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lunedì 16 gennaio 2017

LA CADUTA DI ALEPPO EST di Polat Can

[ 16 gennaio ]

Polat Can, è il portavoce delle YPG, le forze combattenti curde in Siria. Al di la di ogni considerazione sul posizionamento tattico delle YPG, questo scritto di offre uno spaccato sulla immane tragedia di Aleppo.

Oggi Aleppo è caduta, ma esaminando le cause profonde che hanno spianato la strada a tale evento ci si renderà conto di come ciò fosse inevitabile - non perché le forze del Baath ed i loro alleati siano più forti o le fazioni islamiste siano più deboli ma perché le decine di fattori che hanno accompagnato la prima caduta del 2012 hanno condotto alla seconda oggi.

La prima caduta è stata rapida, disorganizzata e sopraggiunta presto, mentre la seconda è arrivata tardi ed è stata dolorosa e distruttiva; in altre parole, la prima caduta è stata una prefazione della seconda.

Primo: dobbiamo ricordarci che i rivoluzionari si sono fatti beffe della gente di Aleppo per non aver preso parte alla rivoluzione contro il regime del Baath, ma essi non riescono a capire che Aleppo è la città del commercio e dell'industria, che ha bisogno di sicurezza, stabilità e vie aperte

Secondo: Aleppo è divisa in due distretti: Aleppo est ed Aleppo ovest, e non si tratta di una divisione puramente geografica ma anche sociale e culturale. Aleppo est è la dimora dei poveri, dei sunniti pii e devoti, dei curdi dei villaggi, di Kobane ed Afrin, ed anche dei turchi. Si tratta di poveri ed operai delle industrie edilizie e tessili. Dall'altra parte, Aleppo ovest è la dimora degli impiegati governativi della classe media, dei ricchi e dei palazzinari a cui non importa degli slogan politici ed a cui interessa solo la stabilità per poter prosperare.

Terzo: ci sono distretti a maggioranza cristiana (armeni, assiri, ecc.) che non hanno mai simpatizzato con gli slogan islamisti che hanno dirottato la rivoluzione da metà 2011 ed hanno sempre serbato sospetti verso i rivoluzionari provenienti dai villaggi.

Quarto: i distretti a maggioranza curda, specialmente Ashrafiya e Bustan al Pasha, sono stati i primi a combattere e ad espellere le forze del regime ed i loro delinquenti "Shabiha" nella primavera del 2012, ma hanno diffidato degli slogan estremamente nazionalisti e sciovinisti dell'opposizione e dei suoi alleati armati, supportati dal nemico storico dei curdi...la Turchia.

Quinto: la caduta di Aleppo est nel 2012 non è stata dovuta a dinamiche o sviluppi interni, è stata un risultato dell'occupazione degli abitanti armati dei villaggi a nord di Aleppo (Andan, Hritan, Azaz e Hian)

Sesto: le fazioni islamiche hanno combattuto e distrutto importanti famiglie e tribù di Aleppo est, la qual cosa ha indotto molti ad allearsi col regime.

Settimo: una volta che le fazioni islamiche hanno preso il controllo di Aleppo est hanno rubato e saccheggiato di tutto, esportandolo in Turchia a prezzi stracciati e conducendo alla distruzione dell'economia e delle opportunità di impiego sulle quali la gente conta per la propria sussistenza.

Ottavo: l'opposizione armata si è divisa in una miriade di fazioni che si combattevano reciprocamente per il bottino dei saccheggi e dei furti dalle fabbriche. Queste fazioni si sono disperse in base al loro background ideologico, politico, geografico o religioso, anche in base alla loro lealtà a stati, partiti politici o a una specifica persona.

Nono: la penetrazione di queste fazioni islamiche estremiste ad Aleppo e nel corpo dell'opposizione armata ha imposto un nuovo stile di vita alla popolazione e ad altre fazioni. Il controllo di Ahrar Al

Sham ed Al Nusra ha fornito al regime di Assad ed ai russi le ragioni e la legittimità per distruggere la città ed uccidere i suoi abitanti.

