicilia, i punti e i settori di attacco prioritari del nuovo sindacalismo sono:

-i trasporti,
-la scuola e la formazione,
-gli Enti locali e la Regione,
-la sanità;
-tutte le forme di precariato,
-i disoccupati.

A questo ultimo proposito, organizzeremo, al più presto e bene, UNA GRANDE SINDACATO SICILIANO DEI DISOCCUPATI, organizzato in tutti i 390 Comuni siciliani e i tutti i quartieri delle grandi città.

Tanti sono i segnali positivi di un possibile rinascimento del buon sindacalismo, a partire dalla vertenza in corso di ALITALIA.

Proseguono senza sbocco le annose vertenze quali ALMAVIVA,ILVA,CANTIERI NAVALI,e altre.

Rivendichiamo l’impiego di marittimi italiani sulle navi delle flotte che fanno capo ad armatori italiani.

A seguito del patente degrado, fino alla corruttela sistemica, del settore dei collegamenti marittimi siciliani con le isole minori,rivendichiamo la riforma totale del settore,a partire dalla ripubblicizzazione.

Respingiamo completamente la proposta del governo Crocetta di assorbire il Consorzio Autostrade Siciliane (CAS) all’interno del corrotto ANAS. Al contrario, chiediamo l’assorbimento della rete stradale oggi gestita dall’ANAS all’interno del CAS.

RESPINGIAMO COMPLETAMENTE IL NUOVO PIANO REGIONALE DEI TRASPORTI,COMPLETAMENTE ERRATO SIA NELLA STRATEGIA CHE NELLE PROPOSTE CONCRETE.

L’OR.S.A, valoroso sindacato libero e autonomo, nato nel 2009 e già consolidatosi, in tutta Italia e in Sicilia, a partire dal Comparto dei Trasporti, è a disposizione per questo progetto —e impegno— rinnovatore e necessario, non più rinviabile.

Palermo e provincia sarà uno dei massimi laboratori di questa aspra e meravigliosa fatica.

Venite immediatamente ad organizzare, con noi, il movimento di liberazione dei lavoratori e delle lavoratrici, dei precari, dei disoccupati, dei poveri.

Ricordiamo la lettera che San Paolo, al termine della vita, scrisse a Timoteo:

“Ho combattuto la buona battaglia,
ho terminato la mia corsa,
ho conservato la fede”.

L’epigrafe adattata a noialtri dell’OR.S.A. :

“combatteremo la buona battaglia,
per terminare, combattendo, la nostra corsa;
conservando la fede.
Nella giustizia.”

L’appello è firmato da due antichi guerrieri laburisti:

- Pino Prestigiacomo, segretario generale confederale dell’OR.S.A. di Palermo

- Beppe De Santis, portavoce.

Palermo, 13 GIUGNO 2017

giovedì 1 settembre 2016

FERTILITY DAY: UNA DEMAGOGICA TROVATA di Tancredi Tarantino

Una esemplare lettera aperta, testimonianza che sputtana la ministra Beatrice Lorenzin  e tutto il suo Piano Nazionale per la fertilità.

«Gentile Ministra Lorenzin,

Chi le scrive é papà di una bellissima bimba di quasi tre anni.

In questi tre anni, io che ho avuto la fortuna di avere una busta paga dove ho caricato mia figlia al 100%, ho ricevuto dallo Stato una detrazione complessiva di 1.200 euro lordi all'anno. Nel frattempo però mia figlia é dovuta andare al nido, un nido comunale (cioè pubblico) il cui costo mensile é stato di 550 euro. Che moltiplicato per undici mesi, fanno 6.050 euro all'anno.

Chi lavora in nero, chi ha dei contratti saltuari o ha un salario basso, non detrae nulla. Se poi un lavoro nemmeno ce l'hai, cavoli tuoi, vorrà dire che avrai tempo libero per badare a tuo figlio. E se devi cercare un lavoro, fare un colloquio, andare a fare una visita medica o quant'altro, semplicemente ti attacchi.
Per non parlare del nostro mercato del lavoro che discrimina le donne per il solo fatto di essere mamme o, peggio ancora, incinte.

Quando mia figlia ha un'influenza, un mal di pancia, la sesta malattia, la "mani bocca piedi" (che sconoscevo prima di diventare papà), la congiuntivite o la bronchite, io o mia moglie dobbiamo prendere un giorno di ferie o un giorno di malattia. In molti casi bisogna sperare in un permesso extra. Perché l'opzione baby sitter vorrebbe dire altri 10 euro l'ora che, per 10 ore passate fuori casa da noi lavoratori fertili, fanno parecchi euro al giorno. Mentre i nonni che una volta accudivano i nipoti, oggi aspettano ancora di andare in pensione.

