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lunedì 11 giugno 2018

USCITA DALL'EURO: SE LO DICE (ANCHE) JP MORGAN

[ 11 giugno 2018 ]

La "sconvolgente" conclusione di JPMorgan: l'uscita dall'euro potrebbe essere la migliore opzione per l'Italia

Jp Morgan in un rapporto molto dettagliato ripreso e analizzato dal blog Zero Hedge affronta il tema del Quitaly, lo scenario finanziario di un'eventuale uscita dell’Italia dalla zona euro. E le conclusioni sono sbalorditive se pensate che provengono da uno dei centri della finanza mondiale.

Draghi e la narrativa mainstream ricordano quotidianamente ai “populisti” come un'uscita dall'euro o il divorzio sarebbe difficile e ancora più costoso rispetto al passato a causa del continuo aumento dei saldi Target2 in seguito al programma di QE della BCE.

Come mostra il grafico sotto riportato, i saldi Target2 esplosi dal lancio del QE della BCE (e dal terzo salvataggio greco nel 2015), e superato il precedente estremi dal profondo della crisi del debito in euro nell'estate del 2012.



 
Qui, vale la pena notare che, come la BRI ha spiegato l'anno scorso, il deterioramento della bilancia Target2 dal 2015 è diverso da quello osservato nel periodo 2010-2012: non è una conseguenza puramente tecnica del QE ma un riflesso delle preferenze degli investitori. All'epoca, durante il periodo di crisi del debito dell'euro 2010-2012, il deterioramento del saldo Target2 era guidato dalla perdita di accesso ai mercati finanziari, il che aveva indotto le banche a sostituire le fonti private di fondi con la liquidità delle banche centrali. Tuttavia, prosegue Zero Hedge, dal 2015 l'aumento dei saldi Target2 è il risultato in gran parte dei flussi transfrontalieri indotti dalla risposta degli investitori al QE. Come spiega JPM: "ad esempio quando la Banca d'Italia, attraverso il suo programma di QE, acquista titoli da una banca tedesca o da una banca del Regno Unito con un conto in Germania, questo flusso provoca un aumento della Banca di deficit Target2 in Italia e un aumento delle eccedenze della Bundesbank. O quando la Banca d'Italia acquista obbligazioni da un investitore nazionale ma questo investitore nazionale utilizza il ricavato per acquistare un'attività estera, allora la Banca d'Italia si assume anche la responsabilità nei confronti dell'Eurosistema. Il programma di QE della Banca d'Italia non rimane in Italia, ma si diffonde in Germania o in altre giurisdizioni. "
Inoltre, secondo la BCE, la stragrande maggioranza dei titoli acquistati dalle banche centrali nazionali sotto il QE sono stati venduti dalle controparti non residenti nello stesso paese come la banca nazionale centrale d'acquisto, e circa la metà degli acquisti sono stati effettuatu da controparti situate al di fuori l'area dell'euro, la maggior parte dei quali è principalmente l'accesso al sistema di pagamento Target2 tramite la Deutsche Bundesbank. In altre parole, a causa delle preferenze degli investitori, l'eccesso di liquidità creato dal programma di QE della BCE dal 2015 non è rimasto nei paesi, ma è trapelato a nazioni creditrici come la Germania, che sono state inondate di ancora più liquidità.

Per inciso, prosegue Zero Hedge nel suo commento al rapporto di Jp Morgan, è esattamente l'opposto di quello che Mario Draghi ha descritto ai politici e all'opinione pubblica vale a dire che il QE della BCE avrebbe aiutato la periferia e non il centro della zona euro.  

In ogni caso, la diversa natura del deterioramento della bilancia Target2 dal 2015 non cambia il fatto che le passività Target2 rappresentano ancora un costo per un paese che esce dall'euro, assumendo naturalmente che il paese intenda soddisfare il suo contratto non scritto. In altre parole, i saldi Target 2 rappresentano i crediti delle banche centrali nazionali sulle passività verso la BCE che, secondo Draghi, dovrebbero essere regolati per intero in caso di uscita.

Ma, come osserva la JPM, è qui che sorge la polemica, perché se un paese – che dovesse dichiarare in partenza default delle sue passività esterne ridenominandole  nella sua valuta -dovesse rinnegare la sua passività Target2, avrebbe poco da perdere bruciando tutti i ponti con l'Europa quando rinuncia alla "valuta comune".

Questo vale in particolare per l’Italia spiega Jp Morgan. Mentre le passività nette per investimenti internazionali della Spagna si sono attestate intorno a € 1tr alla fine dello scorso anno, quasi il triplo delle passività Target2, le passività nette sull'investimento internazionale in Italia sono state molto più ridotte e si sono attestate a soli € 115 miliardi alla fine dello scorso anno, circa un quarto delle sue passività Target2 pari a € 426 miliardi.

Ciò, come spiega JPM, è perché l'Italia ha accumulato negli anni più attività esterne della Spagna e dovrebbe quindi essere complessivamente più capace di rimborsare le sue passività esterne.


 

In altre parole, mentre le passività esterne lorde sono simili in Italia e Spagna, dal punto di vista della responsabilità esterna netta, un'uscita dall'euro italiana sarebbe molto meno minacciosa per le nazioni creditrici rispetto all'uscita dell'euro in Spagna. Ciò detto, le attività e le passività non sono necessariamente possedute e dovute dalle stesse parti, il che significa che non si possono ignorare le passività lorde dei residenti italiani rispetto i residenti stranieri.
 
Oltre al Target2 e al conto corrente, un'altra importante riflessione sul miglioramento della posizione di risparmio dei paesi periferici, prosegue Zero Hedge nella sua lunga analisi del rapporto, è stata quella che JPMorgan ha chiamato "addomesticamento" del proprio debito pubblico. Da un lato, ciò è rappresentato dal forte calo dell'esposizione delle banche estere al debito italiano. I saldi Target2 sono esplosi dal lancio del QE della BCE (e del terzo salvataggio greco nel 2015), superando il precedente estremi dal profondo della crisi del debito in euro nell'estate del 2012.


 
La compensazione, ovviamente, comporta che quando le banche straniere hanno scaricato la loro esposizione in Italia, un particolare hedge fund, sottolinea Zero Hedge, ha incrementato e acquistato tutto. Stiamo parlando della Banca Centrale Europea. E così facendo, ha presentato Roma con ancora più influenza sulla BCE.

All’interno di un'unione monetaria, prosegue Zero Hedge, dove il deprezzamento della valuta e la monetizzazione del debito non sono possibili - a meno che, ovviamente, non ci sia divorzio con detta unione - un paese ha effettivamente due opzioni: default e svalutazione interna. La Grecia, ad esempio, ha provato entrambi: il default attraverso il coinvolgimento del settore privato del 2012 e la svalutazione interna - vale a dire, il crollo dei salari, l'aumento del conto corrente - attraverso il programma di aggiustamento in corso della Troika. Secondo i calcoli di JPM, le varie inadempienze greche, note anche tecnicamente come Private Sector Involvements, hanno fornito una riduzione del debito netto alla Grecia di circa 67 miliardi di euro o del 33% del PIL (anche se il debito / PIL greco rimane ancora stratosferico e, come il FMI ricorderà in occasioni regolari, è insostenibile).

Applicando lo stesso taglio e le stesse ipotesi di PSI (cioè solo le obbligazioni governative sono soggette a tagli di capelli), la riduzione netta del debito verso l'Italia da scarti di garanzia su detentori non nazionali sarebbe solo di 267 miliardi di euro o del 15% del PIL. In altre parole, una tale analisi costi / benefici di un taglio di debito di default effettivo suggerisce che un PSI di stile greco sarebbe piuttosto poco attraente per l'Italia. Naturalmente, si potrebbe immaginare una ristrutturazione più ampia rispetto al PSI greco, ad es. includendo prestiti e debito pubblico regionale o locale, ma sicuramente una tale opzione sarebbe più difficile da negoziare o mantenere volontaria e presentare maggiori sfide legali. Ci sono, naturalmente, altre sfide molto più strutturali, cioè che è praticamente impossibile che ciò che ha funzionato per la Grecia, non funzionerà mai per l'Italia, dove i numeri associati sono di ordine superiore.

Quindi, con poco da guadagnare da un default, come indicato nell'analisi precedente, all'Italia rimane con una sola opzione di aggiustamento: la svalutazione interna. Sfortunatamente, come calcola JPM, questa svalutazione interna non sta andando bene nel caso dell'Italia. Questo, insieme al massiccio squilibrio Target2 in Italia, diventa una risorsa immediata nel momento in cui il Paese decide di uscire dall'Eurozona e non ripagarlo con dispiacere di Mario Draghi, insieme a un surplus di conto corrente decente - che dovrebbe salire solo se l'Italia dovesse tornare alla lira che sovralimenta le esportazioni del paese - che come spiegato sopra riduce il costo di uscita dall'euro.