Come abbiamo indicato nel preambolo: la seconda caduta di Aleppo est ha molto in comune con la prima. Ma perché Aleppo è caduta nonostante tutto il sostegno di decine o forse centinaia di fazioni con tonnellate di armi di provenienza turca e di finanziamenti dai sauditi e dai qatarioti e con la propaganda mediatica rispetto alla creazione di un coordinamento comune di tutte le fazioni, accompagnato da minacce e promesse - ancora, perché Aleppo è caduta?

Primo: le divisioni tra diverse fazioni basate su quale è lo stato sponsor e quali siano gli interessi di tali stati nei combattimenti.

Secondo: il controllo delle fazioni estremiste islamiche, e di Al Qaeda in particolare, hanno intaccato globalmente l'immagine della resistenza armata - specialmente in occidente.

Terzo: i venditori di strada e i commercianti di pecore e di orzo sono diventati strateghi militari che decidono piani militari, guidano spedizioni tattiche e strategiche ed in seguito diventano signori della guerra ed autorità locali che depredano i propri sottoposti

Quarto: queste fazioni islamiche estremiste non hanno combattuto il regime; hanno piuttosto istigato quattro anni di guerra contro il popolo curdo a Sheikh Maqsood, assediando centinaia di migliaia di curdi ed arabi, bombardandoli con bombe chimiche e gas e impedendo i rifornimenti di cibo e medicinali. Questa è, secondo la mia opinione, la causa più importante della caduta dell'opposizione armata, oltre che della caduta di Aleppo est.

Quinto: la resistenza armata è de facto divenuta un agente del Servizio di Intelligence Turco, che ha eseguito gli ordini dei propri padroni: e la guerra a Sheikh Maqsood è stato un chiaro indicatore di tali ordini.

Sesto: le fazioni dell'opposizione hanno iniziato a combattersi reciprocamente ed hanno commesso atrocità contro i civili, tra di esse e contro i curdi ed i cristiani in modo simile a quanto fatto dall'ISIS. Massacrano e giustiziano civili per strada, rapiscono, distruggono chiese, mettono i curdi nel mirino.

Settimo: a causa dei conflitti intestini tra queste fazioni armate il regime è stato in grado di raggiungere Nubl e Zahra [città a nord-ovest di Aleppo circondate dall'opposizione per mesi - N.d.T.] e disconnettere Aleppo da Azaz e dai villaggi settentrionali ed orientali - e di conseguenza dalla Turchia.

Ottavo: Molte fazioni della resistenza armata hanno lasciato le proprie posizioni al regime dopo un memorandum di intenti russo-turco, indi per cui il regime è stato in grado di mettere sotto assedio Aleppo est e combattervi.

Nono: la Turchia e l'opposizione siriana in Turchia hanno blandito la resistenza armata con menzogne quali la promessa del sostegno incondizionato turco contro il regime e nei negoziati con esso che avrebbero conseguito la vittoria. Sfortunatamente l'opposizione armata ha creduto a queste menzogne ed è rimasta sotto l'isterico bombardamento dei russi e del regime senza alcun guadagno sul campo.

Decimo: l'intelligence turca ha usato la resistenza armata a proprio vantaggio, sostenendoli nella presa dell'accademia militare di Ramouseh [sita nella parte sud-occidentale di Aleppo - N.d.T.] e

della Damascus Road prima della visita programmata di Erdogan in Russia, in modo da permettere a quest'ultimo di negoziare con Putin da una posizione di forza; ma dopo l'incontro Erdogan ha ordinato il blocco delle operazioni militari ad Aleppo.

Undicesimo: allora, mentre l'opposizione armata stava guadagnando terreno ad Aleppo ovest, tagliando le strade per Damasco, Erdogan le ha ordinato di lasciare Aleppo e di dirigersi a Jarablus. Questa mossa ha rappresentato il colpo definitivo ed ha portato alla sconfitta dell'opposizione ed alla vittoria del regime.

