giovedì 30 aprile 2015

SVALUTAZIONE/INFLAZIONE: CONTROPROVA FATTUALE (smentite le cazzate degli euristi)

[ 30 aprile ]

L'EURO SI SVALUTA, MA SI RESTA IN DEFLAZIONE ED I TASSI D'INTERESSE NON SONO MAI STATI COSÌ BASSI

Il 19 aprile scorso la repubblica, dedicava tre paginate alla crisi greca. In bella vista, a pagina due, una tabella il cui titolo recitava: "Cosa succede alla Grecia se esce dall'euro". Queste le risposte:
«(1) Corsa agli sportelli e probabile blocco dei conti correnti e movimento di capitale; (2) Svalutazione pesante della dracma dal 40 al 70%; (3) super-inflazione di circa il 20%; (4) svalutazione risparmi dei greci; (6) crollo del potere d'acquisto delle famiglie».
E' solo l'ennesima testimonianza del terrorismo ideologico con cui i media ci bombardano ad anni, e con cui spaventano i popoli, quello greco in primis. Se si trattasse dell'opera di singoli giornalisti e politicanti attaccati alla loro poltrona, potremmo parlare di incompetenza, di stupidità, di opportunismo. 
Abbiamo invece a che fare con minacce sorrette da analisi di "economisti" educati alle scuole liberiste e monetariste i quali, per quanto tarati,  mentono sapendo di mentire.

Il centro dei ragionamenti degli "economisti" euro-fanatici, anzi la loro vera e propria bomba atomica, quella con cui pretendono di impaurire il comune cittadino è quello che se noi tornassimo alla lira avremmo un'inflazione fuori controllo e quindi un crollo del potere d'acquisto. Ergo: fame e miseria. 
Qui accanto, ad esempio, un'istantanea di una tabella spiattellata ai telespettatori da BALLARÒ nell'ottobre 2012. Se tornassimo alla Lira la moneta si svaluterebbe dal 25 al 60% e un litro di latte passerebbe da 1,70€ a 5mila lire! Ovvero avremmo un'inflazione del 30%.

Stessa litania da parte del Corriere della Sera. Famigerato, per la caterva di inesattezze e fandonie, l'articolo del 16 maggio 2012.  Infine sentiamo che dice il Sancta Sanctorum, il Centro Studi della Confindustria:
«Un'uscita dalla moneta unica determinerebbe non solo un immediato disallineamento degli spread e una conseguente insostenibilità del nostro debito pubblico. Scatenerebbe un'inflazione a doppia cifra con un'esplosione dei costi energetici. In questo contesto la svalutazione non riuscirebbe a rilanciare le esportazioni e il Pil, visto che le filiere globali della produzione hanno già ridotto i vantaggi competitivi dei singoli paesi». [Il Sole 24 Ore del 5 febbraio 2014]
Hai voglia a rispondere che non c'è alcuna evidenza scientifica per cui ad una forte svalutazione corrisponde per forza una inflazione a doppia cifra! Hai voglia a rispondere che ad un aumento dell'inflazione non corrisponde necessariamente un calo del potere d'acquisto dei salari! Hai voglia a dire a questi bugiardi che alla svalutazione  non necessariamente deve corrispondere un aumento dei tassi d'interesse e del debito pubblico! Abbiamo risposto a questi cialtroni punto per punto col nostro VADEMECUM. Hanno risposto diversi economisti che non hanno venduto l'anima.

E cosa hanno risposto questi cialtroni? "Dateci la controprova fattuale!".
Gli si è portato l'esempio della svalutazione della Lira del settembre 1992 (che in un anno giunse  a circa il 30% sul Marco), ma non schizzarono in alto i tassi d'interesse, Nè avemmo un'inlfazione a due cifre.

Ora di controprova fattuale —che non c'è alcuna relazione meccanica causa-effetto tra svalutazione-inflazione-aumento dei tassi d'interesse— ne abbiamo un'altra, proprio sotto gli occhi.

Negli ultimi mesi l'euro è sceso sul dollaro del 26,58%. Ebbene, quanto è cresciuta l'inflazione? Quanto in alto sono schizzati i tassi d'interesse?

Non solo i prezzi non sono cresciuti, la zona euro resta in deflazione, ed i tassi d'interesse non sono mai stati bassi come adesso.

"E' una conseguenza del salutare Qe di Mario Draghi", rispondono i nostri "economisti". Nessun accenno tuttavia ad una pur timida autocritica, come ogni "scienziato" che sia tale sarebbe tenuto a fare davanti ad una "controprova fattuale". Anzi, con la faccia come il culo, i nostri "economisti" inneggiano appunto a Draghi che, svalutando l'euro, aiuta magicamente la tanto anelata "ripresa economica".

Ma come? Non ci irridevate quando dicevamo (e diciamo) che il ritorno alla sovranità monetaria e una decisa svalutazione darebbero un forte impulso all'economia italiana?


LA BORGHESIA ITALIANA, IL "VINCOLO ESTERNO" E LA SOVRANITÀ NAZIONALE di Moreno Pasquinelli


[ 30 aprile ]

Martedì scorso si è svolto a Roma il previsto incontro con Ernest Vardeanan sul conflitto in Ucraina e le sue conseguenze geopolitiche. 

Qui sotto un frammento delle conclusioni di Moreno Pasquinelli.

Ringraziamo Ego della Rete per le riprese videofilmate. 
Quanto prima pubblicheremo gli interventi di Vardeanan e della senatrice Paola De Pin, promotrice del disegno di legge costituzionale per l'uscita dell'Italia dalla NATO.


mercoledì 29 aprile 2015

FRANCIA: SOCIALISTI E ANTI-EURO

[ 29 aprile ]


Pubblichiamo il manifesto dei nostri fratelli francesi del Movimento Politico d'Emancipazione Popolare.






1789 1936 1945 1968 2005… altre vittorie sono possibili
Repubblica, laicità, internazionalismo verso un socialismo del XXI secolo

PER USCIRE DALLA CRISI,
USCIAMO DALL’UNIONE EUROPEA E DALL’EURO!

