[ 7 ottobre ]
CLASSI E BLOCCO SOCIALE NELLA SOCIETÀ ODIERNA
«Ogni soggetto politico che aspira ad essere maggioritario e ad ottenere un radicamento vero nella società, non può evitare di sviluppare ragionamenti e analisi su quali siano all'interno della comunità, gli individui che potrebbero formare un blocco sociale di riferimento.
Lo sviluppo dell'analisi di classe era pratica comune nella tradizione comunista ma anche tra i protagonisti dello scenario politico nella Prima Repubblica e per molti anni è stato un metodo con cui valutare i mutamenti e la composizione della società per poi estrarne strategie politiche ed indicazioni elettorali.
L'analisi di classe quindi è il metodo che permette di identificare il perimetro del blocco sociale di riferimento e lo strumento per interpretare le dinamiche di cambiamento della società ed i conflitti che queste innescano.
La fine della storia, il "there is no alternative" liberista urlato dopo la caduta del socialismo reale, hanno, per quasi venticinque anni, fatto sembrare la lotta di classe una questione anacronistica legata a tempi lontani. Nel tempo infinito dell'oggi-presente consumista dove il benessere a debito corrompe tutto, certi concetti non erano più attuali e applicabili perchè, riprendendo le parole della Thatcher: "La società non esiste".
La definizione di classe, quindi insieme di individui che hanno lo stesso posto nella produzione sociale e in conseguenza lo stesso rapporto con i mezzi della produzione, con il dispiegarsi incontrastato del liberismo è stata culturalmente rimossa e, di pari passo, si affievoliva anche la coscienza di classe, condizione propedeutica a qualsiasi dinamica di conflitto.
L'incapacità per il sistema capitalista finanziario di garantire una equa distribuzione di ricchezza e la sua tendenza all'accentramento del capitale resa evidente dalla crisi del 2007-2008 e dalle politiche economiche di austerità dispiegate come rimedio ad ogni male, ci conferma che una lotta di classe è stata combattuta ed è stata drammaticamente persa, avvantaggiando le classi capitaliste dominanti ormai apertamente definite oligarchiche.
I cambiamenti sociali avvenuti negli ultimi trent'anni hanno eroso un pezzo alla volta ogni relazione sociale e compromesso ogni organizzazione, coltivando il fiore del male dell'individualismo in ogni ambito della società.
Il concetto stesso di classe ha quindi subito una metamorfosi degenerativa in quanto l'omogeneità economica e culturale è stata sgretolata mediante il potere omologante e perverso della società dei consumi ormai armata con i nuovi strumenti comunicativi che la tecnologia informatica consente.
Gli attacchi mediatici-pubblicitari sono stati pesanti ed hanno istigato le masse a cambiare le abitudini al risparmio e al consumo facendo passare come vincente la visione di spesa a debito americana che fa compulsivamente corrispondere ad ogni bisogno indotto l'acquisto di beni di cui non si ha necessità, con i soldi che non si posseggono.
In questo tripudio di ebbrezza che senso ha parlare di classe? In un mondo in cui tutti sono proiettati a consumare, a costruire case con mutui ingannevoli, a spendere credendo di essere dalla parte del manico non ha senso porsi queste domande. L'idea di classe, di lotta di classe e di coscienza di classe era in quegli anni un bagaglio pesante di un passato che stava bene chiuso a doppia mandata in soffitta.
A distanza di decenni, incominciamo a percepire l'importanza di quel bagaglio, che aperto oggi ci può ridare alcuni strumenti per comprendere le contraddizioni di un sistema capitalista che ora più che mai dimostra in tutta evidenza, anche in Europa, di non essere più in grado di garantire il benessere dei popoli.
Ricominciare dall'analisi di classe è un primo passo per capire quali sono le mutazioni profonde e le tendenze che la società ha subito in questi lustri e come tenerne conto per formulare alternative politiche che come dice Gramsci devono riuscire a "fare affiorare il nuovo che è divenuto necessario e urge implacabilmente al limitare della storia".