Dodicesimo: invece di far puntare le migliaia di resistenti armati verso Damasco per abbattere il regime di Assad essi si sono diretti verso Sheikh Maqsood, Afrin, Jarablus ed Al Bab per combattere l'esercito libero siriano [poi sopraffatto da salafiti e qaedisti - N.d.T.] ed i curdi seguendo gli ordini del loro padrone turco.

Tredicesimo: un paio di anni fa si è tenuta una riunione tra decine di fazioni, che come risultato hanno abbandonato i propri campi di battaglia dirigendosi verso le città curde per occuparle - ma il risultato è stato la loro disfatta a Serekaniye, Rmeilan, Qamislo, Gire Spi ed Afrin.

Aleppo est non è solamente caduta, è stata completamente distrutta. L'economia del più grande centro economico del medio oriente ed uno dei più antichi del mondo è stata distrutta. La caduta di Aleppo est è anche la caduta del progetto di resistenza armato e dei suoi sostenitori in Turchia, è la caduta dell'Islam politico e della Fratellanza Musulmana, degli agenti dello Stato turco e dei suoi mercenari, e la caduta di qualsiasi forza combatta il popolo curdo. Lo ho affermato in precedenza e lo ribadisco: nessuno avrà successo nell'antagonizzare e combattere il popolo curdo.

In definitiva, l'unico progetto percorribile è quello secolare e realmente patriottico del popolo curdo, il progetto delle forze siriane democratiche [SDF] e delle unità di protezione del popolo [YPG]. E' il progetto federale e democratico che può ergersi contro l'ISIS, il regime e tutti i dittatori, e che inoltre garantirà un Kurdistan ed una Siria liberi.

lunedì 26 dicembre 2016

LA SINISTRA E IL MARTIRIO DI ALEPPO di Farouk Mardam-Bey


[ 26 dicembre ]

"Come siriano che si è sempre identificato politicamente con la sinistra, sono particolarmente inorridito da quegli uomini e donne che si definiscono 'di sinistra' —e che pertanto dovrebbero essere solidali con le lotte per la giustizia in tutto il mondo— e tuttavia sostengono apertamente il regime del Assad, padre e figlio, che sono i principali responsabili del disastro siriano.

Dopo quattro mesi di intensi bombardamenti dell'aviazione russa, dell'esercito di Bashar Al-Assad, insieme con le milizie sciite provenienti da tutto il mondo e mobilitate dai mullah iraniani, hanno ormai finito di 'liberare' Aleppo est. Liberata da chi? Dai suoi abitanti. Più di 250.000 abitanti sono stati costretti a fuggire dalla loro propria città per sfuggire massacri, come aveva fatto la gente di Zabadani e Daraya prima di loro, e così come molti altri siriani, e la sistematica 'pulizia' sociale e settaria continua nel loro paese sotto la copertura di una massiccia campagna di disinformazione mediatica.
Farouk Mardam-Bey


Che in Siria i ricchi residenti di Aleppo, appartenenti a tutte le sette religiose, gioiscano per essere stati liberati della "feccia" - cioè le classi povere che popolavano Aleppo est - non è affatto sorprendente. Siamo abituati a questo: l'arroganza delle classi dominanti è universale.

Che i mullah sciiti, bloccati in un'altra epoca, celebrino l'evento come una grande vittoria dei veri credenti sopra i miscredenti omayyadi, o proclamino che Aleppo è stata sciita nel passato e lo ridiventerà ancora una volta, può anche essere compreso se si ha familiarità con la loro dottrina, delirante come quella dei loro omologhi sunniti.

Infine, che i politici occidentali e gli 'opinion maker' di estrema destra affermino, apertamente, il loro sostegno per Assad, è anche abbastanza naturale. Queste persone non hanno null'altro se non il disprezzo per gli arabi e i musulmani, e credono, oggi come sempre, che queste "tribù" devono essere guidate con un grosso bastone. 

Ma come si fa a non esplodere di rabbia quando si leggono le dichiarazioni a sostegno del regime degli Assad, padre e figlio, emesse da uomini e donne che affermano di essere 'a sinistra', e che simpatizzano con le lotte per la giustizia in tutto il mondo?

