Di che parliamo? Di una importante notizia che non troverete su Repubblica e gli altri giornaloni di centro-sinistra. Non ne parlano lòe "Sardine" e nemmno la cosiddetta "sinistra radicale" in tutt'altro affacendata. La notizia in questione è apparsa invece su IL GIORNALE di ieri 9 gennaio.
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venerdì 10 gennaio 2020
CONTANTE: SE LO DICE ANCHE LA BCE
Di che parliamo? Di una importante notizia che non troverete su Repubblica e gli altri giornaloni di centro-sinistra. Non ne parlano lòe "Sardine" e nemmno la cosiddetta "sinistra radicale" in tutt'altro affacendata. La notizia in questione è apparsa invece su IL GIORNALE di ieri 9 gennaio.
giovedì 5 dicembre 2019
MES: VIA IL GOVERNO CONTE Comitato centrale di P101
[ giovedì 5 dicembre 2019 ]
COMUNICATO N. 12/2019 DEL COMITATO CENTRALE DI PROGRAMMA 101
MES: il governo Conte se ne deve andare!
Via dalla gabbia dell’Euro!
L’Italia è sotto attacco e la classe politica cincischia. Posto davanti all’ennesima stretta delle regole europee il Paese è a un bivio: o accettarle, perdendo la propria sovranità non solo sulla politica di bilancio, ma pure sulla gestione del debito; o respingerle in toto con tutte le conseguenze del caso. Ovvio come la tutela dell’interesse nazionale coincida con la seconda opzione, altrettanto ovvio come la classe dirigente attuale (a partire dal governo) vada invece in direzione della prima.
Di fronte a questo tradimento degli italiani, certo non nuovo ma non per questo meno grave, la cacciata del governo Conte deve essere il primo obiettivo di chiunque abbia a cuore le sorti del nostro Paese.
Da quando è nato, il MES è uno degli strumenti con i quali l’Euro-Germania impone la propria visione ordoliberista, un decisivo cane da guardia dell’intangibilità delle politiche austeritarie. La sua riforma – ecco come l’UE sa riformarsi! – vuole rendere questo strumento ancora più oppressivo. Non solo, per come le nuove regole sono congegnate, è chiaro che ad essere sotto tiro è fondamentalmente l’Italia.
Visti i suoi poteri di vita o di morte sui singoli stati, vista la sua possibilità di dettar legge in maniera insindacabile, garantendo tra l’altro la piena impunità dei sui oscuri funzionari, il MES si presenta come la Troika del prossimo decennio. Una “Troika” nella quale Francia e Germania avranno diritto di veto, l’Italia ovviamente no.
Al MES, strutturato esattamente come un’enorme banca d’affari privata (con tanto di possibilità di utilizzare i paradisi fiscali), spetterà il diritto di dividere i paesi dell’Eurozona in “buoni” e “cattivi” da punire e disciplinare. Avendo il diritto di decidere eventuali default sul debito pubblico, questo fondo avrà in mano il destino di milioni di risparmiatori e quello dell’intero sistema bancario del Paese preso di mira. Ma siccome questo ancora non basta, per colpire al meglio le banche italiane – facendone così un ghiotto boccone per i soliti noti – ci penseranno le norme sull’Unione bancaria, con le quali si pretende una svalutazione dei titoli del debito italiano da esse posseduti
Di fronte a questa mostruosità cosa dicono le forze politiche parlamentari? Nel campo governativo, mentre il Pd (inclusa la sua costola renziana) inneggia tanto al MES che all’Unione bancaria, con la pittoresca motivazione secondo cui queste norme non verranno mai applicate, M5s e Leu si limitano a chiedere un rinvio della sottoscrizione del trattato. Ipotesi che Bruxelles potrebbe accogliere, a condizione che tra due mesi si accettino esattamente le stesse regole già scritte oggi a chiare lettere…
Se le forze di maggioranza si sono messe di fatto in un vicolo cieco, la stessa opposizione della destra non è per nulla convincente. Non solo la Lega era al governo quando, nel giugno scorso, Conte e Tria avallavano l’accordo in sede europea. Non solo la questione del MES è stata portata allo scoperto solo dopo l’apertura della crisi di governo di agosto, ma qui è in ballo una questione assai più rilevante: quella di una linea di coerente alternativa a quelle che possiamo definire come “leggi dell’euro”. Linea che ad oggi proprio non c’è.
La riforma del MES non è infatti un fulmine a ciel sereno, né una stravaganza dei paesi nord-europei che ruotano attorno alla Germania. Essa è invece l’ennesima sbarra di una gabbia che ha la sua ragion d’essere nella difesa di una moneta unica che anche Lega ed M5s adesso dichiarano irreversibile.
Fermare il MES è la priorità dell’oggi. E per ottenere questo risultato ci si deve alleare con chiunque condivida quell’obiettivo. Ma quel NO avrà senso solo se si prenderà la via della liberazione nazionale, l’unica strada sensata per porre fine al delirio di questi anni: quella dell’Italexit.
Il Comitato centrale di P101
4 dicembre 2019
sabato 19 ottobre 2019
IL CONTANTE, L'EVASIONE FISCALE E IL GOVERNO DI IMPOSTORI di Piemme
[ sabato 19 ottobre 2019 ]
Mettiamo in chiaro alcune "cosette", e facciamolo subito.
LA PRIMA. Quella di snidare gli evasori è stato, sin dagli anni '80, il cavallo di battaglia dei neoliberisti: l'obbiettivo vero era quello di far digerire il principio del pareggio di bilancio e quindi di istituire uno Stato di polizia tributaria. La favoletta (falsa) è nota: "Lo stato è come una famiglia, non può spendere più di quel che guadagna". La caccia all'evasore era quindi giustificata per finanziare la spesa pubblica. Per cui l'altra fandonia: o si sradica l'evasione oppure lo Stato è costretto tagliare la spesa sociale per scuola, sanità, trasporti, ecc.
LA SECONDA. Quello italiano è un popolo di furbetti, di evasori fiscali seriali e congeniti.
Falso! L'evasione fiscale in Italia, lo dicono le statistiche di lorsignori, è nella media europea e occidentale. In Germania, il paese leader della Ue e sempre presentato come quello "virtuosi" e da emulare, l'evasione fiscale, rispetto al Pil, è più alta che in Italia.
LA TERZA. La litania che sentiamo da ormai troppo tempo, e che questo governo ripete per giustificare l'obbiettivo di abolire il contante, è che i campioni dell'evasione si anniderebbero tra i piccoli: esercenti, artigiani, professionisti, ecc. Falso anche queso!
Secondo una recente indagine della autorevole Cgia di Mestre (condotta sui dati dell'Agenzia delle entrate), in Italia, "L'evasione fiscale delle grandi aziende è 16 volte maggiore di quella delle piccole". Per la precisione:
LA QUARTA. Si nasconde che l'Italia è il Paese con una pressione fiscale tra le più alte e ingiuste dell'Occidente, la qual cosa è causa principale dell'evasione di necessità, evasione che quindi si configura come legittima difesa per milioni di cittadini. La realtà è infatti che noi italiani LAVORIAMO 161 GIORNI ALL'ANNO PER PAGARE LE TASSE e 20 GIORNI DI LAVORO SE NE VANNO PER PAGARE GLI INTERESSI SUL DEBITO.
Mettiamo in chiaro alcune "cosette", e facciamolo subito.
LA PRIMA. Quella di snidare gli evasori è stato, sin dagli anni '80, il cavallo di battaglia dei neoliberisti: l'obbiettivo vero era quello di far digerire il principio del pareggio di bilancio e quindi di istituire uno Stato di polizia tributaria. La favoletta (falsa) è nota: "Lo stato è come una famiglia, non può spendere più di quel che guadagna". La caccia all'evasore era quindi giustificata per finanziare la spesa pubblica. Per cui l'altra fandonia: o si sradica l'evasione oppure lo Stato è costretto tagliare la spesa sociale per scuola, sanità, trasporti, ecc.
LA SECONDA. Quello italiano è un popolo di furbetti, di evasori fiscali seriali e congeniti.
Falso! L'evasione fiscale in Italia, lo dicono le statistiche di lorsignori, è nella media europea e occidentale. In Germania, il paese leader della Ue e sempre presentato come quello "virtuosi" e da emulare, l'evasione fiscale, rispetto al Pil, è più alta che in Italia.
LA TERZA. La litania che sentiamo da ormai troppo tempo, e che questo governo ripete per giustificare l'obbiettivo di abolire il contante, è che i campioni dell'evasione si anniderebbero tra i piccoli: esercenti, artigiani, professionisti, ecc. Falso anche queso!
Secondo una recente indagine della autorevole Cgia di Mestre (condotta sui dati dell'Agenzia delle entrate), in Italia, "L'evasione fiscale delle grandi aziende è 16 volte maggiore di quella delle piccole". Per la precisione:
«Le modalità di evasione delle holding non è ascrivibile alla mancata emissione di scontrini o ricevute, bensì al ricorso alle frodi doganali, alle frodi carosello, alle operazioni estero su estero e alle compensazioni indebite. La potenziale dimensione dell'infedeltà fiscale delle grandi aziende è enormemente superiore a quelle delle piccole».
Leggere con attenzione l'indagine per capire i tanti trucchi contabili a cui i pesci grossi del capitalismo ricorrono per sfuggire al fisco — la differenza tra evasione ed elusione fiscale dipende dalla maestria degli studi commerciali che tengono i conti. Il grosso dell'evasione non circola quindi in contante ma da tempo sui circuiti elettronici.
LA QUARTA. Si nasconde che l'Italia è il Paese con una pressione fiscale tra le più alte e ingiuste dell'Occidente, la qual cosa è causa principale dell'evasione di necessità, evasione che quindi si configura come legittima difesa per milioni di cittadini. La realtà è infatti che noi italiani LAVORIAMO 161 GIORNI ALL'ANNO PER PAGARE LE TASSE e 20 GIORNI DI LAVORO SE NE VANNO PER PAGARE GLI INTERESSI SUL DEBITO.
FERMIAMOLI !