Prima di tutto è necessario andare a ridefinire un insieme di partenza, che oggi non è più il nucleo classico formato dal lavoro salariato ma è un aggregato che si estende oltre e che, viste le mille nuove forme di rapporti di lavoro che tendono a nascondere la condizione effettiva di lavoratore salariato, può essere identificato come il lavoro dipendente direttamente dal capitale.
Per non confondere chi si vuole confondere, la lotta di classe possiamo anche non nominarla più, ma l'esistenza di sfruttati e sfruttatori e lo studio della lotta tra chi soffre e chi fa soffrire è necessaria e sempre attuale.
Le tendenze oggettive a cui abbiamo assisito negli anni e a cui assistiamo quotidianamente sono l'intreccio costante di numerosi fattori. Entrando nel merito si riportano di seguito alcune riflessioni sulle questioni che risultano determinanti nel valutare i contorni di un nuovo blocco sociale di riferimento e quali ostacoli si dovranno superare per riconquistare un'omogeneità culturale e la consapevolezza necessaria.
Serve una nuova strategia d'attacco visto che da difendere non c'è rimasto più nulla.
Dal punto di vista dell'istruzione e della cultura i dati statistici sono allarmanti.
Analizzando questi dati è chiaro come i ragionamenti di classe valevoli in passato sono assolutamente inadeguati a descrivere la mutazione che la società ha subito e nuovi criteri di valutazione devono essere utilizzati per caratterizzare la classe che subisce lo sfruttamento da parte del capitale.
In conclusione possiamo affermare che un blocco sociale colpito dallo sfruttamento esiste ed è ogni giorno più ampio. Tutti coloro che dipendono esclusivamente dal capitale sono oggi a rischio di subire un peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita. Disoccupati, precari, salariati, piccoli imprenditori sono oggi i soggetti più esposti allo sfruttamento sia esso consapevole che inconsapevole che questo modello di sviluppo economico ci impone. La coscienza di appartenere ad un insieme di persone che condividono lo stesso problema, l'omogeneità culturale ed economica di questo blocco sociale non è oggi una realtà.
L'inizio di un percorso di sintesi di nuovi paradigmi e di nuove lotte organizzate che vadano a sottolineare ed amplificare le contraddizioni reali della società capitalistica odierna deve nascere e partire a tutti i costi. Noi, uomini e donne custodi dei valori democratici costituzionali con lo sguardo rivolto ad un mondo diverso da quello che viviamo, dobbiamo assumercene la responsabilità a tutti i livelli».
CLASSI E BLOCCO SOCIALE NELLA SOCIETÀ ODIERNA
«Ogni soggetto politico che aspira ad essere maggioritario e ad ottenere un radicamento vero nella società, non può evitare di sviluppare ragionamenti e analisi su quali siano all'interno della comunità, gli individui che potrebbero formare un blocco sociale di riferimento.
Lo sviluppo dell'analisi di classe era pratica comune nella tradizione comunista ma anche tra i protagonisti dello scenario politico nella Prima Repubblica e per molti anni è stato un metodo con cui valutare i mutamenti e la composizione della società per poi estrarne strategie politiche ed indicazioni elettorali.
L'analisi di classe quindi è il metodo che permette di identificare il perimetro del blocco sociale di riferimento e lo strumento per interpretare le dinamiche di cambiamento della società ed i conflitti che queste innescano.
La fine della storia, il "there is no alternative" liberista urlato dopo la caduta del socialismo reale, hanno, per quasi venticinque anni, fatto sembrare la lotta di classe una questione anacronistica legata a tempi lontani. Nel tempo infinito dell'oggi-presente consumista dove il benessere a debito corrompe tutto, certi concetti non erano più attuali e applicabili perchè, riprendendo le parole della Thatcher: "La società non esiste".