Come non esasperarsi quando li si sente lodare l'indipendenza, la laicità, il carattere progressista, e perfino il "socialismo" di un clan senza legge che ha preso il potere con un colpo di stato militare più di quarantacinque anni fa, e la cui unica preoccupazione è quella di restare al potere esercitando potere per sempre?

"Assad per sempre", "Assad o nessuno", "Assad o bruciamo il paese", cantano i sostenitori di Assad. E i suoi sostenitori "di sinistra" fanno un cenno di approvazione con il pretesto che non c'è altra scelta: o lui o ISIS.

Eppure, i siriani che che si sono sollevati nel corso del 2011, sono stati i primi a condannare con forza i gruppi jihadisti di ogni tipo e genere, ed in particolare ISIS, denunciando che hanno infestato la loro rivolta popolare dopo che essa è stata costretta alla militarizzazione.

Completamente estranei alle esigenze di libertà e di dignità della rivolta popolare, questi gruppi jihadisti hanno concentrato i loro attacchi principalmente sulle forze vitali dell'opposizione, sia civile che militare, e inciso negativamente sulla popolazione nelle aree che sono riusciti a controllare. Così facendo, hannorafforzato la propaganda di Assad all'interno della Siria, così come a livello internazionale, che gli permette di ritrarre se stesso come un difensore delle minoranze religiose.

Gli stessi siriani hanno inoltre più volte espresso la loro sfiducia verso coloro che hanno preteso, e continuano a farlo, di rappresentarli, e che hanno dimostrato di essere incredibilmente incompetenti. Sperando in un intervento occidentale militare, ovviamente mai voluto dall'amministrazione Obama, asserviti a questo o quel paese vicino (Arabia Saudita, Qatar e Turchia), divisi tra loro e inesistenti sul terreno, questi rappresentanti autoproclamati erano incapaci di affrontare il mondo con un discorso politico coerente. 

Ma né intrusione jihadista, né carenze di rappresentanti autoproclamati della rivoluzione siriana, né alcun argomento utilizzato per giustificare l'ingiustificabile, può invalidare due fatti fondamentali: che i siriani avevano mille ragioni alla rivolta, e che lo hanno fatto con eccezionale coraggio, in condizioni di indifferenza quasi universale, contrastando il terrore senza limiti del clan al potere, le ambizioni imperiali dell'Iran e, dal settembre 2015, un intervento militare russo approvato dagli USA che ha già ucciso diverse migliaia di civili.

Questa è "la Siria di Assad" —in cui l'Iran e la Russia agiscono a loro piacimento, insieme come separatamene, e il cui futuro ora si basa esclusivamente sui loro accordi e disaccordi— indipendente e anti-imperialista? Gli ammiratori 'di sinistra' del regime di Assad vadano a leggere il trattato inconcepibile che ha firmato il 26 agosto 2015, la concessione di esorbitanti privilegi alla Russia, nonché l'immunità completa e permanente per quanto riguarda tutti i danni causati dalla sua forza aerea.

Come si può seriamente definire "storico" un regime che, fin dal suo inizio e al fine di perpetuarsi all'infinito, ha cercato di avvelenare i rapporti tra le comunità religiose? che tiene alawiti e cristiani in ostaggio per le sue politiche? che ha presieduto la contaminazione della società siriana nella forma più oscurantista del salafismo, e ha manipolato tutti i tipi di jihadisti, e non solo in Siria?

Come si può definire "progressista" il promuovere il tipo più selvaggio di capitalismo, o impoverire e marginalizzare milioni di cittadini che a malapena sopravvivono nelle periferie delle principali città? Questi siriani impoveriti sono stati la componente sociale principale della rivoluzione, e sono diventati l'obiettivo principale dell'artiglieria pesante del regime, delle bombe a barile e delle armi chimiche. "Uccideteli fino all'ultimo», ordinarono gli shabbiha (i teppisti di Assad) fin dall'inizio della rivolta, in modo che la nuova borghesia "progressista" avrebbe così potuto saccheggiare in modo sicuro la ricchezza della nazione, e accumulare miliardi di dollari in paradisi fiscali! 