“Se mai l'Italia arrivasse al punto in cui le linee di depositanti in panico siano fuori dalle banche italiane, si può salutare l'euro e l'esperimento europeo.” Questa è la conclusione di Zero Hedge a commento dei dati e grafici di JP Morgan.

lunedì 6 marzo 2017

DI CHI È FIGLIO L'EURO? di Sergio Cesaratto

[ 6 marzo ]

Intervista a cura di Fabio Cabrini (facciamo sinistra)

1. Prof. Cesaratto, stiamo vivendo in una fase storica di grandi cambiamenti: prima il Brexit, poi la vittoria di Donald Trump e ora, in sequenza, si terranno le elezioni in Olanda, Francia e Germania che potrebbero modificare ulteriormente lo scenario internazionale, in particolare quello dell'UE.  A prescindere dall'esito che uscirà dalle urne, è chiaro che i partiti pro-establishment sono entrati in una profonda crisi specialmente quelli che fanno riferimento al PSE. Non sarà mica che a ad essere le pallide fotocopie dell'originale, leggesi "terza via" di Blair, si perde consenso?

La terza via si è rivelata per quel che era: una versione neppure troppo mascherata del neo-liberismo. Un tempo la terza via era la socialdemocrazia, fra socialismo reale e capitalismo liberista. Soprattutto nelle sue versioni migliori come quella scandinava, quella terza via era, e rimane, una cosa seria. L’ipotesi socialdemocratica si muove fra stati nazionali che mantengono le leve della politica economica, del cui controllo le classi lavoratrici si appropriano, e la cooperazione internazionale con un moderato abbattimento dei vincoli al commercio estero. Questo aumentava comunque in seguito alle politiche di crescita adottate nei diversi paesi (la Germania anche allora andava a rimorchio, ma questa è un’altra storia). I controlli sui movimenti di capitale bloccavano la finanza destabilizzante.  La fine della sfida sovietica e l’indisciplina sociale che risultò dalla piena occupazione fecero cambiare orientamento al capitalismo. I Blair, i Veltroni, i Delors, i Prodi e D’Alema pensarono di poter attenuare quei processi con un capitalismo compassionevole (che tradotto significava ridurre lo stato sociale ai più sfortunati), condividendo però in fondo la necessità di liberare le forze vive del capitalismo dai lacci e lacciuoli della golden age. Ha prevalso così un capitalismo basato sulla diseguaglianza e sull’indebitamento privato, il tutto culminato nella crisi. L’Europa e l’euro hanno costituito elementi della terza via blairiana. Il capitalismo non ha oggi un modello, e questo è pericoloso. Prevale la disgregazione. Per contro noi non si ha più un’alternativa socialista. Il dramma della sinistra è tutto qui. Il capitalismo è sfasciato ma vivo – d’altronde l’instabilità è inerente a questa forma economica. Ma senza un’idea di forma economica alternativa, quella che c’è non può che prevalere.
2. La crisi entro cui nostro malgrado siamo costretti a vivere, testimonia la fallacia delle politiche economiche dominanti:  né il TUS portato a zero dalla BCE, e nemmeno lo strumento non convenzionale del QE, sono stati in grado di ridare ossigeno alle economie della zona euro a conferma che una politica monetarie espansiva, in assenza di una politica fiscale anch'essa espansiva, è il classico elefante che partorisce un topolino. Sembrerebbe essere il migliore spot a favore di chi sostiene che gli investimenti, il vero motore dell'economia, dipendano dalla dinamica della domanda aggregata attesa, più che dall'inconoscibile tasso d'interesse naturale.....

La politica monetaria fa quello che può, per questo sono restio a prendermela con Draghi che resterà un grande banchiere centrale che ha dovuto remare contro l’ottusità tedesca (si veda questa intervista a Issing). Ma senza la politica fiscale e la redistribuzione del reddito a favore dei salari, misure che sostengono la domanda aggregata, non c’è ripresa. Sono naturalmente misure da intraprendersi a livello internazionale per i soliti problemi di vincolo estero. E’ vero poi quanto si dice nella domanda, c’è un crescente riconoscimento di quanto sostengono i migliori economisti eterodossi: gli investimenti dipendono dalla domanda aggregata. Questo ha per esempio recentemente affermato un importante economista legato alla alta finanza, Steve Roach (“Economists long ago settled the debate over what drives business capital spending: factors affecting the cost of capital (interest rates, taxes, and regulations) or those that influence future demand. The demand-driven models - operating through so-called “accelerator” effects - won hands down”). E’ interessante come queste idee si affermino anche fra economisti conformisti, gli investimenti dipendono dalla domanda e dunque serve la politica fiscale (Vox). Ma è la solita logica del pescetto rosso del mio libro: l’economia ortodossa ogni tanto riscopre cose già note (talvolta quelle giuste, altre volte quelle sbagliate).

3. Nel suo ultimo libro, "Sei lezioni di economia",  scrive "[...] l'euro è figlio di un disegno svolto a smantellare il conflitto sociale e con esso ogni difesa del lavoro, salari e stato sociale; che lo fa deprivando gli Stati nazionali delle leve autonome della politica economica spostate presso entità sovranazionali, fuori dalla portata del conflitto nazionale [...]. Vien da sé che un partito di sinistra debba avere come suo primo punto del programma l'uscita dall'Ume....

Non ho molto da aggiungere al riguardo. Ma perché a sinistra si strilla contro la delocalizzazione del capitale e si accetta la delocalizzazione del proprio Stato nazionale? Che andiamo a votare a fare se i nostri rispettivi governi sono privi delle leve della politica economica e industriale? Circa l’euro, in genere i cambi fissi sono uno strumento disciplinante per i salari poiché rendono incompatibili aumenti dei salari nominali e reali con la competitività esterna. La rottura dell’euro, se e quando avverrà, sarà un evento drammatico. Ma avverrà solo se uno o più popoli la chiederanno. Sarà dunque un evento politico che chiederà risposte politiche, e politica significa negoziazione e ricerca di nuovi assetti. I problemi li conosciamo: ripristino dei sistemi di pagamento nel breve periodo e contenzioso sui debiti esteri non ridenominabili nel lungo. Il pericolo è che la Germania non voglia addivenire all’idea di soluzioni negoziate (ma del resto che fa, ci manda i panzer?). Le sciocchezze sono di parlare di esplosioni dell’inflazione. Ma se la rottura dell’euro avverrà, mica sarà colpa nostra perché abbiamo denunciato l’assurdità dell’Europa monetaria (sulla base della teoria economica standard, Mundell, Meade, Feldstein, mica qualche stravagante economista!). Sarà il fallimento di quest’Europa, la sua insostenibilità politico-sociale, a portare alla rottura, se vi porterà. Certo non attendetevi nulla di buono dalla continuazione dello stato presente di cose. Pensate a cosa accadrà nei prossimi mesi se Draghi dovesse dismettere il quantitive easing! Altro che tagli dello 0,2%! Torneremo agli spread del 2012, Draghi potrà utilizzare l’OMT, l’acquisto mirato di titoli italiani, ma esso implica la Troika.

Anche il nuovo White Paper di Junker intende riformare l’Europa coi pannicelli caldi. I Piani Junker già li conosciamo per la loro inconsistenza. La verità è che l’Europa è irriformabile, in primo luogo perché la Germania non rinuncia al proprio modello mercantilista. Ma anche se lo facesse, non è e non sarà mai una unione politica, e senza unione politica non si può avere unione fiscale e monetaria. O forse sì, ma è quella attuale, ordo-liberista e anti-democratica. Da questo punto di vista l’euro è un successo. Nel 1961 Mundell lo disse chiaramente: questo tipo di unioni monetarie hanno un “deflationary bias”. Così si prevedeva, così è stato, specie per il nostro paese. E Mundell è un fior di conservatore (premio Nobel, se credete che questo qualifichi).

4. In molti, specialmente a sinistra, sostengono che ritornare agli stati-nazione sarebbe una sconfitta cocente anche per il mondo del lavoro, perché le sfide globali non si possono affrontare chiudendosi nel proprio orticello. Cosa risponde a questa critica?

