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lunedì 30 dicembre 2019

AVVISO IMPORTANTE AI LETTORI DI SOLLEVAZIONE



SOLLEVAZIONE celebra il suo decimo anno di vita. 

Di strada ne abbiamo fatta. Quando demmo vita a questo "foglio telematico" (erano gli inizi di dicembre del 2009), avevamo poche decine di lettori al giorno. Oggi siamo a migliaia. La tabella sopra (statistiche fornite da blogger, la piattaforma di Google

mercoledì 11 dicembre 2019

FACCIAMO COME IN FRANCIA?

[ mercoledì 11 dicembre 2019 ]


Dopo il  successo dello sciopero generale del 5 dicembre, quello di ieri, 10 dicembre, ancor più grande e partecipato: adesioni altissime (anzitutto nel pubblico impiego, il settore più colpito), manifestazioni di massa in ogni città. La Francia popolare e proletaria è scesa sul piede di guerra contro la "riforma" del sistema pensionistico che Macron vuole realizzare ad ogni costo, in nome del famigerato pareggio di bilancio.
Ma non c'è di mezzo solo il dogma del pareggio di bilancio. Come rivelano i giornali francesi, sotto, c'è il tentativo del banchiere Macron di fare un favore ai suoi sodali. 
LIBERATION ci informa infatti che
«I rappresentanti del più grande fondo di investimento del mondo, BlackRock, molto interessati al Patto e alla legge sulla riforma delle pensioni, hanno già incontrato diverse volte il Presidente della Repubblica, ma anche Jean-Paul Delevoye, l'Alto Commissario per le pensioni. La lobby di cui BlackRock è membro in Francia, l'AFG, ha anche moltiplicato le sue pressioni a favore della riforma».
Come si spiega che, seppure il tasso di sindacalizzazione dei lavoratori francesi sia tra i più bassi d'Europa, essi abbiano aderito in massa all'appello alla lotta dei sindacati? Si spiega non solo con la inaccettabilità delle drastiche misure macroniane, si spiega col fatto che i sindacati francesi non sono mai scesi così in basso come quelli italiani — pensate che  dopo aver lasciato passare la Fornero e il jobs act, ancora ieri, il signor Landini, invece di chiamare alla mobilitazione i suoi iscritti, ha proposto un "patto" con governo e imprese.



Più in generale: come si spiega che i francesi sono, in Europa, quelli più combattivi?

Si spiega con la spinta che senza dubbio hanno fornito i gilet gialli, la cui lotta prolungata ha lasciato un segno indelebile nel Paese. Per chi non lo sapesse i gilet gialli hanno sin da subito dichiarato di aderire alla mobilitazione sindacale.

Si spiega col fatto che la sinistra francese, dopo l'ignobile inabissamento del Partito socialista e di quello comunista, ha saputo risorgere, malgrado tutti i limiti, nella forma di La France Insoumise.

Si spiega col fatto che la destra radicale francese — ex Fronte nazionale ora Rassemblement National, per bocca di Marine Le Pen ha aderito ai due scioperi generali.

Si spiega infine con il fatto che il popolo francese, lo dimostra la storia, è sempre stato quello che con più prontezza e determinazione rialza la testa e si ribella quando c'è la sensazione che il padronato (quello d'Oltralpe è uno dei più rognosi) passi il segno.

Vorremmo dire: "Faremo come in Francia!" ma, ahinoi, non c'è permesso di farlo, non fosse che per il tasso di collaborazionismo sfrontato dei sindacati verso le classi dominanti ed i suoi governi (tanto più se sono di centro-sinistra). Non ci sarà permesso a causa di sinistre che hanno perduto per sempre la loro dignità e credibilità.

Il popolo lavoratore italiano, non avendo sindacati degni di questo nome, avendo una sinistra sputtanata e al servizio del regime eurista, dovrà necessariamente seguire un'altra strada. Quale sarà, quali modalità sceglierà, non è dato sapere.

Di sicuro, quando la goccia farà traboccare il vaso, avverrà la SOLLEVAZIONE generale, destinata a far tremare l'Italia e con essa tutt'Europa.


*  *  *


LA RIVOLUZIONE "PURA"? NON ESISTE...



«Colui che attende una rivoluzione sociale “pura”, non la vedrà mai. Egli è un rivoluzionario a parole che non capisce la vera rivoluzione. 

La rivoluzione russa del 1905 è stata una rivoluzione democratica borghese. Essa è consistita in una serie di lotte di tutte le classi, i gruppi e i malcontenti della popolazione. V’erano tra di essi i pregiudizi più strani, con i più oscuri e fantastici scopi di lotta, v’erano gruppi che prendevano denaro dai giapponesi, speculatori e avventurieri, ecc. Obiettivamente, il movimento delle masse colpiva lo zarismo e apriva la strada alla democrazia, e per questo gli operai coscienti lo hanno diretto. 

La rivoluzione socialista in Europa non può essere nient’altro che l’esplosione della lotta di massa di tutti gli oppressi e di tutti i malcontenti. Una parte della piccola borghesia e degli operai arretrati vi parteciperanno inevitabilmente – senza una tale partecipazione non è possibile una lotta di massa, non è possibile nessuna rivoluzione – e porteranno nel movimento, non meno inevitabilmente, i loro pregiudizi, le loro fantasie reazionarie, le loro debolezze e i loro errori. Ma oggettivamente essi attaccheranno il capitale, e l’avanguardia cosciente della rivoluzione, il proletariato avanzato, esprimendo questa verità oggettiva della lotta di massa varia e disparata, variopinta ed esteriormente frazionata, potrà unificarla e dirigerla, conquistare il potere, prendere le banche, espropriare i trust odiati da tutti (benché per ragioni diverse!), e attuare altre misure dittatoriali che condurranno in fin dei conti all’abbattimento della borghesia e alla vittoria del socialismo, il quale si “epurerà” delle scorie piccolo-borghesi tutt’altro che di colpo».

V.I. Lenin 
L'INSURREZIONE IRLANDESE DEL 1916
Luglio 1916. 

Opere Complete, Editori Riuniti, pp 353-54



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martedì 19 febbraio 2019

UN AIUTO PER LA SINISTRA PATRIOTTICA

[ 19 febbraio 2019 ]

In molti leggete SOLLEVAZIONE e condividete le idee, le analisi e le proposte di Programma 101.

La maggior parte di voi, pur approvando, chi con il cuore chi anche con la testa le nostre battaglie, resta alla finestra, non si decide a darci fattivamente una mano, raggiungendo le nostre file. Prevale, anche tra i nostri tanti simpatizzanti, il disincanto, la sensazione d’impotenza, l’idea che fare militanza politica rappresenti, oltre che un enorme sacrificio, una lotta impari, destinata allo scacco.
Il fardello dell’impegno resta dunque sulle spalle di alcune decine di militanti che resistono facendosi in quattro affinché la nostra voce non scompaia.
Ci vorrebbero più militanti, più attivisti, più sedi, più iniziative pubbliche, un giornale stampato da diffondere, potenziare la nostra presenza sul Web. Per tutto questo occorrono più mezzi. Tra questi mezzi il più importante sono i soldi, e di soldi non ne abbiamo. Non abbiamo infatti santi in paradiso, le sole risorse finanziarie di cui disponiamo vengono dai contributi volontari dei nostri aderenti. E sono risorse scarse che non ci permettono di fare di più e meglio.