Se quanto sopra non è sufficiente, si può anche ricordare ai sostenitori 'di sinistra' di Assad dei crimini contro l'umanità perpetrati impunemente dal padre di Bashar, Hafez, nel corso dei suoi trent'anni di governo autocratico. Due luoghi li riassumono: la città di Hama, dove oltre 20.000 persone, forse 30.000, sono state massacrate nel 1982, e la prigione di Palmyra, l'equivalente di un campo di sterminio, dove i carcerieri si vantavano di trasformare gli uomini torturati in insetti. È questa la stessa impunità che alcuni 'a sinistra' - ahimè - vogliono estendere a Bashar Al-Assad, il colpevole e principale responsabile del disastro in corso con oltre dieci milioni di sfollati, centinaia di migliaia di morti, decine di migliaia imprigionati che hanno subìto torture ed esecuzioni sommarie in prigione.

Fino a quando i carnefici non saranno sconfitti e puniti, il martirio senza fine della Siria rischia di prefigurarne molti altri in tutto il mondo —un mondo dal quale la Siria sarà scomparsa."

* Fonte: PULSE

domenica 3 aprile 2016

SIRIA: LA SVOLTA? ALAWITI CONTRO ASSAD

[ 3 APRILE ]

Leggiamo questa mattina su Repubblica un documento proveniente dalla Siria che potrebbe avere decisive ripercussioni sul futuro del Paese. Eminenti figure religiose e politiche della comunità alawita (le setta di cui il clan Assad fa parte) hanno diffuso un testo dal titolo " Dichiarazione di riforma e identità".

Un documento straordinariamente denso, che oltre a rivendicare le peculiarità teologiche e filosofiche dell'alawismo ("terzo modello di Islam", quindi le sue differenze non solo rispetto al sunnismo ma pure allo shiismo, di qui la presa di distanza dai duodecimani e dall'Iran), precisa: (1) che la setta alawita è altro dal clan degli Assad, (2) che l'alawismo autentico è per la separazione tra lo Stato e le differenti confessioni, (3) perora una fase di transizione politica che tolga di mezzo Assad e ponga fine alla guerra fratricida, e (4) propugna una Siria democratica e unita con la convivenza pacifica delle diverse sette religiose.

«Esclusiva: la comunità per anni pilastro del regime di Assad ora è pronta a prendere le distanze
Siria: il documento degli alawiti»

martedì 6 ottobre 2015

SIRIA: PERCHÉ OBAMA TIFA PER PUTIN di Dario Fabbri

[ 6 ottobre]

Il conflitto siriano sembra giunto ad un tornante decisivo. Con l'intervento russo avremo due sole possibilità: o la guerra fratricida degenera in un vero e proprio conflitto regionale oppure la spunta Putin obbligando tutti a fare fronte per schiacciare il "nuovo nazismo" islamico —e solo dopo sbarazzarsi dell'ingombrante Assad. 
La Casa Bianca e Israele pendono per la seconda ipotesi, così come pezzi da novanta dell'establishment italiano, ma Obama dovrà convincere turchi e sauditi ad obbedire.

«Spesso le dichiarazioni di anonimi membri dell’amministrazione statunitense, rilasciate con scientifico tempismo ai media, valgono più dei proclami ufficiali del presidente.

Interrogato dal New York Times sull’intervento russo in Siria, pochi giorni fa un funzionario della Casa Bianca è ricorso al gergo pugilistico per comunicare il proprio sentimento. «Knock yourselves out», ha esclamato. Traslato in italiano: «Impiccatevi».

Al di là della propaganda, Washington ritiene funzionale ai propri interessi il coinvolgimento di Mosca, che nel migliore dei casi immagina risucchiata dalle sabbie mobili, oppure a lungo impegnata a puntellare il fronte alauita. Per Obama i danni collaterali riguarderanno unicamente le nazioni indigene. Mentre la superpotenza, che in Medio Oriente persegue il disimpegno, deve preoccuparsi solo di evitare incidenti con l’aviazione russa e presentare come oltraggiosa la manovra di Putin.

