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venerdì 22 dicembre 2017

CATALOGNA: CHI FESTEGGIA?

[ 22 dicembre 2017 ]

Tutto come previsto, o quasi, in Catalogna.

I risultati delle urne non hanno riservato sostanziali sorprese rispetto ai sondaggi. 

Vediamoli in dettaglio, confrontandoli con quelli delle precedenti elezioni del 2015.




Ciudadanos — 25,4%  37 seggi  
Elezioni 2015 17,9%  + 12 seggi
JuntsxCat  21,65%  34 seggi 
ERC 21,4%  32 seggi 
[nelle Elezioni 2015 JuntsxCat e ERC erano nel blocco JxSì ottenendo 62 seggi]  + 4 seggi
Psc 13,9% 17 seggi 
Elezioni 2015 12,7%  + 1 seggio
CatComù-Podem 7,5% 8 seggi 
Elezioni 2015 8,9%  - 3 seggi
CUP 4,45% 3 seggi 
Elezioni 2015 8,2%  - 6 seggi
Partido Popular 4,2% 3 seggi 
Elezioni 2015 8,5%  - 8 seggi

Il blocco dei partiti indipendentisti ha ottenuto quindi una risicata maggioranza assoluta: 70 deputati sui 135 totali (ne avevano 72). Davanti ai 4 seggi guadagnati dai due partiti catalanisti maggiori —Junt per Catalunya di Carles Puidgemont e la Esquerra Repubblicana de Catalunya di Oriol Junqueras— ci sono i 6 seggi persi dalla sinistra radicale della CUP (Candidatura d'Unitat Popular). Saldo = -2.

Ergo: la radicalizzazione della linea indipendentista ha "premiato" le due forze di ispirazione liberista ed europeista ed ha severamente punito l'estrema sinistra. Se si considera che la CUP ottenne, nelle elezioni del 2015 l'8,5% dei voti, abbiamo che ha subito il dimezzamento del suo elettorato. Una sconfitta che sospettiamo apra le porte ad una profonda crisi di questo movimento.



Nel blocco dei partiti spagnolisti, a fronte del vero e proprio crollo dei popolari di Rajoy, spicca l'avanzata annunciata di Ciudadanos della Ines Arrimadas, partito che del liberismo europeista è in assoluto la punta di lancia. 

Può non piacere, ma assumendo la tradizionale tassonomia destra-sinistra abbiamo che le urne catalane ci consegnano un'avanzata delle destre liberiste, egemoni in entrambi i fronti. Controprova fattuale CatComù-Podem, ovvero la né-carne-né pesce branca catalana di Podemos, non avanza e subisce anzi una sconfitta, perdendo 3 seggi, malgrado sia al governo a Barcellona con la sindaca Ada Colau.

Chi dunque festeggia davvero visti questi risultati? Festeggiano, al netto della crisi istituzionale e politica che potrebbe rovesciarsi sul governo Rajoy, l'oligarchia eurista e la casta dei tecnocrati di Bruxelles e Francoforte.

martedì 7 novembre 2017

CATALOGNA: VICOLO CIECO di Programma 101

[ 7 novembre 2017 ]

«Esprimendo la più ferma condanna dei gravissimi provvedimenti repressivi da parte delle autorità monarchiche spagnole —scioglimento d’imperio degli organismi amministrativi catalani e loro commissariamento con l’imposizione di Gaulaiter inviati da Madrid, arresto di diversi membri del governo catalano— ribadiamo...»

«Il 3 Ottobre scorso la nostra Organizzazione adottava, in merito al conflitto tra il fronte nazionalista catalano e quello spagnolista una risoluzione in otto punti che recitava:
«(1) si riconosce in linea di principio il diritto di ogni nazione storica alla autodeterminazione;
(2) questo riconoscimento non implica tuttavia il sostegno a priori alla secessione, che dipende invece da concreti fattori politici (che natura avrà il nuovo eventuale stato? quale sarà il suo posizionamento geopolitico, ecc.)
(3) la causa principale dell'attuale conflitto sta nel fatto che la Spagna è uno Stato plurinazionale (la Catalogna è una nazione storica) mentre la sua Costituzione, seguendo le orme del centralismo franchista, non riconosce questo carattere plurinazionale e federale;
(4) le scaturigini del conflitto risiedono infatti nel rifiuto da parte del regime di Madrid di accettare lo Statuto Catalano del 2006 che definiva "nazione" quella catalana con pari dignità rispetto alle altre;
(5) la soluzione auspicabile è quindi non la secessione della Catalogna, bensì la trasformazione della Spagna in uno Stato federale, democratico, repubblicano e sovrano;
(6) mentre condanniamo la prepotenza autoritaria di Madrid respingiamo il disegno delle élite catalane di secedere dalla Spagna per diventare il 29° Stato nella Unione europea, sarebbe come passare dalla padella alla brace;
(7) data la natura oligarchica e neoliberista nell'Unione europea, che priva gli Stati della loro sovranità politica ed economica, non c'è infatti nel suo seno alcuna possibilità per i popoli di esercitare la propria autodeterminazione;
(8) i popoli di Spagna, maciullati dalle politiche austeritarie della Ue, hanno due nemici comuni: l'Unione europea e le classi dominanti spagnole (catalana compresa) che fanno a gara nell'obbedire ai dettami eurocratici. E' nell'interesse dei popoli spagnoli uscire dall'Unione europea e coabitare con pari diritti in un forte e sovrano Stato federale di Spagna».
Esprimendo la più ferma condanna dei gravissimi provvedimenti repressivi da parte delle autorità monarchiche spagnole —scioglimento d’imperio degli organismi amministrativi
catalani e loro commissariamento con l’imposizione di Gaulaiter inviati da Madrid, arresto di diversi membri del governo catalano— ribadiamo:

(1) il referendum del 1 ottobre, al quale ha partecipato solo una minoranza dei cittadini catalani, non ha fornito alla secessione la indispensabile legittimità politica;

(2) l’unilaterale dichiarazione d’indipendenza adottata dalle autorità catalane sulla scia di quel referendum si è rivelata dunque un gravissimo errore ed un salto nel buio;

(3) la strategia del fronte indipendentista, capeggiato dal liberista Puigdemont, che ha tutto puntato sull’avallo dei poteri oligarchici europei — il cui disegno strategico è sì quello di privare gli stati della loro sovranità storica, ma immaginando un processo pilotato dall’alto, senza certo farsi dettare l’agenda da piccoli nazionalismi—, e sulla fedeltà della grande borghesia catalana piuttosto che sul sostegno dei popoli di Spagna, ha isolato e indebolito lo stesso movimento per l’indipendenza, gettandolo in un vicolo cieco;

(4) assieme alla gran parte delle sinistre popolari di Spagna, catalane comprese, noi ribadiamo che la soluzione adeguata per il popolo catalano non è la secessione bensì quella di unire i suoi sforzi con quelli degli altri popoli di Spagna affinché questa, essendo uno Stato plurinazionale, diventi una Repubblica federale che riconoscendo il diritto all’autodeterminazione assicuri ad ogni nazionalità pari dignità, gli stessi diritti e gli stessi doveri».

