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mercoledì 7 marzo 2018

ASTENSIONE: PER LA CRONACA....

[ 7 marzo 2018 ]
Siccome la scheda pubblicata giorni or sono su "Astensione, scheda nulla, scheda bianca o..." ha avuto uno straordinario picco di letture ci sembra di fare cosa giusta vedere com'è andata questa volta con l'astensione, le schede nulle, ecc.


L’affluenza degli elettori al voto di domenica 4 marzo per rinnovare il Parlamento è stata del 72,9% per la Camera e appena più alta (72,99%) per il Senato. È stata l’affluenza più bassa per le elezioni politiche nella storia repubblicana del nostro Paese: nel 2013, quando si poteva votare anche il lunedì mattina, l’affluenza era arrivata a poco più del 75% e aveva portato il numero di votanti per la prima volta in Italia sotto l’80%. Nel 1948 si superava il 92%.

Gli italiani che avrebbero avuto il diritto di votare erano quest’anno 46.605.046 ma quelli che si sono effettivamente recati ai seggi sono stati appena meno di 34 milioni: 33.978.719. In altri termini, più di 12 milioni e mezzo di italiani sono rimasti a casa e non hanno votato.

Dei 34 milioni che hanno ritirato la scheda, più di 350 mila la hanno restituita (per il voto alla Camera) senza compilarla e in totale le schede che sono state annullate sono oltre un milione: gli italiani che in effetti non hanno votato sono dunque più di 13 milioni e mezzo. E quelli che hanno votato meno di 33 milioni.

Le percentuali sono molto diverse a seconda delle Regioni e al loro interno. Quest’anno il Veneto ha strappato di poco all’Emilia Romagna il primato della Regione con la più alta affluenza al voto: 78,8% contro 78,3%, ma cinque anni fa entrambe le Regioni erano al di sopra dell’80%. A Padova e Vicenza sono andate alle urne anche questa volta più di otto persone su dieci, come anche nella provincia di Bergamo, ma sono ormai eccezioni. In Lombardia la percentuale dei votanti si è fermata al 77%, in Piemonte si scende al 75%.

L’affluenza diminuisce spostandosi verso il Sud. Nel Lazio sfiora il 73%, con un calo di cinque punti negli ultimi cinque anni. In Campania si scende al 67,8, cioè solo due persone su tre votano mentre la terza rimane a casa, anche se la situazione è quasi uguale a quella del 2013.

Il record negativo spetta alla Sicilia, dove ha votato solo il 63% delle persone, e alla Calabria, dove si arriva al 63,5%. Nelle province di Agrigento e Caltanissetta la percentuale si abbassa attorno al 60% ma ci sono anche zone della Sicilia, come Palma di Montechiaro, Lampedusa e Linosa, dove la percentuale è già sotto il 50%: è andata a votare meno di una persona su due.


* Fonte: LA STAMPA

lunedì 6 novembre 2017

ELEZIONI AD OSTIA: CICLONE CASA POUND?

Il candidato di Casa Pound Luca Marsella
[ 6 novembre 2017 ]

Astensionismo in massa. 
Questo è il dato più eclatante che emerge dalle elezioni per il "sindaco" di Ostia, popoloso sobborgo sul litorale romano. Ricordiamo che la giunta piddina venne sciolta e quindi commissariata per inflitrazioni mafiose.

L'affluenza finale è stata del 36,15%, ben 20 punti percentuali in meno del primo turno delle comunali del 2016 quando la partecipazione era stata del 56,11%.
 
Hanno votato 67.125 persone su 185.661 aventi diritto, a fronte di 231 mila residenti nel territorio: in pratica quasi 2 elettori su tre sono rimasti a casa. La partecipazione è più alta sul lungomare, con punte di affluenza superiori al 40% mentre nell'entroterra più popolare ci sarebbero delle sezioni attorno al 30%!
Monica Picca (FdI) e Giuliana Di Pillo (M5S)

Nel vuoto surreale segnato dall'astensione  in massa 
( e dagli allagamenti davanti ai seggi) la candidata pentastellata Giuliana Di Pillo risulta la più votata con il 30,21% delle preferenze, davanti a Monica Picca, responsabile locale di FdI (in coalizione con Lega e Forza Italia) al 26,68%. Il Partito democratico con Athos De Luca, raggiunge il misero 13,61%.

Da segnalare il previsto tonfo (forse meno grande del previsto) dei Cinque Stelle: meno 19 mila voti — alle passate comunali la Raggi ottenne ad Ostia il 46% e addirittura il 74% al ballottaggio.

Per quanto concerne il centro-destra è significativo che Fratelli d'Italia pur tenendo in termini percentuali, passa dal 9,99% al 9,68, perde qualcosa in termini assoluti scendendo da 8.809 voti a 6.118. Noi con Salvini cresce dal 2,89 al 4,16% passando da 2.546 voti a 2.632.

Non c'è stato —malgrado il sostegno conclamato della malavita locale ed i tanti pacchi viveri distribuiti "al popolo" in stile democristiano—, il da tutti previsto "ciclone Casa Pound". Luca Marsella conquista il 9,08, ma grazie anche alle altre due liste collegate —nel 2016 con Simone di Stefano prese ad Ostia 1.750 voti, pari all'1,99%, mentre oggi sale a 4.862, Il 7,69%.

Facciamo i conti della serva. 
Quanto fa in percentuale 4.862 voti presi dai neofascisti rispetto agli ostiensi aventi diritto (185.661)? Fa il 2,61%.

Un po' pochino per parlare di ciclone.

mercoledì 21 giugno 2017

DOVE VA LA FRANCIA? di Jacques Sapir

[ 21 giugno 2017 ]


Il consolidarsi dei risultati del secondo turno delle elezioni legislative mostra ancora di più l’ampiezza con cui si è manifestato il rifiuto del voto. Se si sommano astensione, schede bianche e schede nulle —voti, questi ultimi, in forte aumento dal primo al secondo turno (da 500.000 a 2 milioni)— si supera il 61,5%, cifra data dal 57,36% delle astensioni più il 4,20% di schede bianche o nulle. Questo significa che appena il 38,5% degli elettori aventi diritto (ossia 18,31 milioni su 47,58 milioni) ha espresso effettivamente un voto al secondo turno. L’ampiezza del rifiuto del voto, a prescindere da quale forma abbia assunto, spinge a porsi alcune domande sul senso stesso di queste elezioni.

