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venerdì 7 febbraio 2020

CARO MARCO, IO NON SONO DI SINISTRA ... di Carlo Formenti

Marco Revelli, ex-Lotta Continua, è da tempo diventato un intellettuale di regime.
Non fosse chiaro egli lo ribadisce rispondendo ad uno nostro compagno che aveva postato sulla sua pagina facebook un intervento di Carlo Formenti.
Vale la pena leggere a che punto di idiozia politica il Revelli è giunto e quindi la risposta di Formenti.

mercoledì 22 gennaio 2020

UNA CLAMOROSA FALSITÀ STORICA di Leonardo Mazzei

Prima entri nella NATO... quindi nell'Unione europea

La guerra e l'Unione europea

(a proposito delle manifestazioni del 25 gennaio)

martedì 21 gennaio 2020

SORRY, WE MISSED YOU di Gianluigi Paragone

«Quando la rabbia degli sfruttati e degli indebitati si riverserà in piazza allora ripenseremo a chi ci aveva avvisato».

In questi giorni si fa un gran parlare di due film, Tolo Tolo di Checco Zalone e Hammamet di Gianni Amelio con Francesco Favino. 
Il primo parla di immigrazione e quindi ha scatenato il solito dibattito su chi è più sensibile e chi invece è più razzista; addirittura la polemica ha riguardato persino il posizionamento politico del comico barese e sulla dose di politicamente scorretto

domenica 15 dicembre 2019

SARDINE: L'ULTIMO INGANNO di Sandokan

[ domenica 15 dicembre 2019 ]
Non c'è dubbio,
malgrado i manifestanti non fossero affatto i centomila proclamati, la manifestazione di ieri della "Sardine" a Piazza San Giovanni, è stato un successo. 

Ma non prendiamoci per il culo! Altro che "spontaneità dell'onda"! Questo successo non ci sarebbe stato senza il decisivo apporto dei media da una parte e quello (dissimulato) degli apparati della sinistra di regime.

I giornaloni di regime in edicola questa mattina non nascondono la loro soddisfazione...

Su il manifesto di oggi, l'insignificante Norma Rangeri ha colto tuttavia molto bene cosa si agitasse nella piazza:
«Una piazza popolare, non populista. Una piazza contro i fascioleghisti e con il cuore a sinistra».
Dove per "sinistra" ella intende nient'altro che la sinistra sinistrata, quella che con la scusa di impedire che Salvini vada al governo, si riconosce nel governo Conte bis, nell'Unione europea, negli ideali del cosmopolitismo catto-liberale.

Siamo dunque in presenza dell'ennesima metamorfosi di quella che Pasquinelli, con una calzante allegoria, definì sinistra transgenica. Mai dunque commettere l'errore di darla per morta poiché essa viene alimentata dal sistema, e mai, data la sua natura transgenica, considerare la sua metamorfosi come l'ultima. 

Però la metamorfosi pare come una metastasi, o meglio, fa venire in mente la serie cinematografica di Alien, dove la cosa mutante sopravvive sempre perché riesce a farsi incubare dall'umano per poi impossessarsene. 

Quel furbetto bolognese di Mattia Santori da un palco simil-improvvisato, elenca in 6 punti la piattaforma della "Sardine": 
«Uno: pretendiamo che chi è stato eletto vada nelle sedi istituzionali a lavorare. Due: chiunque ricopra la carica di ministro comunichi solo nei canali istituzionali. Tre: pretendiamo trasparenza dell’uso che la politica fa dei social network. Quattro: pretendiamo che il mondo dell’informazione traduca questo nostro sforzo in messaggi fedeli ai fatti. Cinque: che la violenza venga esclusa dai toni della politica. E anzi che la violenza verbale venga equiparata a quella fisica. Sei: ripensare, anzi abrogare, il decreto sicurezza». «E da domani inizia la fase due».
Un distillato di "buonismo" e di "politicamente corretto". Il niente dal punto di vista della sostanza politica. Ma non lasciatevi trarre in inganno. Questo niente politico è voluto, serve a nascondere la ciccia, che consiste nel fare da truppa ausiliaria progressista  dell'armata neoliberista ed europeista.

martedì 10 dicembre 2019

L'ESTREMA SINISTRA DOV'È? CON LA SARDINE! di Leonardo Mazzei

[ martedì 10 dicembre 2019 ]