Programma 101
6 novembre 2017

sabato 28 ottobre 2017

CATALOGNA: PARLA LA SINISTRA INDIPENDENTISTA

[ 28 ottobre 2017 ]

Madrid, attivando l'Art, 155 della Costituzione spagnola, ha di fatto commissariato la Catalogna. E' la risposta di Rajoy alla dichiarazione d'indipendenza adottata ieri pomeriggio dalla generalitat, il parlamento catalano.
A favore della dichiarazione d'indipendenza hanno votato i deputati di Junts pel Si e quelli della C.U.P. (Candidatura d’Unitat Popular). 
Al voto di ieri hanno partecipato, votando NO, gli 11 deputati di Sì Que Es Pot —la coalizione catalana vicina a PODEMOS— guidati da Joan Coscubiela. Gli spagnolisti del Partito popolare, i socialisti e Ciudadanos hanno abbandonato l'aula.
Cosa accadrà adesso?
Per farcene un'idea è importante conoscere la strategia della C.U.P. (Candidatura d’Unitat Popular), il movimento più forte della sinistra radicale catalana, stretto alleato di Puigdemont. Qui sotto l'intervista di Andrea Nicastro a Carles Riera i Albert, uno dei leader della C.U.P.

*  *  *


«Anticapitalista, femminista, antisistema, comunista e soprattutto, in queste ore di tensione ad alto voltaggio, indipendentista senza tentennamenti. Il gruppo di Candidatura d’Unitat Popular (Cup) nel Parlament di Barcellona, è compatto nello spingere la Catalogna allo strappo e Carles Riera i Albert, leader tra i più in vista, fa di tutto per far arrivare al president Puigdemont il loro messaggio: «Non si può tradire il referendum, 5 anni di impegni, leggi, mobilitazioni. Siamo assolutamente contrari alla scappatoia di elezioni anticipate, sarebbe un imbroglio alla democrazia. I catalani hanno parlato nel voto dell’1° ottobre e la sovranità popolare va rispettata».

D. Dichiarare l’indipendenza significa giustificare il commissariamento del governo centrale e, probabilmente, far arrestare i membri del governo Puigdemont. Ne vale la pena?

R. «Sì, perché le elezioni non permetterebbero di smuovere lo stallo che ci ha obbligato a scegliere anni fa la via dell’indipendentismo unilaterale. Torneremmo alla stasi di sempre: Barcellona che chiede con il cappello in mano e Madrid che rifiuta. Elezioni anticipate sotto ricatto implicano il ritorno alla cornice legale spagnola nella quale, l’abbiamo visto in 40 anni, non c’è soluzione alla domanda di indipendenza e di Repubblica».

D. Quindi meglio farsi arrestare e perdere anche l’autonomia regionale?
R. «È stupefacente che alcuni politici della maggioranza di Puigdemont non avessero
Carles Riera I Albert, uno dei leader della C.U.P.
previsto né la reazione autoritaria dello Stato spagnolo né la complicità dell’Ue. Noi sappiamo che l’Ue è un club poco democratico di Stati e che la Spagna mantiene istinti dittatoriali. Siamo pronti alle conseguenze delle nostre scelte».

D. Quindi?

R. «Attiveremo un governo di sovranità alternativa gestita dal popolo. L’amministrazione sarà in mano ai municipi e alla società civile».

D. È la rivoluzione.

R. «Sarà un movimento di resistenza non violenta. All’occupazione poliziesca dello Stato spagnolo la Catalogna risponderà con il contropotere popolare dei municipi a cui sarà affidata la gestione della Repubblica».

D. In pratica?

R. «Bisognerà rendere effettiva la legalità repubblicana, difendere i diritti delle persone, fare da ombrello alla violenza dello Stato contro il genocidio culturale della Catalogna e di ri-spagnolizzazione che è in marcia».


D. Come? Con un governo in esilio a Perpignan, in Francia?
R. «La polizia non è stupida, ma la Cup neanche. Non possiamo svelare in anticipo il nostro piano di emergenza. Voglio però dare un avvertimento. Ci risultano dei piani da parte del governo centrale per creare disordini e poi incolparne i movimenti indipendentisti e in particolare noi della Cup. Chiunque ci accusi di qualcosa si convertirà nel primo sospettato».

D. Resistere nei municipi al commissariamento di Madrid rischia di generare scontri.
R. «Non da parte nostra. Da anni portiamo in piazza milioni di persone senza mai un incidente. La nostra è una strategia non violenta. Anche davanti a provocazioni illiberali dello Stato».


Fonte: CORRIERE DELLA SERA del 26 ottobre 2017

giovedì 26 ottobre 2017

7 CONSIDERAZIONI SULLA CRISI CATALANA di Pablo Iglesias

[ 26 ottobre 2017 ]

In esclusiva presentiamo ai lettori un documento in sette tesi di Pablo Iglesias, segretario generale di Podemos. Un documento molto importante perché segnala il carattere plurinazionale dello stato spagnolo e denuncia il vero disegno del regime monarchico: sconfiggere il nazionalismo catalano per edificare uno Stato centralista e autoritario sul modello del franchismo. Presenta infine la posizione di Podemos sulla vicenda catalana: indire un referendum concordato in cui i cittadini catalani possano decidere il loro futuro, non quindi avendo sulla scheda solo le due opzioni (unionista e indipendentista), ma pure quella di rifondare la Spagna come Stato democratico, plurinazionale federale. Posizione che noi condividiamo pienamente.

Lettera aperta agli iscritti/e di Podemos

Da 135 al 155 o la controrivoluzione dall’alto del blocco monarchico

La Spagna vive una crisi di regime contraddistinta da almeno tre aspetti: sociale ( la continua pauperizzazione delle classi popolari, così come il peggioramento del livello di vita e delle aspettative dei settori della classe media); istituzionale (la corruzione e il patrimonialismo del Partido Popular non è l’eccezione ma bensì la regola); e l’aspetto territoriale; quest’ultimo lo tratterò in queste considerazioni.

La crisi di regime che vive il nostro paese la riconoscono anche le élite al comando (politiche, economiche, televisive) che hanno guidato il regime del 78 e che mantengono una parte del loro potere. La figura politica più importante della nostra storia
12 ottobre: Felipe Gonzales alla recepción real 
contemporanea, Felipe González, lo riconosceva senza mezzi termini nella recepción real [ricevimento nel palazzo reale in occasione della festa nazionale, NdR] del 12 Ottobre: «Sono un orgoglioso rappresentante del regime del 78». Quella recepción è stata l’immagine del complotto monarchico per superare, attraverso una restaurazione conservatrice e centralista, la crisi spagnola.


Ma dalla festa reale ( che non hanno sospeso nemmeno dopo la morte di un lavoratore delle forze armate che partecipò alla sfilata) non è uscita l’immagine di una squadra coesa, coerente e capace di ridisegnare una politica che risolva le soluzioni del paese.
Anche se nella foto del 12 ottobre c'era tutto il potere (politico, militare, economico, ecc.) non c'erano statisti di talento.
Dopo il discorso di Felipe VI il 4 ottobre, il blocco unito dei partiti, mezzi di comunicazione e delle grandi imprese, ha enormi difficoltà a portare a termine i suoi obiettivi. Lo stesso fatto che li vedano e li percepiscano come casta li indebolisce. Un progetto di regime degno di questo nome ha bisogno di un governo, ma anche di un’opposizione credibile come tale. Ma l’opposizione non c'era al Palazzo Reale.