Se poi per qualsiasi sventurato motivo devi prenotare per tua figlia una visita specialistica, le strutture pubbliche hanno spesso liste d'attesa che rendono praticamente inutile il servizio, e allora ti rivolgi al privato. Che vuol dire spendere altri 100-150 euro a visita.

E che dire del tempo libero dei nostri figli? Sport, musica, danza. Tutto privato e a pagamento, mentre le detrazioni fiscali sono irrisorie. Perché fuori da quelle stanze dove siete chiusi, signora Ministra, il pubblico ormai é ridotto al lumicino. Una luce flebile, presa a sberle dalla vostra miopia.

E poi c'é l'incognita "tempo". Perché in questa società iperconnessa, dove in molti lavori sei raggiungibile 24 ore su 24, dove sprechi il tuo tempo in mezzo al traffico o su mezzi pubblici dissestati, in ritardo o soppressi, dove gli straordinari sono spesso gratuiti e obbligatori, quanto tempo riesci a dedicare a tua figlia? Quanto tempo hai a disposizione per ascoltarla, giocare con lei, indirizzarla o, più semplicemente, godertela? Perché se dovessimo monetizzare anche il fattore tempo, il costo di un figlio sarebbe incalcolabile.

Ecco perché le scrivo, signora Ministra. Perché lei può anche lanciare una medievale giornata nazionale della fertilità (d'altra parte da questo Governo non mi aspetto niente di più che un nuovo Medioevo culturale), ma prima voglio, pretendo da cittadino che paga le tasse, che un Ministro del mio paese lanci la giornata nazionale dei trasporti pubblici efficienti, la giornata nazionale dei nidi gratuiti, la giornata nazionale del reddito minimo garantito, la giornata nazionale della sanità e della scuola pubblica e gratuita.

In attesa di tutto ciò, signora Ministra, il 22 settembre io e mia moglie faremo l'amore. E anche quel giorno useremo il preservativo».


Tancredi Tarantino, 39 anni, cooperante internazionale
Fonte: espresso.repubblica.it

venerdì 10 giugno 2016

"Il bluff dei "nuovi" occupati italiani spiegato con la Fornero" di Gianni Balduzzi

[ 10 giugno ]

Un intervento che nel liberismo va a parare, ma che offre una spiegazione, a partire da dati Eurostat, sul balletto statistico sul tasso di occupazione in Italia. Tesi: l'aumento del tasso di persone che lavorano non è dovuto a nuove assunzioni, ma alla data di pensionamento stabilita dalla riforma del 2011. E il Jobs Act? Pochi o nulli i risultati...

«Parlando di lavoro ci si concentra quasi sempre sui dati riguardanti i tassi di disoccupazione e occupazione e come cambiano nel tempo, ma raramente si cerca di osservare le transizioni da una condizione all'altra, per esempio quanti passano dalla disoccupazione all'occupazione o all'inattività, per capire come si generano le statistiche che conosciamo. È invece un tema decisivo proprio in Italia dove per esempio tiene banco la polemica sull'origine dei nuovi occupati per rispondere alla domanda: quante probabilità ha un disoccupato di trovare veramente lavoro?

Eurostat fornisce i dati su quanti tra i lavoratori, i disoccupati o gli inattivi cambiano condizione da un trimestre all'altro. E sono molto interessanti. Soprattutto se osserviamo il destino dei disoccupati, per esempio tra il terzo e il quarto trimestre 2015.

Ebbene, l’Italia ha un primato europeo, quello della maggiore proporzione di disoccupati che finiscono nell’inattività: nel giro di una stagione il 36,5% di chi cerca lavoro si scoraggia e scivola in quel bacino di persone che non ha un lavoro e non lo cerca che nel nostro Paese è il più ampio del Continente.
All’opposto solo in Grecia, Romania, Bulgaria vi sono meno speranze che in Italia per un disoccupato di trovare un lavoro il trimestre successivo: da noi ce la fa solo il 13,7%. Una percentuale che impallidisce di fronte al 32,8% della Danimarca o al 37,9% della Svizzera e al 29,2% della Svezia. Paesi in cui lepolitiche per il ricollocamento assorbono quelle risorse che nel nostro Paese sono destinate a strumenti come la cassa integrazione, se non al mare magnum della spesa pensionistica. E si vede.