Paese “legale” contro paese “reale”?
Se non avessimo già abusato della contrapposizione maraussiana tra “paese legale” e “paese reale”, dovremmo utilizzarla proprio per descrivere la situazione attuale. Certo, la situazione non è assimilabile a quella in cui Charles Maurras aveva espresso questa dicotomia. Essa indicava aspetti diversi e non può essere ridotta alla sola cifra dei non-votanti. Eppure oggi abbiamo un “paese legale” nel quale il movimento “Republique en Marche” ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi all’Assemblea Nazionale tramite l’ultima tornata di elezioni, di cui nessuno contesta la legalità, ma questa maggioranza assoluta di deputati non può far dimenticare la maggioranza, questa volta davvero schiacciante al confronto, di francesi che non hanno votato o che hanno rifiutato di esprimere una scelta nel momento in cui hanno compilato la scheda di voto. È questa la discrepanza che giustifica, nonostante le remore storiche e politiche, il riutilizzo della dicotomia tra “paese legale” e “paese reale”. L’Assemblea Nazionale, per quanto sia legalmente autorizzata, ha un enorme problema di legittimità.

Una conseguenza di questo è che non c’è alcuna onda di consensi dietro al presidente e al suo partito. Il sistema elettorale francese, come sappiamo e abbiamo ripetuto a sufficienza, non fa altro che amplificare i risultati di una singola elezione. Tuttavia, nel 1981, durante la famosa “onda rosa”, l’astensione era stata solo del 24,9% (al secondo turno). Analogamente, nel 1993 durante “l’onda blu” ci fu un’astensione del 32,4%. Ora siamo in una situazione ben diversa. Ed è questa la situazione che dobbiamo considerare, al di là dei successi degli uni e dei fallimenti degli altri.

Crisi di legittimità e fratture politiche
Se anche —per miracolo— l’elezione fosse avvenuta secondo le regole del sistema proporzionale, —e allora, vorrei ricordare, “France Insoumise” avrebbe ottenuto 84 deputati (anziché solo 19) e il “Front National” ne avrebbe ottenuti 80 (anziché appena 8)— la legittimità dell’Assemblea Nazionale sarebbe stata comunque fragile. Naturalmente si può sempre dire che, in caso di rappresentanza proporzionale, l’astensione sarebbe stata meno marcata. Questo è possibile, ma è da dimostrare. È quindi necessario distinguere il problema della rappresentanza delle forze politiche all’interno dell’Assemblea Nazionale - problema che riguarda ovviamente la rappresentanza delle due forze di opposizione reale, e che potrebbe essere ridotto da un sistema elettorale un po’ diverso – dal problema della legittimità complessiva dell’Assemblea Nazionale, che deriva dall’ampiezza dell’effettivo “sciopero del voto” a cui abbiamo assistito da parte degli elettori francesi.

Questo “sciopero del voto”, che ha coinvolto il 61,5% degli iscritti, dimostra che la crisi politica in Francia, crisi che covava già dal 2012 e dalla rinnegazione europeista di François Hollande, e poi diventata crisi aperta dal 2013, non è ancora terminata. Gli incensatori di Emmanuel Macron e i propagandisti al soldo di “Republique en Marche” possono pure strombazzare in giro che con questa elezione si apre una nuova era. Ma sappiamo tutti che non è così. La società francese resta ancora spaccata in modo duraturo, a causa della disoccupazione, della disuguaglianza, del peso degli interessi delle grandi imprese e delle banche sugli ambienti politici e mediatici, ma anche a causa della crisi della scuola repubblicana, del modello di integrazione francese e del rischio terroristico. Di queste fratture ci ha dato un quadro più attendibile il primo turno delle elezioni presidenziali, che ha dimostrato come di fronte al campo del capitale – un campo che oggi si confonde con quello degli interessi “europeisti” – le diverse forze sovraniste nell’insieme potevano fare il loro gioco e ottenere la maggioranza.

Che futuro si prospetta?
Il grande rischio è di vedere il “paese legale” convincersi di avere tutti i diritti, e mettere in atto le riforme e le misure che aggraverebbero le fratture della società francese. Nei fatti questo rischio può assumere forme concrete differenti. La prima riguarda l’anomia, con una società che si disferebbe progressivamente sotto i colpi sempre più violenti che le vengono inferti, e frammenti di questa società che ricorrono alla violenza per cercare di far valere i propri diritti. Entreremmo allora in un mondo come quello di cui parla Hobbes, il mondo di una “guerra di tutti contro tutti”, con il più grande vantaggio – e la più grande felicità, si è costretti ad aggiungere – di quell’1% che ci comanda. La seconda strada, decisamente preferibile, vedrebbe i francesi unire le proprie forze contro le istituzioni occupate da una minoranza priva di legittimità, per far valere le proprie richieste. È stato questo l’appello rivolto domenica sera ai francesi da Jean-Luc Mélenchon.

Verso quale delle due forme di reazione penderà la bilancia è della più grande importanza. Ciò determinerà il nostro futuro. Bisogna quindi che le forze di opposizione, nel loro insieme, capiscano che non c’è soluzione possibile alla crisi politica se non nelle lotte collettive all’interno delle quali dovrà emergere, ancora una volta, l’idea del bene comune. Perché, e questo deve essere compreso da tutti, il “bene comune” non esiste al di sopra e al di là delle lotte sociali. Il bene comune va costruito all’interno di esse. Pertanto la nostra partecipazione alle lotte collettive sarà importante per definire il futuro che ci attende.

Allora e solo allora potrà essere trovata una soluzione alternativa a quello che alcuni colleghi hanno chiamato giustamente il “blocco borghese” o, più precisamente, il “blocco liberale”. Queste forze, senza rinunciare a ciò che costituisce la loro identità politica, dovranno capire che forme di unità sono necessarie, se un giorno vogliono veder trionfare le proprie idee.

Articolare “il” politico e “la” politica
Questo implica una riflessione seria sui campi del politico e della politica. Il politico, come sappiamo, si definisce attraverso la contrapposizione tra amico e nemico. È lo spazio dei confronti antagonistici. Ma avere più avversari alla volta implica assumersi il rischio di essere sconfitti, soprattutto quando gli avversari sono a conoscenza del problema. La politica è invece lo spazio dei conflitti non-antagonistici, delle opposizioni e delle divergenze che possono legittimamente emergere tra le forze politiche, e che ad un certo punto dovranno essere risolte, ma la cui soluzione può passare temporaneamente in secondo piano rispetto ai confronti antagonistici prima menzionati. Chantal Mouffe ha definito questo lo spazio del “confronto agonistico”, secondo una distinzione che molti di quelli che si riferiscono al suo pensiero, ma evidentemente non lo hanno letto, farebbero bene a meditare.