Per questo lanciamo una campagna di sottoscrizione per sostenere SOLLEVAZIONE e Programma 101.

Cosa ci faremmo con i soldi che arriveranno dalla campagna di finanziamento è presto detto: vorremmo aprire un ufficio centrale e pubblicare un giornale mensile.

Ce la faremo? Dipende anche da voi, dalla vostra generosità.




SOTTOSCRIVI PER SOLLEVAZIONE E P101


sabato 27 ottobre 2018

7 DOMANDE AD ILARIA BIFARINI

[ 27 ottobre 2018 ]

Mentre la Commissione europea e Draghi  bocciano senza appello la "manovra" del governo giallo-verde, il "partito dello spread" (confindustria, banchieri, Pd, Forza Italia) paventa l'imminente disastro dell'Italia. 
Abbiamo chiesto all'economista Ilaria Bifarini un giudizio di merito sulla Legge di bilancio del governo giallo-verde




1. Cosa pensa della Legge di Bilancio? C’è una svolta, oppure no, rispetto ai governi precedenti?

La svolta è prevalentemente di tipo ideologico, finalmente viene affermato senza timore quanto la teoria economica e l’evidenza empirica riscontrano da tempo: continuare sul sentiero di austerità imposto da Bruxelles non solo è inefficace, ma deleterio per le economie dei Paesi. Le politiche di contenimento fiscale, infatti, come riconosciuto in uno studio dello stesso Fondo monetario internazionale, provocano un aumento della povertà, in termini di disoccupazione e disuguaglianza.  Esse inoltre non permettono di contenere il debito pubblico, come dimostrato dal caso greco e dall’Italia stessa, innescando un peggioramento del Pil, che è il denominatore del debito pubblico. Rinnegare queste misure fallimentari a favore di politiche anticicliche di tipo keynesiano, che aumentino la spesa pubblica in un periodo di crisi della domanda, è l’unica possibilità per invertire rotta e tornare a crescere.

2. Quali sono, a suo parere, i punti forti e quelli più critici della manovra?

L’aver impedito l’aumento dell’Iva, imposta diretta sul consumo che colpisce ogni cittadino, è stato un atto di grandissima responsabilità da parte del governo. La manovra, tuttavia, proprio per i limiti imposti dai vincoli di bilancio, risulta molto contenuta in termini di investimenti in spesa pubblica produttiva.

3. L’intervento sulla Fornero ha un grande valore simbolico. Ma in che misura potrà creare posti di lavoro per i giovani?

E’ difficile fare delle previsioni attendibili su quello che sarà il “turnover” nel mondo del lavoro, vista l’entità dell’attuale e perdurante crisi. Tutto dipenderà da quanto si riuscirà a rilanciare la domanda e a creare un clima di fiducia favorevole agli investimenti.
Purtroppo ci sono molte forze avverse che operano affinché non venga scalfito lo status quo e non vengano intaccati gli interessi finanziari e internazionali che ne derivano.

4 Molti hanno dei dubbi sul Reddito di cittadinanza, preferendo piuttosto politiche per il rilancio degli investimenti. A noi però non sembra che le due cose siano in contraddizione. Ci sbagliamo?

In realtà le due cose non sono per natura contraddittorie, ma dovrebbero anzi andare di pari passo. Perché un reddito di cittadinanza possa funzionare, occorrerebbe creare lavoro attraverso il rilancio degli investimenti pubblici, a partire dalle infrastrutture e dalla manutenzione del territorio di cui abbiamo tanto e urgente bisogno. Ciò permetterebbe di incrociare domanda e offerta di lavoro pubblico produttivo, con lo strumento del reddito di cittadinanza utilizzato come una sorta di paracadute temporaneo. In presenza di tali condizioni e con un’attenta e lungimirante gestione, si potrebbe innescare quel circolo  virtuoso capace di riportare il Paese alla crescita, sfruttando così l’effetto moltiplicatore di una spesa pubblica mirata. Il rischio che ciò non si verifichi è reale. Tuttavia il reddito di cittadinanza, oltre a mantenere una promessa elettorale, rappresenta una boccata d’ossigeno per i numerosi, troppi poveri e giovani disoccupati nel nostro paese. Il limite di questa manovra è che è troppo contenuta, nonostante le reazioni dell’Unione Europea.

5. Lo scontro con l’Unione europea ha raggiunto livelli mai visti. Difficile che finisca a tarallucci e vino. Politicamente sarà decisiva la determinazione delle forze della maggioranza, ma economicamente quali sono le misure più urgenti da prendere per salvaguardare l’economia dal Paese?

L’Italia può contare su una bilancia commerciale positiva e alquanto stabile, a differenza di altri Paesi. Occorre salvaguardare a tutti i costi il made in Italy e il nostro tessuto industriale. Ben vengano le relazioni con gli Usa di Trump e la Russia di Putin, verso la quale sono stati persi alcuni miliardi di Euro di export a causa delle sanzioni volute da Bruxelles. Avere dei partner internazionali di peso permette all’Italia di non rimanere isolata e di farsi portavoce di quell’inversione di rotta economica rispetto al modello unico neoliberista abbracciato dall’UE che altrove è già stata avviata.

6. La principale arma contro l’Italia è lo spread. Per contrastare questo spauracchio, per non essere dipendenti dai mercati finanziari, in che misura potranno essere utili nuovi strumenti tesi a favorire la rinazionalizzazione del debito (Btp indirizzati alle famiglie, Cir o altro)?

Occorre rivedere il meccanismo d’asta usato per il collocamento dei BTP. Attualmente la modalità del “prezzo marginale d’asta” comporta che i titoli vengano assegnati al prezzo più basso offerto, e quindi al tasso più alto. Ciò comportata un costo del debito pubblico
elevatissimo. Inoltre, si potrebbe copiare il modello tedesco, dove esiste un importante sistema di banche pubbliche e la Bundesbank interviene direttamente nelle aste dei titoli pubblici. Il sistema di gestione del debito pubblico italiano va rivisto, esistono ampi margini di miglioramento e non mancano al Paese bravi tecnici in grado di proporre soluzioni alternative.

7. Con lo scontro politico in corso il tempo delle scelte decisive sull’euro sembra avvicinarsi rapidamente. Qual è la sua opinione in proposito?