L’accordo tra il PSOE e il PP che implicò la riforma dell’articolo 135 della costituzione spagnola, e che ha significato la subordinazione dell’interesse sociale agli interessi dei creditori bancari, rappresentò la rottura del patto sociale nel nostro paese. Oggi, il nuovo accordo tra il PP, il PSOE e la nuova estrema destra rappresentata da Ciudadanos implica di fatto la rottura del pacto territorial. Lo spirito del 155 come politica di violazione dei diritti e delle libertà democratiche non ha motivo di valere solamente in Catalunya. Di fatto i dirigenti del PP già hanno minacciato d’applicare qualcosa di simile nel Paese Basco e in Castilla-La Mancha (in questa regione il PSOE governa con noi).

Il blocco vicino alla monarchia sostiene un imprevedibile progetto di restaurazione basato sui seguenti punti :

a) Mantenere il PP alla guida del governo tutto il tempo necessario.

b) Sospendere l’autonomia in Catalunya, prendendo il controllo i tutte le istituzioni catalane, mezzi di comunicazione pubblici come radio ed emittenti televisive incluse, convocare subito dopo elezioni (probabilmente per perderle nuovamente).

c) Mantenere Unidos Podemos e i suoi alleati lontani dal governo dello Stato, anche a costo di sacrificare il ritorno del PSOE al governo della Spagna.

Il blocco monarchico ha a sua disposizione tutti i mezzi coercitivi per sviluppare il suo progetto, ma gli manca —a differenza di quello che accadde 40 anni fa— la capacità politica d’integrazione, imprescindibile affinché la Spagna sia sostenibile come realtà politica e territoriale a medio e lungo periodo.

1) PERCHE SIAMO CONTRO L'APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 155

La sospensione dell’autonomia della Catalunya non solo farà saltare in aria uno dei patti essenziali della Transizione (la restaurazione di un’istituzione repubblicana come la Generalitat, riconosciuta dalla Costituzione del 1978, fu la base di un ampio appoggio
sociale al testo costituzionale in Catalunya), ma segna un attacco agli stessi fondamenti della democrazia spagnola.

Il dialogo senza condizioni che reclama la maggioranza della società catalana e spagnola (come segnalano vari sondaggi) è incompatibile con una situazione d’amministrazione coloniale della Catalunya.

Che Rajoy e i suoi ministri diventino di fatto in president Y Govern de la Generalitat (quando il PP non ha ottenuto che l’ 8,5% dei voti nelle ultime elezioni in Catalunya) costituisce semplicemente un’assurdità e un'enorme goffaggine politica.

Il nuovo Govern, con Rajoy, Zoido y Montoro alla guida, sarà controllato solamente dal Senato, dominato dal PP con maggioranza assoluta, grazie a una legge elettorale antidemocratica e assurda.

Il vicerè Rajoy vorrà amministrare la Catalunya e incontrerà una resistenza che solo potrà affrontare con la repressione e con più detenzioni.

Prima o poi dovrà convocare le elezioni e tutto sembra prevedere che i partiti che appoggiano il viceregno non miglioreranno i loro ultimi risultati elettorali.

2) PERCHE SIAMO CONTRARI ALLA DICHIARAZIONE D’INDIPENDENZA

Il problema di una dichiarazione d’indipendenza non è la sua illegalità (o l’unilateralità) né la sua illegittimità.
Le forze politiche sostenitrici dell’indipendenza ottennero il 47,8% dei voti (ovvero, qualcosa in più del terzo dell'elettorato) alle elezioni di settembre del 2015. Questo risultato, di gran lunga superiore a quello del blocco monarchico (C’s-PSC-PP) e a quello nostro, gli da tutto il diritto di governare la Catalunya, ma non dichiarare l’indipendenza.

La mobilitazione politica dello scorso 1 ottobre da parte dei sostenitori del dret a decidir è stata imponente, viste le condizioni nella quale si sviluppò. È stato rilevante che più di due milioni di cittadini catalani esprimessero la loro volontà politica. Ma, anche accettando i dati offerti dalla Generalitat, è evidente che quella mobilitazione non forniva le condizioni e le garanzie come quelle di un referendum che permettesse determinare la relazione giuridica della Catalunya con il resto dello Stato spagnolo.

Il 1 ottobre non si produsse solo l'esibizione delle capacità di mobilitazione del sovranismo, ma anche l’espressione di una volontà maggioritaria della società catalana di decidere il futuro nelle urne ed è stato anche un esempio di mobilitazione pacifica di fronte alla repressione ordinata dal governo. Nessun responsabile politico può ignorare questo.

Ma, allo stesso modo, non si può nemmeno accettare che questa grande mobilitazione sociale giustifichi l’indipendenza.

3) PERCHE DIFENDIAMO UN REFERENDUM CONCORDATO

Un referendum legale e concordato, oltre ad essere una soluzione democratica, è la sola soluzione che possa assicurare che la Catalunya continui a far parte della Spagna.

L’incapacità della direzione dello Stato da parte del blocco felipista si rivela nella sua ossessione nel non discutere riguardo la possibilità di svolgere un referendum legale e con
garanzie democratiche. La chiave del successo della Transizione rispetto alla Catalunya fu l'accordo sull’autonomia che, di fatto, condizionò il modello territoriale della Spagna. Oggi, l’applicazione dell’articolo 155 in Catalunya (che potrebbe benissimo trasformarsi in articolo 116 se il Governo incontrasse delle resistenze ) può condizionare anche un’offensiva reazionaria in tutta la Spagna.

Quando il PP ha costretto il Tribunal Constitucional (TC)a far saltare per aria l’Estatut (approvato nel Parlament, nel Congreso de los Diputados e dal popolo catalano in un referendum), ha, di conseguenza, fatto implodere buona parte delle basi del patto territoriale che aveva reso possibile la Spagna come uno Stato che integrava una territorialità plurinazionale complessa. 

Le decisioni politiche hanno conseguenze. Si può affermare che se il PP avesse rispettato la volontà popolare della Catalunya, comefece con lAndalusia (alcuni degli articoli del Estatut che il TC dichiarò incostituzionali sono tali e quali a quelli vigenti in altri Statuti d’autonomia), oggi non sarebbe necessario svolgere un referendum in Catalunya. E, come conseguenza della decisione del PP e dei suoi magistrati affini al TC, oggi dobbiamo batterci in maniera imprescindibile per il referendum.

Numerosi costituzionalisti sostengono che svolgere un referendum è compatibile con la Costituzione e la legge; però, anche non fosse così, riteniamo che in democrazia le leggi debbano adattarsi alle necessità democratiche. L’Andalusia si è guadagnata il diritto di essere riconosciuta come nazionalità grazie a una mobilitazione sociale di massa e al risultato di un referendum che, tuttavia, non era in linea con la legge vigente. Fu allora che i partiti cambiarono la legge per adattarla alla decisione della gente.

In ogni caso, il referendum non dovrebbe essere circoscritto a due quesiti; l'opzione maggioritaria in Catalunya (secondo i sondaggi) opta per un nuovo ordine costituzionale che riconosca la Comunidad come nazione e venga attribuita ad essa una maggiore autonomia amministrativa.