Così, ci sono differenze importanti, persino radicali, tra i vari sovranisti, ma questo non dovrebbe impedire ai sovranisti di formare un fronte comune contro lo stesso avversario. È comprensibile che ci siano molti punti che in questi anni hanno contrapposto i militanti del Front National agli attivisti saldamente radicati nella sinistra di France Insoumise. Ci sono differenze nei punti di vista e nell’identità politica. Queste differenze continueranno a esserci anche nelle battaglie che si dovranno condurre. Ma gli uni e gli altri devono capire che queste differenze potranno essere espresse solo quando la sovranità del popolo, cioè la sovranità della Francia, sarà stata ripristinata. Ciò non implica affatto che le contrapposizioni che ci sono tra loro siano superficiali o poco importanti. Non lo sono, se si considera il campo economico, per esempio la questione fiscale. Queste contrapposizioni ci sono, devono essere rispettate e sono legittime, in quanto rappresentano posizioni sociali differenti.

Ma queste contrapposizioni non devono oscurare quella, al contrario irriducibile, tra i sovranisti e i loro avversari. Questo lo aveva capito Eric Dillies, candidato perdente del Front National per la circoscrizione Nord, dove è stato recentemente eletto Adrien Quatennens, candidato di France Insoumise. Eric Dillies aveva dichiarato a un giornale locale, la “Voce del Nord”: “Voterò per lui e ho invitato i miei elettori a seguire il mio esempio (…). Ho incontrato Adrien Quatennens ed è una brava persona. Di fronte a una maggioranza strabordante lui difenderà il popolo, non sarà uno yes-man” [1]. 
Eric Dillies è stato ascoltato dai suoi elettori e questo può aver contribuito al successo di Quatennens. Questo è un esempio di realizzazione della distinzione tra “il politico” e “la politica”, che i sovranisti dovranno imperativamente mettere in atto in futuro, se vorranno sperare di prevalere.

NOTE 

[1] http://www.lavoixdunord.fr/177015/article/2017-06-12/le-front-national-appelle-voter-pour-l-insoumis-adrien-quatennens

martedì 13 giugno 2017

LA VITTORIA DI PIRRO DI MACRON, LA CAPORETTO DI GRILLO E L'ITALIA RIBELLE di Piemme

[ 13 giugno 2017 ]

La stampa di regime italiana inneggia alla "enorme vittoria" delle liste di République en marche (Lrm), ovvero dello pseudo-partito di Macron. Questa esultanza è ingiustificata. Quella di Macron si rivelerà molto presto una vittoria di Pirro.
Scrive Le Monde di ieri:
«Con un tasso del 51,29% al primo turno, l'astensione ha stabilito, Domenica 11 giugno, un nuovo record nelle elezioni parlamentari nella storia della Quinta Repubblica. Nel 2012, l'astensione era "solo" al 42.78%. Domenica scorsa, solo 59 dipartimenti hanno registrato una partecipazione oltre il 50%». 
Tanto per fare un esempio eclatante, nel popolare e popoloso dipartimento di Seine-Saint-Denis, l'enorme periferia Nord-Est di Parigi gli elettori sono stati il 39,3%. 

E' solo grazie allo schifo antidemocratico del sistema elettorale maggioritario vigente nella V. Repubblica —chi vince in un collegio conquista lo scranno—, che Macron, col 15% di consensi (un sesto degli aventi diritto!!) potrà aggiudicarsi —ammesso che vinca i ballottaggi—, una maggioranza schiacciante in Parlamento. Una situazione che se non fosse tragica è addirittura comica: il Front National, dati alla mano, potrà conquistare 5 o 6 seggi al massimo, nemmeno questa volta potendo costituire un suo gruppo parlamentare. Ci riuscirà forse France Insoumise.

Facile prevedere che ai ballottaggi di domenica 18 giugno i votanti precipiteranno molto più in basso. Risultato: la Francia avrà un'Assemblea Nazionale che rappresenterà una penosa minoranza del popolo francese.

A sentire le cassandre di regime che vorrebbero importare in Italia il sistema elettorale francese viene da mettere la mano alla pistola....

Astensione in crescita, anche in Italia...

Oltr'Alpe e da noi il distacco tra l'establishment politico e il popolo, anzitutto gli strati che più soffrono a causa delle politiche austeritarie neoliberiste, si approfondisce, inesorabilmente —istruttive la analisi dei flussi dell'Istituto Cattaneo. Le amministrative han mostrato che vittima di questo divorzio tra chi sta in basso e pena e le élite è anzitutto il Movimento 5 Stelle, poi il Pd renziano, e infine la sinistra sinistrata. M5s ha perso infatti enormi consensi, anzitutto verso l'astensione. Andrà fatta un'analisi dettagliata, ma la flessione elettorale di M5S è addirittura macroscopica.

Ad un anno dai folgoranti successi a Roma e Torino il Movimento non solo non è andato ai ballottaggi da nessuna parte, ha perso in proporzione più voti dei due blocchi sistemici di centro-sinistra e centro-destra. Non stiamo dicendo affatto che si torna ad un "equilibrio" bipolare, non ci torneremo affatto, altri occuperanno semmai l'area vasta dell'indignazione sociale, dell'Italia Ribelle, fin qui presidiata monopolisticamente dai Cinque Stelle.

Facciamo due conti, comparando i voti presi domenica da M5s rispetto a quelli che ottenne nelle elezioni del 2013. Sappiamo bene che questa comparazione è discutibile data la natura diversa della competizioni, ma guardare queste cifre fa impressione.

A Verona M5S è passato da 34mila voti a 10mila, a Genova da 112mila a 39mila, a Palermo da 105mila a 26mila, a Taranto da 28mila a 8mila voti, a Trapani da 13mila a 3mila, a Catanzaro da 12mila a 1500, a Piacenza da 11mila voti a 3500.

Una vera e propria Caporetto. 

Le cause di questo tonfo sono molteplici ma se la maggior parte dei voti sono andati verso l'astensione un'idea noi ce l'abbiamo: dopo 5 anni dal loro exploit anche quello a cinque stelle è percepito come ceto politico arrogante, vieppiù incapace di rappresentare le istanze di cambiamento radicale che furono il loro carburante.