Lo chieda ai polacchi se intendono entrare nell’euro, o ai coreani (del sud) se vogliono istituire una unione monetaria con Giappone o Cina! Piccoli paesi se la possono cavare benissimo. Ma pensi se l’Italia, che non ha nulla contro la Russia, avesse potuto evitare le sanzioni verso quel paese! Un’altra cosa di cui noi ci dovremmo riappropriare è infatti la politica estera, riprendendo la tradizionale cooperazione con i paesi del medio oriente e nord-Africa. E ringraziare Hollande per il disastro libico, attuato anche in funzione anti-italiana. Ma di che Europa parliamo?

5. Lei sostiene essere illusorio immaginare un' evoluzione in chiave politica dell'UE  e quindi dovremmo augurarci che ogni paese, dopo essersi riappropriato della propria sovranità monetaria,  agisca col fine di costruire un'Europa confederale. Due le critiche a tal riguardo: 1° una rottura della zona euro porterebbe con ogni probabilità ad uno guerra commerciale senza quartiere fra i paesi europei, quindi sarebbe preferibile non correre il rischio; 2° se un governo decidesse di attuare politiche keynesiane  potrebbe avere non pochi problemi nella bilancia dei pagamenti se gli altri volessero continuare a inseguire il rigore del neo-mercantilismo tedesco. Ricordiamo, a tal proposito, la capriola di François Mitterrand all'inizio degli anni 80, salito con un programma smaccatamente di sinistra per poi mettere in pratica una politica fortemente neoliberista. 

Ma perché un assetto senza l’euro dovrebbe condurre a guerre commerciali? Le persone ragionevoli parlano di cambi fissi ma aggiustabili fra paesi europei. Il problema del vincolo estero certamente permane, e una certa flessibilità del cambio può agevolare ad affrontarlo. Un ripristino di moderate e selettive misure protezionistiche è un’altra misura, in assenza di una cooperazione dei partner, come accadde a Mitterrand. L’idea è che il paese espansivo possa condurre le proprie politiche, senza ridurre le importazioni dai partner, ma senza neppure che questi si avvantaggino per esportare di più. Per esempio, se si fa una politica del trasporto pubblico, nelle gare vanno privilegiati i produttori di automezzi o convogli ferroviari nazionali. Era così sino a 25 anni fa!

6. Si parla spesso di uscita da destra e da sinistra dalla zona euro. Potrebbe spiegarci le differenze più rilevanti?

In gran parte questa storia è dovuta a personaggi che per pura visibilità individuale si sono voluti distinguere. La palese ricerca di visibilità, anche attraverso slogan che scopiazzano cose ben note agli economisti eterodossi e ai nostri maestri, è deplorevole. Personalmente ritengo in generale la destra inaffidabile (a dir poco), politicamente e, naturalmente, culturalmente. Né credo che essa evochi seriamente i temi qui discussi, se non come slogan elettorali. Ve lo vedete Luca Zaia guidare il centro-destra contro l’Europa? Per me il tema di riferirmi alla destra non si pone. Il problema è che la sinistra prenda coscienza dell’anti-democraticità delle strategie sovra-nazionali e di un internazionalismo utopistico (e spesso salottiero). Essa si deve definire come alternativa allo stato presente: se tutto crolla, o il paese rischiasse, come probabile, di trovarsi la troika, bene noi sinistra ci dobbiamo essere pronti a rompere. Personalmente non seguiremo né chi guarda (forse per disperazione) a destra, né gli affabulatori (quelli del “mi si nota di più se…”). In termini più concreti, si dice che l’uscita da destra significa taglio dei salari reali (in seguito alla svalutazione), e da sinistra tutela dei salari. [Uscita da destra significherebbe, forse, anche favorire gli odiati (o segretamente invidiati?) padroncini del nord-est, quasi non fossero una ricchezza per il paese, e non certo responsabili della scomparsa della grande impresa].  Una svalutazione potrebbe realisticamente avere effetti negativi iniziali sui salari reali, la scommessa è che riprenda l’occupazione e con essa i redditi delle famiglie. La svalutazione è più democratica della deflazione interna e non deprime necessariamente la domanda interna. Stante una necessaria difesa dei livelli correnti per il ceti medio-bassi, i salari reali riprenderanno a crescere quando, con l’aumento di domanda aggregata e investimenti la produttività riprenderà ad aumentare.

7. Mario Draghi, in risposta all'interrogazione presentata dagli europarlamentari Marco Valli e Marco Zanni (M5S), ha dichiarato che se un paese uscisse dall'eurozona dovrebbe regolare i crediti e le passività della sua Banca centrale nei confronti della Bce, cioè il saldo Target2. Nello specifico, l'Italia ha un passivo di 359 miliardi. Dal momento che i movimenti Target2 sono regolati da semplici scritture contabili, non da contratti bilaterali di finanziamento, quello che dice Draghi è vero oppure no?

Ho promesso da settimane un paper su Target 2, sto aspettando alcuni commenti prima di licenziarlo. Da un punto di vista economico i saldi Target 2 sono un debito per l’Italia. Quando paghiamo una importazione dalla Germania trasferendo euro da Unicredit a Deutsche Bank, è la Bundesbank che accredita la liquidità a DB, e lo fa in cambio di un credito Target 2: la Buba paga per noi, in un certo senso, in cambio di una promessa di pagamento. Cose simili accadono quando escono capitali dall’Italia. Se rompiamo, la Buba pretenderà che la promessa venga esaudita o comunque non cancellata. Dopodiché tutto si negozia! La rottura, se avverrà, sarà un fatto politico.

8. Luciano Gallino, Biagio Bossone, Marco Cattaneo e Stefano Sylos Labini, hanno elaborato una proposta per cercare di uscire dal circolo vizioso dell'austerità: i CFC, ovvero uno sconto differito su tasse e tributi vari. Crede che possano rappresentare una valida proposta?

Effettuare pagamenti fiscali con questi CFC (dei titoli pubblici emessi dal Tesoro) èdeficit spending. E’ vero, assomigliano a moneta, possono circolare per i pagamenti e sarebbero da tutti accettati perché impiegabili per pagare le imposte (secondo l’ipotesi cartalista). E infatti la loro emissione assomiglia a spesa pubblica in disavanzo finanziata dall’emissione di moneta (direttamente immessa dal Tesoro). I proponenti dicono che nel lungo periodo non c’è disavanzo, in quanto l’espansione farebbe accrescerebbe le entrate fiscali. Nulla da obiettare, ma se la Commissione europea permette questa operazione, allora permetterebbe direttamente una spesa in disavanzo (con una BCE a guardia dei tassi, dunque che asseconda la politica fiscale). Insomma, si tratta di proposte politicamente irrealistiche. (Trascuro qui la questione della circolazione pratica di questi CFC, elettronica, cartacea, e il fatto che non sarebbero comunque utilizzabili per i pagamento verso l’estero).

9. Anche Oscar Lafontaine ha avanzato una proposta che ha suscitato un dibattito molto intenso: in sintesi, prevederebbe il ritorno allo Sme. Cosa ne pensa? 

Ragionevole. Si tratterebbe di disegnare un nuovo SME meno Germano centrico e col controllo dei movimenti di capitale. Questo consentirebbe ai singoli paesi una politica monetaria indipendente.

10. Vorrei chiudere con la Grecia: l'ex Troika tornerà ad Atene per imporre nuove riforme neoliberiste in ambito fiscale, previdenziale e del mercato del lavoro. Cosa dovrebbe fare Tsipras, secondo lei?

Ogni volta che la Grecia deve esborsare una tranche del suo debito, se ne torna a parlare. Infatti il problema non è risolto, come giustamente sostiene il FMI, che in tutta questa vicenda ha sorprendentemente assolto alla funzione del saggio i cui consigli non sono ascoltati. In simili crisi del debito estero, come ne vedemmo a decine fra gli anni ’80 e ’90 dello scorso secolo, quando il FMI interveniva imponeva: (a) una ristrutturazione del debito (parte condonato, parte allungato di scadenza a tassi più bassi), (b) austerità fiscale attenuata, tuttavia, da (c) una svalutazione della moneta. La Germania ha praticamente imposto solo le misure (b), con l’obiettivo di surplus fiscali primari assurdi, che hanno devastato l’economia greca e il suo popolo (ricordiamo che l’Europa pretenderebbe dall’Italia una riduzione del rapporto debito su Pil al 60% in 20 anni, ciò che ci condurrebbe a una situazione peggiore di quella greca. Tutto questo è scandaloso e basterebbe a discreditare il raziocinio dell’Europa e l’idea di affidarle i nostro destini). Cosa poteva fare Tsipras? Forse di andare a vedere le carte di Schauble, che aveva proposto ad Atene una uscita assistita. Magari pretendendo che, una volta fuori, le politiche venissero concordate col FMI e non con la Troika. E puntando a vivere sui propri mezzi: non l’Albania comunista, ma Cuba sì – in fondo sono due paesi che si assomigliano. Ma, ovviamente, è facile dire queste cose seduti sulla poltrona di casa.