Da anni l’attuale Casa Bianca considera il Medio Oriente di importanza secondaria. Gli Stati Uniti cercano semplicemente di evitare che tra le potenze locali emerga un egemone e di far sì che la loro fuoriuscita dalla regione produca vuoti in cui attrarre antagonisti e partner.

Il conflitto siriano ha rappresentato un dossier rilevante solo fino alla primavera 2013. Ovvero quando i vertici dell’Iran hanno acconsentito a negoziare il futuro del loroprogramma nucleare e Washington ha diminuito l’impegno profuso, addestrando assieme a Turchia e monarchie del Golfo i “ribelli” sunniti, per rovesciare il regime di Bashar al-Asad e minare la mezza luna di influenza iraniana.

Da allora, la mattanza siriana è diventata tanto marginale quanto irrisolvibile, complice l’ascesa dello Stato Islamico. Impossibilitato a intervenire con efficacia, Obama ha di fatto abbandonato la Siria al suo destino. Come dimostrato dalla pressoché simbolica campagna aerea condotta contro il sedicente califfato e dal fallimento del progetto di addestramento dei ribelli “moderati”, più inclini a schierarsi con i jihadisti che ad affidarsi alle cure della Cia. Peraltro negli ultimi mesi Barack ha accettato, per bocca di John Kerry, che il clan alauita rimanga al potere per scongiurare la definitiva conquista del paese da parte dei miliziani di al-Baghdadi.

Per la Russia invece la Siria riveste notevole importanza. Non solo perché qui Mosca possiede la sua unica base navale sul Mediterraneo. Partecipando attivamente alla guerra e difendendo Damasco, Putin intende rendersi indispensabile in occasione di un prossimo negoziato e ottenere concessioni dagli Stati Uniti sull’Ucraina, in assoluto la questione più rilevante.

Convinto che il mero arrivo in Siria del suo contingente avrebbe convinto la Casa Bianca a trattare, lunedì scorso il capo del Cremlino ha chiesto e ottenuto un incontro con il suo omologo statunitense. Il summit, il primo tra i due leader dal 2013, ha però dimostrato l’indifferenza obamiana e come i tempi non siano maturi per un accordo. Dopo circa 60 minuti trascorsi a discutere del futuro della Siria, senza stabilire chi dovrebbe succedere ad al-Asad e chi debba spendersi per sconfiggere lo Stato Islamico, la conversazione si è definitivamente arenata sull’intransigenza del presidente statunitense.

D’altronde, sul teatro siriano devono verificarsi alcuni eventi prima di raggiungere un compromesso, almeno in Medio Oriente. Anzitutto, la posizione di al-Asad dovrà apparire rafforzata, trasformando in automatica la sua presenza nella fase di transizione. Allo stesso tempo, l’offensiva russa dovrà costringere a miti propositi i vari gruppi di ribelli impegnati sul terreno, anche quelli vicini agli americani e discretamente indipendenti dalla loro volontà. Infine, l’attuale mobilitazione di truppe iraniane e di milizie sciite non è sufficiente: più che difendere il dittatore alauita, devono assemblare una forza di terra che combatta il califfato. Giacché la Casa Bianca lo ritiene un mostro di esclusiva pertinenza altrui.

In attesa degli eventi, Obama osserva con soddisfazione le mosse di Putin. Vista da Washington, la Russia non riuscirà a incidere in maniera decisiva su una guerra tanto complessa. Anzi, rischia di impantanarsi nel Grande Medio Oriente, come accaduto in Afghanistan all’inizio degli anni Ottanta.

Inoltre, la campagna aerea del Cremlino impedisce alla Turchia, partner che al momento intrattiene rapporti alquanto difficili con la superpotenza, di realizzare una no-fly zone e di estendere la propria influenza sul futuro governo di Damasco. Così come l’attuale attrito tra Mosca e Ankara rende assai complicata la riesumazione di Turkish Stream, l’oleodotto sostitutivo del defunto South Stream che Obama prova da tempo a sabotare.