L’euro è stata una scelta sciagurata e il prezzo che paghiamo è elevatissimo. Il fallimento dell’euro è evidente per tutti i paesi che ne fanno parte.  Persino la stessa Germania, che grazie alla creazione della moneta unica ha accumulato il surplus commerciale in termini assoluti maggiore al mondo (con effetti distorsivi sulle altre economia), rispetto alle economie non Euro registra una crescita molto debole, oltre un forte aumento della povertà e della disuguaglianza tra la popolazione.
L’Italia, per una serie di fattori, è stata una delle principali vittime degli effetti negativi e delle distorsioni legate alla privazione della sovranità monetaria. Rimanere nell’Euro significa prolungare una dolorosa e deprimente agonia, rendendo impossibile il ritorno alla crescita economica. Ad ogni modo, non credo che l’uscita sarà imminente e comunque non per volontà di questo governo, molto ligio al proprio contratto che lo tiene unito. Inoltre, attraverso un bombardamento mediatico e una propaganda capillare, si è creato il tabù dell’uscita dall’euro, addirittura definito da più voci autorevoli come “irreversibile”. Eppure, per farci cambiare prospettiva, basterebbe pensare che meno di vent’anni fa ogni paese dell’Europa aveva la sua moneta e che in tutto il mondo solo l’Africa ex coloniale adotta una unione monetaria tra paesi differenti. Uscire dall’euro non è solo auspicabile, ma doveroso per il benessere economico  delle popolazioni.

* Intervista a cura di SOLLEVAZIONE

mercoledì 22 febbraio 2017

DALLA PARTE DEI TASSISTI, SENZA SE E SENZA MA

[ 22 febbraio ]

E' tutto un gridare  all'ALLARME! per la mobilitazione dei tassisti e degli ambulanti che ieri, a Roma, hanno spinto la loro rabbia sacrosanta fin sotto la sede del Pd. La nostra solidarietà l'abbiamo già espressa

La ribadiamo ripubblicando un pezzo di Formenti dopo le dure lotte dei tassisti francesi del giugno 2015 —anche in quel caso contro le legge del governo "di sinistra" di (Hollande)-Macron. La ribadiamo denunciando l'ignobile tentativo dei media di regime di sputtanare e isolare la legittima resistenza dei tassisti contro l'uberizzazione. Il pretesto è la presenza ieri di alcuni attivisti di Forza Nuova. 

Un simile tentativo, eravamo nel 2013, l'avevamo già visto in opera contro il Movimento del 9 dicembre (o dei Forconi). Chi ha sale in zucca deve piuttosto rivolgere, non solo solidarietà, ma la massima attenzione agli scoppi di rabbia sociale, come quello dei tassisti appunto, perché sono un'avvisaglia della sollevazione che verrà, che avanza sotto traccia. 

Guai a quegli antagonisti che cadessero nella trappola ideologica del nemico, che si voltassero dall'altra parte col pretesto che tra i rivoltosi ci siano dei neofascisti. Guai a fare spallucce perché alcuni manifestanti usano il tricolore. Questo può certo essere il simulacro dei nazionalisti reazionari, ma se lo abbiamo sollevato nella battaglia democratica del 4 dicembre in difesa della Costituzione è anche perché è l'icona della Repubblica, a simboleggiare la resistenza di un popolo e di una comunità contro la globalizzazione neoliberista.

UBER, TAXI E LOTTA DI CLASSE 

di Carlo Formenti


«Arroganza neocoloniale e odio di classe. Non saprei definire altrimenti il contenuto dei tweet con cui Courtney Love, vedova del leader dei Nirvana e a sua volta pop star, ha espresso tutta la sua indignazione per essere stata costretta a scendere dall’auto che stava portandola all’aeroporto di Parigi da parte da un gruppo di taxisti che protestavano contro il servizio Uber Pop.

Rivolgendosi al presidente Hollande la signora in questione chiede con tono sprezzante: “È legale per la tua gente attaccare i visitatori? Muovi il culo e vieni in aeroporto”. “La tua gente”: ovvero quei pezzenti di lavoratori francesi che tu, in quanto vassallo degli Stati Uniti (e quindi anche mio), dovresti essere in grado di tenere a bada e bastonare a dovere quando si ribellano a un servizio innovativo made in Usa quale è Uber. E ancora: “È questa la Francia? Mi sento più sicura a Baghdad”. Non c’è dubbio, visto che a Baghdad avrebbe potuto assoldare (lei che può permettersi di pagarli, certo non un comune turista) un manipolo di contractor professionisti pronti a sparare su qualunque pezzente osasse intralciarle la strada.

A citare con soddisfazione i deliri fascistoidi della popstar è il New York Times, che in un altro articolo fa la cronistoria del conflitto fra lo Stato Francese che ha proibito il servizio, i taxisti che definiscono terrorismo economico la politica della società di San Francisco che sta strangolando la loro categoria in tutto il mondo, e i manager di Uber, i quali non mollano l’osso e spingono i loro contractor (migliaia di comuni cittadini che si improvvisano autisti in cambio di pochi euro a corsa, assumendo in prima persona tutti i rischi dell’impresa) a offrire comunque il servizio, lasciando intendere fra le righe che questa mentalità arretrata dei governanti europei dovrà prima o poi arrendersi alle ragioni dell’innovazione tecnologica, del mercato e dei consumatori.


Rincara la dose il “Corriere della Sera” in un articolo del 26 giugno di Stefano Montefiori (“Blocchi e aggressioni. La guerra a UberPop sulle strade della Francia”) nel quale, oltre a rilanciare le dichiarazioni della cantante, si citano anche quelle di contenute in una lettera di Maxime Coulon, noto avvocato parigino che ha collezionato 170.000 like su Facebook scrivendo: “Caro taxi parigino, non posso dirti quanto godo nel vederti sbraitare, piangere, agonizzare davanti al successo dei servizi come Uber. Ti ricordi quando mi chiedevi qual era la mia destinazione prima di decidere se io avessi il diritto di salire sulla tua carrozza?”.

Il succo dell’articolo del Corriere è lo stesso di quello dell’articolo del NYT (basta con gli ostacoli all’innovazione che frena la marcia del mercato), mentre il succo dell’intervento del nostro nobile avvocato è lo stesso di quello della pop star: come vi permettete voi pezzenti di non obbedire a ogni nostro cenno, mentre dovreste servirci senza protestare? Lotta di classe appunto, come spiega molto bene Biju Mathew nel suo libro “Taxi!” sulle lotte dei taxisti di New York: lotta di classe fra chi è costretto a sgobbare ore e ore sulla strada per sbarcare il lunario e i membri di una classe media (medio alta nel caso della Love e di Coulon) che vorrebbero poterli trattare come schiavi. E lotta di classe fra lavoratori messi con le spalle al muro dalle politiche degli “innovatori” e crumiri che la fame induce a vendersi per quattro soldi».

martedì 20 dicembre 2016

PAGHERETE CARO, PAGHERETE TUTTO

[ 20 dicembre ]

Ha fatto scalpore la cinica battuta del ministro del Lavoro Poletti: "Fuga di 100mila giovani? Bene, conosco gente che è andata via e sicuramente il Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi". 
Ci sono in questa uscita tutto il cinismo e la tracotanza di chi comanda, il disprezzo sociale di chi sta in alto verso chi sta in basso e subisce non solo le consegeinze dei meccanismi ben noti dell'economia capitalistica, ma per gli atti scellerati e classisti di chi governa.
Il ministro ha poi chiesto scusa. Scuse respinte. Al momento debito chi deve pagare pagherà caro, pagherà tutto —un grido in voga negli anni '70, che, ne siamo certi, rimbomberà per le strade nel prossimo futuro.