La foto accanto ritrae la ASSEMBLEA UNITARIA DELLE SINISTRE D'OPPOSIZIONE —promossa da Pcl, Pci e Sinistra anticapitalista — svoltasi a Roma il 7 dicembre scorso, presso il Teatro de Servi, a Roma. Un luogo tetro assai, per una sinistra "antagonista"non meno cupa, lunare, smarrita. Chi non ci crede provi a sorbirsi come sono andati i lavori. Mal comune, mezzo gaudio... Mai si era vista una processione che abbia mobilitato tutte le diverse parrocchie e confraternite dell'estrema sinistra: oltre ai tre promotori c'era Rifondazione con le sue frazioni, Potere al Popolo, Eurostop, Sì Cobas, Risorgimento socialista, i Carc, una pletora di collettivi locali e, per la prima volta sugli schermi, il PMLI...

*   *   *

LA SINISTRA SARDINATA

di Leonardo Mazzei


Al peggio non c'è limite. Al ridicolo neppure. Tuttavia, il passaggio dal movimento operaio a quello delle "sardine" qualche problema lo dovrebbe porre. E invece no. Mentre la Cgil organizza autobus per portare i pensionati in queste gite ittiche euro-plaudenti, anche nella sinistra sinistrata ci si dà da fare per non essere da meno.

Vediamo quel che scrivono:
«Condividiamo il sentimento di fondo che anima tante piazze di giovani. Partecipiamo a queste piazze. Sentiamo anche noi la stessa nausea profonda per le culture xenofobe, misogine, reazionarie dei Salvini e delle Meloni, la loro vocazione autoritaria, il loro uso cinico dei sentimenti religiosi con tanto di esibizione di croci e di madonne, il loro disprezzo per le donne e per i soggetti LGBTQIA+ (presto non gli basterà più l'alfabeto!), il loro militarismo tricolore in abito di polizia».
Le piazze di cui si parla in questo volantino — e alle quali orgogliosamente si partecipa — sono ovviamente quelle delle "sardine". Ma chi è l'autore del testo di cui sopra? Chi è che ha tanta voglia di entrare in un bel banco di sardine per finire in pasto ai pescecani che se ne nutrono? Bene, questo aspirante suicida altro non è che il Partito comunista dei lavoratori (Pcl)! Sta forse scritto da qualche parte che per battersi contro la destra reazionaria si debba per forza di cose accompagnarsi a questi piddini di complemento, che per il loro perbenismo e la loro ipocrisia sono talvolta perfino peggio dell'originale? A leggere i sinistrati, parrebbe proprio di sì.

Il caso più interessante è però quello di Sinistra Anticapitalista. Con un articolo firmato da Francesco Locantore e Franco Turigliatto, qui si toccano vette degne di qualche commento.

Senza neppure sentirsi sfiorati dal minimo senso del ridicolo, i due iniziano parlando di: 

«grandi manifestazioni di piazza delle sardine». Un entusiasmo motivato dal fatto che: «Oggi il sentimento democratico e antirazzista, per fortuna ancora ben presente, trova una nuova espressione, più ampia e di massa, nelle manifestazioni delle sardine». I due, essendo tipi riflessivi, aggiungono poi che: «Come tutte le mobilitazioni e i movimenti di massa, anche quello delle sardine presenta numerose sfaccettature sociali e politiche, limiti e contraddizioni, ma anche potenzialità che le forze anticapitaliste devono sapere leggere per svolgere un ruolo positivo».
Potenzialità ragazzi, potenzialità. E pure anticapitaliste, mica balle. Ma che razza di somari saran quelli (come il sottoscritto) che in quelle piazze vedono solo conformismo, spirito di conservazione, distacco dai veri problemi del popolo, disprezzo per chi chiede protezione: in una parola, élitarismo diffuso a sostegno di quel partito degli ottimati tanto amico di Bruxelles?

Ad un certo punto dello scritto anche i due autori sembrano volersi porre qualche interrogativo. Leggiamo ad esempio:
«Certo colpisce il fatto che, in primis i suoi animatori (delle sardine, ndr), non colgano la dimensione della ingiustizia sociale presente nella società». 
No, ragazzi, non fate così, è solo un'impressione, vedrete che diventeranno degli anticapitalisti duri e puri. E' solo questione di volantinare un po'.
«Sul piano politico istituzionale è evidente che ci sia un interesse elettorale da parte del Partito Democratico e delle forze politiche del governo». 
Ma no, mica si può sempre pensar male!
«Non è un caso che le sardine siano nate in Emilia Romagna e che alcuni dei promotori abbiamo dato indicazione di voto per le liste che sostengono Bonaccini». 
Ah, non è un caso! Grazie per averli sgamati, che ci stavamo cascando!

