[ 2 maggio 2018 ]
Il 5 maggio del 1818 anni nasceva Karl Marx.
Avremo modo, nel duecentesimo anniversario, di tornare sull'attualità e le antinomie del suo pensiero.
Se il mondo, come scrisse Gramsci, "è grande e terribile", la storia è crudele. Quanti sono i proletari che celebreranno la nascita del loro profeta per antonomasia?
Il Capitale, invece, non dimentica la circostanza. Proprio oggi, infatti sul New York Times, è apparso un editoriale dal titolo significativo: Happy Birthday, Karl Marx. You Were Right! a firma di Jason Barker.
Baker riconosce che "Marx ha ottenuto un impatto globale duraturo — un impatto probabilmente maggiore e più ampio di qualsiasi altro filosofo prima o dopo di lui — ma da bravo borghese, qualifica l'eredità filosofica di Marx come "pericolosa e delirante", quindi si chiede "quali lezioni" si dovrebbero trarre, quale "precisamente sia il contributo duraturo di Marx".
Dopo aver citato l'ultima inchiesta di Oxfam secondo cui "l'82% della ricchezza globale generata nel 2017 è stata destinata all'1% più ricco del mondo", Baker dice l'essenziale con questo passaggio:
Baker, salvata la diagnosi marxiana sul capitalismo ed anzi confermata la tesi dell'acutizzazione dei conflitti di classe — non è poco, a ben vedere (tanto più rispetto al gigantesco cupio dissolvi che divora le sinistre europee) che tali concetti si leggano in quella che è considerata la voce più autorevole del capitalismo liberale —, respinge appunto come "pericolosa e delirante" la terapia socialista da lui proposta, così come l'idea che il socialismo, presupposto che il proletariato sappia esserne forza motrice e demiurgo, sia teleologicamente nell'ordine delle cose.
Non c'è dubbio che il Marx che emerge da questa narrazione risulti snaturato. Tuttavia sarebbe sbagliato fare spallucce davanti a queste oramai classiche obiezioni del pensiero borghese. E' sicuro che il proletariato, per sua natura, ha una missione rivoluzionaria? E' vero che il socialismo è tanto più vicino quanto più il capitalismo sviluppa le sue forze produttive?
Che dire e, soprattutto, che fare ove entrambi gli enunciati si fossero dimostrati fallaci? Chi, invece che pestare l'acqua nel mortaio della "ortodossia", saprà dare soluzione a questi due enigmi, non solo darà un fondamentale contributo alla teoria politica quindi alla prassi rivoluzionaria, avrà tenuto davvero fede al progetto di Marx.
Il 5 maggio del 1818 anni nasceva Karl Marx.
Avremo modo, nel duecentesimo anniversario, di tornare sull'attualità e le antinomie del suo pensiero.
Se il mondo, come scrisse Gramsci, "è grande e terribile", la storia è crudele. Quanti sono i proletari che celebreranno la nascita del loro profeta per antonomasia?
Il Capitale, invece, non dimentica la circostanza. Proprio oggi, infatti sul New York Times, è apparso un editoriale dal titolo significativo: Happy Birthday, Karl Marx. You Were Right! a firma di Jason Barker.
Baker riconosce che "Marx ha ottenuto un impatto globale duraturo — un impatto probabilmente maggiore e più ampio di qualsiasi altro filosofo prima o dopo di lui — ma da bravo borghese, qualifica l'eredità filosofica di Marx come "pericolosa e delirante", quindi si chiede "quali lezioni" si dovrebbero trarre, quale "precisamente sia il contributo duraturo di Marx".
Dopo aver citato l'ultima inchiesta di Oxfam secondo cui "l'82% della ricchezza globale generata nel 2017 è stata destinata all'1% più ricco del mondo", Baker dice l'essenziale con questo passaggio:
«... è vero che il capitalismo è guidato da una lotta di classe profondamente divisiva in cui la minoranza della classe dirigente si appropria del lavoro in eccesso della maggioranza della classe operaia profitto. Persino gli economisti liberali come Nouriel Roubini concordano sul fatto che la convinzione di Marx secondo cui il capitalismo ha una tendenza intrinseca a distruggere se stesso rimane una previsione più giusta che mai».Esatto: il capitalismo, proprio a causa delle sue stesse leggi di movimento, non solo è destinato ad accrescere il pauperismo generale ed a proletarizzare le classi medie (quindi ad inasprire i conflitti sociali), esso "ha una tendenza intrinseca a distruggere se stesso" e, avrebbe aggiunto lo stesso Marx, l'umanità tutta intera, di qui la necessità di un ordinamento socialista. Un ordinamento — questa, dialetticamente, la seconda tendenza individuata da Marx — che lo stesso sviluppo capitalistico porta seco.
Baker, salvata la diagnosi marxiana sul capitalismo ed anzi confermata la tesi dell'acutizzazione dei conflitti di classe — non è poco, a ben vedere (tanto più rispetto al gigantesco cupio dissolvi che divora le sinistre europee) che tali concetti si leggano in quella che è considerata la voce più autorevole del capitalismo liberale —, respinge appunto come "pericolosa e delirante" la terapia socialista da lui proposta, così come l'idea che il socialismo, presupposto che il proletariato sappia esserne forza motrice e demiurgo, sia teleologicamente nell'ordine delle cose.
Non c'è dubbio che il Marx che emerge da questa narrazione risulti snaturato. Tuttavia sarebbe sbagliato fare spallucce davanti a queste oramai classiche obiezioni del pensiero borghese. E' sicuro che il proletariato, per sua natura, ha una missione rivoluzionaria? E' vero che il socialismo è tanto più vicino quanto più il capitalismo sviluppa le sue forze produttive?
Che dire e, soprattutto, che fare ove entrambi gli enunciati si fossero dimostrati fallaci? Chi, invece che pestare l'acqua nel mortaio della "ortodossia", saprà dare soluzione a questi due enigmi, non solo darà un fondamentale contributo alla teoria politica quindi alla prassi rivoluzionaria, avrà tenuto davvero fede al progetto di Marx.