«BOOM VOUCHER, GIU' I CONTRATTI FISSI - Nei primi dieci mesi 2016 sono stati stipulati più di 1,3 milioni (1.370.320) di contratti a tempo indeterminato (comprese le trasformazioni) mentre le cessazioni, sempre di contratti a tempo indeterminato, sono state 1.308.680 con un saldo positivo di 61.640 unità. Il dato - si rileva dall'osservatorio Inps - è peggiore dell'89% rispetto al saldo positivo di 588.039 contratti stabili dei primi dieci mesi 2015, risentendo della riduzione degli incentivi per le assunzioni stabili, e anche di gennaio-ottobre 2014 (+101.255 stabili). Nello stesso periodo gennaio-ottobre 2016 sono stati venduti 121,5 milioni di voucher destinati al pagamento delle prestazioni di lavoro accessorio, del valore nominale di 10 euro, con un incremento, rispetto ai primi dieci mesi del 2015, pari al 32,3%, comunica inoltre l'Inps, sottolineando che nei primi dieci mesi del 2015 la crescita dell'utilizzo dei voucher, rispetto al 2014, era stata pari al 67,6%». [ANSA, 20 dicembre]



Si scrive che il referendum del 4 dicembre, allinea l'Italia a quello britannico sulla Brexit, alla vittoria di Trump negli USA, in riferimento al comune segno di protesta sociale degli esclusi. Vero.

C'è tuttavia un dato peculiare che distingue il referendum italiano: la gioventù italiana, diversamente che in Gran Bretagna e negli USA, ha massicciamente votato NO. Dentro la conclamata frattura sociale che il referendum ha solo fotografato (un italiano su quattro sfiora la soglia della povertà e nel Mezzogiorno si avvicina al 50%) c'è anche una frattura generazionale che avrà profonde conseguenze per la scena sociale dei prossimi anni. 

I giovani sono sempre stati la forza motrice di ogni cambiamento, di ogni sollevazione popolare. Così è sempre stato, così sarà.

Contrariamente agli altri paesi dell'Europa occidentale (Grecia, Spagna, Francia e Portogallo inclusi) la maggioranza dei giovani italiani non ha solo detto che la situazione sociale è insostenibile, che si sente abbandonata e senza futuro. Il loro NO mostra che proprio i giovani in Italia non credono più ai racconti ideologici delle élite dominanti: che la globalizzazione è progresso, che flessibile è bello, che è buono tutto ciò che decide il mercato, che l'Europa è il sogno più grande.

Per liberarsi dalle catene sociali occorre prima liberarsi da quelle ideologiche. Siamo solo agli inizi di questo faticoso processo di emancipazione spirituale e culturale che si concluderà nell'abbattimento di tutti i simboli del globalismo. La sollevazione popolare è imminente, ed i giovani ne saranno la prima linea.

venerdì 23 settembre 2016

DOPO RENZI LA TROIKA? La resa dei conti si avvicina di Moreno Pasquinelli

[ 23 settembre ]

«Ci sono solo due possibilità: o gli italiani, già apparentemente assuefatti e supini, si faranno impaurire e accetteranno la forma estrema di asservimento e sudditanza, oppure si solleveranno. Non ci sono vie di mezzo: o la resa o la rivolta sociale, o subire un regime di protettorato coloniale o una rivoluzione democratica».

Sono molte, ed evidenti, le analogie tra Renzi e Berlusconi. Prima fra tutte è l'ostinazione a raccontare fanfaluche. Montanelli disse un giorno del Cavaliere che era un inguaribile "piazzista", imbattibile nel vendere patacche spacciandole per mercanzia di primissima qualità. Si capisce dai suoi atteggiamenti spavaldi come Renzi si ritenga ancor più abile di Berlusconi. In questa sua pretesa, inversamente proporzionale alla sua statura politica, egli fa addirittura tenerezza. 

Prendiamo la narrazione renziana di come vanno le cose nell'Unione europea. Vanno esattamente all'opposto di come il "bomba" ce le ha raccontate solo fino a pochi giorni fa. Egli ci diceva che la Brexit avrebbe reso l'Unione europea più forte e con un ruolo centrale dell'Italia. Ci diceva che Hollande era oramai conquistato alla causa della fine dell'austerità. Ci diceva che a Ventotene era sorto un "nuovo direttorio a tre con Germania e Francia".

Il summit di Bratislava ha polverizzato come scemenze queste pretese e Renzi se n'è tornato a casa con le ossa rotte. Di più, Bratislava ha mostrato —in barba a chi vaneggia un rafforzamento della Ue—quel che andiamo dicendo da tempo: l'accelerazione del processo di disgregazione dell'Unione europea.

Allo stesso modo di Berlusconi, che fino all'ultimo negò che il Paese fosse dentro una gravissima crisi economica, il "bomba" tenta disperatamente di convincere gli italiani che "siamo usciti dal tunnel".

Puoi raccontare finché vuoi che splende il sole (che l'economia italiana non è in inarrestabile depressione), ma quando sopraggiunge la pioggia, si apre l'ombrello e l'imbroglione viene preso a calci nel culo.

Il distacco tra la narrazione renziana e la realtà è talmente evidente che è presumibile che l'impostore faccia la stessa fine del suo mentore: spazzato via. Con una differenza non da poco: mentre Berlusconi venne defenestrato da una congiura di Palazzo, Renzi sarà mandato a casa dal voto dei cittadini grazie al suo stesso referendum costituzionale. Nel primo caso i poteri forti si tennero ben stretti il pallino in mano, ed infatti misero il vampiro Monti in sella. Questa volta, con la auspicabile vittoria dei NO, i poteri forti, tutti schierati per il SÌ, sarebbero battuti assieme al loro pupillo fiorentino, resterebbero spiazzati. Che abbiano in serbo un loro piano di riserva non ne dubitiamo. Quale? Non è escluso l'arrivo della troika, per stringere i bulloni del vincolo esterno, del regime di protettorato.

Nel marzo del 2014, su questo blog, scrivevo:

«Se Renzi fallisce, e ci sono molte probabilità che ciò accada (Nun 'gna fa, nun 'gna fa!, direbbe il comico), la Troika è in agguato. La macchina del capitalismo predatorio, forte del consenso tedesco, della Bce e dei tecno-oligarchi di Bruxelles, si giocherà l’ultima carta a sua disposizione per salvare la moneta unica moribonda (la cui fine darebbe un colpo fatale all’intera baracca del capitalismo-casinò). Ricorrerà dunque, visti che i vari tentativi posti in essere ad ogni livello sono stati sin qui inefficaci, all’arma di distruzione di massa, quella di sottoporre il Paese al dominio diretto della Troika». [Matteo Renzi: il tonfo col botto prossimo venturo]
Cosa mi spingeva a questa conclusione? Gli euroligarchi, per nome e per conto della grande finanza capitalistica mondiale tutta, non molleranno la presa, non vorranno perdere il comando sull'Italia, che se lo perdessero sarebbe la fine subitanea dell'Unione europea e della moneta unica. Resto della medesima opinione. 