Pensiamo che i cittadini/e catalani/e hanno il diritto di scegliere anche questa opzione, accanto alle altre due: indipendentista ed unionista.

4) IL PROGETTO DEI MONARCHICI : MEGLIO UNA SPAGNA SPACCATA CHE UNIDOS PODEMOS AL GOVERNO

Dalla nascita di Podemos e la sua crescita assieme alle forze politiche sorelle con le quali siamo confluiti e condividiamo il progetto, le élite hanno mobilitato tutti i mezzi necessari per evitare che potessimo arrivare al governo.
Tentarono di forzare l’accordo tra PP, PSOE y C’s facendo pressione anche su Mariano Rajoy affinché rinunciasse alla guida del paese e creasse una Grosse Koalition fra i tre partiti. Rajoy ha resistito e ci fu un ulteriore tentativo di favorire un governo con un programma neoliberale pattuito fra PSOE y C’s, a condizione che Podemos non partecipasse a codesto governo.

Le elite si sono opposte con tutte le loro forze di fronte a un possibile accordo fra noi, il PSOE con le alttre forze politiche catalane e basche.

Lo stesso Pedro Sánchez ore dopo essere stato obbligato alle dimissioni da Segretario General del PSOE nel 2016, riconobbe in un’intervista con Jordi Évole che fu pressato, tra gli altri da César Alierta [uno dei più potenti capitalisti spagnoli, NdR], così come dai dirigenti del giornale El País e dalla vecchia guardia del suo partito, a non formare un governo con noi.

Le élite sanno perfettamente che solo un governo di coalizione con Unidos Podemos avrebbe potuto concordare una soluzione democratica al problema catalano, ma la nostra presenza al governo avrebbe implicato anche cambiamenti nello Stato che avrebbero minacciato i loro privilegi e il tessuto della corruzione sarebbe stato esposto a un’azione giudiziaria senza interferenze da parte del potere politico.

Prima di mettere in pericolo i privilegi e le impunità, le élite hanno deciso di mettere a rischio l’integrità territoriale della Spagna.

5) LA DIREZIONDE DEL PSOE HA RINUNCIATO A GUIDARE IL GOVERNO

Dopo il fallimentare tentativo di provocare limplosione interna di Podemos, i poteri oligarchici fallirono anche nel loro tentativo di riportare il PSOE alla sua normalità storica.

La vittoria della base del PSOE contro l’apparato del partito e contro i principali poteri mediatici del paese si è basata su tre punti: plurinazionalità, maggior avvicinamento a
Podemos e un’opposizione reale al PP che non escludeva una mozione di sfiducia a Rajoy.

Disfacendosi dei tre punti che assicurarono la sua vittoria del partito, il nuovo Segretario Generale del PSOE, Pedro Sánchez, non solo ha collocato il Partito socialista catalano su una posizione impossibile indebolendo i settori del partito che lo fecero vincere, ma ha ringalluzzito i suoi avversari interni, che non lo hanno mai accettato come uno di loro. Mille volte ci hanno raccontato dell'assassinio di Viriato e mille volte la storia si ripete [ riferimento]

La vittoria de Pedro Sánchez provocò un’ondata di illusione in Spagna, sia tra gli elettori socialisti che tra i nostri elettori, che vedevano questa vittoria della base un orizzonte di governo di coalizione e la possibilità di realizzare riforme avanzate socialmente e risolvere democraticamente il conflitto catalano. Appoggiando il PP e sostenendo il blocco felipista, il PSOE ha rinunciato alla guida di un governo del cambiamento.

6) LA SPAGNA SARÀ PLURINAZIONALE O NON SARÀ

Il problema storico dei monarchici è non aver mai capito la Spagna, che hanno solo saputo dominare e sottomettere.

Mai sono stati in grado, eccetto quando furono obbligati dalla pressione democratica delle masse, di trasformare la nostra ricchezza plurinazionale in un progetto patriottico. 

Le esperienze delle monarchie durante i secoli XIX e XX si sono caratterizzate per una visione limitata, uninazionale ed autoritaria della realtà spagnola. Per i sostenitori della
monarchia associare il termine «nazione»  che non sia la Spagna era inaccettabile poiché sempre hanno identificato lo Stato Spagnolo con la monarchia mentre la Spagna è qualcosa che va oltre la monarchia ed è destinata a sopravvivere oltre l’attuale sistema monarchico. 

Uno dei primi elementi di rottura con il franchismo durante la Transizione è stata la restaurazione della Generalitat, con il ritorno del president Tarradellas prima ancora che il paese si dotasse dell’attuale Costituzione. Si riconosceva così la riorganizzazione della Catalunya secondo un suo ordinamento politico, che in questi giorni si sta cercando di abolire. Questo processo di decentramento avvenne anche in Euskadi, dove non fu riconosciuta la costituzione fino a che non furono riconosciuti i suoi fueros. Le nazionalità storiche si riconoscono, precisamente, nel fatto di possedere istituzioni proprie che non derivano dai dettami della costituzione del 1978. 

A partire del 1982, il modello delle autonomie funzionò grazie alla stabilità offerta dai grandi partiti nazionalisti catalano (CiU) e basco (PNV). Tuttavia, negli ultimi dieci anni con l’avvento della crisi economica che ha indebolito il progetto dell’Unione Europea, la stabilità del regime del 78 si è frantumata per due cause: il 15M ed il processo di sovranità in Catalunya in seguito alla sentenza del TC sullo Estatut

La Spagna e la Catalunya affrontano oggi la realtà della loro storia, delle relazioni e dell’assenza di una soluzione democratica negoziata. 

Per noi la soluzione è indire un referendum legale e concordato che presenti l’opzione di una relazione libera tra i popoli, per condividere in forma adeguata i benefici e gli oneri d’appartenere ad un’unico Stato.

7) ABBIAMO UN PROGETTO SOCIALE E SOVRANO PER  LA CATALUNYA E LA SPAGNA

Non si può capire la Spagna partendo dalla sua omogeneità ma  dalla sua eterogeneità e fraternità.

Mi inorgoglisce come democratico che la Catalunya sia sempre statala una chiave cruciale del cambiamento politico in Spagna e m’indigna come spagnolo che la strategia nazionalista verso il problema catalano da parte delle élite centrali pretende di impedire che la e Catalunya dia una mano alla formazione di una nuova Spagna.


Non accettiamol ricatto che condanna i progressisti catalani come appestati, in modo da impedire la formazione di un’alleanza con le forze progressiste spagnole. Ove la nostra opzione trionfasse al referendum, spingeremo i progressisti catalani affinché costruiscano assieme a noi una nuova Spagna e una nuova Catalunya.

Adesso la crisi in Catalunya richiede ripensare soluzioni federali e confederali, per affrontare la plurinazionalità della Spagna come legame affettivo basato nel riconoscimento delle plurali tradizionali di ogni popolo.

L’applicazione dell’articolo 155 non è un’iniziativa isolata ma forma parte di una strategia autoritaria di nuova centralizzazione, che minaccia l’attuazione degli statuti d’autonomia impedendo che i popoli si dotino di strumenti adeguati per garantire la propria esistenza storica , sia nel campo economico, culturale e linguistico, sia in quello del riconoscimento internazionale.