L'Italia Ribelle saprà trovare presto una strada per scendere in campo?

giovedì 11 giugno 2015

M5S: LE BUGIE HANNO LE GAMBE CORTE di Piemme

[ 11 giugno ]

Il Movimento 5 Stelle avanzò e ottenne un enorme consenso anche perché promise che mai si sarebbe comportato come gli altri partiti, ad esempio non avrebbe utilizzato il loro stile di ricorrere alle bugie e raggirare i cittadini, di vendere fumo pur di ottenere consenso.
Non sembra che i cinque stelle siano in grado di tenere fede a questa promessa.

Paolo Becchi forse esagera nelle sue accuse a Beppe Grillo ed al Movimento, ma il giudizio dei "grillini" sui risultati elettorali da essi ottenuti nelle recenti elezioni regionali è come minimo indisponente per quanto è paraculo.
Sulla falsa riga di Renzi essi parlano di "vittoria", lo fanno basandosi sulle percentuali di voti ottenuti e non invece sul dato dei voti assoluti, che è quello che decisivo per misurare l'effettivo consenso dei cittadini verso un partito o di un movimento.

Su come siano andate effettivamente le cose ne abbiamo parlato a caldo ma in modo circostanziato QUI e QUI. L'astensione ha dato una batosta non solo al Pd renziano ed a Forza Italia, ma pure a M5S, che ha perso la bellezza di 1.956.613 voti rispetto alle politiche del 2013 e 893.541 rispetto alle europee dell'anno scorso.
Come sono andate le cose considerando le regioni in cui s'è votato

Tanto per fare un confronto si consideri che la tanto declamata avanzata leghista (+402mila voti rispetto al 2103), nelle sue dimensioni, corrisponde a circa un quinto (un quinto) del totale di voti persi da M5S. Numeri impietosi, che danno la misura del grande smottamento dell'elettorato dei "grillini". 

L'Istituto Cattaneo com'è noto è uno degli organismi di analisi dei risultati e dei flussi elettorali più affidabili. Ebbene l'istituto conferma quanto noi scrivevamo a caldo:
«Il Movimento 5 stelle (M5s) ha ridotto i propri consensi di circa il 60% rispetto all’exploit delle politiche del 2013, ma anche rispetto alle europee del 2014 (-40,4%), quando già avevano fatto registrare un cospicuo arretramento. In valore assoluto questa variazione si traduce in una contrazione di voti pari a (-1.956.613) rispetto alle politiche e -893.541 rispetto alle europee. Da un lato il partito di Grillo non riesce a capitalizzare le difficoltà degli avversari in alcuni contesti apparentemente favorevoli, ad esempio in Campania, dove il caso dei candidati “impresentabili” segnalati dalla Commissione Antimafia lasciava forse presagire un risultato più brillante. Anche in Veneto, dove il Movimento ha perso il 75% dei voti del 2013, molti elettori del centro-destra sembrano essere stati riassorbiti dal partito di Salvini. Ciò detto, non deve essere sottovalutata la capacità del Movimento di consolidare la propria presenza nell’arena elettorale difficile delle regionali, in cui la presenza del leader Beppe Grillo è meno visibile». (Elezioni regionali 2015)
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Nella tabella accanto il voto al Movimento 5 Stelle, nelle elezioni 2015, 2014 e 2013, in voti assoluti e percentuali.

L'Istituto Cattaneo ha quindi fornito le prime analisi dei flussi elettorali nelle regioni in cui si è votato, prendendo a campione le città  più importanti. E cosa abbiamo?
«Come s’è detto, il Movimento ha preso voti dal Pd, ed abbiamo già avanzato ipotesi interpretative su quel flusso. C’è poi un problema dei 5 Stelle con l’astensione e più in generale con l’area della protesta: il Movimento perde verso l’astensione molti voti a la Spezia, Livorno, Perugia e Foggia (e ne prende invece in misura modesta a Padova e Salerno). Ricordiamo che già nelle elezioni europee dello scorso anno gran parte del ridimensionamento del Movimento rispetto all’exploit delle politiche era dovuto a perdite verso l’astensione. Si aggiunge in questo quadro un flusso di voti da M5s verso la Lega: a la Spezia, Padova, Livorno, Perugia, e quindi in tutte le città del Centro-nord da noi studiate. Non è difficile ipotizzate una certa contiguità fra la protesta di chi non va a votare, quella di chi vota 5 Stelle e quella di chi vota Lega. Il voto di protesta è un voto mobile, è un voto impaziente disposto con facilità a cambiare cavallo, e certamente il Movimento è perennemente esposto a perdite verso altre formazioni che cavalcano la protesta o verso in non-voto». (I flussi elettorali)
La crescita dell'astensione non ha punito solo Pd e Forza Italia ma pure M5S.
Come poi segnala l'Istituto Cattaneo «...questi neo-astensionisti hanno con probabilità alle spalle due diverse motivazioni: protesta per quelli che provengono da M5s, disorientamento di fronte alle spaccature nei rispettivi partiti per chi proviene da Pd e FI». 

Morale della favola: mentre crescono e molto l'indignazione e la protesta sottotraccia dei cittadini, M5S non solo riesce ad intercettare questo flusso, ma subisce un grande smottamento verso l'astensione (in misura molto minore verso la lega Nord).

Invece di ammettere la verità ed interrogarsi sulle cause di questo smottamento, i vari Di Maio o Di Battista dicono... avanti così!... tutto va bene madama la marchesa. Proprio come Renzi si difendono dicendo che non c'è alcun paragone possibile tra politiche, europee e regionali. Questo è vero in astratto. Nel concreto le dimensioni dello smottamento sono talmente grandi che la tendenza solo i ciechi non possono vederla.

Ma i portavoce di M5S non sono ciechi, semplicemente mentono.
Chi si monta la testa, di solito, non va molto lontano.


lunedì 24 novembre 2014

EMILIA-ROMAGNA: UNA PREZIOSA LEZIONE

24 novembre.

Le elezioni regionali svoltesi ieri in Emilia-Romagna sono state segnate dall'enorme calo della percentuale dei votanti e quindi dalla crescita degli astenuti. Come si evince dalla Tabella qui accanto, che confronta le regionali del 2014 con quelle del 2010, hanno perso tutti, ma proprio tutti. Il Pd che ha dimezzato i voti. Forza italia che ne ha persi i quattro quinti. Perde anche il M5S. E il cosiddetto sfondamento della Lega? Ha perso anche la Lega, per l'esattezza più di 50mila voti.
Se facessimo il confronto con le politiche, europee comprese, la Lega in effetti è cresciuta, mentre hanno subito una sonora sconfitta i tre partiti principali delle politiche del 2013: Pd, M5S e Forza italia.