Si dirà, ma con il Jobs Act le cose sono cambiate, o almeno avrebbero dovuto. Ancora, tuttavia, non si vede una svolta. Dal 2010 alla fine del 2015 non sono intervenuti grossi cambiamenti, la percentuale dei disoccupati che trova un lavoro anzi ha avuto un trend discendente e la spinta verso l’inattività è invariata.


E d’altronde vi è da capire lo scoraggiamento e la rinuncia a ricercare un’occupazione osservando l’esito di questi tentativi: l’Italia è a metà classifica per possibilità di trovare lavoro per gli inattivi, ma tra i primi per probabilità di finire tra i disoccupati.

E pure negli ultimi anni più persone hanno cercato di divenire attivi, giovani al Sud per esempio, donne, il calo degli inattivi è uno dei trend più significativi del mercato del lavoro, che però si è trasformato in modo crescente in un tuffo nella disoccupazione, appunto.

E questo nonostante le riforme delle pensioni abbiano tagliato il numero di ultra cinquantenni inattivi proprio perchè pre-pensionati, trasformandole in occupati. Probabilmente senza quelle riforme la percentuale di quanti passano dall’inattività al lavoro sarebbe ancora più scarna. E quindi l’aumento di occupati verificatosi nel 2015 di circa 100 mila a dicembre dello scorso anno (salito a più di 200 mila in aprile) a cosa sarebbe dovuto?

La riforma Fornero e quelle che l’hanno preceduta rispondono appunto anche a questa domanda. Sono lavoratori che non vanno in pensione. Assieme a questo fattore vi è il calo delle perdite di lavoro per la fine della fase più acuta della crisi. In un Paese bloccato come il nostro a quanto pare però per l’occupazione fa molto di più una riforma delle pensioni che una del lavoro. Il Jobs Act non ha smosso le acque né in un senso né nell’altro, infatti. A dispetto dei timori di molti e nonostante la fragilità dell’economia l’Italia non è tra i Paesi in cui è più facile per un occupato trovarsi senza lavoro, anzi. Appare più probabile che accada in Francia o Svezia.

Questa non è necessariamente una buona notizia. Già anni fa Pietro Ichino aveva mostrato come i Paesi con minore tasso di licenziamento sono anche quelli con meno assunzioni, e l’Italia e il Portogallo erano tra questi. In sintesi nel nostro Paese chi è occupato rischia poco di rimanere a spasso, e allo stesso tempo chi è disoccupato ha ben poco probabilità di trovare lavoro, le due cose sono collegate, manca dinamismo e fluidità sociale. Paradossalmente i flussi più vivaci sono quelli che riguardano l’inattività, dalla disoccupazione in particolare. E così rimarrà la situazione finché al Jobs Act non sarà aggiunto il tassello mancante, quello per le politiche attive sul lavoro, in linea con quanto avviene nel resto d’Europa. A differenza dell’abolizione dell’art 18 però questa riforma non sarebbe a costo zero. Anzi».

* Fonte: L'Inkiesta

giovedì 8 ottobre 2015

L'EURO NON FUNZIONA (lo ammettono, dati alla mano, anche Lorsignori) di Wolf Richter

[ 8 ottobre ]

Elenchiamo dunque tutti i fallimenti economici della zona euro: recessione diventata stagnazione nella maggior parte dei paesi, chiusura di aziende e distruzione di forze produttive, crollo degli investimenti, crescita delle insolvenze bancarie, aumento dei debiti pubblici e privati, disoccupazione a due cifre, calo dei consumi,  crescita delle diseguaglianze sociali, squilibri anziché convergenza tra i paesi aderenti all'eurozona.
Lo diciamo solo noi? No, lo ammettono (in camera caritatis) anche Lorsignori, lo ha ammesso anche  il capo economista della BCE  a una recente conferenza. I grafici mostrati in quell’occasione non lasciano adito a dubbi.