(1) Le misure contro il contante che il governo Conte bis vuole adottare non colpiranno i grandi evasori ma solo quelli piccoli, col risultato che i benefici per l'erario (ammesso che siano legittimi) saranno irrisori.
(2) Queste misure sono un nuovo passo verso quello che abbiamo nominato STATO DI POLIZIA TRIBUTARIA.
(3) Esse rappresentano l'ultimo letale colpo alla microimpresa, all'artigianato e al commercio al dettaglio. Altre decine di migliaia saranno costretti a chiudere bottega a favore della grande distribuzione per non parlare dei colossi dell'E-commerce come Amazon, eBay, Uber, AirBnB. Un economicidio che lorisgnori camuffano cosmeticamente chiamandolo sharing economy, economia della condivisione, rental economy, economia peer-to-peer. E' invece null'altro che la vecchia legge capitalista per cui il pesce grosso divora quello piccolo.
(4) L'eventuale approvazione della norma sul contante proposta dal governo Conte Bis è l'ennesimo favore per le banche, anzitutto le grandi, visto che staccano il pizzo su ogni operazione commerciale che venisse eseguita tramite POS
(5) L'abolizione del contante e la tracciabilità digitale di ogni operazione commerciale, non ha solo un impatto economico disastroso sulle microimprese, il commercio al dettaglio e l'artigianato. E' un nuovo passo verso il "GRANDE FRATELLO" (G. Orwell), un potere poliziesco totalitario che tutto scruta e spia per tenere sotto controllo le persone, trasformate da cittadini in schiavi lobotomizzati.
Sacrosanta dunque la campagna lanciata da LIBERIAMO L'ITALIA in difesa del contante e contro la Legge di bilancio del governo Conte Bis.
venerdì 18 ottobre 2019
FINANZIARIA RECESSIVA: CE LO CHIEDE L'EUROPA di Leonardo Mazzei
[ venerdì 18 ottobre 209]
Liberarsi dalla gabbia dell'euro e dell'Ue è la vera emergenza: la Legge di Bilancio 2020 è lì a dimostrarlo
Sabato scorso abbiamo manifestato a Roma per liberare l'Italia dalla gabbia eurista. Ieri, invece, il governo ha diligentemente inviato a Bruxelles il DPB (Documento Programmatico di Bilancio), che anticipa ai signori dell'Ue quel che i parlamentari italiani dovranno approvare nel dettaglio nella Legge di Bilancio vera e propria.
Quale sia il legame tra questi due eventi è facile da capirsi. Senza rompere la gabbia eurista l'Italia non ha futuro. E la Finanziaria del Conte-bis (chiamiamola così, all'antica, che ci capiamo meglio) è lì a ricordarcelo. Tutti sanno che con l'attuale crescita zero, che annuncia una probabile recessione alle porte, sarebbe stato necessario rilanciare gli investimenti, la spesa pubblica ed i i consumi. Avviene invece l'esatto contrario: gli investimenti (peraltro del tutto insufficienti) sono rinviati ad un non meglio precisato futuro, la spesa pubblica subirà nuovi tagli, mentre le nuove tasse peseranno per circa 13 miliardi (md) di euro. Auguri vivissimi agli italiani, al popolo lavoratore in primo luogo, ma è chiaro che questa politica non solo non contrasta la recessione, al contrario la alimenta.
Come naturale, nella manovra firmata Gualtieri non mancano, qua e là, misure sensate ed approvabili, come l'abolizione del super ticket o quella del cosiddetto "bonus facciate" per le ristrutturazioni condominiali. Ma si tratta appunto di cose di facciata. Piccole caramelle inserite nella solita legge-monstre che, spaziando quest'anno dai 23 md dell'IVA alla tassa sulle bibite zuccherate, consente ad ognuna delle forze di governo di intestarsi questa o quella misura, lasciando ovviamente quelle più impopolari - la stragrande maggioranza - senza padri né madri.
Meglio allora non farsi distrarre troppo ed andare all'essenziale. La Finanziaria 2020 è figlia del sistema dell'euro, ed è stata partorita da quello che abbiamo definito come il governo della restaurazione. Nessuno stupore dunque, ma una critica puntuale del lavoro di lorsignori è quanto mai opportuna.
Per non farla troppo lunga, proviamo a sintetizzare per punti.
Proprio mentre la congiuntura economica avrebbe richiesto provvedimenti anti-ciclici, cioè di contrasto al trend recessivo, il Conte-bis fa l'esatto contrario. Da un lato si continua con l'assurdità degli avanzi primari (1,1% del Pil nel 2020, per poi risalire addirittura all'1,6% nel 2022: non si dica mai che non facciamo i compiti a casa!). Dall'altro, portando il deficit tendenziale del 2,7% ad un programmatico del 2,2% si sottraggono all'economia italiana circa 9 md di euro. Di questi tempi, non proprio una bazzecola.
Ora, l'Italia è l'unico paese al mondo che, con la sola eccezione del 2009, è in avanzo primario da oltre un quarto di secolo (per l'esattezza dal 1992). Vogliamo continuare a migliorare questo ben poco invidiabile record? Per chi ancora non lo sapesse, l'avanzo primario è la differenza tra le entrate e le spese dello Stato. Dunque, sono 28 anni che le entrate superano (e di gran lunga) le uscite. Come noto il problema è che a valle di questo calcolo c'è il pedaggio da pagare ai possessori dei titoli del debito pubblico, quello che - già nel 1981 - Ciampi ed Andreatta (ricordiamo sempre i loro nomi) vollero mettere nelle mani dei pescecani della finanza internazionale. Riguardo al 2020, a causa di un'incidenza degli interessi prevista nel 3,3% del Pil, l'avanzo dell'1,1% diventa così un disavanzo del 2,2%, Che è come dire che anziché avere 19 md in cassa, ne dovrò invece pagare 38.
Non è questa la sede per approfondire il discorso e mi fermo qui. Ma possiamo continuare a farci del male in questo modo? Per gli eurocrati assolutamente sì. Anzi, quel risultato ancora non gli basta, che il Fiscal compact prevede sacrifici ancor più duri. Ma almeno l'Europa è contenta, così si dice. Che lo siano anche gli italiani è invece cosa dubbia assai.
Ma, si dice ancora, l'IVA, almeno quella, ce la siam tolta dai piedi! Peccato non sia così. La cosiddetta "clausola di salvaguardia" è stata solo congelata per il 2020. Per il 2021 la clausola rimane per un importo di 18 miliardi. Sai che gioia veder ripartire la stessa litania sull'aumento IVA da disinnescare già dalla prossima primavera.
"Disinnescare". Il problema è che con certi artificieri il risultato è pressoché certo: l'IVA non aumenta, ma aumentano altre cento tasse. Che è esattamente quello che avverrà con questa Finanziaria. Le misure di copertura della manovra ammontano infatti a 15,4 md. Di questi 2,7 arriveranno da nuovi tagli, 12,7 da maggiori entrate tributarie.
Attenzione adesso, perché la propaganda governativa voleva far credere, fino a pochi giorni fa, che ben 7,2 md sarebbero stati incassati con il maggior contrasto all'evasione fiscale. Questa balla non ha retto alla prova dei fatti, ed ora nel DPB l'obiettivo è stato ridotto più realisticamente a 3,4 miliardi.
Ma anche su questi 3,4 md ci sarebbe molto da dire. La lotta all'evasione, di cui il Conte-bis si fa gran vanto, non è infatti rivolta contro i grandi evasori, gli esportatori di capitali, le aziende che trasferiscono fittiziamente la loro sede legale all'estero, gli allegri fruitori dei vantaggi offerti dai paradisi fiscali, bensì contro i piccoli: piccoli commercianti, piccoli artigiani, piccoli lavoratori autonomi che spesso senza un po' di nero non potrebbero neppure sopravvivere.
D'altronde, la lotta alla grande evasione è resa sostanzialmente impossibile proprio da quelle regole neoliberiste, come quella sulla libera circolazione dei capitali, sulle quali si fonda l'Unione Europea.
Detto questo, lotta alla piccola evasione a parte, da dove vengono i restanti 9,3 md? Tre le voci previste: 1) le maggiori entrate dei lavoratori autonomi che utilizzano l'ISA (3 md); 2) i tagli alle agevolazioni fiscali e la nuova tassa sulla plastica (2 md); 3) una miriade di nuovi balzelli su acquisto prima casa, certificazioni penali, sugar tax, tabacco, gioco d'azzardo, eccetera (4,3 md).
Come si può ben capire siamo decisamente di fronte ad un forte aumento della pressione fiscale. L'esatto contrario delle promesse di agosto. Un aumento spalmato in tanti rivoli affinché non si veda troppo, ma non per questo meno pesante.
Ovviamente il governo si fa bello per la riduzione del cosiddetto "cuneo fiscale" a vantaggio dei lavoratori. In realtà siamo di fronte a cifre davvero miserevoli: 3 md per il 2020, 6 per il 2021. Ancora non è chiaro chi sarà veramente il beneficiario di questa misura. Prima sembrava che la platea fosse quella fino a 26mila euro lordi (la stessa degli 80 euro di Renzi), adesso si dice che si arriverà fino ai 35mila euro. Inutile dire che più si allargherà la platea, più si ridurrà il beneficio medio. Da alcune indiscrezioni (vedi il Sole 24 Ore del 17 ottobre) si apprende comunque che i percettori di redditi fino a 24.050 euro lordi non avranno alcun beneficio.
Staremo a vedere, ma quel che si può dire fin d'ora è che siamo di fronte ad una misura davvero modesta, poco incisiva in generale e del tutto inefficace sul piano macro-economico.
Quella della lotta al contante è la vera ossessione del momento. Alcune ipotesi (come quella dell'aperta penalizzazione del contante) sono saltate, ma la sostanza resta. Perché è ovvio che si penalizza il contante anche solo favorendo i pagamenti elettronici. Ma, soprattutto, è chiaro che siamo solo all'inizio di un'offensiva che punta a dare alle banche (ed al mondo della finanza) il totale controllo della circolazione del denaro. Un controllo che arriva anche a monitorare ogni aspetto della vita delle persone.
