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domenica 29 luglio 2018

I SOCIALISTI E IL CAMPO POPULISTA di Giancarlo D'Andrea*

[ 29 luglio 2018 ]

Una presenza socialista: Quando? Dove? Come?

Per un vecchio socialista rivoluzionario come me è stato veramente piacevole incontrare nuovamente, sulle pagine di SOLLEVAZIONE (in questo strano, non solo per motivi meteotologici, mese di luglio) compagni socialisti, più giovani e più brillanti del sottoscritto. Segno che qualcosa si muove dopo il terremoto del 4 Marzo anche in questo campo piccolo e così disastrato.

Mi riferisco ai tre articoli ospitati su Sollevazione il 7 Luglio LA SINISTRA (COMPASSIONEVOLE) ZINGARESCA di Norberto Fragiacomo, dirigente nazionale di Risorgimento Socialista, subito seguito il 9 Luglio da UNIRE I PATRIOTI COSTITUZIONALI  di Giuseppe Angiuli, giovane dirigente socialista patriottico pugliese e, last but not least, il 16 Luglio con IL PUNTO DI NON RITORNO di Riccardo Achilli, socialista economista e fine analista politico.


Ci eravamo incontrati lo scorso anno durante la breve esperienza della Confederazione per la Liberazione Nazionale, l'esperienza senza dubbio più avanzata, a mio avviso, nel campo di quella sinistra italiana popolare e patriottica che in breve tempo, per dissidi interni che andrebbero nuovamente indagati alla luce della situazione dopo il 4 marzo e la formazione del governo M5s-Lega, si è purtroppo arenata e ci ha portato su sponde diverse e con posizioni che andrebbero giusto appunto riconsiderate.

Uno di questi tre giovani compagni è rimasto in Risorgimento Socialista, e ha attraversato l’esperienza della coalizione elettorale Potere al Popolo assieme a Giorgio Cremaschi in Eurostop e quanto in questo momento in questo gruppone stia avvenendo. Un secondo si è impegnato nell’esperienza, non certo di successo, di Lista del Popolo assieme a Giulietto Chiesa e Antonio Ingroia — nonostante il tradimento del programma originario della lista elettorale. Il terzo, infine, ha scelto di dare un contributo di analisi e approfondimento che risulta sempre acuto e stimolante [Riccardo Achili è tra i firmatari del documento di Fassina e D'Attore in vista del congresso di LeU, NdR].


Ora, all’indomani del voto popolare più importante dal 1948, che ha comportato un terremoto nel panorama politico per come lo abbiamo vissuto per decenni, quindi la nascita della coalizione governativa populista — inedita e impensabile per quanti hanno perduto nel corso degli anni ogni contatto con un popolo e un Paese impoverito e umiliato —, terremoto che prosegue con violente e ripetute scosse telluriche in tutti i campi della vita del Paese; ecco, forse sarebbe giunto il momento di riannodare i fili di un ragionamento politico cercando di comprendere la realtà e le dinamiche sociali che la sottendono.

Leggere le riflessioni, critiche e più spesso autocritiche, dei tre compagni di questa area socialista che in ogni caso, pur tra errori e colpevoli incertezze, non ha portato comunque il cervello all’ammasso, incoraggia a riprendere con la pazienza che contraddistingue chi ha a cuore la possibilità che nel marasma che stiamo attraversando, dentro la battaglia per la riconquista della sovranità nazionale e per l’attuazione della costituzione si faccia strada l’idea di una necessaria prospettiva socialista per il nostro popolo e per la nostra Patria.


Sarebbe sicuramente utile che insieme si riprendesse il confronto rispondendo ognuno per come la vede alle tre domande che sono davanti a noi:

(1) Quando?

Io penso che sia giunta l’ora di rivendicare a testa alta, dentro una battaglia di liberazione nazionale, per la riconquista della sovranità popolare, uno sbocco popolare e socialista dall’ordine turbo capitalista che ha distrutto il Paese, impoverito milioni di persone, e fatto arretrare diritti e dignità fino a livelli insopportabili. Se non cogliamo il momento potrebbe rivelarsi fatale, il tempo è ora!


(2) Dove?

Nel campo del popolo che si ribella come può e con i mezzi e i canali di espressione che riesce a utilizzare, qui, nel campo del popolo contro le élite, nel campo populista con tutte le sue contraddizioni, sporcandoci le mani con la nostra classe, con chi suda e lavora, con chi combatte disperatamente per riconquistare lavoro e dignità: senza esitazione contro le oligarchie e le forze che la sostengono — di destra, di centro e soprattutto della sinistra che ha venduto il popolo e il nostro Paese. 


(3) Come?

Riorganizzando le nostre fila, nella maniera più democratica possibile, con la consapevolezza che la società liquida imposta dalle oligarchie richiede disciplina e militanza organizzata per 
«... affrancarsi definitivamente da una sinistra fellona e traditrice, da decenni posta al servizio permanente del finanz-capitalismo e, in secondo luogo, quello di serrare le fila per ritrovarsi tutti quanti nel progetto ambizioso e non più rinviabile di dare vita ad una nuova area politica del patriottismo costituzionale» 
come ha sostenuto il compagno Angiuli, incamminandosi quindi sulla strada, coraggiosa ma non facile, proposta da Fragiacomo di abbandonare
« ... una sinistra rigidamente anti-sovranista la formazione cui appartengo [Risorgimento Socialista, NdA] dovrà fare tosto o tardi i conti: forse è preferibile abbandonare il gruppone finché si è in tempo forse, cercando in solitudine sentieri nuovi e — si spera — nuovi (o magari “vecchi”) compagni di avventura piuttosto che incamminarsi in corteo verso il burrone dell’irrilevanza e della banale accettazione dell’esistente».
Sono assolutamente convinto che abbiamo bisogno di una forza politica indipendente che stia nel campo populista con chiarezza e senza tentennamenti, che proprio grazie alla sua coesione politica ed organizzativa sia in grado di applicare tattiche flessibili, intelligenti ed audaci, come sostiene il compagno Achilli anche adottando forme di 
«entrismo intelligente e critico dentro il corpaccione del populismo di potere, per lavorarlo dall’interno, cercando di piegarne a sinistra, per quanto possibile, le enormi potenzialitŕ di consenso che presidia».
Si credo sia ormai non più rinviabile, ne andrebbe della coerenza e credibilità di ognuno di noi quattro, che noi si ricominci a tessere la tela…..

* Giancarlo D'Andrea è membro del Comitato centrale di P101

mercoledì 30 agosto 2017

LA SINISTRA "RADICALE" IN SICILIA E I SOLITI TROMBATI di S.St

[ 31 agosto ]

DELLA SERIE: CORNUTI E MAZZIATI

Precedenti articoli sulle elezioni siciliane

- PATTO POLITICO TRA SICILIA LIBERA E SOVRANA E LA CNL
- ELEZIONI DEL 5 NOVEMBRE: "SICILIA LIBERA E SOVRANA" SI PRESENTA
- SICILIA: VERSO LE ELEZIONI DEL 5 NOVEMBRE
- SICILIA: E QUESTA SAREBBE LA SINISTRA? di S. St.
- SICILIA: MANOVRE E MANOVRATORI A SINISTRA di S. St
- SICILIA: 10 TESI IN VISTA DELLE ELEZIONI REGIONALI 
di Beppe De Santis
- LA SICILIA CHE VOGLIAMO di Beppe De Santis


Voglio anzitutto ringraziare SOLLEVAZIONE che ospita i miei dispacci pre-elettorali dal profondo Sud. Mi era stato chiesto di stare alle calcagna delle sinistre sicule, e continuo a farlo.

Ricordo ai lettori del blog dei miei tre dispacci il primo: SICILIA: E QUESTA SAREBBE LA SINISTRA ALTERNATIVA?


Qui rendevo conto dell'assemblea regionale svoltasi a Palermo il 29 luglio, quindi l'annuncio in pompa magna, da parte dei presenti —il Partito della Rifondazione Comunista, il Partito Comunista Italiano (ex-cossuttiani), i civatiani di Possibile, Azione Civile di Ingroia Risorgimento Socialista e cespugli sinistrati vari— di andare uniti alle elezioni come "sinistra alternativa.