Beninteso, quando parlo dell'arrivo della troika non penso che metteranno, che so, Jeroen Dijsselbloem a Palazzo Chigi. Come fu con Monti troveranno un'altra marionetta con passaporto italiano. E gli apriranno la strada facendo saltare il sistema bancario italiano, e forse speculando nuovamente sul debito pubblico (spread), o con una combinazione terroristica dei due fattori.

Ma allora sorge la domanda: cosa accadrebbe se, dopo tre governi fantoccio messi sù in barba ai desiderata della maggioranza dei cittadini, i poteri forti tentassero di aggirare e neutralizzare la vittoria dei NO? Se quindi, con un nuovo golpe bianco, provassero ad impedire al popolo la facoltà di decidere da chi vogliono essere governati?

Ci sono solo due possibilità: o gli italiani, già apparentemente assuefatti e supini, si faranno impaurire e accetteranno la forma estrema di asservimento e sudditanza, oppure si solleveranno. Non ci sono vie di mezzo: o la resa o la rivolta sociale, o subire un regime di protettorato coloniale o una rivoluzione democratica.

Ognuno che abbia sale in zucca e coraggio politico si adoperi affinché accada la seconda che ho detto.








mercoledì 27 aprile 2016

CAPITALISMO CASINÒ E NUOVE DIVISIONI DI CLASSE: LA SOLLEVAZIONE POPOLARE POSSIBILE di Moreno Pasquinelli

[ 27 aprile ]

Sì, stiamo giungendo al finale di partita, quello che deciderà il futuro del nostro Paese. L'economia mondiale boccheggia, l'Unione europea traballa, in Italia il governo Renzi è appeso al filo di un'improbabile vera "ripresa economica". In questo quadro è alle porte un evento politico che potrebbe fungere da spartiacque: il referendum costituzionale di ottobre. 
Renzi si gioca tutto, o quasi. Tutti i poteri oligarchici, stranieri e nostrani, saranno dalla sua parte. Vincerli nelle urne è difficile, ma non impossibile. Ove Renzi venisse battuto cosa accadrà? La crisi politica e istituzionale precipiterebbe, con conseguenze sull'economia: fuga dei capitali, crollo delle banche, nuovo shock degli spread sui debiti pubblici.... Si aprirebbe una fase nuova di turbolenze. Possono i dominanti permettersi di andare alle urne col rischio di una sconfitta del Pd renziano? O agiranno sulle leve disfattiste del caos e della paura per portare in Italia la troika? In questo contesto reggerà la pace sociale, o si aprirà una fase di acuta conflittualità sociale? Ci sarà la sollevazione popolare? E se sì, che forme e pieghe prenderà? E che ruolo giocheranno le diverse forze politiche? Di sicuro non si esce dal marasma senza svolte radicali.
A noi pare che questa sia la madre di tutte le discussioni. Ho scritto, giorni addietro sulla RIVOLUZIONE DEMOCRATICA.
Per spiegare come la penso mi pare il caso segnalare ai lettori alcuni passaggi di quanto scrissi anni addietro. Anzitutto sulle forme che potrebbe prendere l'auspicata sollevazione, segnatamente: Il loro piano e quello nostro.
Infine l'ultima parte di un breve saggio dal titolo: LA DIAGONALE DEL DEBITO (QUALI SONO OGGI LE FORZE ANTAGONISTE?) che si sofferma sulle caratteristiche e la natura della società odierna, come la finanziarizzazione connoti la struttura e la sovrastruttura sociali, come queste connotino i conflitti sociali.

M.P.

Non immaginatevi una sollevazione fulminea e risolutiva
24 ottobre 2013

«Chi gestirebbe questo economicidio? Un nuovo governo di “larghe intese” è escluso, com’è eslcuso che il Pd, coi suoi ammennicoli possa farlo. Qui l’inquietante prospettiva del “podestà forestiero”, non a caso adombrata dal Gaulaiter Mario Monti nell’agosto 2011. L’Italia, che è già paese ad amministrazione controllata, verrebbe a quel punto governato da un direttorio emanazione della troika.
La minaccia di un nuovo crollo finanziario globale, come fu quello del 2008, che molti analisti ritengono probabile dopo anni di sbronza monetaria e di bolla dei valori borsistici, renderebbe cogente questa drammatica eventualità.

Il "piano" opposto non potrebbe essere che una sollevazione popolare. Che questa possa sopraggiungere prima, come noi ci auguriamo, è possibile ma altamente improbabile. E’ molto probabile invece che lo shock colpisca il paese tra capo e collo, che avremo solo a quel punto, oramai precipitati nell’abisso, una sollevazione generale.

Non immaginatevi una sollevazione fulminea e risolutiva. Il paese entrerà in un periodo di acutissime convulsioni sociali e politiche, la sollevazione procederà per fiammate, non seguirà una linea retta ascendente. Occorre rassegnarsi ad una sinfonia caotica e sconnessa, poiché mancano sia lo spartito che una direzione d’orchestra. Detto altrimenti avremo un conflitto coriandolare, policentrico, poiché, mentre la borghesia italiota è oramai una classe parassitaria e al tramonto, non abbiamo nemmeno, perché oramai spappolato, imborghesito, eviscerato, un proletariato che possa candidarsi a ruolo guida di un blocco sociale in grado di sovvertire l’ordine delle cose e prendere in mano le redini del paese.

E’ dentro questo marasma disordinato che le forze democratiche e sovraniste saranno chiamate e portare ordine e introdurre senso. Un blocco sociale e politico antagonista prenderà forma nel mezzo dello sconquasso. L’egemonia l’avrà chi saprà gettarsi nel conflitto trasformando la disperazione in rabbia consapevole; di chi saprà fare, di coloro a cui è stato tolto tutto, la forza motrice di un blocco ampio con i molti che vorranno difendere il poco che gli resta; di chi, portatore di un’idea nuova di società, saprà indicare la via e i mezzi per aprirgli una strada.

Se, su questo d'accordo col Della Loggia, ho ragione nel sostenere che da questa crisi si esce solo con soluzioni radicali; se sono nel giusto nel ritenere che la borghesia italiana non ha né la volontà né la forza per rompere la gabbia eurista e liberista; se, come ritengo, per questo abdicherà e accetterà di fare del Paese una semi-colonia; se, come penso, la forza motrice della sollevazione saranno i settori sociali dilaniati dalla crisi sistemica; non solo lo scontro si farà durissimo, ma la società subirà un processo di polarizzazione sociale, politica e ideologica violento che divaricherà lo stesso campo delle forze sovraniste. 