* Fonte: Politica&EconomiaBlog

sabato 4 febbraio 2017

TARGET 2: UN'ARMA SPUNTATA di Felix Simon

[ 4 febbraio ]

Scrivemmo sul Target 2 nel Novembre scorso e poi il 24 gennaio.
Ci torniamo con un articolo di Voci dall'estero che spiega bene come la minaccia di Draghi non si tenga in piedi e come una Banca centrale nazionale sovrana emettendo moneta risolve il problema del target 2



Proponiamo qui un interessante articolo del 2012 di Felix Salmon in cui si riassume e si chiarisce l’annoso dibattito sul reale significato dei saldi Target2. 

La questione è tornata alla ribalta dopo la recente dichiarazione di Draghi che finalmente ha smentito la pretesa di “irreversibilità” dell’euro, richiamando però i paesi che eventualmente volessero lasciare l’euro a una piena regolazione dei conti con l’Eurosistema. Nente di più semplice: i saldi Target2 non sono che regolazioni contabili tra BCE e banche centrali nazionali utili alla funzionalità dell’Eurosistema e facilmente liquidabili in caso di uscita, data la caratteristica delle banche centrali di essere istituti di emissione.

Moody ha appena declassato il rating della Spagna di tre punti — un chiaro segnale che il bailout bancario, ancor prima di essere attuato, è già stato giudicato dai mercati come estremamente nocivo per l’affidabilità della Spagna. Il rendimento dei titoli spagnoli a 10 anni è adesso del 6.75%, rispetto al meno del 5% dell’inizio di marzo, e si avvicina ai livelli ai quali l’accesso al mercato è sospeso a tempo indeterminato. Tornano le preoccupazioni circa il futuro dell’euro — e automaticamente, come succede ogni volta che queste preoccupazioni riappaiono – si ricomincia a parlare di Target2.

La settimana scorsa, George Soros metteva in guardia contro “i crediti che la Bundesbank vanta nei confronti delle banche centrali dei paesi periferici all’interno del sistema di compensazione Target2 ”; oggi, nel New York Times Hans-Werner Sinn scrive che la Bundesbank ha crediti Target2 per una somma pari a 874 miliardi di dollari dalla periferia europea. “Se Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna dovessero fallire e non ripagare i debiti, con l’euro ancora in corso, la Germania brucerebbe 899 miliardi di dollari”.

Contemporaneamente, in una recente relazione, Jonathan Carmel, della Carmel Asset Management, ha pubblicato questo grafico con la seguente nota esplicativa: “la Bundesbank si è sostituita alle banche tedesche nella loro esposizione verso la periferia“; ha poi spiegato che l’indebitamento della periferia è adesso un problema della Repubblica Federale Tedesca”.

I numeri sono imponenti e minacciosi, e Sinn in particolare fa tutto il possibile per terrorizzarci con la loro grandezza. L’anno scorso ho pubblicato un articolo di Martin Wolf sulle tesi di Sinn, che ha suscitato molte obiezioni. E allora, adesso ci riprovo: proverò a spiegare che questo grafico in realtà dimostra solo che il debito privato in Germania sta diminuendo. La curva su cui ci si deve concentrare è quella blu, non quella verde.

Ma facciamo un passo indietro. Il cosiddetto Eurosistema — costituito dalle banche centrali nazionali (BCN) più la BCE — ha un carattere fortemente federato. La BCE, per conto suo, fissa i tassi di interesse e gestisce un suo modesto bilancio di esercizio, ma le sole banche con cui ha a che fare sono le BCN. Sono le stesse banche centrali, come la Bundesbank o il Banco de España, ad effettuare tutte le operazioni di liquidità, a prestare denaro alle banche commerciali, e più in generale a far funzionare l’euro come valuta.

Ciascuna banca dell’Eurosistema è titolare di un conto presso la rispettiva banca centrale nazionale — e se si somma tutto il denaro presente in tutti questi conti, il totale è il saldo Target2 presso la banca centrale in questione. Vale la pena qui ricordare l’unica cosa su cui tutti sono d’accordo riguardo i Target2: finché la zona euro resta in piedi, non sono affatto un problema. La somma della totalità di saldi Target2 nelle varie banche centrali è sempre zero, ed il sistema funziona efficientemente e perfettamente.

Se una signora spagnola fa un assegno al suo terapista, il denaro esce dal suo conto ed entra nel conto del terapista. Finché entrambi i conti sono presso banche spagnole, si tratta solo di un trasferimento da una banca all’altra, ed il il saldo Target2 presso il Banco de España rimane invariato. Supponiamo però che la nostra correntista spagnola decida di trasferire €1.000 da Banco Santander su un conto della Deutsche Bank. In questo caso, il saldo nel suo conto Santander andrà a sotto di €1.000, ed il Banco de España dovrà anch’esso dedurre €1.000 dal conto di Santander presso la Banca centrale. In Germania, €1,000 si materializzano sul conto Deutsche Bank, ed alla prima occasione Deutsche Bank depositerà questa somma nel suo conto presso la Bundesbank, cosicché la Bundesbank aggiungerà €1.000 al saldo di Deutsche Bank.

In pratica, il Banco de España avrebbe appena distrutto €1.000, e la Bundesbank avrebbe appena creato €1.000. Non è un problema — si tratta di banche centrali, e la funzione delle banche centrali è quella di creare e distruggere denaro. Ma per semplici ragioni di contabilità, i conti nell’Eurosistema devono essere pareggiati. Teniamo presente che quelli che per noi normalmente sono degli attivi, per le banche sono passività. Quindi Deutsche Bank deve €1.000 alla nostra signora spagnola — che è un altro modo per dire che lei deposita €1.000 presso Deutsche Bank. A sua volta, Deutsche Bank deposita €1.000 presso la Bundesbank, il che significa che la Bundesbank deve €1.000 alla Deutsche Bank. E la catena continua: la BCE deve €1.000 alla Bundesbank, il Banco de España deve €1.000 alla BCE, e Santander deve €1.000 al Banco de España, dal momento che Santander ha di fatto dovuto prendere in prestito il denaro dal Banco de España per poterlo trasferire alla Deutsche Bank.

Trattandosi di alta finanza, gli obblighi verso le banche centrali nazionali sono qui garantiti, sicché il Banco de España detiene garanzie da parte di Santander che coprono abbondantemente i €1.000 dovuti. Da parte sua, il Banco de España invece non è tenuto a fornire garanzie alla BCE. Le banche centrali non hanno bisogno di fare nulla del genere: le garanzie non sono necessarie poiché esse possono sempre stampare denaro in caso di bisogno.

Non è comunque difficile capire che il saldo Target2 della Bundesbank è ultimamente in crescita, mentre i saldi delle periferie sono in diminuzione: è in atto una corsa verso investimenti più sicuri, e le banche tedesche sono (giustamente) percepite come più sicure delle banche spagnole, greche e di quelle degli altri paesi della periferia. Analogamente, le banche tedesche che hanno prestato denaro a debitori spagnoli — ed in particolar modo alle banche spagnole — non rinnovano questi prestiti. Quando i prestiti sono ripagati, le banche tedesche depositano semplicemente il denaro presso la Bundesbank, invece di prestarli nuovamente a qualche paese in seria difficoltà. Questo fa aumentare ulteriormente i saldi Target2 della Bundesbank, ed ogni qualvolta ciò accade c’è una riduzione uguale e contraria dei saldi Target2 altrove.

Si nota dunque subito ad occhio nudo come stanno davvero le cose: il denaro affluisce verso la Germania. I risparmiatori dei PIIGS o rimborsano direttamente i loro debiti con le banche tedesche, oppure trasferiscono i loro fondi presso conti in banche tedesche. In tal senso, è un po’ strano che personaggi come Sinn e Soros descrivano queste transazioni come denaro prestato dalla Germania alla periferia — in realtà, i flussi sono nella direzione esattamente opposta. Ma per ragioni contabili, questi flussi generano obblighi di contabilizzazione interna fra le varie banche dell’Eurosistema, e a quanto pare sono proprio questi obblighi di contabilità interna a preoccupare così tanto Soros e Sinn.