Crisi
L’insostenibile situazione che vivono i paesi dell’Unione Europea, fra cui la Francia, impone loro, ora più che mai, di riconquistare la sovranità in tutti i campi. La sovranità nazionale è la condizione necessaria per l’uscita dalla crisi, sebbene non sufficiente. Al riguardo, l’uscita dall’Unione Europea e dall’euro sono le misure più decisive che conviene prendere.

Sovranità nazionale
In Francia, solo la riconquista della sovranità nazionale permetterebbe di applicare un programma ispirato a quello del Consiglio nazionale della Resistenza (CNR) del 1944. È la risposta globale oggi più appropriata alla crisi del regime che si è profilata da quando l’Assemblea Nazionale a maggioranza socialista ha perso ogni legittimità un anno dopo la sua elezione. Dove il popolo può essere sovrano, se non in tutta la nazione? In tutte le guerre che conducono contro i popoli, le classi possidenti hanno un obiettivo centrale: rompere la democrazia, evitare che i popoli dispongano di quegli strumenti che potrebbero mettere a repentaglio i loro privilegi. E, di conseguenza, dissolvere le nazioni, privarle degli strumenti che garantiscono la sovranità, come la politica monetaria e fiscale, sgretolarle in regioni autonome in concorrenza fra loro perché ciascuna sia più «attrattiva e competitiva» delle altre. In poche parole: è necessario sgretolare il mondo del lavoro, la Francia e la Repubblica. Il Partito Socialista ormai fa meglio della destra.


Unione europea
Lo strumento più sofisticato per giungervi, messo a punto dalle classi dirigenti, è l’Unione europea e la sua moneta unica. Per piegare le politiche dell’Ue in senso favorevole ai popoli, sarebbe necessaria una modifica radicale dei trattati europei. Ma, per modificare questi trattati, è necessario l’accordo unanime dei 27 paesi membri. È serio lasciar credere che un tale accordo sarà possibile a breve termnie?

Euro
È urgente riconoscere che se si vuole uscire dalla crisi, sarà necessario uscire dall’euro e dall’Unione europea in modo unilaterale, paese per paese. Questa uscita deve accompagnarsi allo smantellamento dei mercati finanziari per cambiare la ripartizione delle ricchezze fra capitale e lavoro.

Protestare contro la politica del governo
Il signor Hollande persegue la stessa politica del signor Sarkozy. Questa è chiusa dai «vincoli» europei. Non è nemmeno resa ideologica, è un accordo entusiasta e  anche interessato – come per il signor Cahuzac – dei gerarchi socialisti con la base del pensiero neoliberista. È la collaborazione aperta del Partito Socialista con il MEDEF e le classi possidenti, anticipando il PS ogni loro esigenza. Non è sorprendente che, davanti al bilancio inconfutabile di un anno di politica, François Hollande e il governo socialista siano respinti dai cittadini. Bisogna dunque, manifestare chiaramente contro questo governo, contro la politica che porta avanti e che si chiama servizio ai mercati finanziari e austerità.


Unire i cittadini in un programma anti crisi
1)    Sovranità istituzionale e politica. Uscita dall’Unione europea per una libera cooperazione con i popoli e le nazioni d’Europa, liberata dall’euroliberalismo.
2)    Sovranità militare. Uscita dalla NATO.
3)    Sovranità monetaria e fiscale. Smantellare i mercati finanziari, uscire dall’euro e ritornare al franco, condizione necessaria per eliminare la disoccupazione e il precariato per l’instaurazione del pieno diritto al lavoro.
4)    Sovranità industriale. Reindustrializzazione del paese, democratizzazione delle organizzazioni produttive, proibizione delle delocalizzazioni, rilocalizzazioni.
5)    Sovranità commerciale. Prendere misure protezioniste ispirate al quadro cooperativo e universale della Carta dell’Avana del 1948.
6)    Sovranità sociale. Ristabilire la Sicurezza sociale e la protezione sociale come i servizi pubblici, pianificazione di una grande politica dell’abitazione.
7)    Sovranità economica. Restituire alla nazione i grandi feudi finanziari, industriali, dei servizi e mediatici.
8)    Sovranità ambientale. Mettere in atto un programma di cambiamento ecologico, sociale e democratico dei modi di produzione e consumo, preparare la transizione energetica.

Per potere dar vita ad un processo costituente e andare verso una VI Repubblica, la Francia deve ritrovare la sua piena sovranità

È illusorio lanciare con successo un processo costituente quando il popolo è sotto la tutela dell’Unione europea che impone le sue direttive, i suoi trattati e la moneta unica, ed è privo della sua sovranità. Affrancarsi dall’Unione europea è il primo passo da compiere per costruire in Francia una nuova Repubblica sociale.

m'PEP - Movimento politico per l'emancipazione popolare

* Traduzione a cura della Redazione







ITALICUM: UNA LEGGE DI REGIME di Consiglio nazionale di ORA

[ 29 aprile] 

Il 14 aprile scorso informavamo i lettori che, sulla scia del Coordinamento nazionale della sinistra contro l'euro, ha preso il via la fase costituente di un nuovo movimento politico.
Pubblichiamo d'appresso la risoluzione approvata dal Consiglio Nazionale 

Un sistema elettorale truffa per garantire il governo delle oligarchie

OPPONIAMOCI CON OGNI MEZZO ALLA LEGGE CHE RENZI VUOLE IMPORRE AL PARLAMENTO
Quella in discussione in questi giorni alla Camera non è solo una legge elettorale truffaldina. Essa è il grimaldello per costruire un regime personalistico e mono-partitico. Un regime disegnato su misura per Renzi e per un Pd che è sempre più il suo partito personale.

La posta in gioco è davvero alta. L'Italia sta per cambiare la forma di governo, in spregio assoluto al dettato costituzionale. Se la legge voluta dal duo Renzi-Verdini verrà approvata, il nostro diventerà di fatto un sistema presidenziale. Un sistema che accentrerà, prima di fatto e poi di diritto, tutti i poteri nelle mani del presidente del consiglio.