Ebbene, dopo queste sensazionali scoperte dell'acqua calda, qual è la conclusione di Turigliatto e Locantore? Udite, udite (e, se ci riuscite, non ridete):

«La sinistra di classe che si muove nell’ambito dell’anticapitalismo, deve avanzare proposte e muoversi congiuntamente, tenendo insieme battaglia sociale e battaglia democratica e quindi trovare le strade per entrare in sintonia con i sentimenti democratici di massa che animano le mobilitazioni delle sardine».
Dunque: 
«I militanti e le militanti di Sinistra Anticapitalista sono nelle piazze delle sardine in questi giorni, non rinunciando a portare i propri contenuti». 
Bravi, non rinunciate, che prima o poi li convincerete tutti...
A questo punto, prima di concludere, devo scusarmi per l'ironia. Che in effetti qui, più che ridere, ci sarebbe da piangere... Ad ogni modo non siamo arrivati sin qui solo per farci qualche risata.

Tornando seri, cosa ci insegna allora questa infatuazione per dei pesci destinati a finire in scatola? Loro, i pesci, di quella brutta fine sono del tutto incolpevoli; ma chi li vuole imitare non vedendone la funzione auto-assegnatasi, quella per cui stanno nelle piazze, quella fine se la meritano.

Tre cose in conclusione

Ma cosa c'è, al fondo, nell'atteggiamento di questa sinistra "sardinata"?

C'è, in primo luogo, un penoso tardo-movimentismo che porta a scambiare lucciole per lanterne. C'è l'idea che tutto ciò che si muove sia positivo a prescindere. C'è il non (voler) vedere che la società è spaccata, che non c'è solo una maggioritaria (per quanto ancora confusa) spinta al cambiamento. C'è anche, e non potrebbe essere diversamente, una controspinta alla conservazione degli strati sociali che meglio reggono la crisi e gli effetti della globalizzazione. Ma questo conservatorismo non è quello delle croci e delle madonne, quanto piuttosto quello della "modernità", del cosmopolitismo giovanilista, del viva l'Europa!, della meritocrazia e del politicamente corretto. In breve, di tutto ciò che piace, anima e contraddistingue le cosiddette "sardine".

Ma la sinistra sinistrata sta in quelle piazze anche per un secondo motivo. Perché vede il Pd solo come un partito tra gli altri. Da qui le lamentazioni di Turigliatto e Locantore che abbiamo citato, sempre speranzosi però di poter lucrare qualcosa dalla crisi di quel partito. Il problema è che il Pd non è banalmente un partito. E' qualcosa di meno — si pensi alla patetica figura del suo segretario politico —, ma è soprattutto qualcosa di più: il vero perno di un sistema che fa della sua sudditanza all'oligarchia eurista l'alfa e l'omega della propria ragion d'essere. Prodi, uno dei padri dell'euro, non è iscritto al Pd ma è Pd. Monti non è del Pd, ma è Pd. Mattarella non è iscritto al Pd, ma è Pd. E si potrebbe a lungo continuare con una lunga sfilza di nomi, oggi tutti — guarda caso — spinti sostenitori delle sardine. E questo per il semplice motivo che le sardine non sono semplicemente ascrivibili al Pd come partito, ma sono senza dubbio Pd nel senso del super-partito sistemico della conservazione eurista. Tra l'altro, se il Pd andasse in piazza con le proprie bandiere riceverebbe solo sputi negli occhi, se ci va invece sotto mentite spoglie riesce ancora a mettere insieme una forza certo non trascurabile. Che la sinistra "sardinata" abbia deciso di contribuire a questa operazione è un fatto che si commenta da solo.

C'è però un terzo elemento che spiega l'incredibile cantonata di costoro. Ed è che la sinistra sinistrata vede il pericolo del fascismo, che oggi si vorrebbe rappresentato da Salvini, mentre nega quello ben più concreto della dittatura eurocratica. Purtroppo, la "storia è maestra ma non ha scolari". Come non ricordare le piazze antiberlusconiane che portarono ad applaudire Monti nel 2011? Allora il pericolo per la democrazia sembrava il Buffone d'Arcore, peccato che si aprì così la strada al governo più antipopolare della storia repubblicana. Sono trascorsi appena otto anni, ed eccoci adesso al passaggio dall'antiberlusconismo — oggi talmente superato che perfino la Pascale annuncia che andrà in piazza con le sardine — all'antisalvinismo, ultima frontiera di chi non vuol vedere di quale morte stia morendo il Paese.