Tuttavia, come evidenziato da Karl Whelan, è tutt’altro che scontato che questi obblighi di contabilizzazione debbano destare preoccupazione. Nel suo complesso, l’Eurosistema è sempre in pareggio, e per ogni euro creato in una parte dell’eurozona un altro euro viene distrutto da un’altra parte. L’unico caso particolare in cui si potrebbero prevedere effetti negativi sarebbe se uno o più paesi abbandonassero l’euro. Ma anche in questo caso, non è detto che le conseguenze siano poi così gravi.

Un’eventuale uscita della Grecia sarebbe troppo poco significativa per destare preoccupazioni. La Grecia ha un saldo negativo Target2 di circa €100 miliardi. Questo significa che le banche greche devono €100 miliardi alla Bank of Greece, che sono coperti da garanzia; e che a sua volta la Bank of Greece deve €100 miliardi alla BCE in titoli non garantiti. Se la Grecia dovesse svalutare in modo caotico ed andare in default, sarebbe perfettamente ragionevole pensare che la Bank of Greece non adempirebbe ai suoi obblighi verso la BCE, e tratterrebbe per sé le garanzie delle banche greche, per aiutare a finanziare il più possibile la nascente dracma.

Se dovesse succedere, il fondo dell’Eurosistema — le altre 16 banche centrali, più la BCE — subirebbe una perdita contabile di €100 miliardi. Ma esse dispongono di un capitale di €86 miliardi, e possono creare altri 400 miliardi di capitale in qualsiasi momento, semplicemente rivalutando le loro riserve auree. Quindi trovare €100 miliardi non sarebbe difficile — soprattutto perché lo stesso concetto di banca centrale insolvente è un tantino assurdo. Anche nel caso in cui il capitale di una banca centrale cessasse di essere positivo e diventasse negativo, all’atto pratico nulla cambierebbe. Le banche centrali non possono fallire, perché possono sempre stampare moneta.

Ma se fosse l’intero eurosistema a crollare, e ciascun paese ritornasse alla sua moneta nazionale? Anche in questo caso è difficile vedere in che modo questo costituirebbe un colpo per la Germania. Le banche tedesche, come la Deutsche Bank, si ritroverebbero i loro saldi Target2 in euro ridenominati in marchi. E la Bundesbank teoricamente avrebbe sempre un credito con la BCE, ma a quel punto la BCE sarebbe praticamente già sparita. Ma non sarebbe un problema. Basterebbe semplicemente dichiarare che tutti quegli euro sono adesso marchi, dato che la Bundesbank può creare tutti i marchi di cui ha bisogno.

L’ipotesi sottesa al catastrofismo di Sinn è in buona sostanza che, se l’euro dovesse crollare, i contribuenti tedeschi dovrebbero versare mille miliardi alla Bundesbank per compensare tutto il denaro che la Bundesbank non può più riscuotere dalla BCE. Ma questo è semplicemente assurdo. Scrive Whelan:

“Il nuovo marco sarebbe, come l’euro, una moneta a corso forzoso, e non sarebbe affatto necessaria la piena copertura di tutti i marchi con riserve contanti effettivamente disponibili alla Bundesbank.

Se anche i funzionari tedeschi fossero preoccupati dal fatto che il bilancio di esercizio della Bundesbank mostri necessariamente più attivi che passivi, basterebbe convenire che la Bundesbank emetta a proprio favore un assegno di valore pari al suo credito TARGET2, e che si accrediti ogni anno gli interessi. Non sarebbe necessario neanche coprire le sue passività, per cui tecnicamente la solvibilità della Bundesbank sarebbe ristabilita senza nessun aumento delle tasse per i cittadini tedeschi.

Qualcuno potrebbe magari obiettare che la mancata ricapitalizzazione per via fiscale della Bundesbank farebbe perdere fiducia nel valore della moneta e/o causerebbe inflazione. Tuttavia, non si modificherebbe in alcun modo la quantità di moneta in circolazione nella Germania post-UEM. Ed un assegno sbattuto in un caveau non può scatenare un’iperinflazione. Ѐ invece molto più probabile, siccome il valore di una moneta a corso forzoso dipende principalmente dalla fiducia da parte dei cittadini che la moneta sarà resa disponibile in quantità limitata, che il nuovo marco si rivaluti significativamente, e che il risultato sia la deflazione piuttosto che l’inflazione.

In altre parole: sì, la Bundesbank dovrebbe di fatto stampare l’equivalente di mille miliardi di euro in marchi, cosa questa abbastanza atipica per la Bundesbank, ed in teoria ad effetto inflattivo. Ma se si crea una nuova moneta, è necessario stamparla. E sinché le banche tedesche depositano questi marchi presso la Bundesbank, e rifuggono dal prestarli a debitori di altri paesi, l’offerta di moneta in Germania non aumenterebbe affatto.

Scrive così Sinn:
«Se Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna dovessero fallire e non ripagare i debiti, con l’euro in vigore, la Germania brucerebbe 899 miliardi di dollari”. Se l’euro dovesse fallire, la Germania perderebbe oltre 1.350 miliardi di dollari, più del 40 percento del suo PIL. Ѐ mai successo che gli Stati Uniti abbiano corso un rischio simile per aiutare altri paesi?»
Posto che Sinn si riferisca qui ai saldi Target2 — e questi saldi rappresentano la maggior parte di quelle cifre — non credo affatto che abbia ragione. Innanzitutto, come sottolinea Whelan nel suo blog, gli Stati Uniti hanno già sopportato oneri superiori al 40% del PIL per aiutare altri paesi. Nel 1941, il debito pubblico americano era meno del 40% del PIL; nel 1946, era oltre il 120% del PIL. Oh, e 400.000 soldati americani sono morti in guerra, fra l’altro. In gran parte ciò si potrebbe ragionevolmente considerare una forma di autodifesa, ma in buona parte si trattava di aiuti al mondo libero estremamente necessari.

Ma più specificatamente, i correntisti tedeschi non perderebbero soldi, le banche tedesche non perderebbero soldi, e nemmeno lo stato tedesco perderebbe soldi. L’unico soggetto che si potrebbe considerare aver perso qualcosa sarebbe la Bundesbank — ma in realtà la Bundesbank avrebbe soltanto convertito tutti gli euro in circolazione in Germania in marchi. Se l’euro cessasse di esistere, anche le obbligazioni all’interno dell’Eurosistema cesserebbero di esistere — anzi, lo stesso Eurosistema cesserebbe di esistere, dato che la sua unica raison d’etre è di tenere in piedi l’euro. Tutte le convenzioni di contabilità interna sparirebbero in una nuvola di fumo, e ciascuna banca centrale nazionale opererebbe per conto proprio, gestendo la propria moneta e controllando le proprie banche.

Potrà essere rassicurante pensare che gli euro di oggi siano in qualche modo reali e che gli ipotetici marchi di domani non lo siano, e che quindi se domani questi euro cessassero di esistere per essere sostituiti da marchi, ciò comporterebbe la perdita di centinaia di miliardi di euro. Ma non è così che funzionano le monete a corso forzoso. Il marco di domani sarebbe reale né più né meno come l’euro di oggi, e infatti verosimilmente il problema del marchi non è il pericolo di indebolirsi quando la Bundesbank ne dovesse stampare in quantità, ma piuttosto che la loro popolarità come valuta sarebbe talmente alta da farne salire il valore alle stelle, rendendo le esportazioni tedesche non competitive.

Non vi è dubbio che i costi collegati allo smantellamento dell’euro rischiano sicuramente di essere ingenti. Ma non ingigantiamo la questione includendo in questi costi anche i saldi Target2. Questi non sono altro che delle convenzioni contabili: sono un artifizio per assicurare che l’Eurosistema sia sempre a somma zero. Se si vuol credere che i saldi Target2 siano debiti reali, allora allo stesso modo si dovrebbe credere che una corsa agli sportelli in Spagna, in cui i depositi fuggono verso la Germania, sia negativo per la Germania e positivo per la Spagna — dato che non farebbe che accentuare gli squilibri Target2.

In base al ragionamento fatto da Sinn, sarebbe meglio per la Spagna o l’Italia abbandonare l’euro, perché in questo modo eviterebbero di ripagare i loro debiti Target2 e si ritroverebbero quindi incredibilmente ricchi — avrebbero preso in prestito centinaia di miliardi di euro dall’Eurosistema, e non avrebbero poi mai più bisogno di ripagare il loro debito. Se credete ad una cosa del genere, allora potete anche prendere sul serio Sinn. Ma a me sembra chiaro che se l’euro cessasse di esistere, quello che conta sarebbero le relazioni bilaterali delle banche centrali nazionali con tutte le banche dei rispettivi paesi. E queste relazioni bilaterali, essendo basate su prestiti pienamente garantiti, non sarebbero affatto toccate dalle convenzioni contabili Target2.