La definizione di classe, quindi insieme di individui che hanno lo stesso posto nella produzione sociale e in conseguenza lo stesso rapporto con i mezzi della produzione, con il dispiegarsi incontrastato del liberismo è stata culturalmente rimossa e, di pari passo, si affievoliva anche la coscienza di classe, condizione propedeutica a qualsiasi dinamica di conflitto.
L'incapacità per il sistema capitalista finanziario di garantire una equa distribuzione di ricchezza e la sua tendenza all'accentramento del capitale resa evidente dalla crisi del 2007-2008 e dalle politiche economiche di austerità dispiegate come rimedio ad ogni male, ci conferma che una lotta di classe è stata combattuta ed è stata drammaticamente persa, avvantaggiando le classi capitaliste dominanti ormai apertamente definite oligarchiche.
I cambiamenti sociali avvenuti negli ultimi trent'anni hanno eroso un pezzo alla volta ogni relazione sociale e compromesso ogni organizzazione, coltivando il fiore del male dell'individualismo in ogni ambito della società.
Il concetto stesso di classe ha quindi subito una metamorfosi degenerativa in quanto l'omogeneità economica e culturale è stata sgretolata mediante il potere omologante e perverso della società dei consumi ormai armata con i nuovi strumenti comunicativi che la tecnologia informatica consente.
Gli attacchi mediatici-pubblicitari sono stati pesanti ed hanno istigato le masse a cambiare le abitudini al risparmio e al consumo facendo passare come vincente la visione di spesa a debito americana che fa compulsivamente corrispondere ad ogni bisogno indotto l'acquisto di beni di cui non si ha necessità, con i soldi che non si posseggono.
In questo tripudio di ebbrezza che senso ha parlare di classe? In un mondo in cui tutti sono proiettati a consumare, a costruire case con mutui ingannevoli, a spendere credendo di essere dalla parte del manico non ha senso porsi queste domande. L'idea di classe, di lotta di classe e di coscienza di classe era in quegli anni un bagaglio pesante di un passato che stava bene chiuso a doppia mandata in soffitta.
A distanza di decenni, incominciamo a percepire l'importanza di quel bagaglio, che aperto oggi ci può ridare alcuni strumenti per comprendere le contraddizioni di un sistema capitalista che ora più che mai dimostra in tutta evidenza, anche in Europa, di non essere più in grado di garantire il benessere dei popoli.
Ricominciare dall'analisi di classe è un primo passo per capire quali sono le mutazioni profonde e le tendenze che la società ha subito in questi lustri e come tenerne conto per formulare alternative politiche che come dice Gramsci devono riuscire a "fare affiorare il nuovo che è divenuto necessario e urge implacabilmente al limitare della storia".
Prima di tutto è necessario andare a ridefinire un insieme di partenza, che oggi non è più il nucleo classico formato dal lavoro salariato ma è un aggregato che si estende oltre e che, viste le mille nuove forme di rapporti di lavoro che tendono a nascondere la condizione effettiva di lavoratore salariato, può essere identificato come il lavoro dipendente direttamente dal capitale.
Per non confondere chi si vuole confondere, la lotta di classe possiamo anche non nominarla più, ma l'esistenza di sfruttati e sfruttatori e lo studio della lotta tra chi soffre e chi fa soffrire è necessaria e sempre attuale.
Le tendenze oggettive a cui abbiamo assisito negli anni e a cui assistiamo quotidianamente sono l'intreccio costante di numerosi fattori. Entrando nel merito si riportano di seguito alcune riflessioni sulle questioni che risultano determinanti nel valutare i contorni di un nuovo blocco sociale di riferimento e quali ostacoli si dovranno superare per riconquistare un'omogeneità culturale e la consapevolezza necessaria.
Serve una nuova strategia d'attacco visto che da difendere non c'è rimasto più nulla.