Del resto, che la sinistra sinistrata — ed oggi ampiamente "sardinata" — non voglia vedere qual è il vero nemico, ci viene confermato dall'assemblea della cosiddetta "sinistra di opposizione" che si è tenuta sabato scorso a Roma. Da quell'incontro è uscita la solita lista di obiettivi ambiziosi e altisonanti — dall'uscita dalla Nato al ritiro delle truppe all'estero, dalle nazionalizzazioni alla riduzione dell'orario di lavoro, dalla cancellazione dei decreti sicurezza all'abolizione della Fornero — ma non volendo vedere come tutto ciò sia semplicemente impossibile senza una lotta senza quartiere contro l'Unione europea, la sua moneta, le sue regole ammazza-Stati come quelle del Mes.

Siamo cioè al massimo dell'astrattezza. Nel Paese c'è oggi una nuova consapevolezza su ciò che rappresenta l'Unione europea e costoro guardano altrove. Si cita il Mes come una cosa secondaria, contro la quale forse ci si mobiliterà ma non si sa come, mentre è oggi il cuore di ogni battaglia di opposizione dotata di senso. Si agitano grandi obiettivi senza vedere la prigione in cui si trova l'Italia, fingendo di ignorare che senza una liberazione da questa gabbia non c'è alcun risultato sociale che possa essere credibilmente perseguito e raggiunto.

Non solo, come se ciò non bastasse, si amoreggia pure con le sardine, cioè con quella parte della società che vuol conservare un esistente nel quale evidentemente non si trova poi così male. Il bello è che poi costoro, incapaci di comprendere il perché nessuno più li segua (tantomeno nelle classi popolari), passano buona parte del loro tempo a lamentarsi del "destino cinico e baro", non avvedendosi neppure di come la loro stessa deriva contribuisca nel piccolo a portar acqua al mulino salviniano.

«Chi è causa del suo mal pianga se stesso», così dice in generale la saggezza popolare. Ma di fronte alla sinistra "sardinata", questo mesto spettacolo di fine anno di una sinistra sinistrata sempre più allo sbando, anche questo detto appare insufficiente. Del resto, si sa, la realtà supera talvolta l'immaginazione. 
Peccato avvenga spesso verso il peggio.


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lunedì 2 dicembre 2019

DE PROFUNDIS di Emmezeta

[ lunedì 2 dicembre 2019 ]
La sinistra sinistrata ci riprova. 

Stavolta con un'assemblea più sconclusionata del solito. Finito anche il tempo dei rituali cortei d'inizio autunno, è ora quello della massima astrattezza condensata in un manifesto di fine stagione. 
«Unire le lotte. Contro un governo padronale. Contro le destre reazionarie. Assemblea nazionale unitaria delle sinistre di opposizione». 
Questo il testo di convocazione, firmato da Partito comunista dei lavoratori, Partito comunista italiano e Sinistra anticapitalista, con l'adesione di Potere al popolo e la presenza di Rifondazione comunista.
Lì per lì abbiamo pensato ad uno scherzo. Venendo da una generazione avvezza alla concreta analisi della realtà, questo manifesto ci è apparso surreale. Quasi un reperto degli anni Settanta del secolo scorso uscito da qualche soffitta della storia. Ma sfortunatamente così non è.

"Unire le lotte"? Giusto come sempre, ma quali lotte di grazia! Come si fa a non vedere lo stato di prostrazione diffuso tra i lavoratori delle principali vertenze in atto, dall'Ilva all'Alitalia? Uno scoraggiamento che non può stupire in assenza di una visione strategica più chiara, base essenziale da cui partire per indicare tanto gli obiettivi immediati, quanto un'alternativa di governo che per esser tale non potrà che incentrarsi sull'Italexit.

Definire come "padronale" l'attuale governo è giusto, ma del tutto insufficiente. Dopo la contraddittoria esperienza della maggioranza gialloverde, il Conte bis è innanzitutto il governo della restaurazione, quello dell'esibito signorsì ai padroni di Bruxelles. Possibile non vedere la centralità di questo aspetto? Evidentemente sì, visto che nel manifesto di tutto ciò non v'è traccia.

E non c'è parola alcuna neppure sul tema di maggiore attualità, quella riforma del Mes con la quale l'asse Carolingio che governa l'Ue vuol ingabbiare ancor di più il nostro Paese. Ma è mai possibile che comunisti di diverse tendenze e tradizioni riescano a ritrovarsi uniti solo per non dire nulla sui problemi decisivi dell'oggi?