** Traduzione di Margherita Russo

martedì 24 gennaio 2017

DRAGHI AMMETTE: "USCIRE DALL'EURO? SI PUÒ MA..." di Leonardo Mazzei

[ 24 gennaio ]

Bella scenetta al ristorante "Euro". Mentre è sempre più chiaro come la moneta unica sia alla frutta, il gestore di questa trattoria dai piatti immangiabili prepara il conto nel retrobottega. I signori vogliono uscire per andarsene a prendere un po' d'aria fresca? Che prima passino alla cassa, perché se per molti commensali il pranzo è stato indigesto, il conto sarà salato proprio per loro.

Di cosa stiamo parlando? Di questa notizia lanciata dalla Reuters e commentata da Tyler Durden. Il succo è in questa frase di Mario Draghi: 
«Se un paese dovesse lasciare l’Eurosistema, i crediti o le passività della sua banca centrale nazionale verso la BCE dovrebbero essere risolti in toto».
Davvero un'affermazione interessante, nella quale il capoccia dell'euro ci dice due cose: che l'uscita dall'eurozona di uno o più dei suoi membri è ormai messa nel conto; che la Bce si erge a tutrice degli interessi tedeschi.

Eh, come cambiano i tempi! Finita da quel dì la fila per entrare nella gabbia dall'euro, adesso si annuncia quella per uscirne. E lorsignori si attrezzano.

Abbiamo segnalato per tempo l'interessante parabola del declino delle certezze degli euristi, e dello stesso capo della Bce, sulla moneta unica. Se ancora a gennaio 2015 si giurava sulla sua «irrevocabilità», nell'aprile dello stesso anno (a proposito della crisi greca) Draghi iniziò a parlare di «acque inesplorate». Arriviamo al marzo 2016 ed è sempre lui a chiedere ai governi dell'Eurozona «chiarezza sul futuro della nostra unione economica e monetaria». Evidentemente le vecchie certezze stavano ormai scricchiolando del tutto. Ma l'affermazione annunciata dalla Reuters, contenuta in una lettera a due europarlamentari italiani, di cui non si conosce il nome, è senz'altro il segnale di un nuovo salto di qualità.

Ma in cosa consiste il conto da pagare cui accenna Draghi? Lui non ce lo dice con chiarezza, né parla dei tempi, delle modalità, della valuta con la quale regolare «in toto» i crediti e le passività della banche centrali nazionali verso l'Eurosistema, ma è evidente che si riferisce ai conti del sistema Target2.

Detto in breve Target2 è la piattaforma elettronica sulla quale avvengono i pagamenti interni all'eurozona. Pagamenti che, passando dalle rispettive banche nazionali, danno luogo a delle scritture contabili (positive o negative) nei confronti dell'Eurosistema, in sostanza della Bce. Poiché si tratta di transazioni interne, è chiaro come per quest'ultima la somma sarà sempre zero, mentre così non è per i vari saldi nazionali.

E qui sorge il problema, a riprova della follia dell'euro. Difatti, se questa moneta fosse stata davvero quella di un'Europa unita, è evidente che le stesse banche centrali nazionali avrebbero chiuso i battenti ed i rispettivi saldi non avrebbero alcuna ragione di esistere. Ma così non è, ed ora Draghi ce ne parla con chiarezza.

Ma queste scritture contabili sono un debito a tutti gli effetti?

Così scrive Sergio Cesaratto nel suo utilissimo libro Sei lezioni di economia
«Un documento della Commissione europea ha definito i saldi TARGET2 come "equivalenti a riserve in valuta straniera" specificando che "a differenza delle riserve, e sebbene i flussi TARGET2 siano registrati come transazioni della banca centrale con il resto dell'Eurosistema, queste non implicano transazioni concrete fra la banca centrale nazionale e una banca centrale straniera in quanto la liquidità è creata a livello nazionale". In altre parole, io Banca di Spagna creo liquidità a favore delle mie banche che effettuano pagamenti esteri per i miei concittadini, tu Bundesbank accrediti il corrispettivo ai beneficiari nel tuo Paese. Intanto "segniamo" (come si diceva un tempo a Roma dal droghiere), poi si vedrà. Come commenta Bagnai a proposito di TARGET2: "nella follia economica c'è sempre un metodo"».
Ecco, oggi Draghi ci parla di quelle transazioni "segnate". Transazioni avvenute per acquistare o vendere merci, come pure per acquistare o vendere titoli verso soggetti di un altro paese dell'eurozona. E ci dice che si potrebbe passare da una scrittura contabile ad una transazione concreta.

Ho parlato di titoli non per caso. Nella lettera di Draghi si dice espressamente che gli squilibri che si sono determinati nel sistema sono dovuti in primo luogo proprio al Quantitative easing della Bce, che ha portato ad esempio Bankitalia ad acquistare titoli del debito italiano detenuti da investitori tedeschi. Un'operazione che se da un lato è servita ad abbassare notevolmente i tassi e lo spread, dall'altro ha incrementato i saldi negativi del sistema Target2.
SOLLEVAZIONE aveva scritto sul sistema Target2 QUI e QUI

Attualmente il saldo negativo dell'Italia è di 357 miliardi, mentre il saldo positivo della Germania è di 754 miliardi. Quale sia stato l'andamento nel tempo ce lo descrive assai bene il grafico qui sotto.


Come si può vedere gli squilibri sono iniziati nel 2008 con lo scoppio della crisi. Fino ad allora il sistema si manteneva in equilibrio attraverso il mercato interbancario, con il quale le banche dei diversi paesi si prestavano i soldi fra loro. Finita la "fiducia" tra le banche, finiti dunque questi prestiti, si è ricorsi al rifinanziamento degli istituti di credito attraverso la Bce, che è stato però decentrato presso le banche centrali nazionali (Bcn). Ma, come ci ricorda Cesaratto nel libro già citato: 
«Questo è un fatto meramente tecnico-organizzativo. Le riserve create dalle Bcn a favore delle banche commerciali sono una passività che, al pari delle corrispondenti attività, vale a dire i titoli ottenuti dalle banche come collaterale, entrano nel bilancio dell'Eurosistema».
Quella di Draghi appare dunque come un'evidente forzatura. Una minaccia rivolta in primo luogo all'Italia, anche se secondo qualcuno le sue parole sarebbero anche un modo per segnalare alla Germania i rischi di una rottura dell'euro. Nessuno infatti crede seriamente che il "conto" della Bce verrebbe davvero pagato.

E qui si impongono alcune considerazioni finali.

La prima è che il processo di disgregazione dell'unione monetaria è sempre più grave. Come in un matrimonio, quando si comincia a parlare dei conti della separazione vuol dire che questa è ormai nelle cose.

La seconda è che l'Italia non ha proprio da pagare alcun debito alla Bce, tantomeno alla Germania. Non solo perché in questo caso non si tratta di un debito vero e proprio, ma solo di un riequilibrio a livello di emissione monetaria determinato proprio dalla follia dell'euro, cioè dall'impossibilità di agire sul cambio. Ma anche perché l'Italia (come gli altri paesi mediterranei) ha già pagato fin troppo i costi dell'euro in termini di distruzione della ricchezza nazionale, di disoccupazione, di deflazione salariale.

La terza considerazione è che la Bce non è in grado di imporci un bel nulla. Non solo perché, come dice Durden, non ha un esercito, ma anche perché il blocco eurista è oggi all'interno di una congiunzione astrale piuttosto sfavorevole. L'Euro-Germania non ha più alle spalle il potente protettore di Washington, mentre la Gran Bretagna ha ormai virato verso un'uscita senza troppi compromessi. Insomma, dal punto di vista geopolitico ci sono oggi —oggi, tra un anno non lo possiamo sapere— le condizioni ideali per mandare al diavolo gli eurocrati di Bruxelles e Francoforte insieme ai loro padroni tedeschi.

La quarta considerazione è che l'Unione Europea è ormai politicamente, prima ancora che economicamente, in uno stato pre-agonico. Ce lo dice perfino uno come Angelo Panebianco nel suo editoriale di ieri sul Corriere della Sera
«...si moltiplicano gli (inutili e retorici) appelli all'Europa, la richiesta che l'Europa "si muova", che batta un colpo. L'Europa però non esiste e dunque non ha senso pretendere che un'entità inesistente faccia questo o quello». 
Di fronte a questo disastro ovviamente Panebianco deve pur proporre qualcosa. La sua idea è che bisognerebbe cambiare i trattati, ma come non si sa. Come arrivare, del resto, a nuovi trattati se i vari paesi tirano tutti nelle più diverse direzioni? Ovvio che si tratti dell'ennesima chimera di chi pur vedendo con chiarezza la disgregazione non vuole accettare fino in fondo le conseguenze del suo stesso ragionamento.