Anche l'astro nascente Matteo Renzi ha subito uno schiaffo violento, talmente forte che lo sta facendo parlare a vanvera. "Non è un voto contro il governo... l'astensione è un fatto secondario", ha detto Renzi (sic!). In verità il voto non è solo contro il governo e la sua politica, è stato un mezzo referendum contro di lui. 
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I 535mila voti presi del Pd renzo-bersaniano sono il 15,7% degli aventi diritto. Una vera e propria caporetto considerato che stiamo parlando della regione "rossa" per eccellenza.

Renzi esce dunque azzoppato dalle elezioni in Emilia-Romagna e dovrà correre ai ripari —il che, probabilmente, potrebbe spingerlo a decidersi per elezioni anticipate in primavera. Una volta messo il nuovo inquilino al Quirinale, ci sarebbe in effetti lo spazio per votare a maggio. Staremo a vedere.
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La Tabella 2 mostra la crescita delle astensioni (sono calcolate anche le bianche e le nulle), 
Tabella 2: Il boom delle astensioni
praticamente raddoppiate dal 2010. I non votanti sono stati quasi il doppio di coloro che si sono recati alle urne.

Tutti sono stati sonoramente puniti dall'astensione.
Ci pare che il risultato di Sel, alleata del Pd —l'endorsement di Guccini deve aver giovato—, non contraddica la tendenza, stiamo infatti parlando del 3% del 37%.

Che insegnamenti trarre da questa tornata elettorale? Che la più grave crisi economica e sociale del Paese, accelerando i cicli politici, divora presto tutti i cosiddetti "salvatori della patria". Che Berlusconi fosse ormai in declino lo si sapeva. Pochi hanno immaginato che anche "grillismo" e "renzismo" avrebbero avuto vita difficile e forse breve. Noi, per la verità, lo avevamo detto e scritto. I nostri lettori più assidui potranno confermarlo, basta rileggere quanto scrivevamo su M5S. Basta rileggere quanto scrivevamo dopo la vittoria di Rezi alle europee della primavera scorsa, che giudicavamo effimera e fragile.

Su cosa ci basavamo? Ci basavamo su un principio: che la gravità della crisi economica era il fattore che avrebbe prevalso nel determinare il "senso comune". La crisi è radicale e solo che avanza misure radicali, sensate ma radicali, avrebbe potuto resistere alle tempeste ed avanzare.

La principale lezione che si deve trarre dal terremoto elettorale in Emila-Romagna è che tutti i partiti (tutti) rappresentano una minoranza del Paese, e le forze governative una minoranza ancor più esigua.

La seconda lezione è la conseguenza della prima: c'è uno spazio politico potenzialmente molto ampio, in prospettiva maggioritario, a favore di un nuovo movimento che dia testa, voce e rappresentanza a quella massa molto ampia di cittadini che hanno voltato le spalle ai partiti esistenti perché han compreso che sono del tutto inadeguati, e che occorre una svolta radicale per uscire dal marasma.
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Il fenomeno dei Cinque stelle, la loro sorprendente avanzata elettorale del 2013 e la loro veloce debacle —causata dalla incapacità di dare corpo, sangue e testa alla diffusa protesta popolare, il mix di settarismo e cretinismo parlamentare—, ci dicono molto su quel che occorre e non occorre fare. 

La grande crisi, con le sue accelerazioni e il suo avvitamento, apre lo spazio ad una grande opposizione democratica, sovranista e popolare. Ma quest'opposizione, se non vuole essere una meteora, deve avere non solo una grande testa politica, ma un corpo e una struttura solide.

Beninteso! Sempre crediamo che tutto congiura verso una generale sollevazione popolare. A maggior ragione occorre costruire una forza politica che gli dia uno sbocco strategico. Per costruirla occorre andare alle masse, ed il campo elettorale, di questi tempi più di ieri, è un importante banco di prova.


giovedì 22 maggio 2014

25 MAGGIO: LA POSTA IN PALIO (in risposta agli astensionisti) di Moreno Pasquinelli

 22 maggio. Molti sono i fattori che determinano la scelta di voto dei cittadini. Si può votare questa o quella lista per adesione alla visione del mondo di cui è portatrice, per prossimità coi suoi principi etico-culturali, per il vincolo determinato dall’appartenenza ad una classe sociale, per simpatia verso uno specifico candidato, per un atteso vantaggio clientelare, perché votando questa lista si fa un dispetto a quell’altra. E si potrebbe proseguire.

Un fatto è certo: non siamo più nell’Italia del ‘900, dove al potente bipolarismo sociale tra le classi corrispondeva un’altrettanto radicale polarizzazione politica tra blocchi politici, ognuno dei quali era portatore di una visione della società, capitalista da una parte, socialista dall’altra.

Caduti il Muro di Berlino e l’Urss, trasformato, anche formalmente, il partito comunista in un partito borghese, squagliata la comunità proletaria coi suoi organismi difensivi, con la nascita della “Seconda Repubblica”, si riproponeva il bipolarismo di un tempo ma tra due blocchi entrambi capitalisti.

Poi è sopraggiunta la grande crisi sistemica la quale, come noi facilmente intuimmo, era destinata a terremotare l’intero contesto e quel peloso bipolarismo. Sarebbero cresciuti disoccupazione, precarietà, miseria, povertà, disperazione, rabbia, ciò che avrebbe creato lo spazio per un terzo campo politico.

Chi abbia occupato questo campo è evidente: il Movimento 5 Stelle il quale, nel giro di due o tre anni, è diventato il primo partito con influenza di massa: il partito più votato dagli operai, dai disoccupati, dai giovani, dagli studenti, dal popolo delle partite Iva, dai piccoli imprenditori.

Certo contano, e molto, le qualità istrioniche e pirotecniche di Grillo, ma il carburante della sua avanzata è la decomposizione sociale causata dalla crisi sistemica. Chi non capisce questo, come dire, è un cretino, e coi cretini discutere è solo tempo perso.

In poche parole proprio la grande crisi sta dando forma ad un blocco sociale, al blocco di chi sta sotto, di contro a quello di chi sta sopra. Questo organismo ancora informe, ma pulsante, sarà pure microcefalo, non è già un blocco antagonista, tuttavia solo nel “non ancora” c’è la potenza che può diventare atto, l’embrione dell’Italia che sarà.

Chi abbia davvero a cuore la possibilità di trasformare da cima a fondo questo Paese è accanto e con questo nuovo organismo vivente che deve stare, per dargli una forma adeguata, una testa, e non invece marcire nel regno dei morti. Noi di MPL questa scelta abbiamo fatto da tempo, e le prossime elezioni, per quel che valgono (e varranno) confermeranno che siamo nel giusto.