- I dati ISTAT usciti nel 2015 e relativi al 2014 mettono in risalto la presenza di tassi di disoccupazione ancora altissimi (12,7%) che diventano drammatici in ambito giovanile (42,7% dai 15 ai 24 anni).
- Nei dati ISTAT si evidenzia la tendenza a partire dal 2004 ad una diminuzione dei lavoratori indipendenti ed una crescita di lavoratori dipendenti. Il panorama vede nel 2014 una percentuale del 75,3% di lavoro dipendente contro un 24,7% di lavoro indipendente altamente para-subordinato.
- Si amplia sempre più il settore dei servizi ormai giunto al 69% (15,5 mln di persone) relegando primario [agricoltura, ndr] e secondario [industria, ndr] a rispettivamente il 3,6% (800.000 persone) e 26,9% (circa 6 mln di persone). La crescita del settore terziario oltrepassa i vecchi comparti bancario e pubblico per inglobare un'ampia fetta dei servizi all'industria e alla grande distribuzione.
- Il lavoro manuale e non manuale che in passato caratterizzavano la differenza tra industria e terziario oggi perde di significato ed infatti si assiste all'utilizzo di lavoro manuale diffuso in molti settori dei servizi basti pensare ancora all'esempio della grande distribuzione.
- Il legame univoco tra qualificazione e stabilità è saltato e si assiste alla diffusione della stabilità tra lavoratori dequalificati e di età avanzata mentre giovani lavoratori qualificati subiscono la precarizzazione in ambiti come la scuola, la ricerca e l'università. La messa in campo, fin dai tempi del pacchetto Treu, di lavoro regolato da rapporti atipici ha creato una ormai incancrenita molteplicità di posizioni con condizioni molto spesso senza nessuna protezione.
- La crescita diffusa della precarietà rimane un elemento indispensabile per ottenere quell'aumento di flessibilità e produttività che sembra poter far ritornare il sorriso agli amanti del saggio di profitto. Il lavoro però è un diritto costituzionale e va garantito. Un disoccupato che non percepisce reddito non è un uomo libero di vivere e progettare serenamente la propria esistenza. La funzione sociale del capitale privato deve tornare ad essere reclamata a garanzia di un patto sociale che altrimenti non può tenere.
- Molto spesso la condizione di precarietà induce anche la falsa percezione di essere "imprenditore di sè stessi" rendendo i lavoratori inconsapevoli della propia pesante subordinazione al capitale ed impedendone la sindacalizzazione.
- La condizione della donna nel mondo del lavoro rimane discriminata in termini di precarietà, guadagno e carriera anche se la diffusa scolarizzazione e consapevolezza contribuisce ad intravvedere un costante miglioramento.
- La presenza sempre più numericamente importante di lavoratori immigrati senza diritti di cittadinanza, poco rivendicativi e discriminati rappresenta molto spesso un freno alla lotta sindacale. Esempi di rivendicazioni sindacali condotte da lavoratori immigrati sono comunque presenti e stanno aumentando negli ultimi anni. I cittadini stranieri regolarmente residenti in Italia hanno raggiunto il numero di quasi 5 milioni ad inizio 2015 di cui circa 3,8 milioni non comunitari.
- In seguito alla crisi economica, la popolazione in condizioni di povertà effettiva è aumentata mettendo in risalto anche una variazione nella composizione delle fasce di povertà.
- L'assenza di ammortizzatori sociali in molti ambiti lavorativi e la flessibilità tante volte imposta vano a creare estese sacche di povertà spesso lasciate alla deriva.
- Nel 2014, 1 milione e 470 mila famiglie (5,7% di quelle residenti) sono in condizione di povertà assoluta. Questo significa che 4 milioni 102 mila persone (6,8% della popolazione residente) hanno difficoltà a reperire quotidianamente le risorse per il normale minimo sostentamento.