Quello della lotta all'evasione fiscale è più che altro un pretesto. Per capirlo c'è un esempio che basta ed avanza. Pare che una delle misure decise sia quella di accettare le detrazioni per le agevolazioni fiscali previste dalla legge, solo se i pagamenti verranno fatti con carta o bonifico bancario. Cosa c'entra tutto ciò con l'evasione fiscale? Nulla. Assolutamente nulla. Come ovvio, già oggi ogni detrazione si appoggia su un documento fiscale (fattura o scontrino) che attesta l'avvenuto pagamento ed il codice fiscale di chi lo ha effettuato. Per quale motivo, dunque, si dovrebbe andare in farmacia a comprare l'aspirina con la carta di credito anziché con i soliti spiccioli?
Ovvio, lo si dovrà fare perché così vogliono i pescecani della finanza, altro che lotta all'evasione fiscale!
A questa autentica porcata non resta che opporsi con ogni strumento, a partire dalla campagna in difesa del contante lanciata dai partecipanti alla manifestazione del 12 ottobre.
Vista la natura dell'attuale opposizione (si pensi al dietro-front di Salvini sull'euro), non è detto che il governo paghi subito la pochezza di questa Finanziaria di mero galleggiamento, una manovra senz'anima se non quella del solito signorsì ai padroni di Bruxelles, Francoforte e Berlino. Di certo pagheranno invece gli italiani, pagherà il popolo lavoratore.
Quella del precisino Gualtieri è una Finanziaria dove mancano soprattutto gli investimenti pubblici, dove scuola e sanità restano solo titoli senza impegni, dove lo Stato tradisce ancora una volta i più importanti principi costituzionali.
Ma restando nella gabbia dell'Ue, ed avendo spazzato via l'almeno contraddittorio esecutivo gialloverde, non c'erano dubbi sul segno della manovra autunnale del governo della restaurazione.
Così ha scritto 2 settimane fa Programma 101: «Non c'è alcuna possibilità di uscire dalla crisi dentro la gabbia europea. Se i risultati della "flessibilità" transitoria ottenuta dal governo della restaurazione sono questi, figuriamoci cosa dobbiamo attenderci per il futuro. Nell'euro e nella Ue si soffoca, l'Italexit è sempre più necessaria».
Verità semplici che la Finanziaria di Gualtieri ci ha puntualmente confermato.
Liberarsi dalla gabbia dell'euro e dell'Ue è la vera emergenza: la Legge di Bilancio 2020 è lì a dimostrarlo
Sabato scorso abbiamo manifestato a Roma per liberare l'Italia dalla gabbia eurista. Ieri, invece, il governo ha diligentemente inviato a Bruxelles il DPB (Documento Programmatico di Bilancio), che anticipa ai signori dell'Ue quel che i parlamentari italiani dovranno approvare nel dettaglio nella Legge di Bilancio vera e propria.
Quale sia il legame tra questi due eventi è facile da capirsi. Senza rompere la gabbia eurista l'Italia non ha futuro. E la Finanziaria del Conte-bis (chiamiamola così, all'antica, che ci capiamo meglio) è lì a ricordarcelo. Tutti sanno che con l'attuale crescita zero, che annuncia una probabile recessione alle porte, sarebbe stato necessario rilanciare gli investimenti, la spesa pubblica ed i i consumi. Avviene invece l'esatto contrario: gli investimenti (peraltro del tutto insufficienti) sono rinviati ad un non meglio precisato futuro, la spesa pubblica subirà nuovi tagli, mentre le nuove tasse peseranno per circa 13 miliardi (md) di euro. Auguri vivissimi agli italiani, al popolo lavoratore in primo luogo, ma è chiaro che questa politica non solo non contrasta la recessione, al contrario la alimenta.
Come naturale, nella manovra firmata Gualtieri non mancano, qua e là, misure sensate ed approvabili, come l'abolizione del super ticket o quella del cosiddetto "bonus facciate" per le ristrutturazioni condominiali. Ma si tratta appunto di cose di facciata. Piccole caramelle inserite nella solita legge-monstre che, spaziando quest'anno dai 23 md dell'IVA alla tassa sulle bibite zuccherate, consente ad ognuna delle forze di governo di intestarsi questa o quella misura, lasciando ovviamente quelle più impopolari - la stragrande maggioranza - senza padri né madri.
Meglio allora non farsi distrarre troppo ed andare all'essenziale. La Finanziaria 2020 è figlia del sistema dell'euro, ed è stata partorita da quello che abbiamo definito come il governo della restaurazione. Nessuno stupore dunque, ma una critica puntuale del lavoro di lorsignori è quanto mai opportuna.
Per non farla troppo lunga, proviamo a sintetizzare per punti.
Perché la Finanziaria è recessiva
Proprio mentre la congiuntura economica avrebbe richiesto provvedimenti anti-ciclici, cioè di contrasto al trend recessivo, il Conte-bis fa l'esatto contrario. Da un lato si continua con l'assurdità degli avanzi primari (1,1% del Pil nel 2020, per poi risalire addirittura all'1,6% nel 2022: non si dica mai che non facciamo i compiti a casa!). Dall'altro, portando il deficit tendenziale del 2,7% ad un programmatico del 2,2% si sottraggono all'economia italiana circa 9 md di euro. Di questi tempi, non proprio una bazzecola.
Ora, l'Italia è l'unico paese al mondo che, con la sola eccezione del 2009, è in avanzo primario da oltre un quarto di secolo (per l'esattezza dal 1992). Vogliamo continuare a migliorare questo ben poco invidiabile record? Per chi ancora non lo sapesse, l'avanzo primario è la differenza tra le entrate e le spese dello Stato. Dunque, sono 28 anni che le entrate superano (e di gran lunga) le uscite. Come noto il problema è che a valle di questo calcolo c'è il pedaggio da pagare ai possessori dei titoli del debito pubblico, quello che - già nel 1981 - Ciampi ed Andreatta (ricordiamo sempre i loro nomi) vollero mettere nelle mani dei pescecani della finanza internazionale. Riguardo al 2020, a causa di un'incidenza degli interessi prevista nel 3,3% del Pil, l'avanzo dell'1,1% diventa così un disavanzo del 2,2%, Che è come dire che anziché avere 19 md in cassa, ne dovrò invece pagare 38.
Non è questa la sede per approfondire il discorso e mi fermo qui. Ma possiamo continuare a farci del male in questo modo? Per gli eurocrati assolutamente sì. Anzi, quel risultato ancora non gli basta, che il Fiscal compact prevede sacrifici ancor più duri. Ma almeno l'Europa è contenta, così si dice. Che lo siano anche gli italiani è invece cosa dubbia assai.
Il trucco sull'IVA e quello sull'evasione fiscale
Ma, si dice ancora, l'IVA, almeno quella, ce la siam tolta dai piedi! Peccato non sia così. La cosiddetta "clausola di salvaguardia" è stata solo congelata per il 2020. Per il 2021 la clausola rimane per un importo di 18 miliardi. Sai che gioia veder ripartire la stessa litania sull'aumento IVA da disinnescare già dalla prossima primavera.
"Disinnescare". Il problema è che con certi artificieri il risultato è pressoché certo: l'IVA non aumenta, ma aumentano altre cento tasse. Che è esattamente quello che avverrà con questa Finanziaria. Le misure di copertura della manovra ammontano infatti a 15,4 md. Di questi 2,7 arriveranno da nuovi tagli, 12,7 da maggiori entrate tributarie.
Attenzione adesso, perché la propaganda governativa voleva far credere, fino a pochi giorni fa, che ben 7,2 md sarebbero stati incassati con il maggior contrasto all'evasione fiscale. Questa balla non ha retto alla prova dei fatti, ed ora nel DPB l'obiettivo è stato ridotto più realisticamente a 3,4 miliardi.
Ma anche su questi 3,4 md ci sarebbe molto da dire. La lotta all'evasione, di cui il Conte-bis si fa gran vanto, non è infatti rivolta contro i grandi evasori, gli esportatori di capitali, le aziende che trasferiscono fittiziamente la loro sede legale all'estero, gli allegri fruitori dei vantaggi offerti dai paradisi fiscali, bensì contro i piccoli: piccoli commercianti, piccoli artigiani, piccoli lavoratori autonomi che spesso senza un po' di nero non potrebbero neppure sopravvivere.
D'altronde, la lotta alla grande evasione è resa sostanzialmente impossibile proprio da quelle regole neoliberiste, come quella sulla libera circolazione dei capitali, sulle quali si fonda l'Unione Europea.
Detto questo, lotta alla piccola evasione a parte, da dove vengono i restanti 9,3 md? Tre le voci previste: 1) le maggiori entrate dei lavoratori autonomi che utilizzano l'ISA (3 md); 2) i tagli alle agevolazioni fiscali e la nuova tassa sulla plastica (2 md); 3) una miriade di nuovi balzelli su acquisto prima casa, certificazioni penali, sugar tax, tabacco, gioco d'azzardo, eccetera (4,3 md).
Come si può ben capire siamo decisamente di fronte ad un forte aumento della pressione fiscale. L'esatto contrario delle promesse di agosto. Un aumento spalmato in tanti rivoli affinché non si veda troppo, ma non per questo meno pesante.
La miseria della riduzione del "cuneo fiscale"
Ovviamente il governo si fa bello per la riduzione del cosiddetto "cuneo fiscale" a vantaggio dei lavoratori. In realtà siamo di fronte a cifre davvero miserevoli: 3 md per il 2020, 6 per il 2021. Ancora non è chiaro chi sarà veramente il beneficiario di questa misura. Prima sembrava che la platea fosse quella fino a 26mila euro lordi (la stessa degli 80 euro di Renzi), adesso si dice che si arriverà fino ai 35mila euro. Inutile dire che più si allargherà la platea, più si ridurrà il beneficio medio. Da alcune indiscrezioni (vedi il Sole 24 Ore del 17 ottobre) si apprende comunque che i percettori di redditi fino a 24.050 euro lordi non avranno alcun beneficio.
Staremo a vedere, ma quel che si può dire fin d'ora è che siamo di fronte ad una misura davvero modesta, poco incisiva in generale e del tutto inefficace sul piano macro-economico.