Nessuno aveva mai osato tanto. Il fatto poi che il presidenzialismo venga introdotto surrettiziamente, fa sì che non si discuta neppure dei naturali contrappesi che esistono normalmente nei sistemi presidenziali. Al contrario, il parlamento che uscirà dall'Italicum - peraltro mutilato con l'abolizione dell'elettività del Senato - sarà completamente dominato dal partito vincente, e quest'ultimo sarà a sua volta del tutto controllato dal suo leader anche grazie al sistema che gli consente di nominare 100 capilista bloccati, cioè eletti senza le preferenze.  

Grazie al doppio turno senza apparentamenti anche un partito del 20% potrebbe ritrovarsi con una maggioranza di seggi del 53%. Esattamente come con il Porcellum di Calderoli e Berlusconi. Peggio, molto peggio della Legge Truffa del 1953, e peggio addirittura della Legge Acerbo voluta nel 1925 da Mussolini.

E' inaccettabile che la Costituzione venga stravolta da un parlamento di nominati pronti ad ogni porcheria pur di salvare la poltrona, un parlamento sostanzialmente illegittimo perché eletto con una legge dichiarata illegittima dalla Consulta. Con quale diritto un simile parlamento viene oggi chiamato a varare una nuova legge altrettanto antidemocratica ed incostituzionale? E con quale diritto il capo del governo userà - per la prima volta nella storia in materia elettorale - il "voto di fiducia" per piegare la minoranza del suo stesso partito?

Questa legge, però, non è voluta solo da Renzi. Essa è il modello ideale per le oligarchie finanziarie - nazionali e internazionali - che dominano la politica italiana. E' la legge voluta dai signori dell'euro e dell'austerità. Costoro non hanno più il consenso, e dunque debbono truccare le regole del gioco. Come ci insegna anche la vicenda greca, essi non tollerano la democrazia. 

Nel denunciare la gravità di questo disegno autoritario, facciamo perciò appello a tutte le forze che intendono contrastarlo, affinché ogni mezzo a disposizione venga utilizzato per impedire che l'Italia scivoli verso un regime autoritario e potenzialmente fascistoide.

- No alla legge truffa di Renzi!
- Mandiamo a casa questo parlamento!
- Eleggiamone uno nuovo con la legge proporzionale in vigore dopo la sentenza della Consulta! 

Consiglio nazionale di «ORA» [
ora@email.com]

martedì 28 aprile 2015

COMMISSARIATO! di Emmezeta

[ 28 aprile ]
Grecia: il momento della verità per il governo Tsipras è sempre più vicino

«Commissariato». E' questa la parola usata dalla maggior parte dei giornali di questa mattina per descrivere l'attuale situazione di Yanis Varoufakis. Ieri, infatti, il governo Tsipras ha deciso di cambiare la squadra dei negoziatori che stanno trattando con i creditori, cioè con la famigerata troika.
Sembrerebbe, dunque, che le volgari pretese degli arroganti colleghi dell'Eurogruppo siano state in qualche modo accolte dal governo di Atene. Venerdì scorso, in occasione della riunione tenutasi a Riga, 18 ministri dell'economia su 19 si sono scagliati violentemente e volgarmente contro Varoufakis, definito addirittura come un "perditempo" e un "dilettante".

Il perché di tanto accanimento è chiaro. Gli eurocrati hanno voluto inviare un segnale politico a Tsipras, per ricevere indietro la testa del ministro delle finanze di Atene. Sul significato politico di questa richiesta ha già scritto ieri Piemme. Il problema non è tanto il ruolo di Varoufakis, la cui linea non si capisce bene in cosa si discosti da quella di Tsipras. Il punto vero è la decisione che il governo greco dovrà prendere di fronte alla secca alternativa tra il piegare la testa e la rottura con l'euro e l'Unione Europea. In questo quadro, concedere la testa di Varoufakis sarebbe il chiaro segnale di un cedimento politico

Messo alle strette dalle pressioni europee, Tsipras ha deciso una sorta di via di mezzo: non ha licenziato il suo ministro, ma l'ha commissariato. In cosa consista questo commissariamento è presto detto. A guidare la squadra dei negoziatori non ci sarà più uno stretto collaboratore di Varoufakis come Nikos Theocharakis, bensì George Chouliarakis, considerato vicino al vice-premier Dragasakis, a sua volta ritenuto più malleabile dagli eurocrati. Non solo, all'interno del governo di Atene è stato formato un gruppo incaricato  di seguire i negoziati, ed a coordinarlo sarà il vice-ministro per le Relazioni Esterne Euclides Tsakalatos, anch'egli apparentemente più gradito dalla troika.

I mercati finanziari hanno ieri festeggiato le decisioni di Tsipras, evidentemente interpretate come un primo segnale di resa. Più caute le reazioni nei palazzi di Bruxelles, dove dalla Grecia ci si aspetta ben più di qualche concessione. Ci si aspetta, e si pretende, la piena capitolazione.

Quel che è certo è che i tempi sono ormai strettissimi. E mentre tra gli eurocrati è diffusa la convinzione che neppure al prossimo incontro dell'Eurogruppo, previsto per l'11 maggio, vi sarà un accordo, la Reuters ha reso noto un sondaggio tra gli operatori finanziari piuttosto significativo:

«Esiste un 40% di possibilità che la Grecia lasci la zona euro, secondo un sondaggio Reuters con i market money trader; di questi solo la metà ritiene che il Paese possa restare nel blocco anche nel caso di un default nel pagamento del proprio debito».

Per il governo ellenico il momento della verità è sempre più vicino. Come abbiamo sempre detto, l'Europa non ha alcuna intenzione di "farsi cambiare" da Tsipras. Sarà allora l'Europa ha cambiare il programma di Tsipras? Se il leader di Syriza vorrà evitare un simile tragicomico destino, l'alternativa è solo una e si chiama rottura.