La BCE ha iniziato il suo generoso QE da 60 miliardi di euro al mese all’inizio dell’anno e avrebbe dovuto proseguire fino a settembre 2016, ma già ora le élite finanziarie ne chiedono a gran voce ancora di più. Scossa da quanto sta accadendo in Cina, la BCE dice che potrebbe ascoltarle.
Ora Standard and Poor’s avverte o raccomanda – come preferite – che la BCE possa raddoppiare il volume del programma QE a € 2.400 miliardi di euro estendendolo “fino alla metà del 2018”. Non sorprende che le élite finanziarie ne chiedano a gran voce ancora di più: nonostante il QE della BCE e tassi di deposito negativi, i prezzi delle azioni sono calati, con il DAX tedesco in calo del 23% in sei mesi.
Così ecco che arriva Peter Praet, membro del Comitato esecutivo della BCE e capo economista, con una sorprendente presentazione alla conferenza di BVI Asset Management in Germania, e mostra un grafico devastante dopo l’altro su come l’euro ha distrutto l’economia dell’eurozona.
L’ottimismo, quando viene ostentato dagli economisti, serve solitamente a dare fiducia a quello che ha bisogno di fiducia in un certo momento. E’ una regola universale. Ma nell’eurozona, perfino gli economisti si rimangiano il loro ottimismo. Nel grafico sottostante, Praet mostra quanto le aspettative di crescita economica per i cinque anni successive sono scesi nei 15 anni da quando l’euro è stato introdotto:
Euro non funziona fig 1
Ed ecco un’altra immagine che confronta “il sogno” con la realtà: la crescita prevista dagli economisti del settore privato nell’ottobre 2007 (linee tratteggiate). Allora, il denaro scorreva in abbondanza senza che nessuno si facesse troppe domande, neanche riguardo la Grecia, e il futuro appariva roseo. Ed ecco come è andata. Per pietà, non viene mostrata la Grecia; la sua linea sarebbe finita fuori il grafico:
Euro non funziona fig 2
Quanto sono gravi i problemi? L’aumento della produttività è un segno che un’economia è tecnologicamente dinamica, che non sta ferma. Il grafico seguente confronta la produttività negli Stati Uniti a quello dell’eurozona (EA) negli ultimi 20 anni. La produttività nell’epoca pre-euro cresceva, ma non rapidamente come negli Stati Uniti. Una volta che l’euro è stato introdotto, la produttività è ristagnata e dopo la crisi finanziaria è addirittura scesa. Oggi, la produttività nell’eurozona è inferiore a quanto era nel 2007:
Euro non funziona fig 3
In parte questo è il risultato di un livello deprimente di investimenti nei mezzi di produzione. Nonostante l’abbondanza la libera circolazione di denaro e un livello di liquidità esagerato, le aziende non hanno investito per scopi produttivi. Questi investimenti non sono mai stati elevati anche all’inizio dell’eurozona, ma sono precipitati nel 2008. Solo ora si stanno riprendendo un poco in Germania, ma sono ancora in calo complessivamente nell’eurozona. E guardate quanto è scesa la Spagna. Ancora una volta ringraziamo il cielo perché il grafico non mostra la Grecia:
Euro non funziona fig 4
E i prestiti bancari al settore privato sono avvizziti. Qualunque cosa le banche facessero con la liquidità, non la stavano prestando. Da un lato dei prestiti, non c’era nessuna domanda perché l’economia appassiva. Dall’altro lato, le imprese a cui i prestiti servivano non li ottenevano. In Spagna, i prestiti bancari totali in realtà hanno cominciato a declinare nel 2011, in parte perché i crediti inesigibili venivano tolti dal bilancio molto lentamente, e molti sono ancora sui libri delle banche per essere eliminati più avanti.
Il grafico qui sotto, con dati fino al giugno 2015, mostra che i prestiti bancari si sono ripresi quest’anno per la prima volta dal 2011. La Germania (DE) sta riemergendo. Ma la Spagna (ES) è ancora nel baratro.
Euro non funziona fig 5
Di conseguenza, la disoccupazione in molti paesi dell’eurozona è stata un fiasco assoluto, con tassi di disoccupazione del 25% in Grecia e 22% in Spagna e con tassi di disoccupazione giovanile che sono più del doppio. Ma Germania, Austria, Lussemburgo e alcuni altri paesi hanno tassi di disoccupazione molto bassi. Così la media sembra molto meglio rispetto alla realtà dei “paesi vulnerabili,” come li chiama la BCE: Cipro, Grecia, Irlanda, Spagna, Italia, Portogallo e Slovenia
Il tasso di disoccupazione complessivo (linea verde nel grafico qui sotto) è ancora in doppia cifra. Riflette il dato della Francia (10,5%). Le masse di “lavoratori scoraggiati” – coloro che sono in età da lavoro, ma dopo aver sbattuto la testa contro il muro per anni hanno smesso di cercare un lavoro – continua a crescere (linea rossa):
Euro non funziona fig 6
Ed ecco come l’eurozona è divisa in due: da un lato, Paesi che hanno beneficiato di una moneta (relativamente) forte; e dall’altro, Paesi come Grecia, Spagna, Italia, ecc. – inclusa la Francia – che hanno sempre avuto monete da Repubblica delle banane e che svalutavano spesso e volentieri per risolvere ogni tipo di problema, fiscale e non, senza effettivamente risolvere nulla (curioso però che questi problemi quasi non esistessero fino a quando non si è cominciato ad agganciare le varie valute al marco tedesco ndVdE). Ma ora non possono svalutare, sono “vulnerabili”. Questi due lati dell’eurozona non hanno fatto altro che divergere:
Euro non funziona fig 7
Tutto ciò nonostante il costo del denaro per le banche non è mai stato più conveniente. Ecco l’indicatore della BCE per il costo totale dei prestiti bancari, basato sui tassi sia a breve che a lunga scadenza utilizzando una media mobile a 24 mesi dei nuovi volumi di prestito, fino al luglio 2015:
Euro non funziona fig 8
E i crediti inesigibili nei “paesi vulnerabili” non sono mai stati così tanti. O meglio, c’è più di uno sforzo in corso per costringere le banche a portarli alla luce, piuttosto che spazzarli sotto il tappeto, anche se molti rimangono sotto il tappeto. Questo grafico, basato su un campione “sbilanciato” di 32 banche dell’eurozona dei paesi vulnerabili, mostra il rapporto tra crediti deteriorati lordi e prestiti totali.
Euro non funziona fig 9
Questi grafici sono una dimostrazione – forse inconsapevole – che l’euro non funziona per economie e climi politici tanto diversi, che “i paesi vulnerabili” sarebbero stati meglio se fossero rimasti con i loro franchi, lire, pesos, ecc. da Repubblica delle banane, e che le svalutazioni e i fallimenti dei singoli paesi sarebbero stati preferibili rispetto all’attuale spettacolo indecente di salvataggi e “austerità” finanziati dai contribuenti.