Lotta al contante: perché?
Quella della lotta al contante è la vera ossessione del momento. Alcune ipotesi (come quella dell'aperta penalizzazione del contante) sono saltate, ma la sostanza resta. Perché è ovvio che si penalizza il contante anche solo favorendo i pagamenti elettronici. Ma, soprattutto, è chiaro che siamo solo all'inizio di un'offensiva che punta a dare alle banche (ed al mondo della finanza) il totale controllo della circolazione del denaro. Un controllo che arriva anche a monitorare ogni aspetto della vita delle persone.
Quello della lotta all'evasione fiscale è più che altro un pretesto. Per capirlo c'è un esempio che basta ed avanza. Pare che una delle misure decise sia quella di accettare le detrazioni per le agevolazioni fiscali previste dalla legge, solo se i pagamenti verranno fatti con carta o bonifico bancario. Cosa c'entra tutto ciò con l'evasione fiscale? Nulla. Assolutamente nulla. Come ovvio, già oggi ogni detrazione si appoggia su un documento fiscale (fattura o scontrino) che attesta l'avvenuto pagamento ed il codice fiscale di chi lo ha effettuato. Per quale motivo, dunque, si dovrebbe andare in farmacia a comprare l'aspirina con la carta di credito anziché con i soliti spiccioli?
Ovvio, lo si dovrà fare perché così vogliono i pescecani della finanza, altro che lotta all'evasione fiscale!
A questa autentica porcata non resta che opporsi con ogni strumento, a partire dalla campagna in difesa del contante lanciata dai partecipanti alla manifestazione del 12 ottobre.
Conclusione
Vista la natura dell'attuale opposizione (si pensi al dietro-front di Salvini sull'euro), non è detto che il governo paghi subito la pochezza di questa Finanziaria di mero galleggiamento, una manovra senz'anima se non quella del solito signorsì ai padroni di Bruxelles, Francoforte e Berlino. Di certo pagheranno invece gli italiani, pagherà il popolo lavoratore.
Quella del precisino Gualtieri è una Finanziaria dove mancano soprattutto gli investimenti pubblici, dove scuola e sanità restano solo titoli senza impegni, dove lo Stato tradisce ancora una volta i più importanti principi costituzionali.
Ma restando nella gabbia dell'Ue, ed avendo spazzato via l'almeno contraddittorio esecutivo gialloverde, non c'erano dubbi sul segno della manovra autunnale del governo della restaurazione.
Così ha scritto 2 settimane fa Programma 101: «Non c'è alcuna possibilità di uscire dalla crisi dentro la gabbia europea. Se i risultati della "flessibilità" transitoria ottenuta dal governo della restaurazione sono questi, figuriamoci cosa dobbiamo attenderci per il futuro. Nell'euro e nella Ue si soffoca, l'Italexit è sempre più necessaria».
Verità semplici che la Finanziaria di Gualtieri ci ha puntualmente confermato.
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mercoledì 2 ottobre 2019
MANOVRA 2020: ECCO A VOI IL CONTE-BIS di Comitato Centrale di P101
[ mercoledì 2 ottobre 2019 ]
COMUNICATO N. 11/2019 DEL COMITATO CENTRALE DI P101
La manovra senz'anima del governo della restaurazione
Alla
fine il Consiglio dei ministri ha partorito la Nadef, la settembrina Nota di aggiornamento del Documento di
economia e finanza che fa da cornice alla Legge di bilancio vera e propria.
Solo
da quest'ultima, la cui presentazione è prevista per metà ottobre, si capiranno
i dettagli di una manovra economica che si annuncia di puro galleggiamento,
senz'anima e senza idee forti. Una manovra comunque recessiva e con più tasse,
nella quale - come avevamo ampiamente previsto - le mille promesse di agosto si
sono sciolte come neve al sole.
Se
la Legge di bilancio ci dirà di più, un giudizio politico sull'operato del
governo della restaurazione è già possibile.
1. Le clausole di salvaguardia sull'IVA solo congelate, non cancellate
Come
sapevamo, il Conte-bis potrà beneficiare di una maggiore flessibilità europea
sul deficit, rispetto a quella ben più striminzita con la quale gli eurocrati
puntavano a mettere con le spalle al muro il precedente governo gialloverde.
Mentre a quest'ultimo si chiedeva un deficit all'1,6-1,8% sul Pil, all'attuale
governo verrà concesso il 2,2%. Quattordici miliardi in più rispetto al
tendenziale, fissato - calcolando l'aumento dell'IVA e le minori spese per Reddito
di cittadinanza e Quota 100 - all'1,4%. Questa scelta eminentemente politica,
con la quale l'Ue ha inteso premiare un governo servile e subalterno, è
tuttavia modesta e, soprattutto, limitata al solo 2020. La riprova sta nel
fatto che le clausole di salvaguardia dell'IVA non sono state cancellate, bensì
solo congelate per il prossimo anno. Ciò significa che già dalla primavera
prossima ripartirà il solito tormentone su come rinviarle un'altra volta,
condizionando così ogni possibilità di future manovre davvero espansive.
2. Una finanziaria recessiva che toglierà all'economia reale almeno 9 miliardi di euro
Dai
conti del governo si evince che a legislazione vigente, e senza aumento
dell'IVA, il deficit 2020 si sarebbe attestato al 2,7%. Portarlo al 2,2%
significa togliere all'economia nazionale qualcosa come 9 miliardi di euro. Una
sottrazione tanto più grave di fronte all'attuale crescita zero ed all'attesa
di una recessione vera e propria. Una sottrazione che avverrà principalmente
con un aumento della pressione fiscale (previsto il recupero di circa 10
miliardi e mezzo) e con nuovi tagli per un miliardo e mezzo di euro. Tutto ciò
"compensato" soltanto con una riduzione del cuneo fiscale per soli
2,7 miliardi.
3. La vergognosa elemosina sul "cuneo fiscale"
Sul
punto, dopo tante promesse, la montagna ha partorito il topolino. Il beneficio
fiscale, che dovrebbe interessare la stessa platea dei renziani "80
euro" del 2014 (circa 11 milioni di persone), scatterà solo dal 1° luglio
2020, portando nelle buste paga di chi ha un reddito sotto i 26mila euro lordi,
una cifra attorno ai 40 euro mensili. Una vera miseria, di fronte alle
condizioni di questa fascia di reddito; una misura del tutto inefficace dal
punto di vista macro-economico, visto che non è con queste cifre che si può
rilanciare la domanda interna.
4. La fine ingloriosa, e prevedibile, delle promesse di agosto
Dalle
notizie ad ora disponibili - il testo integrale della Nadef non è stato ancora
pubblicato - tutte le mirabolanti promesse di agosto sono uscite dal radar di
Palazzo Chigi. Dell'aumento dei 100 euro mensili agli insegnanti, come dei 4
miliardi necessari al rinnovo dei contratti del pubblico impiego non c'è
traccia. Idem per il programma straordinario di assunzioni, per non parlare
delle maggiori risorse per la scuola, l'università, il welfare, i disabili e le
famiglie. Certo, qualcosa avranno scritto, ma evidentemente senza precisi
impegni di spesa per il 2020.
5. Una finanziaria senz'anima
Siamo
dunque di fronte ad una manovra di galleggiamento, priva di ogni idea forte.
Una finanziaria senz'anima che non vorrebbe scontentare troppo gli italiani,
rassicurando al contempo l'oligarchia di Bruxelles e Francoforte. Una
finanziaria che non risolvendo alcun problema del Paese, finirà per aggravarli
tutti. Perlomeno un anno fa le due misure di bandiera di Lega ed M5s (Quota 100
e Reddito di cittadinanza) provavano a dare un po' di respiro ai settori
sociali maggiormente colpiti dalla crisi e dall'austerità targata Europa.
Misure insufficienti anche quelle, ma che viste oggi - alla luce del micragnoso
nulla della finanziaria di Gualtieri - appaiono quantomeno come un onesto per
quanto pasticciato tentativo di invertire la disastrosa rotta imposta dai
vincoli europei al nostro Paese.
6. L'amministratore di condominio Roberto Gualtieri
Da
questa vicenda l'osannata figura del nuovo ministro dell'Economia, l'eurista a
tutto tondo Roberto Gualtieri, esce del tutto ridimensionata. Una Legge di
bilancio fatta in questo modo, con mille interventi, nessuno dei quali davvero
significativo, più che ad un titolare della politica economica fa pensare ai
piccoli stratagemmi di un amministratore di condominio. Per giunta un
condominio assai litigioso. E' questa la fine che si fa quando si va ad
applicare quelle regole che pure si è voluto al fine di imporre l'ordine
ordo-liberale ad un paese come l'Italia.
7. La bandiera autoritaria della lotta al contante
Alla
fine, da una finanziaria come questa, esce solo una bandiera: quella della
lotta al contante. Che è poi la bandiera issata dalle banche e dalla grande
finanza, nonché dall'ossessivo pensiero unico del politicamente corretto.
Dietro alla motivazione ufficiale della lotta all'evasione - quella dei
poveracci, beninteso, mica quella delle multinazionali, ci mancherebbe! - c'è
l'interesse delle banche, nonché (cosa ancora più importante) la volontà di
arrivare ad un controllo totale sulla vita delle persone. Per queste ragioni
Programma 101 si oppone totalmente alle misure previste dal governo contro
l'uso del denaro contante.
8. Conclusione: nell'Ue si soffoca, viva l'Italexit
I
contenuti della Nadef, quelli prevedibili della prossima Legge di bilancio, non
fanno che confermare quel che diciamo da anni: non c'è alcuna possibilità di
uscire dalla crisi dentro la gabbia europea. Se i risultati della
"flessibilità" transitoria ottenuta dal governo della restaurazione
sono questi, figuriamoci cosa dobbiamo attenderci per il futuro. Nell'euro e
nella Ue si soffoca, l'Italexit è sempre più necessaria. Anche per questo
manifesteremo il prossimo 12 ottobre a Roma, anche per questo invitiamo tutti a
farlo insieme a noi.