In conclusione, le minacce di Draghi, così come le parole di Panebianco, ci parlano di una crisi davvero irreversibile. Una crisi dai tempi ormai accelerati. Lo abbiamo già detto in tanti modi: il tempo ormai stringe ed occorre agire di conseguenza. Chi non capisce questa urgenza non è solo un cretino, è oggettivamente un alleato (che non ne sia consapevole poco importa) delle oligarchie dominanti.

mercoledì 2 novembre 2016

Bollettino Medico n.4 - DISUNIONE EUROPEA: Target 2 e la fuga dei capitali dall'Italia

[ 2 novembre ]


La tabella sopra indica il sistema dei pagamenti cosiddetto "Target 2". Cos'è "Target 2"? una specie di registratore di cassa che traccia i flussi di capitali in entrata e in uscita da ogni singolo Paese.
Che si vede? che l'Italia ha accumulato un passivo record nei confronti del resto della Unione europea, pari a 327 miliardi di euro, superando anche i momenti più acuti della crisi degli anni precedenti. 

Sorvolando sui tecnicismi, Target 2 mostra un fenomeno inequivocabile: gli investitori italiani e internazionali investono più volentieri fuori che dentro l’Italia. 
In poche e chiare parole: fuga dei capitali.
Ha quindi ben ragione Draghi a ricordare ai tedeschi che il suo Qe non ha affatto penalizzato la Germania. I soldi stampati dalla Bce con il Qe preferiscono andare altrove, non restano nella Penisola ma se ne vanno verso lidi più sicuri, anzitutto la Germania.
Un altro tassello del grande puzzle della "disunione europea"...

mercoledì 2 marzo 2016

L'EURO MORIRÀ: ANALISI DEI TARGET 2 di Vincent Brousseau

[ 2 marzo ]

Vincent Brousseau* è responsabile nazionale per l’euro e le questioni monetarie dell’Union Populaire Républicaine (UPR). 

L'UPR è un partito della destra democratica sovranista, anti-eurista e anti-atlantista francese.
Si considera avversario del Front National di Marine Le Pen, di cui condanna la sua natura xenofoba e islamofoba. L'UPR, nello spirito della Resistenza anti-nazista, chiama alla costituzione di un fronte unito popolare per riconsegnare alla Francia piena sovranità nazionale.
Questo articolo spiega come il meccanismo dei saldi Target2 dimostri che la moneta unica sia destinata all'implosione.
Un contributo, quello di Brousseau, che ogni sovranista dovrebbe leggere e studiare attentamente.

«Qualche giorno fa, l’UPR ha segnalato che i saldi Target avevano ripreso la loro fuga in avanti, cosa sulla quale i media francesi rimangono straordinariamente discreti.
Il grafico accanto mostra l’evoluzione di questi saldi Target da prima dell’inizio della crisi fino ad ora. Questi saldi sono debiti e crediti in un sistema chiuso; la loro somma è quindi pari a zero, il che spiega l’aspetto simmetrico del grafico. I debiti (in basso) riflettono i crediti (in alto).
La fase 2011-2013 è stata un momento di panico. Col passare del tempo, abbiamo accumulato dati sufficienti per poter fare una constatazione: Se non si considera questo episodio di panico, si può constatare ora che il ritmo di fondo della progressione non si è mai interrotto. La Bundesbank accumula ogni anno, in media, circa 80 miliardi di crediti supplementari. E, dal 2008, si arriva a un rispettabile totale di 600 miliardi.
Per dare un ordine di grandezza, vorrei ricordare che il bilancio totale della Bundesbank all’inizio dell’euro era solo di 250 miliardi, e nel 2005, di 300 miliardi.

Così ci avviciniamo a nuovi picchi – e senza, questa volta, che entri in gioco il fattore panico. Si tratta piuttosto di un aumento inarrestabile, che sta alla base della dinamica generale. Ciò ha conseguenze molto importanti, che sono il tema di questo articolo.
Che cosa è un saldo Target?
[Nella tabella a fianco: andamento dei saldi del sistema Target2 tra gennaio 2007e aprile 2014. Si noti l'accumulo di disavanzo dei paesi periferici e l'allargamento della forbice rispetto ai paesi del nord, con un picco massimo nel 2012. Ciò significa che il settore finanziario dei rispettivi paesi in deficit è andato incontro a un incremento del leverage rispetto ai paesi dell'Europa core. CLICCA PER INGRANDIRE]

I lettori che desiderano comprendere cosa è un saldo Target possono trovare su internet risposte in abbondanza. In primo luogo ci sono i siti della BCE o della Banca di Francia; non li consiglierei qui perché questi testi sono un po’ costruiti per convincere il lettore che questi saldi Target sono una questione puramente tecnica e in realtà poco importante per il destino dell’euro.