È necessario difendere la Spagna assumendo il diritto del popolo catalano di decidere sul suo futuro in un referendum e, a partire da qui, discutere sul modello di stato plurinazionale che non solo riconosca la Catalunya come nazione ma che accetti finalmente la realtà plurinazionale della nostra patria e costruisca un paese basato sulla giustizia sociale e sulla sovranità popolare.

La Spagna possiede nelle sue viscere una riserva democratica enorme; uno spirito repubblicano che deve smettere di essere una nostalgia legato ai simboli del XX secolo ma ha il dovere d’accompagnare quella spinta costituente inaugurata con il 15M.

Lo spirito costituente del 15M deve promuovere la nuova Spagna a cui aspiriamo: sociale, repubblicana e plurale.

Un abbraccio fraterno e affettuoso

Pablo Iglesias
Segretario Generale di Podemos


* Traduzione di Francesco Lamantia e SOLLEVAZIONE

lunedì 23 ottobre 2017

SPAGNA-CATALOGNA: HA RAGIONE PABLO IGLESIAS di Piemme

[ 23 ottobre 2017 ]

Lo scorso 17 ottobre segnalavamo uno spot pro-Catalogna —diventato virale, un milione e200mila click. E dicevamo che puzzava di fabbricazione sorosiana lontana un miglio. COME VOLEVASI DIMOSTRARE! Leggiamo sul CORRIERE DELLA SERA di giovedì 19 ottobre che effettivamente era un remake di uno spot pro-rivoluzione arancione ambientato a Kiev ai tempi di Maidan...

ARTICOLO 155

Rajoy, che ricordiamolo governa senza una effettiva maggioranza, ha quindi deciso di ricorrere all'Art. 155 della Costituzione.
«Madrid non ha sospeso ufficialmente l'autonomia della Catalogna, ma l'ha limitata a tal punto che difficilmente si può parlare ancora - allo stato delle cose - di comunità autonoma: si tratta infatti di un commissariamento che sospende i vertici della Generalitat, con la proposta al Senato di destituire il presidente Carles Puigdemont, il vicepresidente Oriol Junqueras e tutti i membri del Govern. Le competenze del presidente e dei membri del governo di Barcellona, quindi, saranno assunte da autorità designate da Madrid sotto il controllo dei ministri del governo spagnolo. Le misure prevedono inoltre il divieto per il Parlament catalano di eleggere un sostituto di Puigdemont, ha spiegato il premier Rajoy precisando che assumerà le competenze del presidente catalano per convocare nuove elezioni al massimo entro sei mesi. La facoltà di sciogliere il Parlamento catalano passa poi a Madrid, mentre il Parlament manterrà la sua funzione rappresentativa. Tuttavia, il Parlamento locale non potrà proporre il candidato al Governo di Barcellona e non potrà interferire con la Costituzione o lo Statuto.
Queste misure sono state già trasmesse al Senato, che salvo sorprese darà il via libera finale venerdì 27 ottobre».
Non è il pugno di ferro ma quasi. A nulla è servito il mezzo passo indietro di Puidgemont. Rajoy, se così si può dire, ha smascherato il suo bluff. L'ha potuto fare grazie all'appoggio dei socialisti (che sostengono con la non-sfiducia il suo governo) e quello dell'euro-oligarchia. Puidgemont farà marcia indietro? Di sicuro è in un cul de sac. Non gode di una maggioranza degna di questo nome in Catalogna, né nelle classi popolari né in seno alla potente borghesia locale. Non bastano, per opporre una vincente resistenza, né gli appoggi interni di certa sinistra catalana (Candidatura d'Unitat Popular e Esquerra Republicana de Catalunya, il movimento sindacale), né quelli esterni (alcune fondazioni globaliste, in primis quelle sorosiane). [1]

LA POSIZIONE DI PODEMOS


Podemos, attraverso Pablo Iglesias, ha adottato una posizione giusta. In estrema sintesi: no al ricorso all'Art. 155, e no alla secessione della Catalogna.
«Il leader del Podemos, Pablo Iglesias, è tornato a prendere le distanze dai partiti cosituzionalisti [spagnolisti, Ndr] respingendo il piano per l' applicazione dell'articolo 155 in Catalogna come un "errore", "il contrario di una soluzione" e come "benzina sul fuoco". Di conseguenza, ha condannato l'atteggiamento del governo come "irresponsabile" perché, a suo avviso, tutto ciò che fa è "minacciare" e "reprimere" la Catalogna. Egli ha anche criticato la minaccia di Carles Puigdemont di promuovere una dichiarazione unilaterale di indipendenza. "Pensiamo che ci sono due opzioni .. O aggiungere benzina sul fuoco per mezzo di dichiarazione unilaterale di indipendenza quindi il 155, o cercare soluzioni. La soluzione passa per il dialogo, non generico, ma concreto. In questo quadro Iglesias ha rivendicato "dialogo e saggezza" alle parti e una soluzione che passi attraverso il voto dei catalani in un referendum sull'indipendenza "concordato, legale e con garanzie". "Vogliamo sconfiggere il progetto indipendentista, non con la forza, ma con i voti. La difesa della Spagna è quella di convincere e non di vincere"». Da: El Mundo
Questa posizione, segnaliamo, è condivisa anche da Izquierda Unida e dal Partito comunista, che con Podemos fanno parte della coalizione Unidos Podemos. Di più, è condivisa anche dalla sinistra catalana raccolta nel blocco En Comù con la sindaca di Barcellona Ada Colau in testa.

CATALANISTI MA ANTI-ITALIANI

Ebbene, questa posizione adottata dalla maggioranza delle sinistre, sia catalane che spagnole —che invoca una nuova Costituzione per una Spagna federale e democratica, dunque di contrasto ad
entrambi i nazionalismi— è andata di traverso a certa estrema sinistra italiana, la stessa che non vuole sentir parlare in Italia, di sovranità nazionale da riguadagnare di contro alla gabbia della Unione europea, la stessa che invoca un giorno sì e l'altro pure l'abolizione delle frontiere per agevolare l'anarco-immigrazione.

Leggiamo su Contropiano, organo della Rete dei Comunisti e sito pilota di EUROSTOP:
«All’opposto, proprio nel momento in cui Mariano Rajoy e le istituzioni spagnole chiudono ogni spazio alla trattativa col fronte catalano, la direzione di Podemos trasforma la sua posizione presuntamente equidistante in un attacco frontale alla Generalitat e al fronte indipendentista. La frase pronunciata ieri da Pablo Iglesias durante il suo intervento al Congreso de los Diputados è piombata come un macigno sulla base di Podemos in Catalogna sempre più disorientata e spaccata tra indipendentisti e unionisti.
Anche Alberto Garzòn, coordinatore di una Izquierda Unida ridotta al lumicino e sempre più subalterna a Podemos, si è schierato contro gli indipendentisti con toni duri, dicendosi scioccato dalla minaccia di Puigdemont di ricorrere alla ‘dichiarazione unilaterale di indipendenza’ (DUI) se il governo spagnolo imporrà il 155. Secondo Garzòn “il modo migliore per proteggere l’unità della Spagna è sedurre la Catalogna con un progetto di paese nuovo che passa da un processo costituente”. “La DUI è un grave errore, e neanche il 155 aiuta” ha concluso Garzòn in un ordine che chiarisce quali sono le priorità del movimento».
E' una vergogna che s'insinui addirittura che Podemos stia spalleggiando Rajoy. Si ridicolizza infine il portavoce di Izquierda Unida che propone un'assemblea costituente per fondare una nuova Spagna federale e democratica. 