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[ martedì 17 settembre 2019 ]
Nuovo capitolo della stucchevole guerra per bande che dilania l'élite italiana ed in particolare il suo agglomerato politico di riferimento, il Pd.
Una cosa, una sola, nella sua lunga intervista a Repubblica, Matteo Renzi la dice giusta: è fallita quell'americanata che pretendeva essere il Pd. Per la precisione: «Il Pd nasce come grande intuizione di un partito all'americana capace di riconoscersi in un leader carismatico e fondato sulle primarie».
Il Bomba (alias Renzi) crede che il fallimento sia dovuto a quello che chiama "fuoco amico", ovvero al sabotaggio che gli altri oligarchi hanno posto in essere contro lui medesimo, che leader carismatico si considera.
Le cause del salutare fallimento del Pd sono in verità ben più profonde, ma chi è affetto patologicamente da narcisismo (vedi anche l'altro Matteo), non può, non riesce a vederle. Uno che si da le arie da grande statista, ma non afferra le radici sociali, culturali e politiche profonde del naufragio dell'ambizioso tentativo piddino, non è destinato ad andare lontano. Mettiamola così (e lo dicevamo già negli anni '90): l'americanizzazione politica dell'Italia non può funzionare. Diversissimi la storia, le radici culturali e ideali, il tessuto economico sociale degli Stati Uniti da quelli italiani. Troppo forte e diffuso infine, nel nostro Paese, soprattutto tra le classi subalterne, l'antiamericanismo. Un senso comune, oso dire, che viene da molto lontano.
L'americanismo non ha sfondato e non poteva sfondare anche perché ha avuto un inconfondibile segno di classe, esso è stato infatti, sin dal dopoguerra, il cavallo di battaglia della grande borghesia italiana. L'antiamericanismo ha avuto così in Italia (tanto più perché gli stessi eredi missini del fascismo null'altro erano se non una protesi della CIA) un segno di classe opposto e patriottico.
Non solo la vecchia base sociale popolare del defunto PCI, ma pure gran parte di quella ex-democristiana non passarono al Pd grazie al suo americanismo ma suo malgrado. Per milioni di italiani esso era — altro che Partito democratico all'americana! — l'agognato connubio tre le due culture politiche popolari dell'Italia del dopoguerra, quella comunista e quella cattolica.
Per di più la veltroniana americanata era destinata al fallimento visto il parallelo sopraggiungere della crisi sistemica, proprio dagli Stati Uniti sorta e dilagata a livello mondiale. Quella crisi sistemica che alimenterà il fenomeno politicamente opposto al piddismo dell'élite, il populismo.
La scissione di Renzi, a ben vedere, attesta un doppio fallimento, dell'americanata certo, ma di quel matrimonio all'italiana tra le due culture politiche di cui sopra. Dalla scissione sorge dunque, da una parte, un macronismo all'amatriciana, dall'altra, uno zombi pseudo-socialdemocratico di matrice europea.
Non finisce qui. Nella crisi sistemica globale, la crisi italiana ci riserverà altre sorprese. La consunzione di 5 Stelle, il dilemma esistenziale che attanaglia la Lega salviniana, divisa tra nordisti separatisti e neo-nazionalisti italioti... Il panorama politico è in fibrillazione e riserverà altre sorprese.
Di certo Conte non può dormire sonni tranquilli. Il sostegno che gli offre Renzi è come la corda che sostiene l'impiccato. Il Bomba assicura sincero appoggio in funzione anti-Salvini. C'è da credergli. Ma il tipo è talmente esuberante (per usare un eufemismo) che le sue mosse future non sono prevedibili. E non lo sono perché nemmeno lui le conosce. Se uscisse fuori un sondaggio che lo da, diciamo, al 10%, statene certi che farà saltare il banco in barba alla minaccia dei barbari alle porte e della "fedeltà alle istituzioni democratiche".
Nuovo capitolo della stucchevole guerra per bande che dilania l'élite italiana ed in particolare il suo agglomerato politico di riferimento, il Pd.
Una cosa, una sola, nella sua lunga intervista a Repubblica, Matteo Renzi la dice giusta: è fallita quell'americanata che pretendeva essere il Pd. Per la precisione: «Il Pd nasce come grande intuizione di un partito all'americana capace di riconoscersi in un leader carismatico e fondato sulle primarie».
Il Bomba (alias Renzi) crede che il fallimento sia dovuto a quello che chiama "fuoco amico", ovvero al sabotaggio che gli altri oligarchi hanno posto in essere contro lui medesimo, che leader carismatico si considera.
Le cause del salutare fallimento del Pd sono in verità ben più profonde, ma chi è affetto patologicamente da narcisismo (vedi anche l'altro Matteo), non può, non riesce a vederle. Uno che si da le arie da grande statista, ma non afferra le radici sociali, culturali e politiche profonde del naufragio dell'ambizioso tentativo piddino, non è destinato ad andare lontano. Mettiamola così (e lo dicevamo già negli anni '90): l'americanizzazione politica dell'Italia non può funzionare. Diversissimi la storia, le radici culturali e ideali, il tessuto economico sociale degli Stati Uniti da quelli italiani. Troppo forte e diffuso infine, nel nostro Paese, soprattutto tra le classi subalterne, l'antiamericanismo. Un senso comune, oso dire, che viene da molto lontano.
L'americanismo non ha sfondato e non poteva sfondare anche perché ha avuto un inconfondibile segno di classe, esso è stato infatti, sin dal dopoguerra, il cavallo di battaglia della grande borghesia italiana. L'antiamericanismo ha avuto così in Italia (tanto più perché gli stessi eredi missini del fascismo null'altro erano se non una protesi della CIA) un segno di classe opposto e patriottico.
Non solo la vecchia base sociale popolare del defunto PCI, ma pure gran parte di quella ex-democristiana non passarono al Pd grazie al suo americanismo ma suo malgrado. Per milioni di italiani esso era — altro che Partito democratico all'americana! — l'agognato connubio tre le due culture politiche popolari dell'Italia del dopoguerra, quella comunista e quella cattolica.
Per di più la veltroniana americanata era destinata al fallimento visto il parallelo sopraggiungere della crisi sistemica, proprio dagli Stati Uniti sorta e dilagata a livello mondiale. Quella crisi sistemica che alimenterà il fenomeno politicamente opposto al piddismo dell'élite, il populismo.
La scissione di Renzi, a ben vedere, attesta un doppio fallimento, dell'americanata certo, ma di quel matrimonio all'italiana tra le due culture politiche di cui sopra. Dalla scissione sorge dunque, da una parte, un macronismo all'amatriciana, dall'altra, uno zombi pseudo-socialdemocratico di matrice europea.
Non finisce qui. Nella crisi sistemica globale, la crisi italiana ci riserverà altre sorprese. La consunzione di 5 Stelle, il dilemma esistenziale che attanaglia la Lega salviniana, divisa tra nordisti separatisti e neo-nazionalisti italioti... Il panorama politico è in fibrillazione e riserverà altre sorprese.
Di certo Conte non può dormire sonni tranquilli. Il sostegno che gli offre Renzi è come la corda che sostiene l'impiccato. Il Bomba assicura sincero appoggio in funzione anti-Salvini. C'è da credergli. Ma il tipo è talmente esuberante (per usare un eufemismo) che le sue mosse future non sono prevedibili. E non lo sono perché nemmeno lui le conosce. Se uscisse fuori un sondaggio che lo da, diciamo, al 10%, statene certi che farà saltare il banco in barba alla minaccia dei barbari alle porte e della "fedeltà alle istituzioni democratiche".
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venerdì 13 settembre 2019
FASSINA O DEL PECCATO ORIGINALE di Moreno Pasquinelli
[ venerdì 13 settembre 2019 ]
Chissà se un giorno riusciremo a perdonare il voto di fiducia ("condizionata") che Stefano Fassina, ha donato al governo Conte bis — fiducia che invece non diede al governo giallo-verde. Oggi non ci riusciamo. Egli si renderà presto conto della sua, usiamo un eufemismo, papera politica. Se non è divorato dall'orgoglio saprà fare autocritica. Se non la farà, se come tanti politicanti vorrà mascherare l'opportunismo dietro al realismo, non meriterà alcuna clemenza.
Non si tratta infatti solo di un errore ma di una bestialità politica. E da che dipende il suo delitto politico? Dipende dal fatto che egli è appunto segnato da un fatale peccato originale: dopo lo scioglimento del PCI, nella traversata attraverso i mari fetidi della seconda repubblica, aver aderito al PDS fino al Partito Democratico. Ebbene, scopriamo che in verità egli non è mai uscito dal quel mondo, che egli ne è stato sempre prigioniero, anche quando affermava di esserne venuto fuori.
Siamo tra coloro che avevano creduto nella sua resipiscenza. Ammettiamo di esserci sbagliati. Che non fosse un Cuor di Leone, che il coraggio non fosse un suo attributo, questo sì, lo avevamo capito. Tuttavia, data la sua critica al sistema dell'euro, data la sua comprensione della dimensione patriottica della battaglia politica, date le sue reiterate affermazioni che la sinistra vecchia e nuova fosse morta, le nostre strade, si sono spesso incrociate dando vita a momenti di fraterna collaborazione.
Non ci siamo sbagliati, invece, a non aderire, nell'inverno scorso al raggruppamento a cui ha dato vita, Patria e Costituzione. In diversi credettero che con quella mossa egli avesse passato il Rubicone, che quindi occorresse seguirlo. Noi al contrario non abbiamo abboccato, segnalando non solo i limiti ma le inammissibili ambiguità dell'operazione. Altri invece caddero nell'inganno, e ci voltarono le spalle, accusandoci di aver compiuto un grave errore. Chissà se ora questi compagni avranno l'onesta intellettuale di riconoscerci di aver avuto, almeno in quel caso, ragione.
Consigliamo di leggere come Fassina ha giustificato la sua colossale papera. Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere.