venerdì 31 luglio 2015

SVIMEZ: IL MEZZOGIORNO D'ITALIA PEGGIO DELLA GRECIA. Situazione esplosiva

[ 31 luglio ]


In tredici anni, dal 2000 al 2013, l'Italia è stato il Paese che e' cresciuto meno, +20,6% rispetto al +37,3% dell'area Euro a 18, addirittura meno della Grecia, che ha segnato +24% quale effetto della forte crescita negli anni pre crisi, che è riuscita ad attenuare in parte il crollo successivo. 

Questa la fotografia scattata da Svimez nelle anticipazioni del Rapporto sull'economia del Mezzogiorno 2015, che sottolinea come la situazione e' decisamente più critica al Sud, che cresce nel periodo in questione la metà della Grecia, +13%: oltre 40 punti percentuali in meno della media delle regioni Convergenza dell'Europa a 28 (+53,6%). Una situazione che Svimez fotografa così: "Il Sud è ormai a forte rischio di desertificazione industriale, con la conseguenza che l'assenza di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire all'area meridionale di agganciare la possibile ripresa e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente".

Prodotto, la forbice si amplia. Il divario del Pil pro capite tra Centro-Nord e Sud è tornato ai livelli del secolo scorso, dettaglia ancora il rapporto Svimez. In particolare, in termini di Pil pro capite, il Mezzogiorno nel 2014 è sceso al 63,9% del valore nazionale, un risultato mai registrato dal 2000 in poi. Recentemente, uno studio di Confindustria aveva mostrato che il Mezzogiorno offre segnali di ripresa, dal calo della cassa integrazione al recupero dell'occupazione, ma aveva anche aggiunto che bisognerà aspettare il 2025 (assumendo per altro una crescita in linea con il resto del Paese) per recuperare i 50 miliardi di Prodotto interno dispersi negli anni della recessione.

Allarme lavoro e consumi. Tornando ai dati Svimez, resta comunque un allarme sul fronte del lavoro: "Il numero degli occupati nel Mezzogiorno, ancora in calo nel 2014, arriva a 5,8 milioni, il livello più basso almeno dal 1977, anno di inizio delle serie storiche Istat". Al Sud, inoltre, lavora solo una donna su cinque. Nel 2014, a fronte di un tasso di occupazione femminile medio del 64% nell'Europa a 28 in età 35-64 anni, il Mezzogiorno è fermo al 35,6 per cento. Dal rapporto emerge poi che i consumi delle famiglie meridionali sono ancora scesi, arrivando a ridursi nel 2014 dello 0,4%, a fronte di un aumento del +0,6% nelle regioni del Centro-Nord. Qui si è registrato un recupero dei consumi di beni durevoli, con un aumento delle spese per vestiario e calzature (+0,3%) e di altri "beni e servizi", categoria che racchiude i servizi per la cura della persona e le spese per l'istruzione (+0,9%). In crescita nel centro-nord anche i consumi alimentari (+1%), a fronte della contrazione del mezzogiorno (-0,3%). In generale, nel 2014 i consumi pro capite delle famiglie del mezzogiorno sono stati pari al 67% di quelli del Centro-Nord.