Proprio per questo non è il momento delle concessioni. «Sono unanimi nel detestarmi, e io sono lieto del loro odio», ha scritto ieri Varoufakis riferendosi ai "colleghi" dell'Eurogruppo. Ben detto, ministro. In politica la prudenza è una virtù importante, ma nessuna battaglia potrà mai essere vinta se chi la conduce è dominato dalla paura. In certi momenti il coraggio e l'orgoglio possono essere le armi decisive. Quelle in grado di esaltare al massimo il principale punto di forza di chi intende resistere alla sopraffazione del più forte: il sostegno e la mobilitazione popolare.

E' su questo che si gioca in larga parte l'esito della battaglia di Atene. Una battaglia che ci riguarda tutti.

LA RUSSIA E LA GEOPOLITICA AMERICANA

La NATO (clicca per ingrandire)
[28 aprile]

Questa sera alcuni di noi si ritroveranno, a Roma, all'incontro sul conflitto in Ucraina, promosso dal Coordinamento della sinistra contro l'euro. Un'occasione per mettere a fuoco l'importanza strategica di quel conflitto, gli interessi delle parti in gioco, e cercare di capirne i possibili, minacciosi sviluppi.

Per capire quali sono la geopolitica e il principale timore degli Stati Uniti d'America, ci aiuta George Friedman [nella foto a destra], consigliere politico del Dipartimento di Stato, fondatore di uno dei più importanti think tank nordamericani, lo Stratfor


“L’estremismo islamico è realmente la maggiore minaccia negli USA? Sparirà da solo oppure crescerà ancora?

George Friedman ha così risposto:

«E’ un problema per gli Stati Uniti, ma non vi è minaccia alcuna ai danni della nostra esistenza, occorre che ci interessiamo alla cosa ma nella giusta proporzione. Abbiamo ben altri interessi all’estero, il principale interesse per gli USA, per via del quale abbiamo combattuto le guerre, Prima e Seconda Guerra Mondiale e quella fredda, consiste nella relazione fra Germania e Russia; perché se si uniscono sono l’unica potenza che possa minacciarci e il principale interesse è che ciò non succeda.

Gli Usa hanno un interesse fondamentale, ora controllano tutti gli Oceani del mondo, nessuna potenza si è mai nemmeno avvicinata a farlo è grazie a questo che noi possiamo invadere dei popoli ma non possiamo essere invasi, è una cosa bellissima. Tenere saldo il controllo dei mari e dello spazio è la base della nostra potenza il modo migliore per sconfiggere una flotta nemica è impedire che sia mai costruita.

Il modo in cui i britannici sono riusciti a garantirsi che nessuna potenza europea potesse costruirsi una flotta consiste nel far in modo che gli europei se lo impedissero a vicenda. La linea politica che raccomanderei è quella adottata da Ronald Reagan nei confronti di Iran e Iraq: finanziò entrambi gli schieramenti facendo si che si combattessero fra di loro e non combattessero contro di noi. Era una cosa certamente cinica, non morale, ma ha funzionato e questo è il punto.

Gli Stati Uniti non possono invadere l’Eurasia. Non appena il primo soldato mette il suo piede sul terreno, scatta la superiorità numerica: noi siamo totalmente in inferiorità numerica. Possiamo anche sconfiggere un esercito ma non occupare l’Iraq. L’idea che 130 mila uomini possano occupare un Paese di 25 milioni di persone, beh, il rapporto fra la polizia di New York e il numero dei cittadini è maggiore di quello dello schieramento in Iraq, non abbiamo la possibilità di prendercela con loro, ma abbiamo la capacità di dare appoggio a numerose potenze rivali affinché si scontrino fra di loro: appoggio politico, appoggio economico, appoggio militare, consulenti e in extremis possiamo fare ciò che abbiamo fatto in Giappone, in Vietnam, in Iraq ed in Afganistan: attacchi che invalidano.



L’attacco che invalida non ha l’obiettivo di sgominare il nemico, ha lo scopo di destabilizzarlo. E’ quanto abbiamo fatto in ognuna di quelle guerre. In Afganistan, per esempio, abbiamo destabilizzato al-Qa’ida. Il problema che abbiamo avuto poiché siamo giovani e stupidi, è che una volta che li abbiamo destabilizzati, invece di dire ottimo lavoro e tornare a casa, ci siamo detti: “beh è stato facile. Perché non ci costruiamo una bella democrazia?” Questo è stato il momento in cui ha fatto il suo ingresso la stupidità.

Dunque la risposta è: gli USA non possono intervenire costantemente in tutta l’Eurasia, devono intervenire selettivamente, e solo con ex-trema ratio, non può essere la prima mossa quella di inviare l’esercito Americano. Quando inviamo i soldati americani dobbiamo intendere pienamente in cosa consti la nostra missione, limitarci ad essa e non consentire che prendano piede fantasie politiche di nessun tipo. Per fortuna questa cosa, stavolta l’abbiamo imparata.

Ci vuole un certo tempo affinché i bimbi apprendano la lezione. Ma io penso che lei che mi ha posto la domanda abbia pienamente ragione: in quanto Impero, non possiamo comportarci così, La Gran Bretagna non ha occupato l’India, ma ha individuato una serie di stati indiani e li ha istigati l’uno contro l’altro e ha inquadrato degli ufficiali britannici in un esercito indiano.

I Romani non inviarono enormi eserciti ma piazzarono dei re, ne crearono parecchi di re i quali erano assoggettati all’imperatore, è questi re erano responsabili del mantenimento della pace, ad esempio uno di questi responsabili era Ponzio Pilato. Gli imperi che sono controllati in modo diretto, imperi come quello nazista, crollano. Nessuno ha così tanto potere.

Comunque, il nostro problema non è nemmeno questo, noi dobbiamo ancora ammettere concretamente che abbiamo un impero. Dunque, non siamo ancora al punto in cui non pensiamo che possiamo rincasare e che il lavoro sia già fatto, perciò siamo solo nella prima fase.

La questione sul tavolo dei russi è: Si creerà una zona cuscinetto, o una zona neutra? O l’Occidente penetrerà così in profondità nell’Ucraina che si troverà a 100 Km da Stalingrado e a meno di 500 Km da Mosca? Per la Russia la situazione ucraina è una minaccia alla sua stessa esistenza, e i Russi non possono lasciar fare. La domanda che si pongono gli USA, nel caso che la Russia si impadronisca dell’Ucraina, il punto è: “Si fermeranno lì?”»

lunedì 27 aprile 2015

SE TSIPRAS CACCIA VAROUFAKYS... di Piemme

[ 27 aprile ]

ULTIM'ORA: TSIPRAS COMMISSARIA VAROUFAKYS....