Egli ammette che il "governo Conte 2 o Orsola" sia un "tentativo di normalizzazione"; che esso "puntella" i "tratti di continuità con la stagione precedente di europeismo liberista". Ammette altresì che i "connotati strutturali e i riferimenti sociali dell'impianto culturale del governo Conte 2", restano nel solco della strategia eurista. Riconosce infine che l'accordo M5s-Pd è figlio di una "offensiva restauratrice".
Ce n'è abbastanza per chiamare i cittadini alla resistenza e all'opposizione. E invece il Fassina che ti fa? Ti vota la fiducia e resta in un gruppo (LeU+Sinistra italiana) che è parte integrante di un governo che ha per scopo, dopo il terremoto popolare del 4 marzo, non solo la normalizzazione" ma la "restaurazione".
Giustifica quindi la papera in un modo che più goffo non si potrebbe. Dietro alla fuffa sul "passaggio complesso e contraddittorio" e il "momento Polanyi", scrive che "Occorre riconoscere il valore costituzionale dell'interruzione della deriva guidata dalla Lega", ovvero che il governo Conte bis rappresenta "potenzialmente" un "argine costituzionale" al pericolo leghista.
Et voilà. Affinché vada in porto il tentativo disperato di ripristinare il bipolarismo centro-destra centro-sinistra (affossato il 4 marzo 2018), c'è bisogno di costruire lo spauracchio: allora era Berlusconi, oggi è Matteo Salvini. Ieri lo specchietto per le allodole dell'antiberlusconismo, oggi è quello dell'antisalvinismo. Salvini come il male assoluto, e in nome del contrasto a questo "male assoluto", come in ogni guerra santa, ogni nefandezza politica è giustificata.
E fa tenerezza che Fassina affermi che la sua "non è una cambiale in bianco", che anzi egli si proponga di incalzare il governo a fare tante cose buone e giuste che sono nel suo programma frù-frù. E come se uno si mettesse in testa di trasformare il lupo in agnello. Megalomania? No, solo banale opportunismo di bottega.
La prova provata che questa giravolta opportunistica abbia poco a che fare con le impossibili promesse contenute nel programma del governo Pd-M5s, che si tratti cioè solo di un suicida ritorno nella gabbia della sinistra transgenica, Fassina ce l'ha fornita mentre Salvini faceva harakiri, il 12 agosto. Si capiva già allora dove il nostro sarebbe andato a parare.
Pateticamente velleitario è il tentativo di tramutare il governo della restaurazione liberista in governo delle riforme keynesiane. Il nostro finirà per trovarsi nell'imbarazzo di quel poliziotto russo al quale Uspiensky fa raccontare così la sua avventura:
* * *
Consigliamo di leggere come Fassina ha giustificato la sua colossale papera. Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere.
Egli ammette che il "governo Conte 2 o Orsola" sia un "tentativo di normalizzazione"; che esso "puntella" i "tratti di continuità con la stagione precedente di europeismo liberista". Ammette altresì che i "connotati strutturali e i riferimenti sociali dell'impianto culturale del governo Conte 2", restano nel solco della strategia eurista. Riconosce infine che l'accordo M5s-Pd è figlio di una "offensiva restauratrice".
Ce n'è abbastanza per chiamare i cittadini alla resistenza e all'opposizione. E invece il Fassina che ti fa? Ti vota la fiducia e resta in un gruppo (LeU+Sinistra italiana) che è parte integrante di un governo che ha per scopo, dopo il terremoto popolare del 4 marzo, non solo la normalizzazione" ma la "restaurazione".
Giustifica quindi la papera in un modo che più goffo non si potrebbe. Dietro alla fuffa sul "passaggio complesso e contraddittorio" e il "momento Polanyi", scrive che "Occorre riconoscere il valore costituzionale dell'interruzione della deriva guidata dalla Lega", ovvero che il governo Conte bis rappresenta "potenzialmente" un "argine costituzionale" al pericolo leghista.
Et voilà. Affinché vada in porto il tentativo disperato di ripristinare il bipolarismo centro-destra centro-sinistra (affossato il 4 marzo 2018), c'è bisogno di costruire lo spauracchio: allora era Berlusconi, oggi è Matteo Salvini. Ieri lo specchietto per le allodole dell'antiberlusconismo, oggi è quello dell'antisalvinismo. Salvini come il male assoluto, e in nome del contrasto a questo "male assoluto", come in ogni guerra santa, ogni nefandezza politica è giustificata.
E fa tenerezza che Fassina affermi che la sua "non è una cambiale in bianco", che anzi egli si proponga di incalzare il governo a fare tante cose buone e giuste che sono nel suo programma frù-frù. E come se uno si mettesse in testa di trasformare il lupo in agnello. Megalomania? No, solo banale opportunismo di bottega.
La prova provata che questa giravolta opportunistica abbia poco a che fare con le impossibili promesse contenute nel programma del governo Pd-M5s, che si tratti cioè solo di un suicida ritorno nella gabbia della sinistra transgenica, Fassina ce l'ha fornita mentre Salvini faceva harakiri, il 12 agosto. Si capiva già allora dove il nostro sarebbe andato a parare.
Pateticamente velleitario è il tentativo di tramutare il governo della restaurazione liberista in governo delle riforme keynesiane. Il nostro finirà per trovarsi nell'imbarazzo di quel poliziotto russo al quale Uspiensky fa raccontare così la sua avventura:
«Veloce come un fulmine ho afferrato per il colletto il manigoldo, e che cosa si è visto? Che quel dannato non portava il colletto».
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mercoledì 11 settembre 2019
UN TERZO POLO ALTERNATIVO A PD E LEGA di Nuova Direzione
Volentieri pubblichiamo il comunicato dei compagni di "Nuova Direzione". Il giudizio sul Conte-bis è il medesimo di quello di Programma 101. Anche la proposta di dare vita ad un "terzo polo" alternativo a Pd e Lega va nella medesima direzione di quella indicata da Moreno Pasquinelli.
* * *
Nel fallimento hanno influito soprattutto le contraddizioni della Lega, che ha venduto all’elettorato un progetto nazionale ed euroscettico, anche se il suo nocciolo duro dei Giorgetti, Zaia, Fontana continua a puntare alla disgregazione dell’Italia, temendo conseguenze sull’interconnessione industriale e la stabilità finanziaria di un’eventuale Italexit. Dal loro punto di vista, egoistico e miope, la presenza del centro-sud è un peso, invece che un fattore di forza geopolitico decisivo. In ogni caso, al netto delle boutade euroscettiche, la proposta leghista rimane liberista (vedi flat tax e infrastrutture) e non è dunque affatto incompatibile con l’UE, come vuol far credere.
Al contempo il linguaggio di Salvini, sempre sopra le righe e con ammiccamenti xenofobi e talvolta razzisti, tendente ad accreditare un altro uomo solo e forte al comando, ha finito per spaventare e coalizzare progressivamente gli oppositori ben più che le sue scarse opere.
Contemporaneamente sono venuti rapidamente al pettine i nodi del M5S. Nodi che non stanno tanto nell’impreparazione (per avere esperienza ci deve essere sempre una prima volta), ma in una cultura politica eclettica, pressapochista, volta più a collezionare proteste di origine diversa e spesso contraddittorie, che a cambiare strutturalmente il paese. Non si può, infatti essere, un giorno liberisti ed un giorno statalisti, un giorno euroscettici ed un giorno europeisti, un giorno incontrare i gilè gialli l’altro votare per la von der Leyen. Hanno balbettato sul tema della sicurezza e dei migranti, senza riuscire a definire una linea diversa e finendo per aderire ad una che non condividevano e non hanno compreso la portata cruciale dell’autonomia differenziata e dei suoi potenziali danni, con il titolo V.
Per il M5S ha pesato anche la particolare struttura interna centrata com‘è su capi carismatici, sul ruolo politico di un’azienda privata di comunicazione e su decisioni ‘dirette’ spesso prese a posteriori.
In conseguenza, pur avendo fatto timidamente anche cose buone, sono rimasti alla superficie, alle kermesse massmediatiche, inclinando da ultimo ad una sorta di trasformismo in chiave postmoderna. Ciò ha consentito alla Lega di surclassarli.
Il problema sta nella mancanza di un vero e adeguato progetto di cambiamento del paese e della sua collocazione internazionale. Mancando di un progetto di cambiamento vero tutto diventa intercambiabile: alleanze e nemici, contenuti e obiettivi. Eppure il M5S, nell’ultimo decennio è stato il primo tentativo di successo per uscire dalla mortifera tenaglia fra la cosiddetta sinistra ed il centro destra, e aveva messo alla sbarra le élite che hanno portato e portano il paese al declino ed alla frammentazione sociale, territoriale ed istituzionale.
2) Nei varchi aperti dalle contraddizioni e dal conflitto fra Di Maio e Salvini si sono alla fine inseriti i cavalli di Troia dei poteri forti interni ed internazionali, ben rappresentati da Tria, Moavero e dalla regia dell’ineffabile Mattarella, cui da ultimo anche Conte si è allineato. Ciò, insieme al, peraltro previsto, mancato sfondamento dei partiti euroscettici alle ultime elezioni europee, ha consentito il ribaltone rispetto all’orientamento dato dal risultato elettorale del 4 marzo. Segno particolare della debolezza della coalizione è stata la netta divergenza di schieramento internazionale e, da entrambi i lati, il pressappochismo dell’azione diplomatica.
Salvini ha probabilmente creduto di avere dalla sua parte Trump, fidandosi di un declinante Bannon, e di usare Washington per avere spazi di libertà da Bruxelles, ma il sostegno atteso è sempre stato ambiguo, declinante e comunque largamente insufficiente.
Di Maio (pur mantenendo il M5S evidenti e stretti rapporti con gli Usa) ha favorito un’apertura alla Cina giusta in sé, ma troppo larga per non suscitare dure reazioni. Entrambi, chi giocando al “piccolo stratega” (la Lega, con la falsa dichiarazione di voto per la von der Leyen), chi per scelta opportunista (il M5S in parte per la necessità di cambiare cavallo, in vista delle prevedibili rotture leghiste) hanno contribuito all’elezione della candidata “di sistema” ed alla relativa stabilizzazione dell’Ue.