Solo una irragionevole venerazione per il nazionalismo catalano —non siamo negli anni '30 e uscire dalla Spagna per restare imprigionati in Europa non è vera indipendenza, è una presa per il culo— può giustificare un simile attacco polemico.

NOTE 

[1] Lo scorso 17 ottobre segnalavamo uno spot pro-Catalogna —diventato virale, un milione e200mila click. E dicevamo che puzzava di fabbricazione sorosiana lontana un miglio. COME VOLEVASI DIMOSTRARE! Leggiamo sul CORRIERE DELLA SERA di giovedì 19 ottobre che effettivamente era un remake di uno spot pro-rivoluzione arancione ambientato a Kiev ai tempi di Maidan...

lunedì 2 ottobre 2017

2 OTTOBRE IN CATALOGNA di Leonardo Mazzei

[ 2 ottobre 2017 ]

Otto note sintetiche sul referendum di ieri
Ci sarà tempo per riflettere più a fondo sui possibili sviluppi della crisi catalana. Intanto però il referendum è alle nostre spalle e alcune cose già le possiamo dire.

1. L'autoritarismo centralista del governo di Madrid ha finito per rafforzare l'indipendentismo filo-eurista di quello di Barcellona.
Non era un esito difficile da prevedere. Aver mandato la polizia a disturbare il referendum, senza peraltro riuscire ad impedirlo, è stato un segno di grande debolezza, un atto repressivo figlio di una concezione parafranchista. Fondamentalmente un atto stupido, sia in considerazione del fatto che i sondaggi davano gli indipendentisti in minoranza, sia perché la contestazione della legalità del voto avrebbe potuto essere comunque sostenuta politicamente senza bisogno di ricorrere alla magistratura ed alla polizia. Ma la stupidità ha da sempre un certo ruolo nella storia. Vedremo alla fine quale sarà stato il suo peso stavolta. Intanto, però, la gestione della vicenda da parte di Rajoy ha regalato agli indipendentisti catalani un indubbio successo propagandistico.

2. Un successo che non c'è stato nelle urne. Il sì all'indipendenza fermo ai valori del 2015.
Certo, quello di ieri è stato un referendum del tutto anomalo, ma le autorità catalane hanno comunque diffuso dei dati ufficiali che - a loro avviso - legittimerebbero un'imminente "dichiarazione d'indipendenza". Proviamo allora a prendere questi dati per buoni. Essi ci dicono due cose: primo, i votanti sono stati solo il 42,5% degli aventi diritto (2 milioni e 260mila su oltre 5 milioni e 300mila); secondo - visto che i sostenitori del No non hanno partecipato al voto - i Sì hanno raggiunto oltre il 92% dei voti espressi, ma si sono fermati a 2 milioni e 20mila, cioè solo 24mila voti in più di quel che ottennero le forze indipendentiste (Junt per Sì e Cup) alle elezioni del parlamento catalano nel 2015. In quella occasione queste due formazioni ottennero la maggioranza dei seggi ma non quella dei voti, visto che si fermarono esattamente ad una percentuale del 48%. Le urne di ieri parlano dunque chiaro: in Catalogna non c'è stato nessun plebiscito per l'indipendenza, anzi l'indipendentismo è probabilmente ancora in minoranza. Al massimo è attorno ad un 50%, un po' poco per correre verso la separazione dalla Spagna.

3. Indipendenza o solo la sua dichiarazione?
Vedremo nelle prossime ore, o al massimo nei prossimi giorni, se alle parole seguiranno i fatti. Vedremo cioè se una dichiarazione d'indipendenza vedrà davvero la luce. E soprattutto vedremo le sue conseguenze. Cosa succederà a Madrid? Andrà avanti la linea intransigente di Rajoy, o si aprirà una crisi nello stesso governo spagnolo? Difficile a dirsi, ma in un caso come nell'altro è possibile che si avvii in qualche modo una trattativa. Di certo ne ha bisogno il governo catalano, perché l'indipendenza (con referendum o senza) si conquista di norma per due vie, o attraverso un percorso concordato tra le parti (come sarebbe successo in Scozia nel 2014 se il Sì avesse vinto) o con una lotta di liberazione includente lo scontro armato. Gli indipendentisti catalani hanno chiusa attualmente la prima via e sono del tutto impreparati alla seconda.

4. Appello al popolo o all'oligarchia eurista?
Questo è davvero un punto dirimente ai fini del giudizio politico. Come sbloccare la situazione davanti all'irremovibilità di Madrid, con una chiamata alla mobilitazione popolare o con un appello all'oligarchia eurista? Carles Puigdemont, presidente della Generalitat de Catalunya, guarda ovviamente all'Europa. Ma come, dice, abbiamo attuato appieno la politica d'austerità e dei tagli sociali, siamo liberisti e per l'euro, abbiamo fatto un giuramento di servile fedeltà all'UE (1) e voi non ci venite incontro? In tanti, nell'élite eurista, gli risponderebbero volentieri di sì, ma - piccolo problema - al momento non possono proprio farlo, mica possono mettersi contro alla Spagna. Piccole contraddizioni in casa unionista...

5. «Senza sovranità economica l'indipendenza è pura finzione».
Questo ci ha ricordato (vedi nota 1) Diosdado Toledano al recente convegno di Chianciano, nella sessione dedicata alla questione catalana. Che senso ha l'indipendenza dalla Spagna se non si conquista quella dall'Unione Europea? E' questa la domanda posta anche da un recente articolo di Mimmo Porcaro ed Ugo Boghetta che condividiamo. In realtà un senso ce l'ha, quello di ricercare (magari illusoriamente) un posto a tavola tra le regioni più ricche d'Europa, fregandosene di tutto il resto. Insomma, una prospettiva piuttosto meschina quella delle forze borghesi e liberiste che guidano l'indipendentismo catalano.

6. Il pericolo dell'«Europa delle regioni», che riguarda anche l'Italia.
Difficile, di fronte alla vicenda catalana, non vedere il risorgere di una potente tentazione delle classi dominanti. Quella di farla finita una volta per tutte con gli Stati nazionali, per procedere verso un super-Stato europeo fatto di una moltitudine di regioni prive di vera sovranità. Chi non è troppo giovane si ricorderà quanto fosse in voga questa teoria nei primi anni novanta del secolo scorso. E si ricorderà anche chi e perché (la Lega Nord) se ne faceva paladina in Italia. L'idea era fondamentalmente quella di dare attuazione all'egoismo sociale delle regioni più ricche del Paese, andando al contempo in pasto al
dominio tedesco sull'Europa. E' un'idea che si riproporrà nei due referendum del prossimo 22 ottobre in Veneto e Lombardia. Ma c'è qualcosa di più, come confessò il candido Romano Prodi nel 2014. L'intervistatore gli chiede: «Lei crede che sia possibile un’Europa delle Regioni in un momento in cui la crisi economica, almeno in Italia, sembra gonfiare le vene di un nuovo centralismo statale?». Ecco la sua illuminante risposta: «Oggi c’è un’Europa degli Stati. Attenzione però: la contrapposizione vera non è tra Europa degli Stati e Europa delle Regioni, ma tra un’Europa guidata da un’autorità sovranazionale molto forte, cioè un’Europa federale, e un’Europa delle nazioni. Non vedo le Regioni in contrapposizione a un’Europa federale, due regioni non fanno uno Stato nuovo». Traduzione: gli Stati nazionali sono il problema, l'Europa disgregata delle regioni è invece la strada maestra per portare a termine la costruzione del mostro eurista. Chi vuole davvero opporsi a quel mostro antisociale ha di che riflettere.