Con buona pace degli azzeccabarbugli che dai loggioni strillano lo stesso mantra del pensieero unico mainstraeam, quello della “morte delle ideologie” e della “fine della dicotomia tra destra e sinistra”».


Sulle nuove divisioni di classe nel capitalismo casinò

Da: LA DIAGONALE DEL DEBITO (QUALI SONO OGGI LE FORZE ANTAGONISTE?) 
23 agosto 2015

«Questi sono solo alcuni macroscopici dati empirici che fotografano una situazione sociale che ogni giorno diventa più drammatica per ampie fasce della popolazione. Non tutte tuttavia. E qui sta il punto.
Non voglio sfuggire alla domanda che un lettore, andando al sodo, mi ha posto: «Analisi corretta ma conclusione deludente. A che livello di impoverimento dobbiamo arrivare, noi povere masse, prima di sollevarci»? 

Due premesse sono necessarie.

La sollevazione non è, di per sé, una rivoluzione, poiché per rivoluzione, intendiamo un mutamento voluto della struttura sociale e politica. La qual cosa implica un’adesione di ampie masse ad un progetto alternativo di società, e quindi una partecipazione consapevole al processo di trasformazione sociale. Per sollevazione intendiamo un moto di ribellione popolare, una rivolta generale che, pur non avendo un fine prestabilito, almeno rovescia chi sta in alto e punta a demolire il vecchio ordinamento politico sociale. Non hai una rivoluzione se non passi prima per la porta stretta della sollevazione popolare.
La seconda premessa è questa. Siamo d’accordo o no che la tendenza è alla pauperizzazione del popolo lavoratore? Siamo d’accordo o no che questa tendenza, oltre ad essere il risultato necessitato della crisi storico-sistemica, è anche la terapia cercata dalle oligarchie tecno-finanziarie nostrane? Se non concordiamo sul fatto che questa è la tendenza obiettiva, ogni discorso girerebbe a vuoto e, come minimo, non si può afferrare il succo di quanto diciamo.

A che livello di pauperizzazione occorre arrivare affinché ci sia la sollevazione? Non è possibile dare una risposta irrefutabile a questa domanda. Date alcune condizioni, se porto l’acqua a cento gradi, so con certezza che bollirà e, avendo note la quantità di liquido e la potenza del calore, posso addirittura stabilire il momento in cui inizierà a bollire. Le dinamiche sociali sono un po' più complesse di quelle del mondo fisico. Tutta l’importanza di individuare la tendenza (alla catastrofe sociale) sta nel fatto che si può agire in modo rivoluzionario per contrastarla, aiutando le masse a costruire la fuoriuscita da questo sistema.  Vi sono, tuttavia, altri soggetti che agiscono in senso contrario, per agevolare la stessa tendenza e volgerla ai loro fini, tra questi tutti gli apparati oligarchici, statuali e politici della classe dominante. Noi riteniamo, come del resto insegna il caso fresco fresco della Grecia, che la sollevazione popolare non solo è possibile ma altamente probabile. Diventerà meno probabile se in tempi ragionevolmente brevi non daremo vita e forma ad un fronte della sollevazione popolare.

Per stare al punto: contrariamente alla favoletta di Occupy Wall Street, non sarà affatto il 99% a sollevarsi. Non tutte la fasce della popolazione avranno interesse a ribellarsi. Compito dei rivoluzionari è capire quali saranno le fasce che si mobiliteranno e quelle che agiranno da freno, se non addirittura come avversarie. Per questo occorre mettere bene a fuoco come tre decenni di capitalismo casinò hanno modellato la struttura di classe della società.

Un altro lettore mi diceva:«Considerare le classi sociali in base al loro ruolo nel sistema di produzione è un modo di vedere datato che va superato. Le classi sociali si distinguono in base al loro senso di appartenenza non alla quantità o tipo di reddito».

Appunto. Come chi ci segue sa bene, noi siamo molto lontani da certi marxisti (economicisti) per i quali è sufficiente, per riconoscere una classe, il posto che questa occupa nella struttura economica della società, la cosiddetta classe in sé. Sono gli stessi, questi economicisti, che per spiegare come mai il proletariato abbia come destino quello di portarci al comunismo, ricorrono ad una metafisica del soggetto, per cui il proletariato assolverà la sua missione a dispetto della sua coscienza. È evidente che non è così, che una classe non è tale se non ha consapevolezza dei suoi propri interessi. Come un essere umano, che se non ha coscienza di esserlo, ovvero un essere storico-sociale, è solo un mero organismo biologico.

Pur tuttavia, per stare alla metafora, non è che un medico, posto davanti ad un uomo malato che tra l’altro sia convinto di essere una gatto e si comporti come tale, sia autorizzato a curarlo come fosse un felino. La fisologia ha la sua indiscutibile importanza.

Il punto di partenza per capire la società è svelare la sua fisiologia. Una fisiologia, quella della società capitalistica, che è dinamica, mutante. La struttura sociale dei paesi imperialisti già da tempo non era più quella dell’Inghilterra che Marx aveva sotto gli occhi. Il declino delle forze produttive non si ebbe, le classi intermedie erano aumentate invece di sparire, i settori di aristocrazia operaia che ricevevano un reddito ben superiore a quanto necessario per sopravvivere cresciuti a dismisura, al posto del pauperismo avemmo il fenomeno dell’imborghesimento.

Quel modello sociale keynesiano-fordista con welfare diffuso da tempo è in via di smantellamento. Esso è stato rimpiazzato da quello che noi preferiamo chiamare capitalismo casinò. [9] In molti altri articoli abbiamo spiegato quale sia la sua architettura formale: un sistema fondato sulla rendita finanziaria. Il vecchio sistema imperialista si basava sulla fusione, via banche, tra capitale finanziario e quello industriale. Ora il settore finanziario-bancario ha soggiogato quello industriale. A questo modello corrisponde una nuova fisiologia della società, una nuova composizione di classe. Prima di vedere come il capitalismo casinò ha mutato la società, trasformato le classi, plasmato la loro psicologia e rideterminato loro comportamenti collettivi, vogliamo spendere poche parole sulla sua sostanza.

Inceppatasi la lunga fase espansiva postbellica [10] il sistema capital-imperialista ha dovuto trovare una maniera per non soccombere alle sue proprie contraddizioni. Ha trovato questa maniera con una scoperta che rassomiglia all’Uovo di Colombo. Il profitto è sì la molla che muove la macchina del capitale, ma solo in quanto esso può trasformarsi in denaro, suprema e astratta forma della ricchezza. E dato che fare profitti ed estrarre plusvalore costa fatica, ecco che il capitale ha optato per la scorciatoia della pura speculazione, di fare e ammucchiare denaro attraverso il denaro — il denaro come tesoro che viene tesaurizzato fuggendo dal circuito della produzione reale e da quello della circolazione. Il capitale non ha inventato niente, la rendital’ha trovata accanto a sé bell’e fatta. Dopo averla guardata in cagnesco per secoli, dopo averla condannata come usura parassitaria, il capitale si è convertito ed essa, gli ha venduto l’anima.