C'è davvero da rimanere sconcertati. Poi ci si lamenta se la destra è forte, come se per batterla bastasse denunciarne la natura reazionaria.

Insomma, davanti alle sfide ed alle potenzialità del presente la sinistra sinistrata (che tale non è per mero accidente della storia) sa solo rispondere con un tardo-movimentismo in assenza di movimento. Peggio, con un totale vuoto pneumatico in quanto ad analisi, idee, programmi e proposte.

Intendiamoci, vista la deriva di questi anni nulla di stupefacente. Ma continua a sorprendere la pervicacia con la quale si persegue il percorso della propria autodistruzione, questa testardaggine a non voler imparare nulla dall'esperienza, questa riproposizione di schemi un po' troppo schematici, questo inarrestabile allontanarsi dal sentire delle classi popolari. 

In conclusione, ed in tutta franchezza, più che ad un tentativo di rilancio, l'assemblea dei sinistrati ci pare soltanto il mesto de profundis di chi rifiuta il primo atto che un tempo si chiedeva ai comunisti: quell'analisi concreta della situazione concreta di cui ormai oggi neppure i Ris saprebbero trovar traccia in certi manifesti. E de profundis sia.


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venerdì 22 novembre 2019

SARDINE AL SERVIZIO DEI POTERI FORTI di Diego Fusaro

[ venerdì 22 novembre 2019 ]

Ci siamo già occupati delle "sardine" QUI e QUI. Ci torniamo segnalando quel che pensa Diego Fusaro.
Prima però pubblichiamo quello che è già noto come "manifesto delle sardine".
Abbiate la pazienza di leggerlo per scoprire quanto sia un concentrato di fuffa. Niente idee, tantomeno forti, zero proposte, zero spessore politico. Apoteosi del politicamente correttoSolo collante di facciata l'antisalvinismo a prescindere, la sostanza nascosta è ben gradita all'élite neoliberista: l'antisovranismo e l'antipopulismo. Che così si fermi l'avanzata di Salvini è improbabile.
La sinistra sistemica, col suo esercito mediatico, sta pompando a dismisura il fenomeno "sardine" affinché porti acqua al suo mulino. Certamente questo accadrà. Ma quest'acqua viene da una sorgente destinata ad essiccarsi molto presto. 


Benvenuti in mare aperto



Cari populisti, lo avete capito. La festa è finita.
Per troppo tempo avete tirato la corda dei nostri sentimenti. L’avete tesa troppo, e si è spezzata. Per anni avete rovesciato bugie e odio su noi e i nostri concittadini: avete unito verità e menzogne, rappresentando il loro mondo nel modo che più vi faceva comodo. Avete approfittato della nostra buona fede, delle nostre paure e difficoltà per rapire la nostra attenzione. Avete scelto di affogare i vostri contenuti politici sotto un oceano di comunicazione vuota. Di quei contenuti non è rimasto più nulla.

Per troppo tempo vi abbiamo lasciato fare. Per troppo tempo avete ridicolizzato argomenti serissimi per proteggervi buttando tutto in caciara. Per troppo tempo avete spinto i vostri più fedeli seguaci a insultare e distruggere la vita delle persone sulla rete.
Per troppo tempo vi abbiamo lasciato campo libero, perché eravamo stupiti, storditi, inorriditi da quanto in basso poteste arrivare.

Adesso ci avete risvegliato. E siete gli unici a dover avere paura. Siamo scesi in una piazza, ci siamo guardati negli occhi, ci siamo contati. E’ stata energia pura. Lo sapete cosa abbiamo capito? Che basta guardarsi attorno per scoprire che siamo tanti, e molto più forti di voi.

Siamo un popolo di persone normali, di tutte le età: amiamo le nostre case e le nostre famiglie, cerchiamo di impegnarci nel nostro lavoro, nel volontariato, nello sport, nel tempo libero. Mettiamo passione nell’aiutare gli altri, quando e come possiamo. Amiamo le cose divertenti, la bellezza, la non violenza (verbale e fisica), la creatività, l’ascolto.

Bologna
Crediamo ancora nella politica e nei politici con la P maiuscola. In quelli che pur sbagliando ci provano, che pensano al proprio interesse personale solo dopo aver pensato a quello di tutti gli altri. Sono rimasti in pochi, ma ci sono. E torneremo a dargli coraggio, dicendogli grazie.