Rischio povertà. In Italia negli ultimi tre anni, dal 2011 al 2014, le famiglie assolutamente povere sono cresciute a livello nazionale di 390mila nuclei, con un incremento del 37,8% al Sud e del 34,4% al Centro-Nord. Quanto al rischio povertà, nel 2013 in Italia vi era esposto il 18% della popolazione, ma con forti differenze territoriali: 1 su 10 al Centro-Nord, 1 su 3 al Sud. La regione italiana con il più alto rischio di povertà è la Sicilia (41,8%), seguita dalla Campania (37,7%). La povertà assoluta è aumentata al Sud rispetto al 2011 del 2,2% contro il +1,1% del Centro-Nord. Nel periodo 2011-2014 al sud le famiglie assolutamente povere sono cresciute di oltre 190 mila nuclei in entrambe le ripartizioni, passando da 511 mila a 704 mila al Sud e da 570 mila a 766 mila al Centro-Nord.

Desertificazione industriale. Nel 2014 a livello nazionale il valore aggiunto del manifatturiero è diminuito dello 0,4% rispetto al 2013, quale media tra il -0,1% del Centro-Nord e il -2,7% del Sud. Un valore ben diverso dalla media della Ue a 28 (+1,6%), con la Germania a +2,1% e la Gran Bretagna a +2,8%. In calo anche l'industria in senso stretto: -0,7% al Centro-Nord, -3,6% al Sud. Complessivamente, negli anni 2008-2014 il valore aggiunto del settore manifatturiero è crollato in Italia del 16,7% contro una flessione dell'Area Euro del -3,9%. A pesare, ancora una volta, soprattutto il Mezzogiorno: dal 2008 al 2014 il settore manifatturiero al Sud ha perso il 34,8% del proprio Prodotto, e ha più che dimezzato gli investimenti (-59,3%). La crisi non è stata altrettanto profonda nel Centro-Nord, dove la diminuzione è stata meno della metà, -13,7% del prodotto manifatturiero e circa un terzo negli investimenti (-17%).

Non si fanno più figli. Oltre al tessuto economico, preoccupa la situazione demografica: "Nel 2014 al Sud si sono registrate solo 174 mila nascite, livello al minimo storico registrato oltre 150 anni fa, durante l'Unità d'Italia: il Sud sarà interessato nei prossimi anni da un stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili", sono le parole del rapporto.

mercoledì 1 luglio 2015

I NUMERI (SULLA DISOCCUPAZIONE) CHE NON PIACCIONO A RENZI di Emmezeta

[ 1 luglio ] Il calo dell'occupazione a maggio

Ricordate l'esultanza di Renzi per i numeri sull'occupazione relativi al mese di aprile? Acqua passata, a maggio è tornato il segno meno e da Palazzo Chigi non giunge alcun commento. Il buffo è che, non più tardi di ieri mattina, il Bomba dichiarava al Sole 24 Ore che «l'economia sta tornando alla crescita». Poi, in giornata, i dati dell'ISTAT sono arrivati a smentirlo.

Certo, le statistiche in materia di occupazione, disoccupazione ed inattività sono tra le meno affidabili. Ad esempio il dato di aprile (+159mila occupati) è stato poi corretto in un +131mila, roba da far pensare ad una gestione dei numeri non proprio estranea alle esigenze propagandistiche del governo. In ogni caso il dato di maggio è piuttosto netto, con la perdita di 63mila posti di lavoro.

Si dirà che si tratta delle abituali oscillazioni dovute ad una molteplicità di fattori. In parte è davvero così, ma leggiamo cosa diceva il Bomba giusto ieri mattina:
«Il mercato del lavoro è ripartito anche se avremo alti e bassi per tutto l'anno, ma stabilmente con il segno più» (sottolineatura nostra). Il -63mila certificato dall'istituto di statistica suona dunque come una plateale sconfessione della propaganda di Renzi. Un segno inequivocabile di quanto sia minuscola e fragilissima la cosiddetta "ripresa", quella che ha fatto pronunciare allo sbruffone fiorentino il patetico «allacciamoci le cinture, che si parte».

In realtà, la conferma di un'economia italiana al palo ci viene anche dagli altri dati diffusi ieri: mentre il tasso di disoccupazione ufficiale resta inchiodato al 12,4% e quella giovanile al 41,5%, il numero dei disoccupati rispetto al maggio del 2014 è calato soltanto di 59mila unità. Un niente rispetto ai circa sette milioni di disoccupati reali, rappresentato dalla somma di quelli ufficiali con le persone che, ormai senza speranza, non si rivolgono neppure più ai Centri per l'impiego, sfuggendo così alla statistica ufficiale.