- La povertà relativa, ovvero il parametro che esprime le difficoltà economiche delle persone in rapporto al livello economico medio di vita della nazione, risulta stabile e coinvolge nel 2014, il 10,3% delle famiglie e il 12,9% delle persone residenti, per un totale di 2 milioni 654 mila famiglie e 7 milioni 815 mila persone.
- La perdita di potere d'acquisto e di risparmio del comunemente detto "ceto medio" sta portano ad una convergenza di molti individui su standard di vita più bassi e ad una pressione verso la proletarizzazione.
- Dal punto di vista demografico-elettorale, il paese Italia è un paese per vecchi. Su un corpo elettorale di circa 50 mln di elettori circa 11 mln hanno tra i 60 e i 75 anni per una parcentuale pari al 22%. La voglia di cambiamento, con le dovute eccezioni (mi piace ricordare Mario Monicelli) non è cosa da età troppo avanzata.
Dal punto di vista dell'istruzione e della cultura i dati statistici sono allarmanti.
- Una percentuale che oscilla tra il 50 e il 60% della popolazione non ha letto un libro nel 2014.
- Ogni informazione sulla realtà viene irradiata tramite televisione per il 92% degli italiani. Poco meno della metà (circa il 47%) legge quotidiani. Il 57,3% della popolazione con più di 6 anni naviga regolarmente su internet.
- Nell'ambito dell'istruzione, calano del 9% le immatricolazioni alle Università e gli iscritti rilevati nel 2013 erano circa 1,7 milioni di persone. La percentuale di laureati è del 12,5% sulla popolazione con più di 15 anni, il 20% ha solo la licenza elementare, il 30% ha il diploma di maturità, il 32% la licenza media, il 5,5% un diploma di formazione.
Analizzando questi dati è chiaro come i ragionamenti di classe valevoli in passato sono assolutamente inadeguati a descrivere la mutazione che la società ha subito e nuovi criteri di valutazione devono essere utilizzati per caratterizzare la classe che subisce lo sfruttamento da parte del capitale.
- Un elemento finale peggiorativo che va ad aggiungersi alle considerazioni sopra riportate, riguarda gli ultimi dati usciti relativi all'analfabetismo funzionale, ovvero la capacità di leggere e scrivere però senza saper comprendere un testo o risolvere semplici problemi matematici. A fronte di una scolarizzazione arrivata al 93%, prendendo le percentuali con le pinze perchè mai ben definite, si rileva in un'ampia base della popolazione l'incapacità di sviluppare strumenti cognitivi di comprensione e quindi di elaborazione sia delle informazioni ricevute dai media che della stessa realtà. Questo aspetto, insieme allo spiccato individualismo generato dall'ormai asfissiante clima di competizione funge sicuramente da freno alla costruzione di consapevolezza e di vicinanza collettiva ad una comune condizione.
In conclusione possiamo affermare che un blocco sociale colpito dallo sfruttamento esiste ed è ogni giorno più ampio. Tutti coloro che dipendono esclusivamente dal capitale sono oggi a rischio di subire un peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita. Disoccupati, precari, salariati, piccoli imprenditori sono oggi i soggetti più esposti allo sfruttamento sia esso consapevole che inconsapevole che questo modello di sviluppo economico ci impone. La coscienza di appartenere ad un insieme di persone che condividono lo stesso problema, l'omogeneità culturale ed economica di questo blocco sociale non è oggi una realtà.
L'inizio di un percorso di sintesi di nuovi paradigmi e di nuove lotte organizzate che vadano a sottolineare ed amplificare le contraddizioni reali della società capitalistica odierna deve nascere e partire a tutti i costi. Noi, uomini e donne custodi dei valori democratici costituzionali con lo sguardo rivolto ad un mondo diverso da quello che viviamo, dobbiamo assumercene la responsabilità a tutti i livelli».
* Michele Berti, membro del Consiglio nazionale di Ora-Costituente
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