3) Per le forze che hanno a cuore la sovranità democratica e costituzionale, socialiste, è necessario fare un bilancio critico e oggettivo di questa esperienza. Il bilancio del governo gialloverde ci parla dei problemi e delle contraddizioni da risolvere. Solo così ci si può attrezzare per cominciare ad essere presenti ed attivi nella prossima fase politica e sociale, contrastare questo governo, impedire alla Lega di essere l’unica opposizione. Lo spazio non mancherà.
4) Il programma, come sempre, è in gran parte fumo negli occhi. È un libro dei sogni come il contratto gialloverde. E, a poco, vale chiedersi quanto l’Unione compenserà il governo del cambiamento, ciò che infatti non sembra cambiare è l’impostazione politica neoliberale. Si pensa ancora di intervenire nella crisi in termini di defiscalizzazioni e detrazioni. Gli investimenti sono, come da tradizione piddina, nelle infrastrutture (rimpiangeremo Toninelli!?). Anche la proposta condivisibile del reddito minimo, in assenza di aumenti consistenti dei salari fermi da oltre 20 anni, e di interventi strutturali, rischia di trasformarsi in reddito massimo: tutti working poor. E queste politiche saranno ancor meno efficaci man mano che si approfondirà la crisi a livello internazionale.
Un secondo terreno problematico sarà il cambio di passo sul terreno della sicurezza e dell’immigrazione. Su questo terreno Salvini andrà a nozze. E c’è il tema dell’autonomia differenziata. Se per un verso lo stop alle proposte leghiste sono positive, per l’altro si ripropongono, pari pari, tutte le litanie che da 20 anni ci vengono propinate sul regionalismo, quando, al contrario bisognerebbe mettere mano radicalmente ad una nuova idea di Stato, ricentralizzando ciò che serve e passando alle Province (da ricostruire) ed ai comuni le risorse necessarie per alzare la qualità dei servizi, tremendamente impoveriti dai governi di centrosinistra e centrodestra. Del modello di Stato dovrebbe far parte anche l’assetto istituzionale, Camera e Senato compresi. Questione fondamentale che non può certo essere approcciata con il taglio lineare dei parlamentari, come per una qualsiasi spending review.
La lista della spesa, con ben ventinove azioni, contiene anche altro, molte cose che, prese da sole, sono buone e giuste, ma che sono rese impossibili dall’incompatibilità con altre. La verità è sempre nascosta sotto meri desideri senza peso, si propongono enormi espansioni di spesa ma anche il pieno rispetto dei vincoli europei, si vogliono aiutare i lavoratori deboli, ma rispettando la concorrenza che li schiaccia, si propone di rimuovere tutte le forme di diseguaglianza, come si voleva porre fine alla povertà, ma solo individualmente, tutelare l’interesse nazionale ed essere contemporaneamente per il multilateralismo e l’atlantismo, aumentare la spesa ma anche la spending review, fare una banca per il sud ma anche per il nord, avere l’autonomia differenziata ma anche la coesione nazionale, avere l’economia delle ‘start-up’ ma anche la ‘web-tax’, aumentare l’export ma anche il sostegno ai salari dei lavoratori. Un libro di favole per bambini sarebbe più credibile, o almeno coerente.
5) Detto del programma va sottolineato che il governo M5S-PD nasce oggettivamente per non andare alle elezioni e far vincere Salvini. Come ai tempi di Berlusconi, queste alleanze finiscono per scavarsi la fossa. Questo governo, infatti, lascerà ampi spazi sul terreno sociale come sul terreno dell’europeismo. I terreni prediletti da Salvini.
Al contempo, tuttavia, i ministeri economici centrali sono quasi tutti piddini. In particolare, risalta la figura di Gualtieri all’economia, cui si aggiunge Gentiloni a Bruxelles. Altro capolavoro di Conte e un autogol del M5S alla Koulibaly.
Al contempo, tuttavia, i ministeri economici centrali sono quasi tutti piddini. In particolare, risalta la figura di Gualtieri all’economia, cui si aggiunge Gentiloni a Bruxelles. Altro capolavoro di Conte e un autogol del M5S alla Koulibaly.
6) Per non morire né piddini né leghisti è necessario lavorare alla costruzione di un terzo polo alternativo al Pd ed alla Lega. Un vero polo del cambiamento. Un polo che avremmo potuto costruire in dialettica con il M5S se non avesse compiuto la scellerata scelta di questi giorni. Un polo che si ponga l’obiettivo di unificare un blocco sociale del cambiamento fondato soprattutto sulla classe numerosissima che oggi non ha una vera e propria rappresentanza, e cioè sui lavoratori. E poi su tutti i cittadini che si ribellano allo stato di cose presente: al declino culturale, civile, sociale, economico, ambientale e democratico. L’Italia non è grande paese sul piano territoriale e demografico, ma lo è sul piano culturale, sociale e, nonostante tutto, anche economico. La sua collocazione nel Mediterraneo è tale da consentirgli di essere ponte fra interessi e culture diverse: fra est e ovest, fra sud e nord. Ma per essere ponte bisogna reggersi sui propri pilastri: la sovranità costituzionale, l'interesse nazionale e popolare, una struttura economica resa efficiente da un forte e rinnovato intervento pubblico.
Di questa discussione e lavoro Nuova Direzione si farà promotrice interloquendo con chi per il cambiamento ha o aveva optato per i 5S, a chi si è astenuto, a chi è sinceramente in cerca di nuove soluzioni e nuove direzioni senza settarismi e dogmatismi.
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SUL PROGRAMMA DI GOVERNO DEL CONTE BIS di Leonardo Mazzei
[ mercoledì 11 settembre 2019 ]
IL GOVERNO PIÙ A SINISTRA DELLA STORIA?
Dovessimo prenderli sul serio, i 29 punti condivisi da Pd, M5s e Leu sembrerebbero dar ragione all'ex cavaliere d'Arcore, che ha parlato senza remore del "governo più a sinistra della storia d'Italia". Ma possiamo prenderli sul serio? Ovviamente no, tant'è vero che saranno proprio i berluscones (specie al Senato) a dar manforte al Conte-bis ogni volta che ve ne sarà bisogno. Che Berlusconi sia passato all'estrema sinistra?
Una montagna di promesse
La prima cosa da capire è che i 29 punti non sono un programma, bensì una lista sterminata di promesse. Limitandoci alla parte economico-sociale, troviamo alla rinfusa (ma il testo è scritto proprio così) la cancellazione dell'aumento dell'IVA, il sostegno alle famiglie ed ai disabili, misure per l'emergenza abitativa, incentivi agli investimenti, più risorse per la scuola, l'università, la ricerca, il welfare. E questo è solo il punto 1...
Ma si prosegue con il potenziamento degli incentivi alle piccole e medie imprese, la riduzione delle tasse sul lavoro (cuneo fiscale), il salario minimo, misure a favore dei giovani appartenenti a famiglie a basso reddito. Si annuncia un piano straordinario di assunzioni di medici ed infermieri, aumenti salariali ad insegnanti, poliziotti, militari e vigili del fuoco.
Non poteva poi mancare la promessa di un Green New Deal, quella di maggiori interventi per la difesa del territorio e per la velocizzazione della ricostruzione nelle zone terremotate. Ma non ci si è dimenticati neppure del lancio di un piano straordinario per il Sud, né della necessità di nuovi investimenti infrastrutturali. E questa è solo una sintesi di quanto il nuovo tripartito ha pensato bene di promettere agli italiani...
Che dire? Troppa grazia Sant'Antonio! E' evidente come nel caldo agostano si sia deciso di non porsi troppi limiti, tanto poi ai numeri veri della manovra ci penserà la Nota di aggiornamento del DEF, da presentarsi entro settembre; mentre la precisazione delle misure che verranno effettivamente prese avverrà solo con la Legge di Bilancio, da presentarsi entro il 15 ottobre.
E' pacifico come alla prova dei fatti molti impegni resteranno lettera morta, altri verranno spostati più avanti, altri ancora si tradurranno in qualche mancia di poco conto. Tuttavia una cosa è certa: la Legge di Bilancio 2020 (da approvarsi entro la fine del 2019) sarà più espansiva di quella dell'anno precedente. Questo per il semplice motivo che la Commissione europea concederà al governo della restaurazione quel che invece rigorosamente vietava al governo populista.
Un "anno sabbatico": premio di una ritrovata sudditanza
E' la politica che comanda l'economia, non viceversa. A Bruxelles, Berlino e Francoforte si erano presi una bella paura con il governo giallo-verde. Pasticcione, incoerente, inadeguato e financo opportunamente infiltrato; ma pur sempre diverso, largamente estraneo alle élite, poco prevedibile e — quel che era veramente intollerabile — troppo sensibile agli umori ed agli interessi delle masse.
Dunque, passato lo spavento, chiusa quella che lorsignori interpretano come una spiacevole parentesi, ecco che non si può chiedere al governo loro amico di assumere di nuovo le sembianze di un Monti-bis, dato che questo equivarrebbe ad un suicidio politico in piena regola. Da qui la prevedibile decisione di concedere all'Italia una sorta di "anno sabbatico" come premio della ritrovata sudditanza. Sbagliava dunque Salvini, ma credo l'abbia ora ben capito, nell'immaginarsi una specie di governo tecnico tutto teso a tagli e tasse già con il prossimo bilancio. Nuovi tagli vi saranno, come pure nuove tasse, ma tutto ciò sarà sostanzialmente nascosto nelle pieghe di una manovra che verrà certamente presentata come espansiva.
Ancora non si parla ufficialmente di numeri, ma il Conte-bis nasce apertamente sull'ipotesi di ottenere dalla Commissione più flessibilità sui conti, portando a preventivo il rapporto deficit/Pil attorno al 2,5%, per poi andare a consuntivo in area 3%. Numeri non trascendentali, decisamente al di sotto di quel che sarebbe necessario, tuttavia ben diversi da quelli chiesti finora da Bruxelles. Un anno fa la prima versione della Legge di Bilancio venne respinta dagli eurocrati per un deficit al 2,4%, mentre i giornaloni si stracciavano le vesti per un disavanzo che, a loro dire, avrebbe fatto sprofondare l'Italia nel Mediterraneo. Ancora nella primavera scorsa l'Ue passò all'attacco per sottoporre l'Italia ad una "procedura d'infrazione", evitata solo con la promessa di far scendere nel 2020 il deficit ben al di sotto del 2,0%.