«Un perditempo, un giocatore d’azzardo, un dilettante». 

Con questi pesanti epiteti la macchina propagandistica del Partito eurista, dopo la fallimentare riunione dell'Eurogruppo svoltasi a Riga, ha sferrato una potente e volgare campagna di sputtanamento e delegittimazione del Ministro delle finanze greco, quindi dell'intero governo di SYRIZA.

L'obbiettivo sembra essere toglierselo dai piedi, ovvero spingere Tsipras a dimissionarlo. Un ricatto che Tsipras deve respingere perché la cacciata di Varoufakys farebbe il gioco degli euro-oligarchi il cui vero obbiettivo è quello di rovesciare il disobbediente governo greco.

Il ministro greco, fedele alla consegna di SYRIZA, sta facendo i salti mortali per fare restare la Grecia nell'eurozona. Perseverare è diabolico, si dirà. Il fatto è che l'idea di voler restare nell'Unione e nella zona euro, non è solo una fissazione della maggioranza di SYRIZA. Come mostra anche un recente sondaggio di questo avviso è la grande maggioranza dei greci. [1] 

I risultati del sondaggio saranno anche truccati, ma chi frequenta la Grecia sa che non sono così lontani dalla realtà. Come spiegare questo fenomeno? Risposta: no si tratta affatto dell'adesione fervente all'ideologia europeista; si tratta della paura, del terrore di finire nell'abisso. Decenni di neoliberismo e poi l'ingresso nell'eurozona, hanno causato la distruzione dell'economia greca, della sua industria, del suo sistema agroalimentare. La maggioranza dei cittadini greci ritiene che il Paese non ce la farebbe a camminare sulle sue gambe. Il fatto è poi che SYRIZA, invece di indicare che la riconquista della sovranità, per quanto dolorosa, sarebbe la sola salvezza, ha alimentato questo disperato sentimento di impotenza.

Ma veniamo a Varoufakys? Davvero è tanto incompetente e dilettante? Cosa proporrà mai? Sta solo dicendo agli euro-oligarchi che continuare con l'austerità non solo farà soffrire ancora di più il popolo greco, che ciò non potrà che accentuare la crisi del debito. Quindi? Quindi gran parte del debito andrebbe condonato e, nell'immediato, il piccolo avanzo primario (se effettivamente esiste, del che c'è da dubitare) andrebbe usato non per rimborsare i debitori ma per sostenere la domanda interna, quindi no ad ulteriori tagli ai salari e alle pensioni. Vi sembra questo dilettantesco? Ovvio che non lo è!

Non lo è a maggior ragione prendendo atto, anche al netto dell'ingente fuga di capitali in atto (ma su questo torneremo), della drammatica situazione delle finanze pubbliche della Grecia.

Consigliamo i lettori di leggere questa analisi di Silvia Merler pubblicata su lavoce.info:


Grecia: il problema primario

«Si parla molto di Grecia, ma senza soffermarsi sulla situazione effettiva delle sue finanze. I dati dicono che a gennaio 2015 il saldo primario è stato inferiore al target fissato, al contrario di quanto accaduto per quasi tutto il 2014. Ecco perché potrebbe essere un problema per Varoufakis.

LA SITUAZIONE DELLE FINANZE GRECHE

Nelle ultime settimane si è parlato molto di Grecia, anche con toni alti. Si è discusso abbondantemente degli esiti dell’incontro tra il nuovo governo e i creditori internazionali, di chi avesse vinto e chi avesse perso, e su che fronti. Ma si è parlato poco della situazione effettiva delle finanze greche a gennaio 2015 e di come questo potrebbe influenzare le negoziazioni future sulla flessibilità sul target di avanzo primario da raggiungersi nel 2015. Ovvero, quella che da molti è stata definita come la vittoria più significativa di Yanis Varoufakis, e che potrebbe diventare presto il suo principale problema.
Il ministero delle Finanze greco ha recentemente pubblicato i dati definitivi relativi al bilancio consuntivo dello Stato per il mese di gennaio 2015. Si tratta di numeri disponibili con frequenza mensile e compilati in base al principio di cassa, quindi particolarmente adatti a valutare la situazione delle finanze pubbliche dal punto di vista dell’esigenza di finanziamento di breve periodo. Inoltre, permettono di comparare i risultati effettivi con quelli attesi ex ante.

Il saldo primario dello stato greco per il periodo gennaio-settembre 2014 aveva superato le attese. Per i primi nove mesi del 2014 si è infatti raggiunto un saldo cumulativo di 2,5 miliardi, ben superiore al target di 1,6 miliardi. Il trend positivo è continuato fino a novembre 2014, quando il saldo primario per i primi undici mesi dell’anno si attestava a 3,6 miliardi, contro un obiettivo di 2,9 miliardi.

Poi sono arrivate le elezioni e la situazione è drasticamente peggiorata. Il saldo primario finale per l’anno 2014 è stato di soli 1,9 miliardi, contro i 4,9 miliardi attesi. In sostanza, le casse statali sono passate da quasi un miliardo in eccesso a tre miliardi in difetto rispetto al target prefissato, e il tutto in un solo mese.
Guardando nel dettaglio entrate e uscite, è evidente come la causa principale sia stata un insoddisfacente gettito fiscale nell’ultimo mese dell’anno, che si è chiuso con un totale di soli 51 miliardi contro i 55 previsti.
I dati appena pubblicati mostrano che questa tendenza è continuata nel primo mese del 2015. Il saldo primario per gennaio è infatti di soli 443 milioni di euro, contro un target di 1,4 miliardi, mentre il gettito fiscale è ancora inferiore alle aspettative per ben 935 milioni.