C'era il trucco, scrivevo, poiché Navarra, scelto come candidato alla Presidenza della regione  si era detto subito pronto a farsi da parte ove ci fosse un accordo con Sinistra Italiana e MDP-Articolo 1 di Bersani e D'Alema. Ed io fui facile profeta a dire che molto probabilmente questa sarebbe stata la conclusione.

Infatti andranno tutti uniti appassionatamente con la stessa lista: i dalemiani di Articolo 1-MDP, Sinistra Italianae i vari cespuglie e cespuglietti della cosiddetta "sinistra radicale".

Rifondazione comunista siciliana, per bocca del segretario regionale Cosentino, ha diffuso un comunicato — Elezioni siciliane: Rifondazione Comunista per una lista alternativa al Pd, alle destre, al crocettismo —in cui annuncia la piena disponibilità del suo partito di fare un passo indietro in nome dell'unità di tutti i sinistrati sotto l'egida dei dalemiani e dei sellini.

Quelli del Partito Comunista Italiano si era smarcati già alcuni giorni prima. Con un comunicato addirittura del segretario nazionale Alboresi — Il Segretario Nazionale sulle elezioni Regionali in Sicilia.

Abbiate la pazienza di leggerli questi due scarni comunicati. Così, giusto per rendersi conto fino a che punto arrivano miseria politica e opportunismo, e la disperata voglia di restare a galla. Contenuti politici ZERO!

Che faranno adesso i trombati, voglio dire, i cespuglietti siciliani di Azione Civile di Ingroia e Risorgimento Socialista? E' evidente che l'accordo coi dalemiani e i Sinistrati italiani, è stato fatto alle loro spalle. Loro che hanno strombazzato ai quattro venti come un evento epocale la discesa in campo della "sinistra alternativa", si accorgono che... non c'è alcuna "sinistra alternativa". Ben gli sta!

Confessando uno sconforto pari alla rabbia Franco Bartolomei, il padre-padrone di Risorgimento Socialista, così piange sul latte versato:



Il Bartolomei, facendo il verso al suo sodale dei Nebrodi Fabio Cannizzaro, si lamenta perché i suoi corifei siciliani sono stati brutalmente raggirati. Il che la dice lunga sulla arguzia di certi personaggi che col pretesto di unire la sinistra


Cornuti e mazziati.

E Ingroia? Sparito dai radar.

lunedì 31 luglio 2017

RISORGIMENTO SOCIALISTA AL BIVIO di Giuseppe Angiuli*

[ 31 luglio 2017]

 Elezioni regionali del 5 novembre in Sicilia. 
Ieri davamo conto dell'assemblea che ha dato i natali alla lista della "Sinistra Alternativa". Tale iniziativa, sull'onda di un appello diffuso nel mese di aprile, raggruppa: PRC, PCI, Lista-Ingroia, i civatiani di Possibile, e Risorgimento Socialista. Una scelta, questa di Risorgimento Socialista, che non è condivisa al suo interno.


Nella storia del nostro Paese, i laboratori politici che si sperimentano nel contesto della Regione Sicilia, molto spesso hanno anticipato i successivi scenari politici italiani e per questa ragione quello che accade in Sicilia non può che assumere sempre una grande importanza anche per gli equilibri nazionali.

La lista identitaria "de sinistra" presentata sabato scorso a Palermo (che comprende PRC, PCI, Lista-Ingroia, Risorgimento Socialista e civatiani di POSSIBILE) ripropone tutti i consueti limiti di numerose esperienze recenti (tutte segnate da clamorosi insuccessi elettorali, perché non apprezzate dal popolo) e che si richiamano alla mera appartenenza identitaria alla "sinistra", senza mettere in discussione nessuno dei punti decisivi della fase attuale, primo tra tutti la necessità di uscire dai Trattati U.E. e dall'euro.

Ci si appella genericamente a delle mere petizioni di principio (più lavoro, più giustizia sociale, più welfare, ecc.) senza però mettere in discussione la gabbia eurocratica e la perdita di sovranità nazionale, che sono la prima causa delle scellerate scelte di austerità che opprimono il popolo siciliano ed italiano.
Franco Bartolomei, Coordinatore di Risorgimento Socialista.
Il Manifesto elettorale per le elezioni del 2013 recitava: "il
24 ed il 24 febbraio votate e fate votare PSI, al Senato con
Bobo Craxi e Franco Bartolomei alle regionali del Lazio".

Dopo avere compreso tutti i limiti di questa impostazione politica gravemente errata, che sarà coronata dall'immancabile ed ennesimo insuccesso elettorale nelle urne siciliane, un gruppo di compagni e dirigenti di Risorgimento Socialista, dissociandosi apertamente dalle decisioni assunte dal nostro partito in Sicilia, purtroppo apertamente avallate dal coordinatore nazionale di Risorgimento Socialista che le ha definite "un modello da riproporre a livello nazionale", hanno diffuso pubblicamente il documento del 14 luglio (data dell'anniversario della Rivoluzione Francese).

Noi socialisti del gruppo del 14 luglio riteniamo che al giorno d'oggi, insistere pervicacemente con la riproposizione dello schema astratto, consunto e demenziale della "unità delle sinistre", costituisca la più nefasta delle ricette politiche a cui si possa ricorrere.

Le immediate aperture a D'Alema ed ad Articolo 1-MDP da parte del candidato "di sinistra" alla Presidenza della Regione Sicilia ci dimostrano che purtroppo siamo stati dei facili profeti di sventura.

Il nostro Paese non ha più bisogno di una astratta ed indefinita "unità delle sinistre" bensì di una coalizione patriottica ed anti-liberista che lo conduca fuori dalla gabbia dei Trattati U.E.: tutto il resto è fuffa.

* Giuseppe Angiuli è Responsabile esteri di Risorgimento Socialista e fa parte del Coordinamento della Confederazione per la Liberazione Nazionale

domenica 30 luglio 2017

SICILIA: E QUESTA SAREBBE LA SINISTRA ALTERNATIVA? di S.St.

[ 30 luglio 2017 ]

In vista delle elezioni regionali siciliane del 5 novembre, si è svolta ieri a Palermo l'annunciata assemblea per una lista della "sinistra alternativa siciliana". 
L'assemblea vedeva assieme  il Partito della Rifondazione Comunista, il Partito Comunista Italiano (ex-cossuttiani), i civatiani di Possibile, Azione Civile di Ingroia —Ingroia, nominato da Crocetta, è a tutt'oggi al vertice di una società regionale— Risorgimento Socialista e cespugli sinistrati vari. 
Non disponiamo del documento di accordo approvato, ma siamo certi che non riserverà sorprese: la solita minestra riscaldata sinistrese, la solita fuffa generalista sui diritti, il fondamentalismo dell'accoglienza per i migranti, il lamento per le ingiustize sociali, la retorica democratica in difesa della Costituzione. Temiamo che niente verrà detto sulla rimozione delle cause del disastro sociale, quindi sulla necessità di uscire dalla gabbia neoliberista dell'euro. Nulla sul fatto che non ci può essere sovranità popolare né applicazione della Costituzione senza ripristinare la sovranità nazionale italiana e nel suo seno di quella del popolo siciliano.
La decisione presa dall'assemblea è che l’editore Ottavio Navarra, [nella foto più sotto] ex-parlamentare PDS, sarà il candidato alla presidenza della Regione della lista di "sinistra alternativa al PD e alle destre". 