Questo processo, prima di espandersi ad ogni latitudine, prese il via oltre Manica e oltre oeceano. Grazie ad un habitat favorevole e all’appoggio dei governi neoliberisti di Reagan e della Teatcher e delle banche centrali, il capitale, nella forma di denaro liquido si è avventato su tutto ciò che, capitatogli a tiro, poteva fruttare guadagno. Gli investimenti in capitale costante e variabile si sono spostati progressivamente sui titoli (rappresentazioni fantasmagoriche delle merci), fino al fenomeno diabolico delle cartolarizzazioni e dei derivati. Le borse sono diventate, ad iniziare da quelle di Wall Street e della City, i templi in cui la rendita tutto sacrificava in nome del Dio denaro. Veniva così nascendo (con l'ausilio della macchina info-telematica) la nuova casta sacerdotale tecnocratica, quella dei brockers e dei grandi manager bancari, preposta al culto del nuovo "dogma trinitario" [11]: denaro, credito, interesse. Nuovi mostri, i fondi finanziari, prendevano forma nel brodo primordiale della inforendita. Questo passaggio determinava un mutamento profondo del sistema, prendeva forma quello che ho definito metacapitalismo. [12] Alla tradizionale figura del capitalista operante che usava sì il denaro, che acquistava e vendeva merci, ma per ricavarne un plusvalore per mezzo del processo di produzione, si affiancava il "capitalista monetario parassita", dedito a prestare denaro per ottenerne un interesse campando così di rendita, senza quindi entrare mai nel ciclo della produzione, volteggiando  nella sfera della circolazione monetaria per poi inquattarsi come tesoro depositato nei forzieri —di qui l'attuale trappola della liquidità: la montagna di denaro consegnata dalla banche centrali se ne sta ferma nei caveau della banche d'affari.

Il crollo della produzione industriale
italiana per singoli settori 

Soggiogati i governi, l’oligarchia rentierotteneva che i titoli di debito pubblico degli Stati diventassero prodotti finanziari e venissero gettati sui mercati. Una vera gallina dalla uova d’oro. Nasceva un sistema micidiale di rapina con cui spostare la ricchezza monetaria diffusa (risparmi) dalla tasche dei cittadini ai caveau delle banche, da certi settori ad altri, da certi Stati ad altri.

Ha tutto l’aspetto di una stregoneria quello per cui, nei mercati finanziari, il debito, diventato titolo negoziabile, ingrassa chi se lo passa di mano in mano, strozzando chi lo ha emesso e fregando chi se lo trova in mano per ultimo. La merce-debito, come aveva già segnalato Marx [13] non ha un valore di scambio, il suo prezzo dipende dall’irrazionale gioco della domanda e dell’offerta, dalle aspettative di rialzo —guadagno assicurato fino a quando le aspettative salgono, fino a quando tutto crolla a causa delle prime fughe. Un gigantesco sistema Ponzi. Morale: se da qualche parte qualcuno guadagna senza lavorare dev’esserci dall’altra qualcuno che lavora senza guadagnare. 

Con queste modificazioni della struttura economica è mutata tutta la sovrastruttura della società. Questo sistema ha infettato tutto il corpo sociale. Centinaia di milioni di cittadini, proletari compresi, sono finiti per invischiarvisi. Non parliamo solo di coloro che si sono messi a giocare in borsa, a comprare e vendere obbligazioni e azioni. Con le privatizzazioni dei sistemi pensionistici la stragrande maggioranza dei lavoratori si è trovata nella situazione per cui il valore della pensione attesa dipende ora dal buon andamento del suo fondo pensione, dalle scommesse di quest'ultimo nelle bische del capitalismo casinò. Avendo gettato sul mercato i titoli di debito pubblico nella stessa situazione si trova la massa sterminata di pensionati, il cui reddito è appeso, come l'impiccato alla corda,  alle performance dei mercati finanziari e degli spread, ovvero, anche in questo caso al rigore, alla macelleria sociale, alla capacità dello Stato di essere considerato solvibile da parte dei suoi strozzini creditori. Vi sono infine centinaia di milioni di cittadini che avendo affidato i loro risparmi (che altro non sono che rendite) alle banche, esigono che siano remunerativi di interesse, e per questo sono appesi alla abilità con cui la banca gioca d’azzardo i suoi quattrini sui mercati finanziari. [14]

E’ nato un popolo-rentier, una nuova forma tentacolare di consociativismo interclassista. È sorta di conseguenza una specifica coscienza sociale: la psicologia egoistica del creditore il quale esige che il debitore, chiunque esso sia, quali che siano le sue condizioni, onori il suo contratto di debito. Mors tua, vita mea. Non stupiamoci quindi se la maggioranza dei tedeschi sta con la Merkel, e nemmeno se tanti greci non vogliono abbandonare l’euro. Sono due facce della stessa medaglia. 

C’è quindi una linea trasversale che taglia in due l’intera società, la diagonale che divide i creditori dai debitori. Cadono, dall’una e dall’altra parte, interi pezzi di tutte le classi fondamentali. Una linea non immaginaria che spezza in due la stessa classe proletaria, anche su base anagrafica, tra la vecchia generazione che si attende che la sua rendita pensionistica non vada in fumo, e quella giovane e precaria, costretta a sgobbare affinché alla prima siano resi gli interessi.

Il diagramma qui accanto è solo un tentativo di visualizzare questa frattura sociale creditori-debitori, frattura che ci aiuta a spiegare i diversi atteggiamenti politici dei diversi strati sociali. La diagonale non è ovviamente una muraglia, e non cancella le tradizionali divisioni di classe. Ma le ridisegna e le ricolloca su un diverso piano.

Alain Greenspan un giorno affermò: «Un americano indebitato è un americano che non sciopera». Questo sarà forse vero in America. Non è vero qui. Qui è vero il contrario “un europeo creditore (che attende che gli siano devoluti rendita ed interessi) non sciopera” e, sotto sotto, fa parte di quella schiera di filistei che qui in Italia compongono la maggioranza silenziosa pro Monti. Lo dimostra la mappa delle proteste sociali che attraversano il Sud Europa non invece il Nord.

Qui da noi non si ribellerà il popolo-rentier. Si ribelleranno le giovani generazioni che nulla hanno da perdere e un futuro da guadagnare mandando a gambe all’aria il sistema immorale in cui viviamo. Esse saranno la leva che solleverà quella gran parte del corpo sociale sofferente, che trascinerà nel gorgo tutti i proletari veri, quelli che vino solo della vendita della loro forza-lavoro, che non hanno rendite e santi in paradiso, come pure tanti piccolo e medio borghesi che il capitalismo casinò ha gettato in disgrazia.

Una sollevazione che non prende ancora forma perché la crisi epocale del sistema di capitalismo casinò è solo agli inizi, perché troppo ampia è ancora la massa amorfa del popolo-rentier. Ma la tendenza alla catastrofe significa appunto questo: che il capitalismo casinò sta tirando le cuoia, che questa stessa massa, attraverso le politiche predatorie dei dominanti, subirà un inevitabile processo di pauperizzazione, spostandola sulla parte destra del diagramma. Sarà allora che per i dominanti si apriranno le porte dell'inferno».