7. La Catalogna, la crisi della globalizzazione, il risorgere delle nazioni.
C'è però un altro aspetto di cui ci parla la vicenda catalana. Ed è la multiforme rinascita della nazione come risposta ad una globalizzazione distruttiva e comunque in crisi. Non sempre questa rinascita può avere le forme a noi più simpatiche, ma il fenomeno rimane. Ed esso ci segnala appunto quanto sia potente la crisi del disegno delle èlite globaliste. Nella devastazione sociale prodotta dal liberismo pienamente dispiegato; di più, nel cuore di un'Unione Europea pensata e realizzata proprio a tal fine, la rinascita del nazionalismo - sia pure in forme così diverse tra loro - è fondamentalmente una risposta della società ad un dominio delle oligarchie che può essere sconfitto solo con la costruzione di comunità resistenti. Il fatto che nello specifico caso catalano questa spinta sia stata raccolta principalmente da forze liberiste, interessate pure a nascondere gli effetti della loro stessa politica, non cambia la sostanza di un fenomeno profondo quanto potente. Farci i conti, facendolo evolvere verso un'idea ed una prospettiva di patriottismo costituzionale, è esattamente il compito che abbiamo in Italia. Pensare invece di esorcizzarlo - magari a corrente alternata, come fanno alcuni nella sinistra italiana - è il modo sicuro per esserne travolti.

8. Infine l'Unione Europea, con un altro elemento di crisi in più.
Si è detto al punto 4 che tanti nella UE aprirebbero volentieri le porte a Puigdemont e compagnia. E si è detto anche (vedi il punto 6) quanto l'Europa delle regioni piacerebbe a lorsignori. Questo dal punto di vista della dottrina. Ma dottrina e politica non sempre possono coincidere. Ed a Bruxelles hanno proprio una bella gatta da pelare. Paradosso dei paradossi: non hanno contro né Madrid né Barcellona, ma mentre queste paiono destinate ad uno scontro ancor più duro tra di loro, entrambe alimentano un problema pressoché irrisolvibile nell'ottica dell'Unione Europea. Ogni apertura a Barcellona sarebbe la guerra con Madrid, ed a Bruxelles non se lo possono permettere. D'altra parte, trincerarsi solo dietro al formale rispetto della costituzione spagnola, impedirebbe l'assunzione di un qualsivoglia ruolo negoziale. Come ne verranno fuori non si sa. In apparenza sia Madrid che Barcellona sembrano portare acqua alla retorica del «più Europa». Ma, attenzione, anche le indigestioni possono far male, al punto che talvolta se ne può anche morire. Ed a forza di dire tutti «più Europa», è assai probabile che si finisca per mostrane invece l'impotenza, l'incapacità di gestire questa ennesima crisi. Mettendo così in luce, in altre parole, l'insostenibilità stessa di un'Unione che prima crolla meglio è.

NOTE

(1) Diosdado Toledano - Dalla relazione tenuta a Chianciano il 1° settembre scorso:
«L'indipendentismo catalano prosegue il suo cammino verso l'incoerenza alla frustrazione. Nella recente proposta di legge di "Transitorietà giuridica e fondativa della Repubblica" [16], presentata insieme da PDeCAT, ERC e CUP, l'articolo 13 del "regime giuridico della continuità" si stabilisce che "le leggi organiche dello Statuto di autonomia e della Costituzione spagnola vigenti al momento dell'entrata in vigore della presente legge, assumono rango di legge ordinaria se non sono state incorporate nella presente legge e purché non la contravvengano".
Ci si chiede allora perché non si rifiuta esplicitamente la legge organica di stabilità o l'articolo 135 della Costituzione spagnola. La risposta implicita a questo viene dall'articolo 14 che ha come titolo "Continuità del diritto dell'Unione europea". L'articolo stabilisce:
1) Le norme dell'Unione europea vigenti in Catalogna al momento dell'entrata in vigore della presente legge continueranno ad applicarsi per gli obblighi che riguardano le istituzioni catalana e di quelli che si applicano nel territorio catalano da parte delle istituzioni dell'amministrazione centrale dello Stato spagnolo, nelle stesse condizioni stabilite dal diritto dell'Unione europea.
2) Le norme dell'Unione europea che entrino in vigore posteriormente all'entrata in vigore della presente legge si integreranno automaticamente nell'ordinamento giuridico della Catalogna, per quanto riguarda gli obblighi che siano di applicazione in Catalogna, nelle stesse condizioni stabilite dal diritto dell'Unione europea.
Siamo davanti a una confessione di servilismo nei confronti della Ue e delle sue istituzioni, di rinuncia alla sovranità economica. Gli indipendentisti di Catalogna sono bravi ragazzi e la Signora Merkel non tema: continueranno ad applicare le politiche di tagli sociali necessarie per raggiungere gli obiettivi di deficit pubblico e garantire la restituzione del debito».
 

mercoledì 27 settembre 2017

CATALOGNA: LA SECESSIONE NON È LA SOLUZIONE di Xarxa Socialisme 21

[ 27 settembre 2017 ]

No alla secessione, si alla sovranità popolare in una Spagna repubblicana e federale fuori dalla gabbia dell'Unione europea. 

Alle porte dell'annunciato referendum per la secessione pubblichiamo la risoluzione dei compagni catalani di Xarxa Socialisme 21.


Articoli già pubblicati sulla vicenda catalana:
CATALOGNA: NAZIONALISTA CHI? di Moreno Pasquinelli (12 luglio)
NESSUNA VERA INDIPENDENZA È POSSIBILE NELLA GABBIA DELLA UE di Xarxa Socialisme 21 (16 luglio)

- LA CATALOGNA, LA SPAGNA E L'UNIONE EUROPEA di Diosdado Toledano (10 settembre)
PODEMOS E L'INDIPENDENZA DELLA CATALOGNA di Manolo Monereo (21 settembre)
VIVA LA CATALOGNA, ABBASSO L'ITALIA di Mimmo Porcaro e Ugo Boghetta (27 settembre)




«Il governo di Mariano Rajoy, con il suo immobilismo politico davanti all’intricato conflitto tra la Catalogna e lo Stato spagnolo, col fardello della corruzione e delle sue politiche antisociali, è diventato il fattore decisivo che alimenta e stimola l'indipendenza.