Adesso, si dice, "l'aria è cambiata". Se il 2,4% prima era un crimine, adesso non può far che bene alla salute anche il 3,0%. Miracoli della restaurazione! Miracoli che piacciono anche ai famosi "mercati", dato che con il 2,4% di deficit lo spread stava sopra quota 300, mentre adesso che sembra destinato ad andare ben oltre lo spread è a 150.
Il perché l'aria sia momentaneamente cambiata lo abbiamo già detto. Non perché le politiche europee stiano mutando, non per un'inesistente uscita dall'ordoliberismo, ma solo per le evidentissime esigenze della politica. In fondo all'Italia verrà concesso un po' meno di quanto consentito per anni alla Francia ed alla Spagna di Rajoy. Dal punto di vista dell'oligarchia eurista un prezzo non troppo alto per ricondurre il nostro Paese all'ovile del loro dominio.
Del resto, il nuovo governo, spalleggiato in questo da Mattarella, ha già dichiarato in tutti i modi la sua piena sudditanza. Il "Viva l'Europa" è il vero slogan della maggioranza Pd-M5s-Leu. E' questo il significato più importante del cambio di governo a Roma. A Bruxelles e Berlino l'hanno sempre avuto chiaro, tanto che Tusk e Merkel sono pesantemente intervenuti nella crisi italiana affinché il ribaltone andasse in porto.
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Anche Fassina ha votato la fiducia... |
Il problema era la sovranità, non qualche decimale di deficit in più o meno. Adesso che l'eurocrazia ha trionfato, tutti possono rendersi conto di come quegli zerovirgola siano stati giocati spudoratamente solo per terrorizzare la popolazione, affinché le gerarchie costituite (detto in breve: Berlino comanda e Roma ubbidisce) non vengano messe in discussione. Oltretutto, in questo momento di stagnazione economica, un certo allentamento delle politiche austeritarie fa comodo anche alla Germania...
Come sarà la Legge di Bilancio?
Dal punto di vista dell'Italia non sarà certo un anno di maggior flessibilità a cambiare la situazione generale. L'euro, giova ricordarlo, ci è già costato un 25% di minor Pil cumulato. Non si esce da un simile disastro con una modestissima (e solo temporanea) boccata d'ossigeno come quella che si profila.
Ma, alla luce di quanto detto finora, cosa possiamo aspettarci allora dalla Legge di Bilancio? Lo schema generale della manovra sarà probabilmente assai vicino a quello tratteggiato da Federico Fubini sulle pagine del Corriere della Sera.
Al momento il deficit tendenziale (cioè a legislazione invariata) per il 2020 sarebbe all'1,6%. Piccolo problema, a "legislazione invariata" significherebbe far scattare l'aumento dell'IVA dal prossimo 1° gennaio. Ma questo aumento non ci sarà, facendo così mancare alle casse dello stato i relativi 23 miliardi. E poiché questa cifra corrisponde ad un 1,3% di Pil, ecco che il deficit salirebbe così al 2,9%. Tria pensava di riportarlo almeno al 2% con 9 miliardi di maggiori entrate dell'Irpef (riduzione più o meno lineare di detrazioni e deduzioni) e con 6 miliardi di tagli (anch'essi sostanzialmente lineari) alla spesa dei ministeri. Una strada questa che verrà riproposta dal nuovo governo (vedi punto 17 del programma), ma non si sa in quale misura.
Difficile, ma potremmo dire impossibile, ipotizzare davvero un recupero di 15 miliardi. Troppo pesante e troppo impopolare per le gracili ossa del governo appena nato. Sul lato della spesa, dopo anni di tagli continui c'è rimasto ben poco da limare. Non solo, questi tagli — viste le promesse del programma — non dovrebbero toccare né la scuola né la sanità, comparti dove la spesa dovrebbe invece salire. Sul lato delle tasse, il taglio delle agevolazioni fiscali (le cosiddette "tax expeditures") è stato per anni materia di esercitazione per i diversi ministri dell'economia che nel tempo si sono succeduti, senza che niente di sostanziale sia stato fatto. Questo per un semplice motivo: non è facile intervenire in quella giungla, ed è impossibile farlo senza colpire fette consistenti della popolazione.
Per saperne di più bisognerà dunque aspettare. Stavolta l'ipotesi che va per la maggiore è quella di partire dal taglio delle agevolazioni considerate negative dal punto di vista ambientale, riproponendo in qualche modo quel meccanismo alla Macron (si colpiscono ampie fasce popolari, ma il tutto in nome dell'ambiente) che in Francia ha scatenato la rabbia dei Gilet gialli. Insomma, nonostante la flessibilità che verrà concessa, la Legge di Bilancio che si annuncia non sarà tutta rose e fiori come si vorrebbe far credere.
Detto questo, restano da considerare le maggiori spese e le minori entrate previste nel programma — tra queste i 6 miliardi che dovrebbero servire ad abbassare la tassazione sui redditi inferiori ai 26mila euro. Nessuna delle maggiori spese è quantificata nei 29 punti ma, pur considerando che molte promesse non avranno alcun seguito, appare ragionevole ipotizzare un deficit tra il 2,5 ed il 3%. Ragion per cui possiamo immaginare che sia grosso modo agli estremi di questo range che andranno a collocarsi il deficit programmatico e quello reale.
Due questioni politiche dall'enorme portata
Ovviamente il programma non parla solo di economia.
Mentre la politica estera viene rapidamente racchiusa nella formula della doppia "fedeltà" (leggasi sudditanza) all'Ue ed agli Usa, due le questioni politiche davvero rilevanti sulle quali potrebbe anche giocarsi il futuro del governo della restaurazione: la legge elettorale ed il "regionalismo differenziato".
Quest'ultimo viene così trattato al punto 20:
«È necessario completare il processo di autonomia differenziata giusta e cooperativa, che salvaguardi il principio di coesione nazionale e di solidarietà, la tutela dell'unità giuridica e economica; definisca i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, i fabbisogni standard; attui compiutamente l'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, che prevede l'istituzione di un fondo di perequazione volto a garantire a tutti i cittadini la medesima qualità dei servizi. Ciò eviterà che questo legittimo processo riformatore possa contribuire ad aggravare il divario tra il Nord e il Sud del Paese».
Ho già avuto modo di entrare nel merito di questa intricata questione. La contraddittoria formulazione di cui sopra vorrebbe tentare di conciliare capra e cavoli, l'autonomia differenziata e l'unità nazionale. Ma c'è un particolare: questa quadratura del cerchio è semplicemente impossibile. Come il governo ne verrà fuori non è affatto chiaro, ma non ci sarebbe da stupirsi se il progetto dovesse finire su un binario morto. Il che sarebbe di certo la cosa migliore.
Sulla legge elettorale, ricollegandosi alla scelta di ridurre i parlamentari (tema sul quale Pd e Leu hanno dovuto cambiare posizione per andare incontro ad M5s), i partiti di maggioranza così si esprimono al punto 10:
«occorre avviare un percorso di riforma, quanto più possibile condiviso in sede parlamentare, del sistema elettorale».
Sulla materia è il Pd ad avere in mano il pallino, ma al suo interno convivono due posizioni. La prima, che possiamo definire "difensiva", prevede l'eliminazione della quota maggioritaria, per arrivare ad un sistema proporzionale "puro" ma con una soglia di sbarramento particolarmente alta (si vocifera del 5% contro il 3% attuale). Ho definito questa posizione (originariamente lanciata da Renzi nella sua proposta che ha avviato la trattativa con i Cinque Stelle) come "difensiva", perché pensata per sbarrare la strada alla Lega, che col sistema elettorale attuale potrebbe invece conquistare la maggioranza assoluta dei seggi anche solo con il 40% dei voti.
Negli ultimi giorni, però, si è fatta avanti, al contrario, una posizione più "offensiva", sostenuta in particolare da due ex presidenti del Consiglio: Romano Prodi e Massimo D'Alema. La loro idea è che, previa la ricostruzione del centrosinistra attraverso l'assorbimento di M5s, la nuova alleanza potrebbe aspirare alla conquista della maggioranza relativa. Dunque, ne conseguono, avanti tutta con un nuovo e più dirompente maggioritario!
Come si può ben capire, siamo qui al confronto non tra due modelli di rappresentanza e di democrazia parlamentare, bensì alla semplice scelta di quel che sembra più conveniente al momento. Una cosa decisamente indegna.
Se l'idea (meglio, l'interesse) del maggioritario dovesse prevalere nell'area Pd e dintorni, ecco le due ipotesi avanzate dallo spudorato Prodi: o il collegio uninominale con maggioritario secco all'inglese (un modello, in verità, piuttosto in crisi in patria); o il ballottaggio alla francese, con l'evidente necessità di ritornare grosso modo alle idee "costituzionali" di Renzi.
Ecco, chi tanto si preoccupava delle ipotetiche minacce alla democrazia di Salvini, farebbe forse meglio ad occuparsi oggi di quelle ben più concrete che vengono come sempre dal campo del centrosinistra.
Infine, pesce lesso Gentiloni
A suggellare il ritorno all'ovile eurocratico è arrivata ieri la nomina a commissario europeo di Paolo (pesce lesso) Gentiloni. Notare, non in un posto qualsiasi, bensì come commissario agli Affari Economici, l'importante ruolo finora occupato da Pierre Moscovici. Un posto che non sarebbe mai andato ad un commissario italiano indicato dal governo precedente.
Essendo uno dei loro, per i padroni dell'Europa nominare Gentiloni è stata invece la cosa più facile del mondo. Tanto da lì problemi non gliene verranno. Resta solo da riflettere sul brutto momento del nostro Paese: tradito dalla sua classe dirigente, premiato solo quando è servo. Anche di queste umiliazioni è fatta la restaurazione in corso.
E pensare che c'è ancora chi ci chiede come mai insistiamo così tanto sulla sovranità nazionale.
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