Questi dati ci dimostrano come il Jobs act sia servito solo a togliere diritti ai lavoratori, non a creare nuova occupazione. Del resto, perfino Carlo dell'Aringa, commentando i dati dell'Istat, ha ammesso questa mattina una cosa assai nota, e cioè che: «Per tornare ai livelli occupazionali pre-crisi occorre una crescita annua del Pil di almeno due punti percentuali, per una serie di anni. La strada è lunga». Campa cavallo... diciamo noi.

Certo, è in aumento il numero dei contratti a tempo indeterminato, ma solo perché ormai non offrono più le garanzie dell'articolo 18, ed ancor di più per gli sgravi contributivi previsti. Sgravi che lorsignori chiedono già di estendere al 2016. Sgravi che hanno però un effetto devastante sul sistema pensionistico. Perché la decontribuzione prevista per tre anni non è compensata dallo Stato, come avveniva in passato con la cosiddetta fiscalizzazione degli oneri sociali. Con la legge del governo Renzi il costo (circa 8mila euro annui a lavoratore) ricade, almeno per il momento, sulle casse dell'Inps. Un buon pretesto per riaprire il capitolo dei nuovi tagli alle pensioni.

E difatti tutto si tiene. E' già annunciata per l'autunno una pesantissima finanziaria (alias Legge di Stabilità), il cui importo non sarà in ogni caso inferiore a 20 miliardi di euro. Da dove verrà questa cifra? Nell'intervista già citata Renzi rimanda tutto a settembre: meglio non rovinare le vacanze agli italiani, facendogli credere che i problemi ce l'hanno solo i greci.

Ma possiamo stare certi che le pensioni verranno nuovamente attaccate, che l'austerità continuerà, che la ripresina si dimostrerà come un piccolo rimbalzino fisiologico, che il dramma della disoccupazione e della precarizzazione di massa continuerà ad incancrenirsi. 

Insomma, le illusioni diffuse dal Bomba sono ormai al capolinea. A quando la risposta di lotta del popolo lavoratore?

giovedì 14 maggio 2015

RIPRESA? QUALE RIPRESA? di Nino Galloni

[ 14 maggio ]
Nino Galloni dice il vero quando afferma che " finché l’aumento del PIL non sarà stabilmente oltre il 2%... non ci sarà alcun impulso all’occupazione". Suggerisce poi, anche a voler restare nella gabbia neoliberista dell'euro, due misure tampone....

Il recente dato ISTAT, per cui il PIL ha segnato un aumento dello 0,3% nel primo trimestre del 2015 ha suscitato grande entusiasmo tra i tifosi dell’attuale sistema economico: c’è, dunque, la ripresa? Allora, a parte il fatto che veniamo da un quinquennio che ha fatto segnare un regresso del reddito pro capite (quello che conta per i consumi, che rappresentano l’aggregato macroeconomico più importante) del 15%; per registrare un evento del genere dobbiamo andare ai tempi della guerraMa forse siamo in guerra e i poveri stanno perdendo…oltre ad aumentare spaventosamente.
Ma c’è la ripresa: sì, è vero…al contrario! Nel primo trimestre del 2015, infatti, a fronte di aumento del PIL dello 0,3% – rispetto alla situazione del primo trimestre dell’anno precedente – abbiamo avuto un aumento della popolazione residente (per le note vicende immigratorie e dintorni) dello 0,6%: 350.000 nuove presenzeDecenni facon il nostro modello economico – pur capitalistico (ma espansivo) e di mercato (non c’erano i Soviet, in Italia) – avevamo stimato che, se il PIL non cresceva attorno od oltre il 2,5%, difficilmente si poteva registrare un significativo aumento dell’occupazione.