Ma... c'è una sorpresina. Lo stesso Navarra si è detto pronto a farsi da parte se, in prospettiva, si farà strada un accordo con Sinistra Italiana e MDP-Articolo 1 di Bersani e D'Alema.  
Leggiamo infatti sul Giornale di Sicilia on line di ieri:
«PALERMO. Prove tecniche di sinistra in vista delle regionali di novembre in Sicilia. I comitati siciliani di «Possibile», insieme a Rifondazione comunista e Azione Civile dicono no alle politiche del Pd e a Rosario Crocetta e lanciano una lista che unisca il mondo civico e quello politico di sinistra per costruire un progetto credibile e alternativo con la candidatura di Ottavio Navarra alla carica di governatore della Sicilia.
E’ quanto emerso nel corso della convention che si è svolta oggi a Palermo. La sinistra guarda e punta a una coalizione, con un proprio candidato presidente, che annoveri al proprio interno anche Sinistra Italiana e Mdp-Art 1. Non a caso proprio Navarra, che l’assise ha designato candidato in pectore alla Presidenza, è pronto a fare un passo indietro in caso di un ok degli "alleati» alla costruzione di un progetto comune che metta al centro dell’agenda politica i diritti: dall’ambiente, al lavoro, alla salute fino a quelli civili».
Avete capito? Siamo alle solite, al consueto opportunismo per cui di dice una cosa ma si punta, per strappare uno scranno, a farne un'altra. Ben sapendo che la lista in questione non riuscirà nemmeno questa volta a superare lo sbarramento del 5%, si sacrifica la "radicalità" per lasciare la porta aperta all'inciucio con Sinistra Italiana e MDP-Articolo1 (gli ultra-europeisti che hanno governato distruggendo il Paese). Immaginate quali potranno essere i contenuti. Il nulla, sa parte un becero anti-renzismo, che in Sicilia si declina in facile sparare sulla croce rossa (anti-crocettismo).

Quale sarà la risposta dei bersano-d'alemiani e di Sinistra Italiana? Non è ancora dato sapere. Di certo essi puntano ad infliggere, in vista le elezioni nazionali di primavera, una sonora sconfitta al Pd renziano, ciò nella speranza che nel Pd Renzi venga defenestrato. In questa prospettiva farà comodo o no inglobare la "sinistra alternativa" dandogli qualche strapuntino? Forse sì...

Vedremo le prossime puntate della saga della sinistra siciliana.

Nel frattempo procede l'attività dell'alleanza che ha dato vita alla lista NOI SICILIANI CON BUSALACCHI - SICILIA LIBERA E SOVRANA. Una lista che in continente vede il sostegno della Confederazione per la Liberazione Nazionale, una collaborazione scolpita nel patto siglato giorni fa.


martedì 18 luglio 2017

DOVE VA RISORGIMENTO SOCIALISTA di Riccardo Achilli, Giuseppe Angiuli e altri

[ 18 luglio 2017 ]

Pubblichiamo qui un contributo programmatico sottoscritto da alcuni iscritti e dirigenti di Risorgimento Socialista, che puntualizza la linea politica socialista e sovranista che è comune anche alla Confederazione per la Liberazione Nazionale (CLN) e che motiva l'adesione di Risorgimento Socialista alla CLN. 
Tale documento, pur essendo finalizzato al confronto interno a Risorgimento Socialista, ed in particolare al consolidamento delle sue strategie programmatiche ed operative, viene da noi pubblicato perché gli otto punti programmatici in esso specificati sono del tutto coerenti con gli obiettivi della nostra Confederazione
E' quindi auspicabile che i contenuti di detto documento vengano resi noti ad una platea più larga, e che la sua pubblicazione assuma il significato di sostegno, da parte della Cln, al confronto avviato da questi compagni dentro Risorgimento Socialista.


8 PUNTI PROGRAMMATICI PER RISORGIMENTO SOCIALISTA 

Un documento politico per Risorgimento Socialista proposto da:

Riccardo Achilli, Giuseppe Angiuli, Thomas Del Monte, Angelo Fontanella, Federica Francesconi, Angelo Milano, Mattia Morelli, Monica Notari, Mauro Poggi, Paolo

Zacchia, Antonio Zito

  
«La gravità e la profondità della crisi economica e sociale che le società capitaliste stanno vivendo, dovuta alle imminenti innovazioni tecnologiche (sintetizzate nel termine giornalistico di Industria 4.0 e che rivoluzioneranno la struttura del mercato del lavoro e le stesse relazioni sociali), nonché gli effetti della globalizzazione (dalla liberalizzazione del commercio, all’euro, alle migrazioni) sempre più spesso considerate “inevitabili” e “positive” dalla sinistra “ufficiale”, stanno producendo una ristrutturazione di portata storica della società.

Una ristrutturazione che sta verticalizzando gli assetti di potere economico e politico, tanto da creare un potere oligarchico e tecnocratico tale da svuotare di contenuti le nostre democrazie parlamentari e distruggere gli organismi di rappresentanza intermedia.

Davanti a noi si stagliano scenari neo-feudali, in cui masse di esclusi, privati persino della loro identità sociale e nazionale, premeranno, affamati, contro le mura ben custodite di élites tecnocratiche ristrette. L’abbandono dell’approccio di classe da parte della sinistra ufficiale, che preferisce parlare genericamente di “lavoratori” o di “oppressi”, senza identificare le specificità delle dinamiche sociali, conduce allo stesso individualismo metodologico del neoliberismo (attraverso la narrazione di diritti civili finanche cosmetici) e dimostrandosi antistorica ed inadeguata ad affrontare la realtà attuale.

1. UN APPROCCIO DI CLASSE.

L’abbandono dell’approccio di classe da parte della sinistra ufficiale non consente di porre attenzione alla reale ed attuale necessità, costituita dalla tutela dei ceti medi in caduta libera, dell’ancora presente proletariato industriale, oltre che di classi sociali emergenti, che si collocano in posizioni ambigue ed intermedie rispetto alle vecchie definizioni di proletariato e piccola borghesia, come il precariato cognitivo, o i lavoratori della share economy.

2. NO AI TRATTATI U.E., NO ALL’EURO.

Un moderno partito del socialismo italiano deve saper prendere posizione in modo netto contro la globalizzazione, contestandone le cause, i sintomi ed i falsi rimedi. Stesso netto approccio critico meritano i trattati europei che istituiscono l’area di libero scambio, mediante la moneta unica euro. Nessuna critica all’Europa dei popoli, ma una severa contestazione delle politiche economiche modellate dal gioco “follow the leader” del mercantilismo tedesco, del mancato filtro all’accoglienza ed all’immigrazione, con la dovuta solidarietà verso i rifugiati e con un intelligente filtro di accesso alla componente economicamente più utile dell’immigrazione, a protezione dei valori di solidarietà, apertura e giustizia sociale, che restano patrimonio definitorio del socialismo.

3. NO ALL’IMMIGRAZIONE SENZA REGOLE, SI AL LAVORO E A WELFARE PER I LAVORATORI ITALIANI.


Il fenomeno dei flussi migratori incontrollati è sicuramente il prodotto del capitalismo nella fase imperialistica; tuttavia, per un’analisi sufficientemente obiettiva, occorre altresì affermare con chiarezza che detta forma di immigrazione incontrollata è strumentalizzata da poteri oligarchici come un novello “cavallo di Troia”, con il fine ormai chiaro di indebolire ulteriormente le già fragili economie dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, fino a causarne il tracollo. Far ricadere la gestione dell’attuale crisi migratoria internazionale sulla sola Italia significa assestare un duro colpo al suo stato sociale, che non gode di buona salute ed è attaccato, dall’interno e dall’esterno, dai sostenitori di un modello neoliberista – e disumanizzante – dell’economia. Immettere un numero altissimo di esseri umani in un sistema sociale ed in un mercato del lavoro già traballante, significa attuare una pianificazione volta a minarne le strutture portanti, sia a favore dei lavoratori italiani, sia degli immigrati inseriti ed integrati nella nostra società, mediante parametri realmente solidaristici e non di mera facciata.

4. LA DIMENSIONE NAZIONALE E LA RIAFFERMAZIONE DELLA DEMOCRAZIA.


Occorre tornare ad una dimensione nazionale e profondamente democratica della lotta politica e di classe, in quanto unica ad essere vincente; è noto, infatti, che i consessi sovranazionali non offrono, deliberatamente, alcun luogo istituzionale o sociale in cui condurre una battaglia politica in difesa dei lavoratori.

Il nostro sistema costituzionale e parlamentare, originario ed indipendente, si trova a Roma, non certo a Bruxelles, dove operano sedicenti consessi parlamentari privi di iniziativa legislativa, oltre a pseudo-istituzioni autoreferenziali che funzionano soltanto come camere di compensazione delle dispute fra i singoli interessi nazionali.