Note

[9] Diversi sono i neologismi utilizzati per nominare il mostro: neoliberismo, turbo-capitalismo, finzanzcapitalism.
[10] Sulle cause della crisi del lungo ciclo espansivo postbellico abbiamo trattato in molti articoli. Segnaliamo solo questo: Alle origini del declino dell'Occidente
[11] Questa efficace analogia è di Massimo Amato e Luca Fantacci: Come salvare il mercato dal capitalismo. Donzelli Editore, Giugno 2012. testo utili da leggere, malgrado i nostri abbiano una strana idea del denaro, che non considerano merce e se la prendano dunque, non col denaro e il suo essere rappresentante astratto e simbolo della ricchezza, ma con la "liquidità".
[12] «Il capitale esiste come capitale, nel movimento reale, non nel processo di circolazione, ma soltanto nel processo di produzione, nel processo di sfruttamento della forza-lavoro». K. Marx, Il capitale. Volume III. Quinta sezione. Il capitale produttivo d'interesse. p.13
[13] K. Marx Ibidem. p. 28
[14] Un esempio lampante di come gli stessi operai fossero stati afferrati dal meccanismo della speculazione si ebbe negli Stati Uniti. Eravamo negli anni '80, gli anni della profonda crisi del polo automobilistico di Detroit. Gli operai della GM entrarono in sciopero contro i licenziamenti e chiesero la solidarietà di quelli della Ford, ma non la ottennero. Questi ultimi avevano devoluto i loro risparmi ad un Fondo che a sua volta aveva investito in azioni della GM. Azioni il cui valore stava risalendo in borsa proprio a causa dell'attivazione da parte della GM del piano di licenziamento.

domenica 17 aprile 2016

LORDON: "NUIT DEBOUT: NON ABBIAMO NIENTE DA NEGOZIARE!"

[ 17 aprile ]

Discorso dell'economista e filosofo Frédéric Lordon a Place de la République

[nella foto]

Continuiamo a seguire il movimento Nuit Debout che sta scuotendo la Francia.

«Credendo di perseguire come sempre il suo piccolo amichevole cammino al servizio del capitalismo neoliberale, la Legge el-Khomry ha certamente creduto che, come spesso accaduto da 30 anni a questa parte, tutto sarebbe filato liscio. Non hanno avuto fortuna. Inavvertitamente hanno attraversato una di quelle soglie invisibile in cui, con una sola goccia, tutto cambia».


«I movimenti collettivi, come quello che sta nascendo oggi, non hanno più alcun bisogno di dichiarazioni solenni,  meno che meno personali. Abbiamo assemblee, concerti, tutte queste cose sono sufficienti per se stesse e non hanno bisogno di niente altro. Il comitato organizzatore mi ha chiesto di salire sul palco e, dopo aver esitato un po', mi sono deciso a parlare. E' che, anche se non sembra,  stiamo facendo tanto. Guardate come il potere ha tollerato le nostre lotte, locali, settoriali, dispersive e rivendicative. Questa volta, non avrà fortuna. Oggi cambiamo le regole del gioco. Abbiamo giocato con le regole del potere. D'ora in poi, giocheremo con le nostre. Il potere desidera che la nostra lotta sia locale, settoriale, dispersiva e rivendicativa. Comunichiamo invece che sarà globale, universale, comune e affermativa.

Dobbiamo dire grazie alla legge el-Khomry per averci restituito il senso di due cose che avevamo dimenticato da troppo tempo: il sentimento di comunanza e quella dell'affermazione. Offrendo all'arbitrio del capitale latitudini senza precedenti, questa legge generalizza la violenza neoliberista, che colpirà d'ora in avanti indistintamente tutte le categorie dei salariati per spingerli a scoprire ciò che hanno profondamente in comune, la condizione salariale appunto. Si annullano le differenze che li avevano separati. Sì, c'è qualcosa che accomuna nel profondo vicende come quelle della Goodyear, di Conti, dell'Air France [si riferisce alle recenti vertenze sindacali, Ndr], i ferrovieri che proprio ieri erano in lotta a Tolbiac; tra Henry, l'ingegnere súper-qualificato in subappaltato alla Renault, licenziabile perché ha parlato troppo nel documentario "Merci, patron!"; tra Rajah e Kefar, dipendenti precari della società di pulizia Onet, licenziati e costretti alla miseria a causa di piccoli difetti; e con tutti gli universitari alle prese con ciò che li attende; e gli studenti delle scuole superiori che li seguono da vicino. Si potrebbe estendere questa lista indefinitivamente dal momento che la realtà è che in questa epoca in cui viviamo tutto è indefinito.

La gente che si riunisce qui lo fa in primo luogo per raccontare le proprie lotte, in modo che tutte le lotte locali, condannate all'invisibilità, diventino visibili per tutti e affinché tutti quelli che si sollevano sappiano che non sono più soli. E sono qui anche per dare una forma politica a questa comunanza che stiamo scoprendo. Pertanto, grazie, sinceramente grazie a el-Khomry, a Valls e Hollande. Grazie, e ancora grazie. Grazie per aver spinto tanto oltre la vostra meschinità fino ad averci obbligato ad uscire dalla nostra sonnolenza politica. Per non averci dato altra altra scelta che uscire dall'isolamento, e dalla pauradi stare insieme. Grazie anche per averci aperto gli occhi ed averci fatto vedere che, al punto in cui siamo, non c'è nulla più da negoziare, nulla da rivendicare, che tutte queste pratiche rituali e codificate sono diventate grottesche. Abbandoniamo quindi ogni sindacalismo abituato a strisciare come i rettili. Siamo determinati ad imboccare un'altra strada, la strada che respinge le compatibilità, i ruoli già assegnati, la via della volontà politica che s'impone e si afferma.

Credendo di perseguire come sempre il suo piccolo amichevole cammino al servizio del capitalismo neoliberale, la Legge el-Khomry ha certamente creduto che, come spesso accaduto da 30 anni a questa parte, tutto sarebbe filato liscio. Non hanno avuto fortuna. Inavvertitamente hanno attraversato una di quelle soglie invisibile in cui, con una sola goccia, tutto cambia. 

In lingua greca "catastrofe" significa, cambiamento. Ed è vero che  Nuit Debout rappresenta la catastrofe per questo governo. A chi si aspettava che avremmo rivendicato educatamente, rispondiamo che non vogliamo rivendicare, che quelli che erano divisi ora sono uniti. Altre idee ci vengono in mente, idee sconcertanti. Pertanto, in questo senso, la situazione è catastrofica. E potrebbe essere la migliore notizia politica da decenni. Il primo atto della catastrofe —non l'ultimo, solo il primo— è un atto di immaginazione. Ed è per questo che ci siamo riuniti qui stasera, per immaginare la catastrofe, per entrare dentro la catastrofe».

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