Allora non si taroccavano le statistiche, come dopo l’introduzione della precarizzazione selvaggia e l’aumento occupazionale corrispondeva a posti di lavoro a tempo pieno e indeterminato. Oggi il governo sta facendo sforzi per ritrasformare i precari in lavoratori con contratti seri, ma ha voluto far pagare tutto ciò in termini di diritti: diritti cartacei, ovviamente, se prevalevano le assunzioni precarie, ma la civiltà si basa anche (non solo) sui principi.
Detto ciò, torniamo al concetto di ripresa: non se ne può parlare finché l’aumento del PIL non sarà stabilmente oltre il 2%. Questo darebbe impulso all’occupazione, anche se il reddito effettivamente disponibile per i consumi, diminuirà: le bollette(delle utilities privatizzate), i conti da pagare, le spese di condominio, le tasse locali, le multe stanno aumentando per le famiglie ben oltre il 2% ogni anno. Occorrerebbe, quindi, un piano del lavoro (c’è occupazione potenziale per attività necessarie nella cura delle persone e dell’ambiente, nella manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici, pubblici e privati): la stima è 4 milioni di posizioni lavorative a 12.000 euro lordi all’anno, un flusso pari al 3% del PIL.
Ciò si potrebbe finanziare in due modi: con un’autorizzazione monetaria della BCE in tal senso (pari a meno di un ventesimo di quanto si autorizza per aiutare le banche a continuare a fare casini coi titoli tossici sui mercati puramente speculativi); oppure con unparziale ripristino di sovranità monetaria dello Stato che potrebbe emettere buoni acquisto da utilizzare poi per pagare le tasse.Ciò produrrebbe una
diminuzione del gettito tributario in euro di 48 miliardi, una riduzione della spesa assistenziale in euro per circa 20 miliardi ed un aumento delle entrate dovuto alla rivitalizzazione dell’economia: un’azione del genere dovrebbe produrre un sensibile miglioramento dei conti pubblici.
Ma tale risultato, pur comportando un aumento del PIL e dell’occupazione, sarebbe incompatibile col progetto di privatizzare ulteriori porzioni dell’ingente patrimonio pubblico esistente. Peccato.

sabato 18 aprile 2015

STRADE LASTRICATE D'ORO di Vincenzo Baldassarri

[18 aprile]

Crolla il mondo crolla la terra tutti giù per terra! 

Così recitava una filastrocca della mia infanzia, non avrei mai creduto che si trasformasse in realtà. Da tempo oramai noi autisti ci troviamo di fronte a strade sempre più dissestate, sembra quasi che continuamente strade e autostrade crollino e nei comuni e nelle strade provinciali se troviamo dei lavori in corso sono sempre più spesso postumi, cioè interventi a disastro avvenuto, e sempre meno si trovano lavori in corso per semplice manutenzione, i manti stradali di tutta italia si stanno sgretolando sotto i nostri occhi. Di chi è la colpa?

La nostra è che pensiamo che ancora esistano delle strutture del comune, della provincia, della regione che si occupano di manutenzione, ma questo non esiste più. Mi ricordo ancora quando meno di 20 anni fa ci si lamentava delle strutture pubbliche e molti chiedevano sull'onda del Berlusconismo e del neoliberismo, più privatizzazioni, ecco che ora si vede l'effetto di queste politiche, politiche che tagliano la spesa pubblica e foraggiano i privati delle lobby, lasciando il deserto nelle opere pubbliche e distruggendo un paese. In un paese pieno di lavori da fare si dice che non ci sono i soldi, ma questo è chiaramente un paradosso, perché se esiste tanta richiesta di manutenzione non possono mancare i soldi, tanto lavoro dovrebbe generare tanti soldi, ma questo non è più vero in un mondo di pazzi che non sanno più cosa sono i soldi e a cosa servono. Siamo arrivati al punto in cui i soldi sono diventati un'entità superiore generata non si sa dove e da chi, che regolamentano come un dio la vita del pianeta e del nostro paese. 

E' tutto falso, il lavoro e non i soldi genera ricchezza, la ricchezza è data dalla laboriosa attività dell'Uomo e quindi per essere ricchi non si devono avere soldi ma si deve invece avere la capacità di lavorare e del lavoro da svolgere, e queste due cose non sono in carestia nel nostro paese, invece si usano i soldi per bloccare questa attività solo perché i pochi ricchi non vogliono concorrenza e non vogliono dover lavorare per vivere. Ecco qui allora che ci ritroviamo con milioni di ore di lavoro potenziale e quindi ricchezza potenziale bloccata da un'idea, servono i soldi? No! Non servono i soldi, serve solo che si lavori e che lo stato stampi dei foglietti che danno credito alle persone che contribuiscono ai lavori che riguardano il sociale, una specie di attestato di merito scambiabile tra la popolazione, cioè moneta, ma non una moneta fittizia generata da terzi per terzi che può essere accresciuta sulla base di opinioni di gente con il colletto della camicia inamidato, ma vera moneta, moneta che non accresce in base ad opinioni ma che rappresenti il LAVORO. Quindi se avete la strada per il lavoro piena di buche sappiate che state camminando su una via lastricata d'oro che qualcuno ha deciso di lasciare lì a marcire.

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