I cittadini che vogliamo rappresentare non sono un’entità metafisica che girovaga, senza patria né radici, a cavallo delle frontiere, ma vivono nel nostro Paese.

5. NESSUNA ALLEANZA È POSSIBILE CON LA SINISTRA ATTUALE: RIFONDARE IL

SOCIALISMO ITALIANO.

Il ceto medio acculturato e globalizzato, che ha fornito finora la base di consenso a sellismi e boldrinismi vari, non è certo il referente di un moderno socialismo fondato sulla lotta di classe.

Il compito politico-programmatico che ci attende è enorme. Si tratta di una battaglia importante e dura, rispetto a cui gli strumenti di analisi ed elaborazione della sinistra tradizionale si sono gravemente impoveriti nell’ultimo quarto di secolo, rimpiazzati, purtroppo, da populismi aggressivi e forieri di lacerazioni sociali.

Una battaglia difficile si vince con uno sforzo di lungo periodo, volto a ricostruire culturalmente le basi politiche del socialismo, distrutte da tempo, senza che le iniziali difficoltà di penetrazione del nostro messaggio ci tolgano entusiasmo e senza farsi abbagliare da tentazioni elettoralistiche ed opportunismi del momento.

La battaglia per una società più giusta va condotta guardando negli occhi i nostri interlocutori sociali, ricostruendo, nei loro confronti, la credibilità del socialismo, apparsa a molti perduta dalle varie versioni blairian-riformiste di una sinistra in realtà rivelatasi prona alle volontà della Finanza e del Capitale.

La credibilità si conquista con la coerenza delle azioni e ci impone, in primo luogo, di non oscillare, di avere una posizione ferma sulla contestazione delle reali cause delle nostre difficoltà: i trattati di libero scambio in Europa e dell’Euro.

6. PER UN MOVIMENTO SOCIALISTA DAVVERO ATTRATTIVO: NO ALLE ALLEANZE POLITICHE INCOERENTI.

Affinché RISORGIMENTO SOCIALISTA possa essere identificato con la generale volontà di ricostituire la cultura politica del socialismo italiano, occorrerà che il gruppo dirigente del nostro partito dimostri in ogni momento di informare le proprie scelte politiche a principi di serietà, coerenza e fermezza dinanzi a tutti i passaggi decisivi che ci separano dalle elezioni politiche del 2018, evitando di oscillare in modo erratico fra posizioni e prospettive politiche contraddittorie se non inconciliabili e, soprattutto, evitando di venire meno a qualsiasi accordo politico già siglato con altre forze politiche o coalizioni.

Non riteniamo opportuno che RISORGIMENTO SOCIALISTA offra sponde politiche ad operazioni di natura manifestamente elettoralistica e trasformistica, come si è rivelato l’incontro recentemente svoltosi il 18 giugno scorso al Teatro Brancaccio a Roma, in cui è stato riproposto il consueto e consunto schema – che tante volte abbiamo visto all’opera negli anni scorsi, con esiti catastrofici - della sinistra buonista e compassionevole, tutta integrata dentro gli schemi culturali della globalizzazione neo-liberista e dei suoi trattati euro-atlantici, la cui espressione identitaria si riduce a vuoti slogan o ad astratte petizioni di principio, suggestive ma sterili, come la rivendicazione di una maggiore giustizia sociale.

Non riteniamo politicamente opportuno che il gruppo dirigente di RISORGIMENTO SOCIALISTA possa finanche pensare di discutere, anche solo come mera eventualità, dell’opportunità di partecipare e dare il suo contributo alle inutili e stucchevoli operazioni di ricostruzione di una sedicente sinistra europeista, a vocazione governista/ministerialista, oggi collocata solo per ragioni tattiche contingenti a “sinistra” del PD renziano ma manifestamente priva di qualsiasi riferimento a contenuti fondanti, come il deciso NO ai trattati ordo-liberisti sui quali è stata edificata l’Unione Europea, un’Unione sorta al servizio del capitale finanziario e della sua libertà incontrollata di circolazione, a tutto discapito dei popoli europei.
Giuseppe Angiuli, uno dei firmatari del documento


Da questo punto di vista, pure rispettando l’autonomia decisionale dei compagni siciliani di RISORGIMENTO SOCIALISTA, consideriamo un grave errore politico la loro scelta – apertamente avallata dal coordinatore nazionale del nostro partito – di dare vita ad una “lista unitaria di sinistra” da presentare alle prossime elezioni regionali di novembre e fondata sul mero richiamo di appartenenza identitaria e a schemi ideologici ormai desueti e non più in grado di consentirci di leggere correttamente l’attuale fase, tutta incentrata sulla lotta per la riconquista della sovranità popolare nei confronti di un potere oligarchico trans-nazionale incarnato nelle istituzioni comunitarie con sede a Bruxelles.

Confidiamo nel fatto che la scelta siciliana possa essere stata in qualche modo imposta dalle circostanze, ma l’esperienza italiana ed europea di questi anni ci fa obbligo di rilevare come l’unica proposta autenticamente innovativa proveniente dall’area che un tempo si era soliti definire – più propriamente di oggi – “sinistra” sia oggi quella espressa dalla C.L.N. (Confederazione per la Liberazione Nazionale), un gruppo di forze che, pur con gli inevitabili limiti legati alla fase dell’avvio, si sta comunque sforzando di affrontare seriamente questioni nuove e decisive quali la (presunta) unità europea, l’immigrazione di massa e il recupero di una sovranità nazionale in chiave solidaristica, privilegiando l’analisi concreta rispetto alla vacua ripetizione di slogan improntati a quel “politicamente corretto” che risulta, a sua volta, espressione di quella sovrastruttura ideologica edificata dal sistema capitalista, contro cui siamo chiamati a lottare.

7. Moneta, banche, credito
Riccardo Achilli, tra i firmatari del documento


Di recente in Italia in occasione del salvataggio di Monte Dei Paschi di Siena e altre banche italiane colpite dalla crisi abbiamo assistito alla centralizzazione dei capitali con il sostegno dello Stato ed a spese dei contribuenti. Altri salvataggi di questa fattura potranno seguire. Così mentre le perdite per le operazioni di salvataggio saranno accollate ai contribuenti, contemporaneamente grossi gruppi bancari assorbiranno la “parte buona” delle banche in crisi avvantaggiandosene in un processo di centralizzazione dei capitali “sovvenzionato” in definitiva dai cittadini e dai lavoratori.
Tutto questo non è accettabile.
Il nostro progetto politico punta a creare un sistema in cui il settore creditizio pubblico possa essere volano di sviluppo.
Vogliamo una Europa dei Popoli e siamo per creare un sistema assai differente in cui le Banche di interesse strategico diventino pubbliche. Vogliamo che il sistema pubblico punti a proteggere le Banche Popolari e le Casse di Risparmio, in un’ottica comunque di sistema misto pubblico-privato nel settore del credito. Siamo a favore della trasformazione di Cassa Depositi e Prestiti in un vero e proprio soggetto pubblico di finanziamento di progetti di sviluppo infrastrutturale ed imprenditoriale, andando oltre il suo ruolo attuale di finanziatore degli enti locali, finanziandosi integralmente fuori dal debito pubblico, sul modello della tedesca Kfw.


8. UNA COALIZIONE DI FORZE PATRIOTTICHE.


La nostra lotta politica proseguirà dentro RISORGIMENTO SOCIALISTA. Noi profonderemo tutti i nostri sforzi, nel medio periodo, verso il consolidamento di una nuova coalizione di forze autenticamente socialiste, patriottiche ed anti-liberiste, sul modello della coalizione patriottica francese “La France Insoumise” guidata dal compagno Jean-Luc Mélenchon e tutte unite dal desiderio di liberare il nostro Paese dalla gabbia dei Trattati ultra-liberisti della Unione Europea».