FEBBRAIO CRUCIALE

Un saldo primario mensile di 1,4 miliardi può sembrare enorme, se annualizzato. Ma la figura 2 mostra che, nel 2014, il saldo primario finale è stato più o meno dello stesso ordine di quello raggiunto a febbraio. Il gettito fiscale ha infatti una componente stagionale e gennaio sembra essere un mese particolarmente importante in Grecia da questo punto di vista.

Secondo il ministero delle Finanze greco, la performance insoddisfacente registrata nel primo mese dell’anno è principalmente dovuta a una proroga della scadenza di alcune imposte indirette (Iva) – posticipata da gennaio a fine febbraio – e alla liquidazione di alcuni arretrati che ha però fruttato meno del previsto. Perciò, i dati per il mese di febbraio saranno cruciali, per due ragioni.

Primo, marzo è uno dei mesi più impegnativi per la Grecia in termini di necessità di finanziamento, con 4,3 miliardi di titoli di stato a breve termine (T-bills) da rinnovare e 1,5 miliardi da ripagare al Fondo monetario internazionale. Il 20 febbraio l’Eurogruppo ha deciso che gli 11 miliardi “avanzati” dalla ricapitalizzazione delle banche greche e custoditi nelle casse del Fondo ellenico per la stabilità finanziaria dovranno essere rimandati al mittente, e saranno custoditi in Lussemburgo dall’Efsf, il Fondo europeo per la stabilità finanziaria. Saranno disponibili in caso si presenti la necessità di ricapitalizzare ulteriormente le banche, ma i fondi non potranno essere utilizzati per coprire immediate necessità di finanziamento del governo, come ipotizzato in precedenza. Con questa decisione, le opzioni per gestire le necessità di finanziamento più immediate si sono ridotte parecchio, per il governo greco.
Secondo, i dati di febbraio potrebbero essere un importante indicatore per le negoziazioni sul target di avanzo primario per il 2015 che, è bene ricordarlo, non è ancora stato deciso. Nelle ultime previsioni della Commissione europea, pubblicate a febbraio, il surplus primario greco per il 2014 dovrebbe essere l’1,7 per cento del Pil (anche se i dati di dicembre suggeriscono che potrebbe essere minore). Quello che è importante, però, è che 1,7 per cento non è molto lontano da 1,5 per cento, ovvero il target che Syriza vorrebbe far accettare ai creditori per il 2015.
Sorvolando sulle considerazioni politiche che certamente domineranno la discussione su questo obiettivo, i dati qui mostrati suggeriscono uno scenario difficile per il governo greco nei prossimi mesi. A gennaio 2015 le entrate sono state del 17 per cento inferiori al valore registrato a gennaio 2014. Se questo trend continuasse, anche un surplus primario dell’1,5 per cento potrebbe rivelarsi impossibile da raggiungere e ottenere concessioni e libertà di manovra sull’agenda domestica – dominante, nelle promesse elettorali di Alexis Tsipras – sarebbe ancora più difficile».


NOTE

[1] «Al di là delle battute dell’anticonformista ministro greco, i suoi concittadini sono sempre più preoccupati per il braccio di ferro con la Ue. Secondo un sondaggio condotto dalla Kapa Research per il quotidiano To Vima, la stragrande maggioranza dei greci è favorevole a rimanere nell'Unione europea, nell'Eurozona e nella Nato ed è anche a favore della ricerca di un accordo con i creditori del Paese. Il 71,9% degli intervistati ritiene che il Paese trarrebbe beneficio da un accordo con i creditori, mentre il 23,2% è a favore di una rottura. Il 72,9% vuole che il Paese resti all'interno della zona euro, mentre un 20,3% preferisce tornare alla dracma, la vecchia valuta. Un altro 79,4% dei greci preferisce che il Paese resti nella Ue, un 73,7% preferisce rimanere nella Nato, contro il 17,2% e il 22% che vorrebbero uscirne.

La ricerca indica tuttavia che gli intervistati temono una possibile «Grexit», con il 68,8% che ritiene che esista il rischio reale che la Grecia lasci l'euro contro il 24,1% che pensa che il Paese sia al sicuro. L'opinione pubblica, invece, è divisa sulla questione di un possibile default, con il 36,1% dei greci che ritiene che il Paese sia sull'orlo del fallimento, mentre il 32,7% dei greci è di opinione contraria. Per quanto riguarda le preferenze nei confronti dei partiti politici, Syriza (sinistra radicale) rimane in testa con il 36,9% dei voti, Nea Dimokratia (centro destra) è al secondo posto con il 21,7%, seguita da To Potami (Il Fiume, centro sinistra) con il 7,3%, il filo-nazista Chrysi Avghì (Alba Dorata con il 5,7%), il Partito Comunista con il 5%, Greci Indipendenti (destra) con il 4,6% e Pasok (socialista) con il 3,9%!.

domenica 26 aprile 2015

LO STATO ITALIANO SCOMMETTE IN DERIVATI E PERDE 42,6 MILIARDI di Leonardo Mazzei

[ 26 aprile ]

INCHIESTA 

Solo negli ultimi 4 anni il debito pubblico italiano è salito di 16,95 miliardi di euro per le scommesse perse sui contratti derivati compiute dal Ministero dell'Economia nelle bische del capitalismo-casinò.
C'è di peggio: le perdite future sono ad oggi calcolate in 42,06 miliardi (fonte: il Sole 24 Ore). Perché queste scommesse? Perché queste perdite? Chi sono gli scommettitori? Qual è il volto dei biscazzieri?
Immaginate quanti posti di lavoro si sarebbero potuti costruire con 42,6 miliardi, e quanti tagli alla spesa sociale e sacrifici dei cittadini evitare!

Spesso si parla dello Stato biscazziere, colui che gestisce il gioco d'azzardo nazionale traendone benefici economici non piccoli. Ma c'è anche un altro Stato, quello che nella bisca ci va come un giocatore qualunque per farsi spennare dal biscazziere di turno. In questo caso la bisca è quella globale del capitalismo-casinò, mentre il biscazziere è normalmente un signore ben vestito che rappresenta gli interessi di qualche grande banca d'affari, solitamente americana.