È forse più chiaro, ora, perché abbiamo deciso, l’anno passato, di dare indicazione di voto per M5S. Quanto accaduto da un anno in qua non ci ha fatto cambiare idea, al contrario! 


Gli amici che fanno una scelta elettorale astensionista (stendiamo un velo pietoso su quelli che voteranno gli zombi della Lega o Fratelli d’Italia) si sbagliano profondamente. 
In base al criterio binario “euro sì euro no”, considerata a torto la questione dell'euro il solo metro di giudizio, sono schiacciati sul presente, quindi lo distorcono e, del tutto incapaci di guardare in avanti, non riescono ad intuire o ad immaginare quali saranno le future dinamiche dello scontro sociale. 
In secondo luogo il difetto del discorso astensionista è quello di fermarsi ad osservare con la lente potentissima la superficie dei fenomeni politici, mentre la lente a poco serve, poiché occorre il bisturi per squarciarla, e quindi capire cosa pulsi sotto la pelle e sia destinato a manifestarsi, a trasformarsi, quindi a mutare la pelle medesima. In terzo luogo c’è di mezzo una concezione della tattica e della funzione di una posizione politica. Per una piccola organizzazione rivoluzionaria una scelta è anzitutto il modo per posizionarsi (accanto ai vivi? accanto ai morti? accanto al nulla?), e quindi uno strumento, una leva, per incidere sui processi politici di massa. L’astensione, in questo caso, è una non-posizione, è una leva sul puro niente. E niente potrà produrre.


ADDENDUM 



Se sono stati colossali i fattori oggettivi la causa più profonda del successo di M5S, adesso, alle porte del 25 maggio, dobbiamo chiederci: i fattori oggettivi che hanno determinato lo sfondamento dei Cinque Stelle sono scemati? si sono affievoliti? oppure hanno aumentato la loro potenza? Io ritengo che questi fattori oggettivi sono ancora più determinanti di un anno fa.

Solo pochi ma indicativi dati.

La disoccupazione è cresciuta senza freni. Migliaia di aziende continuano a chiudere. Come dimostra la ridicola vicenda della TASI, la pressione fiscale continua a crescere (le entrate tributarie sono salite nel trimestre del 5,6% a 27,6 miliardi). Nel frattempo il debito pubblico ha sfondato la quota di 2.120 miliardi, con il particolare che è cresciuta la dipendenza dalla speculazione finanziaria (gli “investitori” esteri detengono ora 652 miliardi di titoli). I consumi, invece di salire, tra gennaio e marzo sono scesi del 3,7%. Il Pil è di nuovo sceso, compreso l’export (-0,8%. Parlavano di “ripresa” e l’inizio 2014 dice che l’Italia è sempre dentro la recessione.

In poche parole abbiamo sotto gli occhi non solo la crescita del pauperismo sociale, ma il totale fallimento delle cure da cavallo mercantiliste.

Le urne non potranno che fotografare questo stato di cose, portando consensi al partito della protesta sociale e diminuendo quelli al fronte della conservazione, approfondendo la crisi di regime e forse gettando il Palazzo nel panico.

I primi ad essere consapevoli che questa sia la tendenza sono proprio le forze dominanti le quali, dopo lo tsunami elettorale del febbraio 2013, sono corse ai ripari, muovendosi su due direttrici: primo, passare di corsa ad un sistema politico compiutamente oligarchico e post-democratico, che quindi blindasse il regime dalla possibilità di una sua caduta; secondo, hanno tirato fuori e fatto scendere in campo la “grande novità”, il “rottamatore” Matteo Renzi.

Per quanto attiene alla prima direttrice, di concerto, le forze di regime, hanno escogitato una legge elettorale fascista che ha uno scopo preciso: fare fuori il Movimento 5 Stelle. Lo ammettono gli stessi Lorsgnoori. L’ex- Ministro della difesa Mario Mauro, a fine gennaio, nella trasmissione Porta a Porta, apertis verbis, affermò: “Non è vero che la nuova legge elettorale è contro i piccoli partiti, è una legge per far fuori un grande partito, il Movimento Cinque Stelle”. Non fosse chiaro il concetto, il viceministro alle infrastrutture Riccardo Nencini ha ribadito: “L’Italicum è nato per mettere fuori gioco M5S”.

A chi convenga una sconfitta elettorale di M5S dovrebbe essere chiaro. Se il blocco dei dominanti terrà le sua posizioni (se cioè il Pd avanzasse in modo consistente) esso si sentirà legittimato a proseguire sulla strada tracciata. Se invece avanzerà M5S e il Pd non ottenesse la vittoria campale attesa, il regime potrebbe piombare in una crisi senza uscita.

Per quanto attiene alla seconda direttrice, i dominanti hanno puntato tutto su Matteo Renzi, considerato l’ultima risorsa prima del diluvio. Partito lancia in resta convinto di stravincere, man mano che la data fatidica del 25 maggio si è avvicinata, egli è passato dalla ostentata tranquillità ad un palese nervosismo. Nel suo comizio del 14 maggio a Palermo, tra i fischi, come in altre piazze, Renzi ha affermato minaccioso: “Le prossime elezioni europee del 25 maggio sono un referendum dove si sceglie la nostra Italia o l’Italia di Grillo“.

Non si poteva esprimere meglio il senso di queste elezioni.

La sera del 21 maggio, ospite della Gruber, Renzi ha ammesso che non spera nemmeno di raggiungere i risultati che il Pd ottenne come Veltroni. Indicativo! Ma ancor più significativo è quando, a domanda sui risultati che si attende, ha affermato: “Grilllo prenderà, in voti assoluti, meno dell’anno scorso. Il Pd un po’ di più di quelli che prese con Bersani”. Un ridimensionamento evidente della aspettative iniziali.

Vedremo. Di certo ai voti assoluti che occorre fare attenzione quando si dovrà capire come saranno andate le cose. Ammesso e non concesso che vada come prevede Renzi, per lui sarà una mezza sconfitta.