13 Luglio 2017

Riccardo Achilli, Giuseppe Angiuli, Thomas Del Monte, Angelo Fontanella, Federica Francesconi, Angelo Milano, Mattia Morelli, Monica Notari, Mauro Poggi, Paolo Zacchia, Antonio Zito


domenica 11 giugno 2017

UNITÀ DELLA SINISTRA? NO GRAZIE! di Ferdinando Pastore

[ 12 giugno 2017 ]

Della danza dei morti di sinistra che camminano, in particolare di certi volteggi screanzati dopo il referendum costituzionale, ci eravamo occupati il 1 gennaio. Fece allora capolino la Anna Falcone. Non era una sortita estemporanea. La spaccatura (di destra) del Pd era nell'aria e noi non fummo indulgenti... Infatti ecco che, nella febbre delle elezioni imminenti, esce immancabile l'appello alla resurrezione della sinistra, ovviamente "dal basso", "civicamente", in perfetto stile da anime belle. Firmatari Anna Falcone e Tomaso Montanari Tossica minestra riscaldata, abbiamo scritto.
Di questo mesto fenomeno si occupa Ferdinando Pastore. Socialista come la Falcone, ma per nulla indulgente verso l'operazione a cui si presta.


Da qualche mese si susseguono assemblee, manifestazioni, convention di partiti, di movimenti che avrebbero l’ardire di unire la sinistra, tutte uguali a se stesse. Esse sono condite da continui appelli nei quali si descrive una società ansiosa di vivere in un luogo più gentile e sobrio e che non vede l’ora di vedere all’opera, in Parlamento, dirigenti come D’Alema, Bersani, Fratoianni, Vendola, descritti come dei missionari dediti ad una nuova evangelizzazione civilizzatrice. Inoltre, dal referendum Costituzionale in poi, il richiamo è indirizzato al popolo del NO, quello che ha sconfitto il PD Renziano. Secondo il parere di chi annuncia la grande Riunione, quella è la vittoria che apre la strada alla formazione di una lista nazionale dove tanti micro-“partiti” potranno concorrere alla salvezza dei propri gruppi dirigenti.


Ma questa analisi è del tutto mistificatoria. In realtà la sinistra ha contribuito in minima parte alla vittoria del NO e gli stessi comitati del NO, occupati, in gran parte, da ceto politico/amministrativo in attesa di riciclaggio, non hanno avuto la capacità di egemonizzare l’opposizione alla "Riforma". Anzi gli stessi burocrati di sinistra sono stati i protagonisti del messaggio più consolatorio ed edulcorante riguardo il risultato referendario, dato che lo hanno assimilato ad una vigorosa reazione del popolo italiano contro il governo Renzi.

Si può dire che la sinistra sia stata del tutto ininfluente nell’indirizzare il voto referendario e che, inoltre, non ne abbia compreso il significato più profondo: la linea di continuità del No alla "Riforma" con i risultati dei precedenti referendum svoltisi in Europa negli ultimi anni, da quello greco alla Brexit. In tutti questi referendum il basso, contrapposto al potere oligarchico dell’establishment neo-liberista, ha iniziato a rifiutarsi di partecipare attivamente a scelte che lo continuano a vedere schiacciato, impoverito, spoliticizzato e senza rappresentanza.

In realtà chi paga la crisi, quel blocco sociale composito e composto da salariati, disoccupati, piccoli e medi imprenditori, artigiani, agricoltori, liberi professionisti e categorie in lotta contro le liberalizzazioni, reagisce con scioperi e lotte sociali e che quando diserta le elezioni o vota M5S contesta un modello incompatibile con il nostro sistema Costituzionale: quello dei trattati europei che impongono scelte indirizzate ad un’unica dimensione, quella liberista, e che riducono la sovranità a legittimazione economica, al fine di proteggere l’elemento costitutivo della società ordo-liberale: la concorrenza.

Gli appelli all’unità della sinistra, quindi, servono esclusivamente a ricomporre gruppi dirigenti, ormai sconfitti dalla Storia, e dato che i loro messaggi non suscitano sufficienti vibrazioni, anzi sono pressoché ignorati dalle masse, sono ripuliti con l’aiuto di personaggi spendibili, presi in prestito, o dalla “presunta” e auto-nominata società civile o dalla società dello spettacolo. Questo è il caso dell’ultimo, in ordine cronologico, di questi appelli, quello di Anna Falcone e di Tommaso Montanari che si aggiunge al corteggiamento effettuato dal mainstream nei confronti di Roberto Saviano.

Ma oltre al problema della sopravvivenza di un ceto politico senza popolo, la debolezza del messaggio – sempre incentrato su una astratta capacità da parte della sinistra di trasformare il mondo in un luogo più civile, più buono, più tollerante e più verde, e silente sulle enormi contraddizioni socio-economiche presenti nella società e su una prospettiva di scontro sociale che compensi l’egemonia del pensiero unico liberale – è frutto di una precisa impostazione ideologica che ha visto la sinistra allontanarsi dalle masse popolari poiché non più in grado di comprendere i meccanismi di sfruttamento dell’essere umano nella nostra epoca.

La sinistra ha accettato, attraverso le rivisitazioni della globalizzazione come fenomeno ineluttabile e foriero di grandi possibilità per tutti gli esseri umani, i quali si sarebbero dovuti trasformare in lavoratori della conoscenza, i pilastri dell’ideologia neo-liberista: la riduzione dello Stato a mero esecutore delle direttive sovranazionali che devono garantire la libera concorrenza, l’annullamento dei corpi intermedi che mediavano l’azione dell’esecutivo, la verticalizzazione del sistema politico attraverso l’indebolimento delle assemblee legislative, la trasformazione dell’individuo in imprenditore di sé stesso e la cancellazione del diritto al lavoro e dei diritti sociali, ai quali l’essere umano, appunto, deve pensare per conto proprio. 

Questa trasformazione genetica della sinistra ha preso due strade differenti, la prima è quella del rigore ordo-liberista ed è diretta conseguenza delle politiche del PCI, nel momento in cui, dopo la caduta del muro, il suo gruppo dirigente si doveva affrancare nei confronti del nuovo ordine e, attraverso l’alibi della moralizzazione del sistema politico, ha iniziato a contestare la spesa pubblica, il ruolo dei partiti, le prerogative dello Stato sovrano; la seconda è quella post-lavorista, diretta emanazione del movimentismo anarco/libertario, nel quale il soggetto, e non più la classe, è diventato il protagonista della rottura del contratto sociale, aderendo, di fatto, all’idea individualista neo-liberale.
Come ha ben descritto Formenti, “la sostituzione dei soggetti collettivi con i soggetti individuali, ha spostato l’asse dei conflitti dal terreno della lotta per i diritti sociali a quello della lotta per i diritti civili...e la retorica dei diritti è così diventata l’unico discorso caratterizzante di quella sinistra che si pretende post-ideologica”. Gli appelli, appunto, che si richiamano a una reazione della società civile sono tutti indirizzati verso queste due impostazioni che non hanno vie d’uscita per le classi deboli, una paventata moralizzazione della società e la retorica dei diritti civili.

Con due evidenti contraddizioni. La prima è che nella sinistra non c’è nulla da unire. Quello che si sta manifestando in Europa, la nascita di nuovi movimenti che si richiamano al socialismo, sono del tutto incompatibili sia con la sinistra ordo-liberista che con quella del soggetto desiderante. In Spagna, Francia e ora in Inghilterra, con Corbyn, ci si richiama a concezioni solide e stataliste, a politiche di spesa pubbica, alla costruzione di un welfare sviluppato, a politiche di piena occupazione. In Inghilterra lo si può fare in autonomia dopo la Brexit, in Francia e in Spagna queste tematiche sono strettamente connesse al tema dei trattati europei e al superamento dei sistemi di Maastricht e di Lisbona. 

L’appello all’unità della sinistra, poi, è totalmente incompatibile con il richiamo alla vittoria del NO al Referendum Costituzionale. E’ stata, in Italia, proprio la sinistra a esautorare la Costituzione, attraverso le riforme elettorali, le modifiche del mercato del lavoro, le politiche di austerità e l’accettazione supina dei vincoli esterni che non permettono di applicare la prima parte della Carta. Parte della sinistra italiana rivendica ancora con orgoglio quelle scelte, che hanno contribuito all’impoverimento della classe media, alla perdita del potere contrattuale dei lavoratori, alla dilagante disoccupazione e alla de-industrializzazione del Paese. 