In queste bische non si va per giocarsi qualche spicciolo, ma per concludere affari miliardari, con la firma di contratti derivati. Ora, cos'è un derivato? Come dice la parola, il derivato è un prodotto finanziario il cui prezzo deriva dal valore di qualcos'altro, il cosiddetto "sottostante". La sottoscrizione di un derivato altro non è che l'accettazione di una scommessa sull'andamento di quest'ultimo.

Il sottostante può essere il prezzo di una materia prima, un tasso di interesse, un indice azionario, valutario od obbligazionario, ma può essere anche un mix di tutto ciò. L'importante è capire che il derivato è una scommessa. Ora, anche lo scommettitore che va alla Snai sa che ci sono scommesse che possono "coprire" altre scommesse fatte dallo stesso soggetto, ma evidentemente ritenute troppo rischiose. Ecco perché il derivato ci viene anche presentato (specie dai non certo disinteressati "addetti ai lavori") come un'assicurazione su altri rischi facenti capo al soggetto in questione.

Questo in generale. Ma c'è una notizia clamorosa che ci chiede di entrare nel particolare. Lo scoop è del Sole 24 Ore dell'altro ieri 24 aprile [Claudio Gatti. Il debito-monstre e la vera storia dei derivati italiani ] e la portata delle perdite per lo Stato italiano è enorme.

Che lo Stato avesse sottoscritto dei derivati già si sapeva. E si sapeva anche delle perdite. Era noto, ad esempio, che nel gennaio 2012, cercando di non dare troppo nell'occhio, il MEF (Ministero Economia e Finanza) aveva dovuto versare a Morgan Stanley la cifretta di 3,1 miliardi di euro.

Quel che non era noto, e che l'inchiesta del Sole porta alla luce, è il totale delle perdite che si annunciano, quantificabile ad oggi in 42,06 miliardi di euro. Questo per il futuro secondo l'articolo di Gatti, ma ieri [25 aprile] il quotidiano di Confindustria torna sull'argomento con un pezzo di Morya Longo [ Derivati, per il Tesoro conto da 16,9 miliardi in 4 anni ]che ci dice che le perdite reali già subite nel quadriennio 2011-2014 ammontano a 16,9 miliardi, e che «se non avessimo avuto i derivati nel 2014 il debito pubblico sarebbe stato di 5,5 miliardi più basso».

Capito che capolavoro? Per la cronaca 16,9 miliardi sono più di 10 volte (dieci) lo sbandierato "tesoretto" che l'imbroglione di Firenze si prepara a giocarsi in qualche modo in campagna elettorale. Mentre, giusto per fare un esempio, con i 42 miliardi che verranno persi si finanzierebbero per 6 anni (sei) tutte le forme di cassa integrazione.  

Se l'entità della cosa sta tutta in questi numeri, cerchiamo ora di rispondere ad alcune domande. Perché queste scommesse? Perché queste perdite? Chi sono gli scommettitori? Qual è il volto dei biscazzieri?

Perché queste scommesse?
Il mercato dei derivati dopo la deregolamentazione del 200

Naturalmente al MEF non si parla di scommesse, ma di "assicurazioni". La sostanza però non cambia. Su cosa ha scommesso il governo italiano (in realtà diversi governi italiani, anche se le date esatte di sottoscrizione sono segrete)? Essi avevano scommesso sul fatto che i tassi di interesse dei titoli del debito pubblico sarebbero aumentati. O, se preferite, si erano assicurati rispetto al verificarsi di tale evenienza. Da quel che emerge dall'inchiesta del Sole il grosso di queste operazioni sarebbe stato realizzato alla fine degli anni '90, cioè al momento dell'ingresso nell'euro.

La cosa è piuttosto paradossale, dato che in quel momento tutti prevedevano quel che è effettivamente avvenuto in seguito, e cioè un calo dei tassi. Poi, ma dieci anni dopo, è scoppiata la crisi del debito, ma certo questa non era allora prevedibile. Comunque, nonostante i picchi dei tassi raggiunti nel 2011-2012, la scommessa rimane largamente in perdita.

Ora, i casi sono due: o coloro che hanno sottoscritto i derivati erano i primi a non credere nella bontà dell'euro - e già questo sarebbe un fatto interessante, qualora avessero la gentilezza di confessarlo -, oppure si tratta di un caso piuttosto plateale di "intelligenza col nemico". Il quale, è bene ricordarlo, quelle improvvide scommesse italiane le ha vinte alla grande. Perché la perdita delle decine di miliardi da parte dello Stato, corrisponde ovviamente ad un uguale guadagno dei pescecani della finanza internazionale.


Perché queste perdite?

Abbiamo detto che le perdite sono la conseguenza del calo dei tassi di interesse. Ma in realtà esiste anche un altro motivo. Per ragioni piuttosto oscure, il governo italiano ha ceduto alle controparti - per quel che se ne sa le solite banche d'affari americane - diverse swaption, cioè opzioni di chiusura anticipata del derivato. In questo modo - il Sole cita in particolare il caso di tre derivati sottoscritti con Morgan Stanley - la banca americana ha acquistato il diritto di entrare in swap (cambio) ben prima della scadenza prevista, assicurandosi un lasso temporale lunghissimo (si parla addirittura di decenni) in cui scegliere il momento più vantaggioso per chiudere a proprio favore il contratto. Un po' come se uno scommettitore sul campionato di calcio avesse la possibilità di chiudere la scommessa non appena la squadra su cui ha puntato venisse a trovarsi, magari per una sola giornata, in testa alla classifica.

Perché una mossa così sconsiderata? Gatti ipotizza che i tecnici del ministero dell'economia lo abbiano fatto per realizzare un'entrata immediata  (la swaption ha naturalmente un prezzo), a fronte di una probabile perdita comunque diluita nel tempo. Ma il fatto è che le cifre incassate sono nell'ordine di poche centinaia di milioni, mentre le perdite si misurano in diverse decine di miliardi di euro.

Dunque, è assai probabile che ci sia dell'altro. Non solo non si può escludere l'ipotesi della corruzione, ma esiste anche la possibilità che con questi contratti si sia voluto favorire dei soggetti economici ben precisi, magari anche in base a pressioni politiche d'oltreoceano.