Barack è dunque esclusivamente impegnato a dipingere come pericolosa l’azione di Putin e a risparmiarsi fortuite frizioni con il contingente russo, in una contingenza invece percepita come favorevole. Al massimo, nei prossimi giorni il presidente ordinerà una cosmetica intensificazione degli attacchi contro le postazioni dello Stato Islamico. Non a caso il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, ha indicato che non è in corso alcuna revisione della strategia americana applicata alla Siria. Né Washington ha proposto nuove sanzioni per censurare il Cremlino.

Piuttosto, dopo aver definito Putin come «destinato a fallire», il segretario alla Difesa, Ashton Carter, si sta industriando per il deconflicting. Specie dopo che nella giornata di mercoledì il metodo scelto dai russi per comunicare l’inizio dei raid ha letteralmente scioccato le autorità statunitensi. Circa un’ora prima dell’inizio dei bombardamenti sulla Siria, un generale russo con tre stelle sulla divisa si è personalmente recato presso l’ambasciata americana di Baghdad chiedendo di essere ricevuto dall’attaché militare, al quale ha annunciato cosa stava per accadere.

Tanta improvvisazione induce gli americani a pretendere un coordinamento più efficiente, ma non a modificare la loro interpretazione della crisi. Perché per Obama l’iniziativa russa rappresenta una svolta positiva. Indipendentemente dal massiccio spin applicato alla vicenda.

* Fonte: Limes

sabato 26 settembre 2015

IL GINEPRAIO SIRIANO (tutti contro il califfato)

[ 26 settembre]

Di contro ad un deviante complottismo che spiega le guerre fratricide nel vicino oriente, Siria in particolare, come risultato delle "diaboliche manovre americane", noi tentavamo di spiegare quali fossero le reali e profonde radici storiche di quei conflitti all'interno dell'Islam. Spiegavamo anche che un fattore decisivo dell'esacerbazione del conflitto sono gli appetiti egemonici confliggenti delle quattro principali potenze regionali (Israele, Iran, Arabia saudita e Turchia). Insistevamo nel dire che sbaglia chi pensa che le diverse milizie che si combattono sul terreno siriano-iracheno siano meri fantocci al servizio di queste potenze regionali o internazionali.
L'avanzata sino ad ora irresistibile dei takfiri dell'ISIS getta un preziosa luce nel buio. La Casa Bianca dopo aver chiuso l'accordo sul nucleare con l'Iran (alleato di Assad), invia Kerry a Mosca nel tentativo di trovare un accordo con Putin per "sistemare" la questione siriana. Con la Russia, che si è spinta ad inviare proprie truppe a sostegno del regime di Assad, anche Israele ha siglato un accordo.
Le diverse potenze regionali e internazionali, pur mirando ognuna a tutelare i propri interessi, sembrano insomma decise a fare fronte comune contro quello che considerano, per ora, il loro nemico comune, l'ISIS appunto.
In questo contesto gli Stati Uniti, dopo tanti tentennamenti, sembrano appunto aver deciso  di siglare un'alleanza con la Russia e l'Iran, intanto schiacciare l'ISIS, poi si vedrà.
Consigliamo la lettura di questo illuminante articolo apparso oggi su La repubblica.


Usa, Kerry vuole coinvolgere l'Iran per contrastare l'avanzata Is in Siria

«Nuova figuraccia, stavolta ufficiale, delle cosiddette forze siriane anti-Assad moderate (una sessantina di uomini) che, al costo di centinaia di milioni di dollari, gli americani hanno addestrato. Il Pentagono ha ammesso che questi 'suoì ribelli si sono arresi ai qaedisti del fronte Jubath al Nusra, consegnando loro sei pickup armati e munizioni fornite sempre dagli americani per avere salva la vita. Lo ha reso noto il colonnello Patrick Ryder, portavoce di quello che ogni giorno che passa si sta rivelando il comando colabrodo delle forze armate Usa per la regione, il Centcom. Lo stesso comando accusato di aver alterato i rapporti degli 007 sul terreno prima di passarli alla Casa Bianca per dimostrare progressi inesistenti nella campagna contro Is.