Le spiegazioni che danno le banche commerciali sono molto più neutre e accettabili. Il lettore che conosce il tedesco avrà anche accesso all’abbondante produzione del Dottor Hans-Werner Sinn, presidente dell’Ifo, che è un esperto nel campo.
Infine, naturalmente, l’UPR spiega i Target in diversi articoli e video, sia di François Asselineau che miei.
Merita qui citare una nota di BNP Paribas, di cui apprezzo (parlo della nota) la sobrietà e l’obiettività. Questa nota risale a un po’ meno di un anno fa ed i numeri che riporta sono ormai obsoleti, ma questo non influisce sul paragrafo intitolato “Elementi di definizione”, che qui riporto:
“All’interno della zona euro, il sistema TARGET2 è una piattaforma integrata che registra e gestisce le spedizioni transfrontaliere di moneta della banca centrale. Gestisce, in particolare, le operazioni delle banche commerciali e / o dei clienti delle banche nel contesto delle transazioni commerciali o dei flussi transfrontalieri di capitali (investimenti di portafoglio, investimenti diretti, trasferimenti di depositi). Quando un cliente di una banca decide di trasferire i depositi da un paese “A” ad un paese “B”, le banche commerciali regolano tali transazioni attraverso un trasferimento di riserve detenute nel loro conto presso la propria banca centrale nazionale (BCN). Questi conti correnti sono registrati nelle passività delle BCN [1]. Per compensare la variazione delle riserve, un credito TARGET2 viene generato automaticamente nel bilancio della BCN del paese “B” (colui che riceve il flusso di capitale), mentre nel bilancio della BCN del paese “A” (quello all’origine dei pagamenti in corso) appare il debito TARGET2 (fonte:http://economic-research.bnpparibas.com/html/fr-FR/Positions-Target-2-mieux-10/04/2015,25534  ).
Non c’è unione monetaria senza saldi Target
Dobbiamo capire che questi debiti e crediti Target sono consustanziali, in senso stretto, al principio dell’unione monetaria. Non si può avere l’uno senza l’altra. Spieghiamo perché.
L’euro è in realtà plurale, si compone di crediti a vista [2] delle varie banche centrali coinvolte. Essendo queste banche centrali diverse, allora esiste un euro di diverse specie; il principio dell’unione monetaria si basa dunque sulla garanzia incondizionata che ciascuno di essi può essere scambiato contro un altro a tasso fisso (qui, uno a uno), in quantità illimitata e senza restrizioni di sorta. Perché io possa trasferire degli euro dal paese A al paese B, è necessario che la banca centrale del paese B sia tenuta ad accettare di erogare degli euro da essa emessi in cambio di un debito di pari importo della banca centrale del paese A. La minima restrizione su questo, e l’unione monetaria non esiste più. Così gli euro che vengono scambiati ogni giorno da un paese a un altro danno luogo al sorgere di crediti di una banca centrale verso l’altra, o di debiti in direzione opposta. Questa è una conseguenza necessaria del sistema dell’unione monetaria.
Questa è la condizione necessaria del sistema, ma ovviamente è anche il pomo della discordia. Dal momento in cui in effetti questi trasferimenti diventano asimmetrici, le banche centrali dei paesi beneficiari si trovano ad accumulare crediti di dimensioni che diventano rapidamente irragionevoli nei confronti delle loro controparti dei paesi in deficit. E non hanno la libertà di rifiutare, perché se potessero, il loro euro acquisterebbe un valore superiore rispetto a quello dei partner, cosa che sarebbe in contraddizione con l’unione monetaria e, di fatto, ne sancirebbe la fine.
Perché un alto volume di saldi Target rappresenta una preoccupazione?
Così, i saldi Target aumentano. Quando tengo delle conferenze sul tema, la gente di solito mi pone una domanda, che si potrebbe così sintetizzare: “Ma, mio Dio, se la Bundesbank è creditore, dovrebbe ben fargli piacere, invece perché è così infelice? “
Cercherò di rispondere con alcuni semplici esempi.
Supponiamo che io devo al mio lettore mille franchi svizzeri. Il mio lettore vuole essere rimborsato e mi presenta il mio pagherò. Io lo rimborso dandogli esattamente lo stesso pagherò. Forse si sentirà truffato? Si.
Supponiamo ora che io sia la BNS, la banca centrale svizzera. Se qualcuno presenta agli sportelli della BNS un biglietto da mille franchi svizzeri, che è un credito nei confronti della BNS, la banca lo rimborserà dandogli mille franchi, vale a dire esattamente la stessa cosa. Accrediterà sul conto del mio lettore (se ha un conto alla BNS) una somma dello stesso importo, o se no gli darà il liquido in franchi svizzeri. Quindi, se io fossi la BNS, il mio lettore non si sentirebbe truffato. Le persone sono generalmente felici di avere un biglietto da mille in tasca.
La differenza sta nel privilegio giuridico conferito dalla Confederazione svizzera alla BNS, che attribuisce corso legale sul territorio della Confederazione alle cambiali della BNS, cioè quel che sono in realtà i franchi svizzeri. Non voglio entrare qui in ulteriori spiegazioni, perché l’ho già fatto altrove, ma ciò che dobbiamo ricordare è che nel primo caso questo metodo di rimborso “circolare” non è accettabile, mentre nel secondo caso lo è.
Questi due casi sono gli unici che esistono nel mondo normale, al di fuori dell’unione monetaria. Ma, nel caso dell’Euro, si verifica un terzo caso.
Supponiamo ora che il mio lettore diventi la Bundesbank, che io stesso sia la Banca di Spagna, e che il debito in questione non sia più in franchi svizzeri, ma in Euro. Il lettore mi presenta il suo credito di mille euro, io lo rimborso con esattamente lo stesso credito, vale a dire un saldo Target. Riecco la circolarità. La Bundesbank dovrebbe essere soddisfatta o insoddisfatta?
E’ insoddisfatta. Lei fondamentalmente ha dato la sua buona moneta tedesca in cambio di un “attivo”, del quale non se ne può assolutamente fare nulla. In sostanza, è stata truffata, cosa che viene espressa dicendo che ha “finanziato” i paesi periferici, a proprie spese, gratuitamente, e senza averlo voluto. Così dunque l’alto volume dei crediti Target – quelli della Bundesbank sono mostrati in rosso sul grafico di cui sopra – non sono per la Bundesbank un motivo di soddisfazione, ma di rabbia.
La diffidenza del signor Weidmann
E’ qui il caso di ricordare un piccolo fatto passato inosservato che risale giusto a quattro anni fa. In una lettera a Mario Draghi, il presidente della Bundesbank Weidmann richiedeva la realizzazione di un sistema di garanzie su questi crediti Target: secondo lui la banca centrale debitrice avrebbe dovuto depositare degli attivi come collaterale del proprio debito, vale a dire prestare una garanzia. Questa lettera è venuta a conoscenza di un grande giornale di Francoforte, che viene utilizzato in modo informale da canale di trasmissione della Bundesbank quando questa vuole dire qualcosa che non si può dire. Cito l’articolo, datato 29 febbraio 2012, dal titolo Die Bundesbank fordert von der EZB bessere Sicherheiten, che si trova qui .
In einem Brief, dessen Inhalt der F.A.Z. bekannt ist, die auf nimmt Weidmann ausdrücklich wachsenden target-Forderungen Bezug. Er schlägt eine Besicherung dieser Forderungen der EZB gegenüber den finanzschwachen Notenbanken des Eurosystems vor, die einen Wert von mehr als 800 Milliarden Euro erreicht hatten” (“In una lettera, di cui la Frankfurter Allgemeine Zeitung è venuta a conoscenza, Weidmann si riferisce espressamente alla crescita dei crediti Target. Egli propone che i crediti verso le banche centrali più deboli siano garantiti dal deposito di attività in garanzia [attività che viene chiamata “collaterale”, e impegno che viene definito “collateralizzazione”, NdA]. Questi crediti verso le banche centrali più deboli ha raggiunto l’ammontare di 800 miliardi [cifre del febbraio 2012, NdA].”)
Ora, se il lettore ha seguito le spiegazioni che ho dato sopra, potrà facilmente constatare che una tale esigenza di garanzia dei debiti Target è proprio una di quelle restrizioni che pongono fine de facto all’unione monetaria. Nel momento in cui la banca centrale, poniamo, spagnola, non fosse in grado di fornire le risorse necessarie a garanzia, il trasferimento di euro dalla Spagna verso un altro Paese diventerebbe impossibile – i trasferimenti sarebbero rifiutati, l’euro spagnolo non varrebbe più come un euro tedesco. (Dico Spagna come potrei dire Italia, è solo un esempio.)
Naturalmente, sarebbe ingenuo credere che la Bundesbank non abbia colto tutte le implicazioni della sua perversa proposta. Piuttosto, dobbiamo vedere in questo episodio un esempio di cattiva volontà, ufficiosa ma reale, di questa istituzione verso l’unione monetaria.
Ho riferito altrove altri esempi, e ragioni, di questa cattiva volontà, e non mi ripeterò. Ciò che è degno di nota è che il carattere relativamente tecnico della proposta ne mascherava il contenuto rivoluzionario, che in tal modo è sfuggito ai commenti di giornalisti e politici. Grazie al velo della complessità tecnica, il grande pubblico poteva continuare a credere alla finzione di una Bundesbank favorevole all’euro. Questo stesso pubblico avrebbe inoltre potuto continuare a credere nell’esistenza dell’euro – per un breve periodo – anche dopo la sua fine effettiva (è il concetto di una “uscita subdola” a cui a volte mi riferisco nelle mie conferenze). Draghi, naturalmente, non sbaglia, e ha ostacolato la proposta Weidmann.
Conclusione: dobbiamo uscire dall’euro il prima possibile
Bisogna ammetterlo, il problema è senza via d’uscita.
L’euro muore per un difetto di costruzione originario: non era possibile avere, allo stesso tempo, una pluralità di banche centrali dotate del potere di emettere moneta a corso legale e un’unione monetaria. Quello che sta accadendo era prevedibile (ed alcuni l’avevano anche previsto, ma non sono stati ascoltati).
L’unico modo per far sopravvivere l’euro significherebbe negare alle BCN – tra cui la Bundesbank – questo privilegio. Ma questa opzione è impensabile. Qualsiasi altra proposta di riforma dell’euro, come quella di una moneta unica che coesiste con le monete nazionali, lascerebbe irrisolto il problema dei saldi Target. Sotto un altro nome, naturalmente, in una forma po’ diversa, certamente, ma sarebbe essenzialmente la stessa cosa. L’euro non è riformabile.
Basta semplicemente estrapolare il grafico all’inizio di questo articolo per capire. Alla fine, tutta la base monetaria dell’euro sarà emessa dalla Bundesbank – ma molte altre banche centrali avranno libero accesso alla sua sottoscrizione, che voglia o no. Questa situazione non sarà accettabile.
L’euro è dunque condannato, a prescindere dalla retorica dei nostri politici. Non c’è più niente da fare; tranne che una cosa: uscirne il più rapidamente possibile. Perché quando un edificio comincia ad avere delle crepe e a sgretolarsi, solo gli abitanti che hanno la presenza di spirito di battere velocemente in ritirata possono sperare di non perire sotto le macerie.
Le utopie finiscono sempre con l’infrangersi sul muro della realtà».

* Vincent Brousseau è responsabile nazionale dell’UPR per l’euro e le questioni monetarie; ex allievo della Ecole Normale Supérieure di Saint-Cloud; Dottorato di ricerca in matematica presso l’Università di Parigi IX; Dottore in Economia presso l’École des hautes études en sciences sociales (EHESS); ha lavorato per 15 anni presso la Banca centrale europea (BCE), in particolare nel campo della politica monetaria che è al cuore del sistema

** Fonte: Union Populaire Républicain

*** Traduzione: Sinistra in rete


Note
[1] BCN: banca centrale nazionale (zona euro). Deve essere corretto con l’aggiunta della BCE in quanto tale.
[2] A vista: immediatamente liquidabile, senza data di scadenza.
   

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