L'articolista sottolinea poi un altro aspetto: cosa c'entra la vendita delle swaption con i concetti di "copertura" ed "assicurazione"? Ovviamente nulla, anzi egli dice: «Per lo Stato vendere una swaption significa infatti far cassa acquisendo rischi potenzialmente illimitati, l'esatto contrario della copertura».


Chi sono gli scommettitori?

Di fronte ad una voragine nei conti pubblici come questa, ci si aspetterebbe almeno di sapere chi sono i responsabili di un simile disastro, chi è che può decidere di scommesse arrischiate che valgono più di un'intera Legge Finanziaria. Ma, ovviamente, nulla di tutto ciò è all'orizzonte. La responsabilità politica, a volte chiamata in causa anche per questioni davvero piccole, in questo caso sembra non esistere. Nell'omertà assoluta del governo e del ministero interessato, si lascia comunque intendere che la scelta di ricorrere ai derivati sarebbe stata presa soltanto a livello "tecnico" e non politico. Che qualcuno possa davvero credere ad una simile panzana è un altro discorso, ma questa è la tesi ufficiale.

Sta di fatto che, nel febbraio scorso, è stata Maria Cannata (responsabile della gestione del debito presso il MEF) a riferire sulla questione alla Camera dei deputati. Cannata, e non Padoan o Renzi come sembrerebbe naturale a qualsiasi cittadino, altro non fosse che per l'ingente mole di derivati posseduti dal Tesoro, quantificata dalla Cannata stessa in 163 miliardi di euro.

Ecco cosa ha scritto in proposito Claudio Gatti: 
«Il MEF ci ha spiegato che i gestori del debito pubblico rispondono "al direttore generale o al ministro". Da quando si è firmato l'accordo-quadro con Morgan Stanley a oggi in quei posti si sono succeduti nomi eccellenti - Mario Draghi, Domenico Siniscalco, Vittorio Grilli, Giuliano Amato, Carlo Azeglio Ciampi, Giulio Tremonti, Tommaso Padoa Schioppa -  ma non risulta che nessuno di loro si sia mai fatto carico delle scelte tecniche  fatte nella gestione del debito. Risultato: quei 42 miliardi di potenziali perdite non hanno un singolo responsabile politico». 
E poi si ha il coraggio di parlare di trasparenza... E di democrazia...

In ogni caso, al di là dei nomi, quel che appare grave e significativo è che la perdita della sovranità monetaria  costringe di fatto gli Stati alle più spericolate manovre di ingegneria finanziaria. Di più: li costringe a prostrarsi e a mettersi nelle mani dei pescecani della finanza mondiale.


Qual è il volto dei biscazzieri?

Ma chi sono costoro? Su questo punto il Sole fa soltanto il nome di Morgan Stanley, e di certo non verranno dal MEF notizie utili a riguardo. Quel che sappiamo è chi forma, oltre alla banca già citata,  il quintetto di testa dei maggiori speculatori sui derivati. Si tratta di JP Morgan, Citigroup, Goldman Sachs e Bank of America.

Se Gatti non fa nomi, la chiusura del suo articolo ci fornisce però un'interessante descrizione dei soggetti fisici impegnati nelle trattative con lo Stato. E lo fa iniziando con la citazione di un avvocato - Roberto Ulissi - già responsabile della Direzione IV del Tesoro:
 «Ma le risorse erano limitate e quando ci si presentava a negoziare in due o tre, dall'altra parte del tavolo si trovavano dieci banchieri assistiti da altrettanti studi legali. E noi eravamo sempre gli stessi a trattare dalla mattina alla notte inoltrata, mentre loro si alternavano mettendo sempre in campo forze fresche". Inutile dire quanto significativo fosse lo squilibrio nei compensi di chi sedeva attorno al tavolo delle trattative. Da una parte banchieri con bonus che aumentavano a suon di milioni per ogni punto di margine di profitto aggiuntivo strappato, dall'altra funzionari dello stato con stipendi fissi e calmierati».
 Insomma, al netto del piagnisteo sui "poveri" dirigenti ministeriali, il quadro è chiaro: da un parte c'è il biscazziere, colui che conduce il gioco, con la quasi assoluta certezza di fare il colpo grosso, dall'altro una politica dello stato demandata a funzionari nel migliore dei casi demotivati, nel peggiore complici e/o corrotti.
Il denaro (M1-Power money) è un'infima parte della moneta circolante nel mondo

Conclusioni

In conclusione questa vicenda ci conferma tre cose.

In primo luogo essa ci parla delle catastrofiche conseguenze della perdita della sovranità monetaria. Uno Stato con moneta sovrana, e dotato di una Banca centrale con compiti di acquirente di ultima istanza dei titoli del debito,  fissa lui stesso i tassi di interesse. Altro che scommetterci sopra!

In secondo luogo, ne esce confermata l'insostenibilità di un debito troppo elevato, tanto più se soggetto alle tremende pressioni dei mercati finanziari. Certo, è chiaro come nello specifico i gestori del debito abbiano operato in maniera improvvida e dilettantesca, se non addirittura losca ed asservita ad interessi ben diversi di quelli dello Stato. E, tuttavia, anche questa vicenda ci dimostra la necessità di uscire dalla schiavitù del debito, non solo riconquistando la sovranità monetaria, ma anche cancellandone una parte cospicua, ad iniziare da quella detenuta da banche, fondi di investimento ed assicurazioni estere. Costoro ci hanno già guadagnato fin troppo, e non sarà mai troppo presto quando si porrà fine alla loro speculazione.

In terzo luogo risulta ben chiara la seguente equazione: mancanza di sovranità + schiavitù del debito = morte della democrazia. E' questa l'equazione degli ultimi anni della storia nazionale, è questa la fotografia del renzismo. E' questo l'orrido futuro da contrastare con la lotta e l'organizzazione di un movimento politico cosciente ed all'altezza della situazione.

Non è troppo tardi per impedire la catastrofe. Ma il tempo stringe ed è questo il tempo dell'azione.



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