Si può affermare quindi che il richiamo all’unità della sinistra è un mezzo per superare il risultato del Referendum Costituzionale e per normalizzare il dissenso sociale. La dimostrazione sta nel fatto che seppur sia presente il richiamo al Referendum, non venga mai toccata la questione dell’incompatibilità dei trattati con il nostro dettato costituzionale. Anzi la critica è indirizzata solo nei confronti delle leggi elettorali. Quest’ impostazione serve a normalizzare il dissenso, incanalarlo verso orizzonti compatibili con il Potere neo-liberista, renderlo innocuo e impolitico. 

Inoltre non si fa cenno alcuno alle lotte dei lavoratori di questi mesi; Alitalia, TIM, Almaviva sono solo degli esempi paradigmatici di quanto le classi deboli siano lontane da un messaggio consolatorio che richiama genericamente uno spazio, quello della sinistra, nel quale queste contraddizioni non vengono mai affrontate. La lontananza di questi lavoratori dai Sindacati Confederali, ad esempio, dimostra che il problema del lavoro, oggi, è problema da inserire all’interno di un discorso più ampio e che rappresenta una vera e propria questione nazionale: la crisi di tutto il sistema produttivo italiano e la conseguente de-industrializzazione avvenuta a seguito del nostro ingresso nel sistema euro. 

Significativi sono i metodi utilizzati in questi anni. Non si tenta mai di costruire un partito, o almeno una Confederazione di partiti, che possa poggiare le basi su una struttura solida, che possa elaborare una visione alternativa della società, con un’organizzazione stabile, bensì ci si richiama alla nascita di una lista che ripropone un’ unità liquida, flessibile, che si affida al marketing, alla ricezione dei gusti, delle inclinazioni del singolo, e che fa della ricerca di mercato il fulcro della propria azione. Per fare questo viene utilizzato un linguaggio aziendale - con dirigenti che si trasformano in manager - incentrato sulla prospettiva dell’efficienza e che ha a cuore una felicità individuale totalmente acritica, sottomessa alle regole del mercato.
Per questo vanno di moda i tavoli tematici, le primarie delle idee, strumenti attraverso i quali si intende lanciare un messaggio di natura pubblicitaria, piegato nella descrizione di un sistema modificabile con un po’ di buona volontà e nel quale solo i meritevoli, i giusti, i propositivi hanno la possibilità di essere considerati protagonisti politici, al fine di sincronizzare, definitivamente, i propositi dello Stato/Azienda con quelli del cittadino/consumatore e ammorbidire, in questo modo, le pressanti istanze sociali.

lunedì 5 giugno 2017

5 PUNTI PER COSTRUIRE LA SINISTRA DI ALTERNATIVA di Franco Bartolomei

[ 5 giugno 2017 ]

Franco Bartolomei è un esponente di spicco di Risorgimento Socialista, movimento che a sua volta è un pezzo importante della Confederazione per la Liberazione Nazionale (CLN).




La Costituzione, per ricostruire il Paese

E’ il momento, per noi Socialisti, di dare una forma concreta al nostro progetto di ricostruzione del Paese, secondo il modello economico e sociale delineato nella nostra Costituzione.

Vogliamo mettere nero su bianco cinque punti da cui partire, che rivolgiamo a tutta la Sinistra di opposizione, per decidere come comportaci di fronte alle scelte elettorali che ci aspettano, forse alla fine del 2017, sicuramente entro metà del 2018.

1. Fuori dal Palazzo, fuori da Maastricht, o non saremo credibili


La sinistra politica e sindacale del nostro Paese è stata assorbita completamente all’interno delle logiche di governo, finendo per condividere e gestire tutte le scelte di sistema principali che stanno distruggendo il nostro sistema sociale e democratico.

E’ questo il motivo per cui l’Italia è l’unico grande paese d’Europa in cui non esista alcun significativo processo di ricostruzione di una sinistra alternativa, in grado di rappresentare l’opposizione diffusa che esiste nel paese al fallimentare modello sociale del liberismo finanziario, fondato sulla privatizzazione del’economia pubblica e del sistema creditizio, sulla precarizzazione del lavoro e sull’indebolimento dei redditi da lavoro, sull’indebitamento diffuso come sostegno al consumo.

Un modello che è stato imposto al Paese in attuazione del sistema di Maastricht, insieme allo smantellamento delle nostre industrie pubbliche e ai tagli alla spesa pubblica, incompatibile con i parametri del debito e con il FIscal Compact che presidiano il sistema monetario dell’Euro .

E’ questo il motivo per cui da noi mancano un Melenchon, un Corbyn, un Iglesias, un Lafontaine, un Sanders. Se la Sinistra non avrà il coraggio di prendere questa posizione di “populismo democratico“, tutto lo spazio politico ed elettorale che nei grandi paesi d’Europa vede consolidarsi nuove forze della Sinistra Alternativa resterà occupato da un movimento atipico e contraddittorio come il Movimento 5 Stelle, che rivolgerà il malessere sociale diffuso contro la crisi del sistema politico invece che sulla contestazione del modello liberista imposto al paese.

2. Fuori dalla Seconda Repubblica, tornare alla Costituzione
La ricostruzione della sinistra in italia puo’ essere realizzata solo in opposizione alla II Repubblica ed a tutto cio’ che essa ha significato, in termini di stravolgimento della nostra costituzione materiale sul terreno dei rapporti sociali, di smantellamento del nostro tessuto produttivo, e di svuotamento della sovranita’ costituzionale dello Stato nel governo delle scelte di indirizzo del paese.

Dobbiamo tornare senza riserve al progetto di società descritto dalla nostra Costituzione, il più concreto riferimento programmatico che abbiamo per attuare un modello di societa’ e di sviluppo economico e civile del Paese alternativo al neoliberismo.

E dobbiamo farlo nella piena consapevolezza della sostanziale incompatibilita’ della Costituzione italiana con il sistema di rapporti e di poteri, finanziari e monetari, introdotto dai trattati di Maastricht e Lisbona, e con lo schema decisionale tecnocratico che i nostri attuali impegni sovranazionali prevedono, e che vincola completamente ogni nostra scelta economica e sociale interna.
3. Partire dal NO, per dare rappresentanza al conflitto sociale

Una Sinistra nuova deve quindi partire dalla volonta’ di rappresentare fino in fondo il vero, grande significato del Referendum Costituzionale del 4 Dicembre.

In Italia, il sindacato è stato costretto spesso a una posizione di inerzia rispetto alle contro-riforme sociali di questo anno, a causa delle sue commistioni con il ceto politico: è il motivo per cui, a differenza della Francia, i sindacati non sono riusciti a creare un fronte sociale attivo di contestazione delle politiche liberiste sul lavoro.

Il referendum del 4 Dicembre ha rappresentato il primo vero atto collettivo, consapevole, di massa di contrasto al modello imposto in questi ultimi venti anni, affermando un impegno inderogabile contro la distruzione formale e sostanziale della nostra Democrazia, come sistema di governo complessivo della società.

Un sistema fondato sulla piena e libera rappresentanza della domanda politica e sulla mediazione democratica del conflitto sociale, all’interno di una rete di valori generali definiti dai principi inviolabili della nostra Carta Costituzionale, l’unica vera variabile indipendente del progetto alternativo di sistema che deve essere presentato al paese.

4. Un Piano B, per tornare alla Sovranità Nazionale

Questo progetto politico di complessiva “ri-costituzionalizzazione” del sistema Italia, in tutti i suoi rapporti sociali e produttivi , e di ripristino della nostra possibilità di decidere sui grandi temi del futuro del Paese, passa per una contestazione radicale delle leggi sul lavoro, sulle pensioni, sulla spesa pubblica imposte dai vincoli europei.

Dobbiamo riportare sotto il controllo pubblico il sistema bancario, le infrastrutture strategiche per l’economia nazionale e le aziende pubbliche privatizzate a basso costo ai tempi della rincorsa all’Euro del 1993-1999.