E se invece, come ritengo, 
M5S, i voti li aumentasse?
Significherebbe che i fattori oggettivi della crisi si imporranno nelle scelte di milioni di elettori, a scapito dei tentativi diabolici e cosmetici del regime.
La sconfitta apparrebbe inoppugnabile. E quindi saremmo entrati in una nuova fase della crisi, col regime indebolito e le forze sociali del cambiamento più forti.

martedì 19 novembre 2013

E/LEZIONI LUCANE

19 novembre. Il primo dato che emerge dalle elezioni regionali in Basilicata è la percentuale altissima di coloro che non si sono recati alle urne: astensione al 53%. La stessa percentuale che si ebbe l'anno passato in Sicilia, che al tempo fu un record. Cresce quindi la sfiducia dei cittadini verso le elezioni, anzitutto nelle zone meridionali, le più colpite dalla devastazione della crisi economica. La relazione tra tenuta del tessuto sociale e partecipazione alle elezioni è confermata dall'alta affluenza (77,7%) alle recentissime elezioni regionali in Trentino-Sud Tirolo.
Il centro-sinistra canta vittoria per il suo 60%, ma il 60% del 50 di votanti è circa un quarto degli aventi diritto. Una piccola minoranza. Governerà grazie ad une legge elettorale truccata basata sul sistema maggioritario.
Il centro-destra riceve una legnata. Come del resto la lista del Movimento 5 Stelle, che rispetto alle elezioni politiche del febbraio scorso dimezza i voti, malgrado Beppe Grillo ci abbia messo la faccia.
Non viene colpito solo il governo di "larghe intese", vengono bastonati tutti i partiti, compresi quelli della "sinistra radicale". Sorvolando sui duemila voti del Partito comunista dei lavoratori (lo 0,87%) colpisce la sconfitta della lista di Sel e Prc: 12.888 voti (5,16%) che elegge un consigliere per il rotto della cuffia. 

Ricordiamo che alle elezioni politiche di febbraio solo Sel aveva ottenuto 18.300 voti, mentre Rivoluzione civile aveva ottenuto 7.387 voti.  Insieme presero 26.687 voti. Ora è vero che l'Idv in queste regionali si è presentato assieme al Pd, ottenendo 8.160 voti, ma resta che la "sinistra radicale" in pochi mesi ha perso per strada quasi un terzo dei suoi elettori. 
Le elezioni non puniscono quindi solo i partiti di governo, ma anche quelli che sono all'opposizione. Questo avviene mentre da ogni lato crescono l'indignazione e la rabbia per gli effetti della crisi e le scelte austeritarie imposte dalle oligarchie europee.

Una domanda salta agli occhi: siamo proprio sicuri che la disaffezione dei cittadini verso le elezioni dipenda dalla "bassa qualità" dell'offerta politica? Davvero se esistesse una lista che dica le cose come stanno e abbia una piattaforma politica di rifiuto della gabbia euro(pea) tanti cittadini ritornerebbero a votare? O non si tratta forse di una tendenza irreversibile  Sintomo non solo di disperazione diffusa ma pure della percezione che solo una sollevazione generale potrà cambiare il corso delle cose?






martedì 7 giugno 2011

MA DI QUALI «POLI» SI STA PARLANDO?


Alcune domande dopo le elezioni amministrative


di Leonardo Mazzei*


Come previsto, i ballottaggi hanno confermato, accentuandole, le tendenze già emerse al primo turno delle elezioni amministrative. La destra ne è uscita bastonata e confusa, il centrosinistra con la convinzione di essere ormai vicino al ritorno al governo. In realtà la situazione resta incerta.

martedì 31 maggio 2011

PISAPIA CHE?

Il buon giorno si vede dal mattino


cosa si cela dietro all'ecumenica mitezza?


Un manipolo di attivisti dei centri sociali ieri sera, invece di fare baldoria in Piazza Duomo, ha pensato bene di andare sotto casa dell'assessore De Corato, quello per intenderci che della chiusura dei centri sociali milanesi aveva fatto una vera e propria ossessiva crociata.

NON CAMBIERA' UN CAZZO

E dopo la sberla a Berlusconi?


di Piemme


L'euforia che impera nel campo del centrosinistra non nasconde il fatto principale: l'esodo dei cittadini, anzitutto dei proletari, dalle urne. Il "consenso a valanga" per Pisapia a Milano (365mila voti su un totale si quasi un milione di aventi diritto) è un'illusione: si riduce ad un terzo degli elettori. Per De Magistris a Napoli (264mila voti su 812mila aventi diritto) va anche peggio. E' la regola della democrazia bipolare: il predominio della minoranza. Di quale svolta vanno parlando?


giovedì 19 maggio 2011

SPAGNA: GRILLINI? QUALCOSA DI MEGLIO

I giovani "arrabbiati" spagnoli
Che cos' il movimento «¡Democracia Real Ya!»
Che cos'è il «Movimento 15m»



di Oscar Gutierrez*


Una mattina di ottobre del 2008 Hördur Torfason si avvicinò a quello che gli islandesi chiamano Althing, il parlamento situato nella capitale Reykjavík. All'epoca la più grande banca del paese, il Kaupthing, aveva fatto crack, e il sistema finanziario islandese era sottosopra. Torfason, chitarra in spalla, collegò un microfono e aprì un canale attraverso il quale gli islandesi potevano esprimere il loro malessere nei confronti del drammatico stato del paese.

martedì 17 maggio 2011

DAL TRAMONTO DI BERLUSCONI ALL'AURORA DELLA RIVOLTA SOCIALE

Ne vedremo delle belle!

di Piemme

Uno dei morbi che appestano la scena politica è il politicismo. In cosa consiste il politicismo? Nell'illusione dei politici di essere i demiurghi della realtà sociale, nell'idea che la sfera del politico sia effettivamente autonoma da quella sociale. Questa sindrome si manifesta in forma acutissima e lampante nelle sfide elettorali, quando i politicanti, catapultati al centro della scena, vengono presi da un vero e proprio  delirio di onnipotenza.

venerdì 13 maggio 2011

MI ASTENGO

FUGGITE! LE ELEZIONI SONO ALLE PORTE! 


di Piemme


«Sono proprio quelli con idee effettivamente radicali e anticapitaliste che rifuggono dalle urne. Chi vuole riportarceli non solo si sbaglia, svolge una perniciosa funzione sistemica di recupero. Meglio, molto meglio invece, non lasciarli soli, ingrossare le fila di un'astensionismo popolare, giustificarlo politicamente. Questo è il solo modo per contrastare il qualunquismo, mentre a forza di tapparsi il naso e votare per il cosiddetto "male minore" si va solo in malora, e ci si va proprio perché tapparsi il naso alimenta l'estraneazione dalla politica, la passività, ovvero proprio andando a votare per tutte queste ciofeche si alimenta il qualunquismo».

mercoledì 19 gennaio 2011

PSICOLOGIA DI MASSA DEL BERLUSCONISMO

Ma quanti sono davvero gli italiani disposti a seguire Berlusconi fino alla fossa?