L'imbarazzante evento risale alla notte tra lunedì e martedì 21 e 22 settembre, quando gli uomini delle " Nuove Forze Siriane", i cosiddetti ribelli moderati addestrati dagli Usa, hanno consegnato ad un intermediario di al Nusra il loro equipaggiamento Made in Usa (come fecero le truppe irachene che si sciolsero come neve al sole davanti ad Is a giugno del 2014 in Iraq, abbandonando carri armati e Humvee agli uomini di Abu Bakr al Baghdadj) per poter avere salva la vita. La notizia è giunta al Centcom alle 19 di ieri ha spiegato Ryder. Quello di ieri è solo l'ultimo sviluppo sconcertante della fallimentare strategia Usa anti-Is. Lo scorso 2 novembre metà dei soli 54 ribelli moderati anti-Assad addestrati dagli americani disertarono arrendendosi sempre ad al Nusra. Notizia finora mai confermata - a differenza di quella di oggi - dal Pentagono.

La riluttante amministrazione Obama, indecisa su come intervenire in Siria dopo aver tracciato " red-line", limiti invalicabili che Assad opltrepasso', ha investito 500 milioni di dollari per formare un'unità di 5.400 ribelli moderati all'anno per un periodo di 3 anni, escludendo l'invio di proprie truppe di terra. Ma l'ottimismo iniziale si scontrò contro la sconsolante realtà che gli istruttori americani riuscirono a formare nel 2014 solo l'1% dei presunti 5.400 'ribellì sicuri: 54. Questi ultimi alla prima prova del fuoco, attaccati dai qaedisti di al Nusra - rivali di Is - lo scorso luglio, si dileguarono. Il secondo gruppo formato da 70 ribelli di 'provatà fedelta', si sono ora in parte arresi consegnando le loro armi a quanti dovevano combattere. Tutti eventi che fanno emergere sempre più convincente l'opzione russa a favore di un intervento diretto contro Is e le altre formazioni jihadiste sul terreno (come dimostrano le forze schierate nella zona occidentale di Latakia) mentre sta emergendo il fallimento della strategia Usa dei raid aerei, iniziati poco più di un anno fa, il 26 settembre in Siria. Opzione russa di cui Barack Obama, dopo aver ostentato totale intransigenza, discuterà lunedì pomeriggio con Vladimir Putin (da due anni isolato dagli Usa per la crisi ucraina) a margine dell'Assemblea Generale Onu a New York.

In questo senso, dopo aver sdoganato, con l'intesa sul nucleare, l'Iran come interlocutore se non affidabile quanto meno utile, ora gli Usa hanno deciso di coinvolgere ufficialmente Teheran in un nuovo tentativo di risolvere la crisi siriana, dove gli ayatollah, insieme alla Russia, sono i principali alleati del regime di Damasco. Il segretario di Stato John Kerry tenterà di dare il via ad una nuova iniziativa per una soluzione politica alla tragedia siriana (dopo 60 mesi di conflitto, oltre 250.000 morti e 8 milioni di profughi) incontrando, tra gli altri, la prossima settimana a New York a margine dell'Assemblea Generale Onu, il suo omologo iraniano, Mohammad Javad Zarif.

Dopo aver sostenuto la fallita iniziativa Onu (siglata ormai 3 anni fa a Ginevra), portata avanti prima dall'ex segretario generale Kofi Annan, poi dall'algerino Lakhdar Brahimi e da ultimo dall'italo-svedese Staffan De Mistura, Kerry vuole provare lui in prima persona un nuovo approccio. Progetto che, fonti vicine al segretario di Stato, sottolineano è ancora allo stato 'larvale', per trovare " una formula che ci riporti a effettivi e sostanziali negoziati". Trattative che vedono il coinvolgimento oltre che dell'Iran, della Russia, dell'Arabia Saudita e di Paesi come il Qatar e la Turchia, ritenuti essere finanziatori di Isis. L'iniziativa di Kerry è vista più che favorevolmente nelle capitale europee alle prese con la crisi dei milioni di profughi che, in fuga dalla Siria ma non solo, premono, e sfondano, le sue frontiere».


* Fonte La Repubblica

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