Per realizzare queste politiche, è però necessario riprenderci i poteri che la Costituzione affida al nostro Governo e al nostro Parlamento, dopo anni di sottomissione al “vincolo esterno“.

Se realmente vogliamo dare un futuro all’Italia, su questo programma non si può trattare: e, nel caso continuasse l’ostruzionismo da parte delle Istituzioni di Bruxelles, dovremo essere pronti a minacciare la fuoriuscita dal sistema monetario dell’Eurozona, partendo dal Piano B proposto in Francia ed in Germania da Melenchon e Lafontaine.

5. IL “NUOVO ULIVO” FATEVELO VOI, RICOSTRUIAMO LA SINISTRA !

Da questi pochi punti, discende per conseguenza naturale e logica che un processo di ricostruzione della Sinistra non ha futuro se finisce in mano a tutti quei gruppi dirigenti figli delle esperienze di Governo di questi anni, dall’Ulivo allo schema Monti: non è assolutamente credibile che queste forze e questi protagonisti rappresentino una alternativa credibile a questo Governo e a questo sistema di rapporti e di interessi, interni e internazionali.

Il vero rischio che dobbiamo evitare è di dare ancora fiducia a un ceto politico che è legato strutturalmente, per Storia, cultura, rapporti e fonti di legittimazione, al “centrosinistra della Seconda Repubblica“: perché al momento decisivo, questi vecchi protagonisti si presenteranno di nuovo ai poteri finanziari e alle tecnocrazie europee come “quelli più affidabili“, che possono gestire gli assetti esistenti. La differenza col disegno neocentrista del PD renziano non sarebbe sulle politiche, ma solo sui personaggi chiamati a attuare decisioni prese altrove.

Incastrando tra loro questi cinque pezzi del puzzle, noi Socialisti lavoreremo per costruire una proposta elettorale che metta le basi di un vero futuro della Sinistra e del Paese.

sabato 13 maggio 2017

IL RICATTO ANTIFASCISTA E LA FALSA COSCIENZA DELLA SINISTRA di Ferdinando Pastore

[ 13 maggio 2017 ]

Ferdinando Pastore fa parte della direzione di Risorgimento Socialista, come del centro dirigente della Confederazione per la Liberazione Nazionale.

POPULISMI

Cosa è emerso dai risultati dei referendum svoltisi in Europa – da quello greco, per passare alla Brexit, fino ad arrivare a quello Costituzionale in Italia? Sicuramente l’avvento di un blocco sociale, composito ed eterogeneo, che ha iniziato a dare risposte politiche, composto da tutti i soggetti che restano schiacciati dalla libera circolazione di capitali, merci e persone. Salariati e lavoratori precari del settore privato, giovani disoccupati, agricoltori, liberi professionisti senza professioni, piccoli e medi imprenditori rappresentano la nuova classe sfruttata dal capitalismo globalizzato, la quale reagisce al sistema istituzionale ordo-liberista che ha accompagnato, in modo repressivo, la de-strutturazione al tessuto sociale delle nazioni: l’Unione Europea.

Questo blocco sociale non è ancora rappresentato, in maniera coerente, da un blocco politico, ma è fluttuante e divide i suoi voti tra una destra protezionistica e una nuova sinistra – che ha le espressioni più significative in Spagna e in Francia con il successo di Jean-Luc Mélenchon – che supera, definitivamente, la terza via Blairiana alla globalizzazione e individua nella lotta di classe nazionale il problema politico centrale per i nuovi ceti sfruttati. Entrambe le scelte del basso sono denominate dal blocco dominante, che ha i suoi epigoni politici nel PSE e nel PPE e in tutte le loro emanazioni nazionali, populiste.

Non si fa riferimento ad un populismo storico, bensì si cerca di derubricare queste nuove forze politiche nel terreno dell’avventurismo, con riferimento alle esperienze populiste del Sud-America, una evidente forzatura che mistifica la realtà dei fatti. Al contrario il sistema fondato sulle strutture sovra-nazionali ha avuto il compito di annientare tutti i soggetti che componevano il quadro costituzionale dei Paesi europei così come si era sviluppato dal secondo dopoguerra: Stato, partiti politici, sindacati, soggetti economici, cittadini sono stati trasformati in amplificatori della concorrenza economica e a loro sono state sottratte le prerogative che le Costituzioni gli attribuivano e che avevano lo scopo, esplicito, di salvaguardare la coesione sociale.

Se si prende per buona la definizione che Nicola Genga dà del populismo “l’appello a un popolo mitizzato da parte di un leader e la contestazione, dal basso, degli istituti di democrazia rappresentativa nelle loro forme storicamente determinate, una visione a-classista della società, la propensione al nazionalismo” sarà chiaro che proprio le strutture sovranazionali hanno interpretato queste mutazioni dall’alto.

Difatti tutte queste caratteristiche sono perfettamente compatibili con il sistema tecnocratico, che poggia le proprie basi su una legittimazione economica e non più sulla sovranità costituzionale e popolare. In questo modo il pilota automatico, gestito dai tecnocrati, ha prodotto uno svuotamento di significato della politica che non è più il luogo della formazione della decisione, ma che si riduce a sterile competizione sottoposta alle regole del marketing politico dove si annullano le componenti ideologiche e storiche per dettare un messaggio, seppur ideologicamente prefigurato in senso liberista, apparentemente neutro che si rivolge a un pubblico perlopiù indifferente ma ancora schierato, ingenuamente, tra destra e sinistra, categorie del tutto omogenee e compatibili con il sistema neo-liberale.

Così lo Stato nazionale è stato ridotto a protettorato e a passacarte delle multinazionali, le quali hanno i propri rappresentanti burocratici dentro le istituzioni sovranazionali e il manierismo politico si rivolge, proprio, direttamente al popolo, in una dimensione nella quale scompaiono la dialettica politica e gli interessi sociali che, in questo modo, sono nascosti e non rappresentati, con il conseguente smantellamento delle strutture democratiche (Parlamenti) e dei corpi intermedi (Partiti e Sindacati).

Il tutto per presentare come necessaria, inderogabile, una società proprio a-classista, nella quale solo l’individuo, continuamente sottoposto alla carneficina della competizione e immaginato come atomo slegato dalle condizioni socio-economiche, è degno di rappresentare bisogni politicamente rilevanti. Per di più questi bisogni sono artificiosamente esaltati dalle campagne di marketing, pubblicitarie, di propaganda le quali immaginano l’essere umano come uomo/impresa e lo inducono ad aderire sentimentalmente agli schemi della flessibilità lavorativa (il lavoro duraturo e stabile è definito privilegio parassitario) e della mobilità esistenziale.

Per rendere appetibile questo costrutto ideologico si fa richiamo a un vago e anti-storico nazionalismo europeo: l’Europa viene presentata come emblema di pace e di civiltà, e idealizzata a luogo sacrale, proprio utilizzando una retorica nazionalista. Di conseguenza le forze della destra protezionistica e quelle della nuova sinistra popolare sono costrette a richiamarsi alla mobilitazione del popolo, proprio per evidenziare la crisi degli strumenti della democrazia rappresentativa che non permettono più la partecipazione delle masse alla struttura dello Stato e alla formazione della decisione politica.

Questo richiamo però è accompagnato dalla difesa delle Costituzioni nazionali o dalla immissione nel dibattito della questione costituzionale. Jean-Luc Mélenchon ha difatti proposto una nuova assemblea costituente, mentre in Italia si fa richiamo alla corretta applicazione della Costituzione del 1948 come orizzonte ideale per il recupero della sovranità.

Il problema del populismo va dunque rovesciato, dato che le élite hanno prodotto un sistema tecnocratico e populista e contemporaneamente stigmatizzano come populisti tutti quei movimenti che incentrano la propria azione sul recupero di sovranità popolare e nazionale, colpevolizzando le classi popolari, le quali iniziano a rifiutarsi di votare per il blocco politico che si autodefinisce “responsabile” e che ha gestito i processi di trasformazione della società in senso ordo-liberista attraverso il sistema delle riforme dettate dalla mano invisibile del mercato e che ha provocato squilibri sociali, disoccupazione, precarietà e diseguaglianze ormai divenute insopportabili. Così coloro i quali si dipingono come moderati si trasformano in estremisti nel monento in cui affidano esclusivamente al libero mercato e alla concorrenza la funzione di ordinare la società, con uno spirito assolutistico e totalitario.