L'ex presidente Artur Mas e il suo partito CiU  [Convergència i Unió, alleanza dei due partiti nazionalisti catalani di centro-destra CDC e UDC scioltasi nel 2015; NdR], campioni nella corruzione e nell'attuazione delle politiche austeritarie imposte dall'Unione europea —privatizzazione della sanità, dell'istruzione, il taglio di reddito minimo (PIRMI), ecc.; L'ex presidente Artur Mas e il suo partito CiU che hanno sostenuto con il loro voto nel parlamento di Madrid la liberista riforma del lavoro e la legge antipopolare Legge di bilancio statale —che è lo strumento politico e fiscale per imporre tagli sociali (compreso l'attuale intervento di Montoro nel governo della Generalitat), hanno sfruttato il malessere sociale per condurlo verso il sogno di un'indipendenza della Catalogna che restituirebbe il benessere sociale persi.

Spacciando questa illusione hanno trovato il sostegno delle forze indipendentiste tradizionali come la ERC e la CUP. Nel suo impegno prioritario per la "indipendenza formale della Catalogna", il blocco indipendentista non ha rispettato né il lo Statuto [d’autonomia della Catalogna, NdR] né le norme parlamentari, ed hanno tradito la difesa degli interessi della maggioranza sociale e della classe lavoratrice, approvando misure antisociali come "Legge transitoria" che sancisce il rapporto di schiavitù dei cittadini della Catalogna, ovvero il debito illegittimo con i fondi speculativi e le banche dell'Unione europea, che istituzionalizza le regole austeritarie imposte dalla UE, e che contempla l’impegno ad applicare le nuove leggi e misure che potranno essere concordate in futuro. Per non  parlare del modello istituzionale presidenzialista autoritario della Repubblica catalana in cui la magistratura vede lesa la sua indipendenza.

Questa rinuncia alla sovranità economica, oltre a tradire le fondamenta di una indipendenza reale, mostra il vero carattere dell'indipendentismo della Catalogna: una lotta in seno alla classi dominanti per la re-distribuzione del potere politico per meglio  perpetuare il dominio sulle classi popolari.

Perché il blocco indipendentista ha voluto l’accelerazione?
Per l'erosione di consensi del movimento indipendentista —come dimostrano le stesse indagini del Centro per gli studi di opinione legato alla Generalitat—, per i mutamenti della mappa politica in Spagna, tra cui l'emergere di Unidos Podemos e i cambiamenti in seno al PSOE; per il logoramento del Partido Popular lontano dalla maggioranza assoluta e che può essere cacciato dal governo  da una mozione di sfiducia vincente.

Questo blocco, temendo il peggio, ha promosso un referendum sull'autodeterminazione senza garanzie democratiche, senza un minimo di partecipazione per dargli legittimità, senza la trasparenza richiesta per ottenere il suo riconoscimento internazionale. In queste condizioni, il blocco indipendentista  offre al PP ed ai partiti centralisti la possibilità di ottenere credibilità davanti alla  maggioranza sociale che in Catalogna non è indipendentista, e provoca isolamento e ostilità tra la grande maggioranza sociale dello stato spagnolo.

Lungi dal negoziare e cercare consenso con le forze politiche emergenti come "Cataluña Si Que Es Pot" o "Catalunya en Comú" con l'obiettivo di espandere alleanze in Catalogna e nel resto dello Stato spagnolo, il blocco indipendentista procede verso una sconfitta sicura, spingendo la gran parte della sua  base sociale verso la frustrazione, il vittimismo e la rassegnazione.

L'enorme divisione sociale provocata, ha carattere trasversale e può causare danni difficili da riparare nella società. In queste circostanze è comprensibile che "Catalunya en Comú" non riconosca il carattere di un referendum di autodeterminazione, respinga la sua natura vincolante e di conseguenza si opponga alla dichiarazione unilaterale dell'indipendenza, ed abbia quindi optato per una proposta sufficientemente flessibile per garantire che la sua base non si divida. "Catalunya en Comú" si è limitata a una mobilitazione politica per il “diritto di decidere” allo scopo di conservare legami di comprensione con i cittadini e ricostruire i ponti sociali e politici che permettano di sostenere un'alternativa che dia una soluzione soddisfacente ad un problema politico dirimente. Tuttavia, il tentativo del blocco indipendentista è quello coinvolgere "Catalunya en Comú" allo scopo di aumentare la partecipazione al referendum e ottenere così la legittimità per dichiarare l'indipendenza unilaterale. I rischi di confusione e divisione nella base elettorale di “Catalunya in Comú” sono molto elevati, e possono essere neutralizzati solo con un discorso chiaro e fermo di non riconoscimento del carattere vincolante di questa vicinanza, e quindi disobbedendo ad ogni tentazione di Presidente Puigdemont di dichiarare l’indipendenza della Catalogna.

La crisi del regime di transizione in Spagna ha le sue radici nella perdita della sovranità popolare ed economica con l'integrazione in un'Unione europea al servizio delle oligarchie del centro europeo, in particolare della Germania. Finché non si affronta questa questione cruciale e continuano ad essere applicate politiche anti-sociali neoliberali, la crisi sociale e politica in Spagna e in Catalogna proseguirà il suo percorso e avrà in futuro diverse forme.

Di fronte alla grave crisi istituzionale aperta dall'avventura del blocco indipendentista e la chiusura del governo statale, come organizzazioni della sinistra trasformatrice e sovraniste, sia in Catalogna che in Spagna, dobbiamo promuovere un'alternativa politica e sociale che impedisca la regressione centralista dello Stato e l’estensione delle pratiche antidemocratiche che il governo cercherà di giustificare di fronte alla spinta all’indipendenza.


L'obiettivo che può unire le classi popolari e d i popoli dello stato spagnolo è l'articolazione di un'ampia alleanza per cacciare il PP dal governo, per mezzo di una mozione di sfiducia. Ma questo sarà possibile solo se avremo una mobilitazione popolare nelle strade e nelle piazze, finalizzata ad abrogare tutte le leggi ingiuste come la riforma (anti)lavoro, quella delle pensioni, come la Legge di bilancio, la legge bavaglio, le privatizzazioni, ecc., nonché avanzare proposte per superare la disoccupazione di massa, ecc. Questo processo dovrebbe essere basato sulla richiesta di una effettiva sovranità popolare, preservando l'unità e l'autonomia dei movimenti sociali, così come relazioni basate sul dialogo, la razionalità e la fraternità in un conflitto particolarmente emotivo.

In questo processo dobbiamo opporci ad ogni irrazionalità, alla coltivazione dell'odio, agli scontri fratricidi che cercano di dividere il popolo, ad ogni esercizio di violenza per attaccare opinioni diverse. Né arresti, né purghe, né esclusioni risolveranno le cose. Chiamiamo alla difesa degli obiettivi comuni dell'emancipazione e dei diritti democratici del popolo. Particolarmente all'interno dei movimenti sociali e delle forze trasformatrici.

In Catalogna, di fronte al fallimento della strategia senza sbocchi del blocco indipendentista, dobbiamo promuovere lo sviluppo della forza trasformatrice e alternativa che strappi il governo della Generalitat dalla mani delle forze conservatrici e falsamente sovraniste.

Se questo è il questo compito, dobbiamo costruire la mobilitazione sociale e popolare contro il regime della monarchia e aprire un processo costituente nello Stato spagnolo nel suo complesso che permetta di saldare le legittime aspirazioni dei popoli spagnoli in una federazione di libera adesione, affinché sia un vero passo nel recupero della sovranità economica e popolare, per superare il capitalismo e avanzare verso il socialismo».

Settembre 2017
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Xarxa Socialisme 21

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