di Moreno Pasquinelli


Mi corre l'obbligo di ri
spondere all'intervento di ieri di Piemme dal titolo 
puttanaio italiano



domenica 26 settembre 2010

IL PROFETA DEL NULLA. Beppe Grillo ad Anno Zero

[ 26 settembre 2010 ]



Può darsi che il movimento "Cinque Stelle" sia destinato a crescere, a strappare nuovi consensi. Molte delle cose che esso propone sono giuste e ragionevoli. Anche troppo "ragionevoli". Tuttavia pensiamo che anche il cosiddetto "grillismo" sia una meteora, destinata a scomparire dalla scena con la stessa velocità con la quale è salita alla ribalta. Manca infatti, nel discorso politico del "Cinque Stelle" ogni ragionamento sulla "QUESTIONE SOCIALE". Mentre un intero sistema economico e politico è sull'orlo della bancarotta, mentre milioni di persone sono gettate sul lastrico e vengono private dello stesso diritto ad una vita dignitosa, i "grillini" di che si occupano? Di piste ciclabili....
Grillo afferma che il "Cinque Stelle" non è né di destra né di sinistra, che vola alto, che sta al di sopra. Una frase che avevamo già ascoltato da un pagliaccio come Sgarbi, e che evoca  «L'Uomo Qualunque» di Giannini dei tempi che furono.
Il mix di massimalismo ambientalista e di minimalismo sociale ha il fiato corto. La crisi, diceva Marx, farà entrare la necessità di una rivoluzione anche nelle teste di legno. Questo per sottolineare la nostra convinzione che entriamo in un periodo di grandi e violente turbolenze sociali, il quale obbligherà i cittadini a giudicare e a scegliere opzioni di respiro strategico. Non ci sono infinite risposte alla crisi, ma due soltanto: quella di un capitalismo che si blinderà in modo autoritario e avrà bisogno di affamare la maggioranza del popolo per far funzionare la sua macchina nella cosiddetta competizione globale, o quella della fuoriuscita dal capitalismo, la fondazione di un nuovo socialismo, sulla cui base soltanto la democrazia potrà evitare di soccombere.


martedì 7 settembre 2010

Grazie compagno Fini!

[ 07 settembre 2010 ]

LE SINISTRE SCIPPATE DEL VESSILLO E DELL'ALIBI DELL'ANTIBERLUSCONISMO

di Moreno Pasquinelli

Il discorso di Fini a Mirabello segna forse un tornante decisivo nella crisi politico-isituzionale italiana. Editorialisti e commentatori di varia parrocchia, dopo aver passato al setaccio quanto Fini ha detto, si alambiccano nell'immaginare cosa accadrà alla tanto amata Legislatura, azzardano ipotesi sulle probabilità che si vada o meno ad elezioni anticipate. Quasi tutti convergono nel dire che il governo Berlusconi è oramai virtuale, e quindi sanciscono che il berlusconismo abbia imboccato il viale del tramonto. Perde apparentemente quota (anche tenendo conto dei desiderata di Napolitano e quello di tutti, ma proprio di tutti i capibastone confindustriali) l'eventualità di elezioni anticipate —che solo la Lega sbraita, a parole, di preferire—, a vantaggio di un’ammucchiata la quale, con la scusa di cambiare la legge elettorale per votare in "modo democratico", avrà invece presumbilmente come sua missione lo scopo esattamente opposto: evitare le elezioni (che tutte le frazioni della casta politica temono poiché sanno che l'astensionismo di massa crescerà) e salvare la Legislatura, appunto, per evitare la bancarotta del traballanate capitalismo italiano (così come chiedono ..i mercati).

domenica 5 settembre 2010

Rifondazione verso il suicidio?

[ 05 settembre 2010 ]

La tattica disperata della Federazione della sinistra

di Leonardo Mazzei*

Primum vivere, questo e soltanto questo è il principio ispiratore delle attuali scelte della Federazione della sinistra (Fds). Un principio che ha come premessa la convinzione che non sia possibile esistere al di fuori delle istituzioni. Tutto viene perciò subordinato all'obiettivo del rientro in parlamento, dopo il naufragio dell'Arcobaleno dell'aprile 2008.  In questa sede non ci dilungheremo a polemizzare con questa impostazione opportunistica. Si commenta da sola e non è certo una novità.

giovedì 2 settembre 2010

Ammucchiata nell'uliveto

[ 02 settembre 2010 ]

Note di fine agosto sulla crisi politica

 di Leonardo Mazzei*

Piantare un ulivo ad agosto è vivamente sconsigliato dagli esperti, ma la fantasia degli zombi che si apprestano a ripopolare le aule parlamentari non è granché. Dunque bisogna accontentarsi delle "innovazioni" bersaniane: nascerà il "Nuovo Ulivo".
A sentire i dirigenti del Pd l'entusiasmo nel Paese è alle stelle; nei bar, nelle piazze, nelle fabbriche non si parla d'altro. Qualcuno ricorda, tra il preoccupato e il malizioso, che i governi dell'Ulivo portarono le privatizzazioni, le stangate per l'euro, il pacchetto Treu e la guerra alla Jugoslavia.
Ma quello era il "vecchio" Ulivo, ora abbiamo quello "Nuovo", perché rivangare sempre il passato?

lunedì 23 agosto 2010

25 luglio 1943 - 25 (.....) 2010

[ 23 agosto 2010 ]

SE SON ASOR ROSAE NON FIORIRANNO

Verso una Grande Ammucchiata

di Moreno Pasquinelli

Giorni addietro commentavamo un intervento di Asor Rosa su Il manifesto nel quale l'esimio professore, malgrado la premessa —(1) il berlusconismo è la peggiore iattura per il paese; (2) per causa di quest'ultimo siamo in una fase delicatissima di emergenza nazionale; (3) ci vorrebbe un "Governo di Ricostruzione Democratica", per sbarazzarsi appunto del Berlusconi— concludeva affermando (4), che siccome una simile Union Sacrée è praticamente impossibile e le elezioni anticipate inevitabili, la sola possibilità che resta è di dare forza al popolo dell'astensione, dal cui seno soltanto sarebbe potuto sorgere un sussulto democratico rigeneratore.
Come c'era da spettarsi l'intervento ha suscitato l'ira funesta del popolide dei sinistrati per il quale di tutto si può discutere, giammai del dubitare del dovere di recarsi alle urne, quale che sia la "porcata" di sistema con cui si è chiamati al voto e il livello di indecenza delle liste; così che Asor Rosa ha fatto una clamorosa marcia indietro.

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