IL RICATTO ANTIFASCISTA


L’ulteriore elemento ricattatorio nei confronti dei ceti deboli è rappresentato, oltre alla minaccia di paradossali crisi distruttive sul piano sociale nel momento in cui si procedesse a un mutamento di indirizzo politico, dall’avvento di un ipotetico ritorno al fascismo che sembra essere ormai alle porte. Il ricatto è eseguito ogni qual volta una forza della destra protezionistica ha una qualche possibilità di vincere le elezioni in un determinato Paese ed è direttamente proporzionale al richiamo contrario, quello del pericolo di un ritorno al socialismo reale o a un sistema di inefficienza e di statalismo burocratico ogni qual volta una forza della sinistra popolare aumenta i propri consensi, e quando essa denuncia l’impossibilità di difendere il lavoro e di sconfiggere le diseguaglianze sociali senza una adeguata politica dello Stato che dovrebbe tornare a dirigere i processi economici anche facendo ricorso alla spesa in deficit coperta dalla sovranità monetaria. Il ricatto del fascismo è ovviamente de-contestualizzato storicamente, dato che non esiste alcuna forza politica che si richiama al fascismo storico (i casi sono sporadici e ininfluenti) e quindi a un sistema nel quale lo Stato, attraverso l’uso della forza, silenzia il conflitto tra capitale e lavoro in una dimensione corporativa.

Al contrario le stesse destre protezionistiche si presentano come partiti anch’essi neo-liberali ma che, al contempo, limiterebbero la circolazione dei capitali per proteggere l’industria nazionale. Anche il FN appare oggi più inquadrabile in una forza realmente neo-gaullista, e si affacciò sulla scena politica francese proprio nel momento in cui, alle elezioni europee del 1984, la sinistra francese abbandonò il Programme Commun, per trasformarsi in quella sinistra mercatista e mondialista che oggi è parte integrante del blocco neo-liberale.

In questo modo il FN si iniziò ad accreditare anche tra i ceti bassi della popolazione francese, ma soprattutto iniziò a svilupparsi come partito non più legato a una piccola comunità nostalgica. Con questo non si vuole dire che il FN non avesse all’interno preoccupanti indirizzi xenofobi, ma che il ricatto fascista, dopo l’ulteriore svolta Repubblicana compiuta da Marine Le Pen e una volta che anche i guallisti si sono covertiti al culto liberista, opera come mero stratagemma, utilizzato per il mantenimento dello status quo e con cui le élite si auto-legittimano per raffigurarsi come unico campo politico degno di governare seppur in un continuo stato d’eccezione di fronte ai molteplici pericoli populisti, descritti come continui salti nel buio. L’emergenzialità è congeniale, oltretutto, alla presentazione di ulteriori riforme sempre incentrate sulla privatizzazione dello Stato e sulla mercificazione del lavoro.

In tutta Europa le politiche di austerità, le crescenti diseguaglianze hanno portato alla crescita della consapevolezza delle classi schiacciate dalla globalizzazione dei mercati e all’affermarsi di forze politiche che si pongono in contrasto radicale con l’impianto ordo-liberista di Bruxelles. In Francia, durante il primo turno delle elezioni presidenziali hanno avuto un risultato significativo sia uno schieramento, guidato da Jean-Luc Mélenchon, che si richiama alla tradizione della sinistra popolare e sia la destra protezionistica di Marine Le Pen che ha conquistato l’accesso al ballottaggio. E proprio in Francia inzia a scricchiolare l’ordine neo-liberale dato che sembra meno pressante di un tempo il richiamo al pericolo fascista, diktat oppressivo e funzionale all’elezione di Macron, perfetto rappresentante delle élite finanziarie, ma che non sembra essere, al momento, in grado di riunire graniticamente quel che resta del Fronte Repubblicano.


IL CASO ITALIANO

Se in Europa inizia a trovarsi una corrispondenza tra blocco sociale schiacciato dal neo-liberismo e blocco politico che si rivolge alle classi sfruttate dallo stesso sistema, in Italia questo stesso blocco sociale che si è palesato con il Referendum Costituzionale e che conduce battaglie nei luoghi di lavoro (si pensi alla vertenza Alitalia ma anche alla battaglia dei tassisti contro le liberalizzazioni del mercato), non ha una rappresentanza politica. Se a destra i richiami alla sovranità monetaria e politica si riducono alla riproposizione di politiche neo-liberiste che guardano solo al mondo dell’impresa con scarsa capacità di diventare egemoni, la sinistra è proprio la parte politica che si rende più disponibile ad accettare i paradigmi ordo-liberisti che sono alla base della costruzione europea.

Quando si parla di sinistra non si fa riferimento al PD, che è partito centrale dello schieramento e che rappresenta il contenitore tendente alla stabilizzazione del sistema e che è responsabile, in via diretta, dello svuotamento della nostra Costituzione e della riduzione della sfera politica a mera competizione impolitica e che, insieme al M5S, si dota di strumenti realmente populistici (per esempio le primarie, ormai competizione che segue le regole dei talent show), bensì si vuole indicare tutto il variegato mondo che avrebbe l’ardire di collocarsi a sinistra del PD.

Ebbene questo schieramento è composto, per un verso, da una scissione, che in qualsiasi paese si considererebbe di destra, dallo stesso PD, effettuata da personaggi politici come D’Alema e Bersani, da sempre in prima linea nell’assecondare tutte le direttive dettate dalla tecnocrazia finanziaria, creatori, dagli anni 90, della linea rigorista in campo economico e ispiratori dei governi tecnici che si sono resi responsabili delle maggiori politiche di macelleria sociale e di distruzione dei principi sottostanti alla nostra Carta Costituzionale.

Ancora oggi questa parte politica rivendica, con orgoglio, le politiche di mercificazione e di precarizzazione nel mondo del lavoro, la svendita degli asset pubblici, le liberalizzazioni selvagge e addirittura la nascita del governo Monti, che contribuì a chiudere in maniera definitiva il sistema istituzionale italiano con la ricezione delle raccomandazioni neo-liberiste imposte dalla BCE e con l’instaurazione di una sorta di troika fatta in casa. Dall’altro lato è composta dalla cosiddetta sinistra radicale, che di radicale non ha nulla, la quale si è concentrata nella promozione dei diritti civili elevando il soggetto a unico elemento sociale e che ha rimosso la critica sociale. In questo modo, attraverso una sorta di anarchismo/libertario, ha contribuito alla definizione ordo-liberista dell’essere umano come imprenditore di se stesso, il quale deve assecondare i propri bisogni per raggiungere una liberazione meramente personale, sganciata dalle strutture collettive e dai bisogni reali connessi alle condizioni socio-economiche.

Questi due agglomerati hanno già delineato una futura alleanza elettorale, senza però che vi sia l’intendimento di rappresentare ciò che la sinistra popolare ha avuto il coraggio di affermare in Spagna e in Francia.

Al contrario i loro esponenti di spicco si sono affrettati nel dire che questa sarà una sinistra responsabile che dovrà essere forza di equilibrio del sistema politico. L’intendimento è proprio quello di deprimere e scoraggiare la nascita di una forza popolare che sappia porsi all’opposizione dell’odierno quadro istituzionale e che possa contrastare le prossime politiche di rigore che la UE continuerà a imporre e, soprattutto, che il dissenso, venga normalizzato o al massimo che continui ad essere canalizzato nel voto al M5S, il quale trasporta il malessere sociale sui canali impolitici della casta e dell’indignazione.

In più la classe dirigente di questa sinistra, contraddistinta da falsa coscienza, è atavicamente attratta da un ministerialismo che porta alla costruzione di cartelli elettorali funzionali esclusivamente alla sopravvivenza del loro management e al mantenimento del loro capitale. Non a caso essi si amano definire Ditta.

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