Non c’è niente da cui ci dovete liberare, siamo noi che dobbiamo liberarci della vostra onnipresenza opprimente, a partire dalla rete. E lo stiamo già facendo. Perché grazie ai nostri padri e nonni avete il diritto di parola, ma non avete il diritto di avere qualcuno che vi stia ad ascoltare.

Siamo già centinaia di migliaia, e siamo pronti a dirvi basta. Lo faremo nelle nostre case, nelle nostre piazze, e sui social network. Condivideremo questo messaggio fino a farvi venire il mal di mare. Perché siamo le persone che si sacrificheranno per convincere i nostri vicini, i parenti, gli amici, i conoscenti che per troppo tempo gli avete mentito. E state certi che li convinceremo.Vi siete spinti troppo lontani dalle vostre acque torbide e dal vostro porto sicuro. Noi siamo sardine libere, e adesso ci troverete ovunque. Benvenuti in mare aperto. 

“E’ chiaro che il pensiero dà fastidio, anche se chi pensa è muto come un pesce. Anzi, è un pesce. E come pesce è difficile da bloccare, perché lo protegge il mare. Com’è profondo il mare”.

Firmato "6000 sardine"

*  *  *

Sardine: la contestazione alleata del potere 
che ignora i veri nemici del popolo

di Diego Fusaro


I moti di contestazione si moltiplicano sotto il cielo. E, così, dopo i “venerdì per l’ambiente”, spuntano ora le “sardine” di Bologna. Occorre procedere seguendo la via regia del pensiero critico: con le parole del “Trattato politico” di Spinoza, “nec ridere, nec lugere, neque detestari, sed intelligere”. La domanda da porre, decisiva per inquadrare la questione, è una soltanto: come reagisce il potere rispetto al moto contestativo in questione? Con manganelli e diffamazione mediatica permanente, se il moto mette davvero in discussione la tenuta sistemica del potere, i diagrammi di forza asimmetrici: così è stato con le giubbe gialle galliche, massacrate a colpi di manganello e diffamate come antisemite e sovversive.


Celebrati dai media come Greta


Se, invece, il moto contestativo in questione è portatore di un dissenso conservativo, che non mette in discussione i rapporti di forza e magari distrae rispetto ad essi, allora la reazione del potere si risolve nella celebrazione mediatica permanente e nella beatificazione giornalistica immediata. Così è stato, appunto, con i “venerdì per l’ambiente” indetti da Greta Thunberg: la classica protesta conservativa, che mai menziona il conflitto di classe e l’emancipazione del basso. Ebbene, come si collocano le sardine di Bologna? È evidente. Rientrano nella seconda tipologia. È l’apoteosi del dissenso conservativo, della contestazione alleata del potere. La loro lotta, salvo errore, non menziona nemmeno la violenza dei mercati, il manganello invisibile dello spread e della Ue, i soprusi della global class dominante. No. Il loro problema è, sic et simpliciter,Salvini.


Modena
Premesso che Salvini, con il suo liberismo thatcheriano, non è la soluzione, e sarebbe anzi un avversario nel quadro di un conflitto nazionale tra liberisti e socialisti: premesso tutto questo, è evidente che il nemico principale oggi non si chiama Salvini. Si chiama invece globalismo capitalistico, cosmopolitismo dei mercati apolidi, openness mercatistica. Rispetto a tutto questo, le sardine non hanno nulla da dire, ovviamente. Chi tace acconsente, usa dire.

L’antifascismo liturgico ignora il manganello dei mercati


Insomma, siamo al solito antifascismo liturgico delle sinistre fucsia e arcobaleniche da Ztl, sideralmente lontane dalla classe lavoratrice, che usano la lotta contro il fascismo per nascondere la loro adesione integrale al capitalismo, il proprio vile tradimento di Marx, di Gramsci e dei lavoratori. Combattono contro un manganello che non c’è più, per accettare in religioso silenzio il manganello arcobaleno dei mercati e dello spread, del fiscal compact e del precariato. Per questo, le sardine sono celebrate in modo ubiquitario dal circo mediatico e dal clero giornalistico. Sono perfette per dirottare l’attenzione dalla contraddizione reale a quella fittizia, per evitare che si crei una vera contestazione – modalità giubbe gialle – contro il fanatismo economico del mercato globale.

Ormai il nostro timore sembra guadagnare lo statuto di solida certezza: le rivolte fucsia al servizio – consapevole o inconsapevole – del padronato cosmopolitico rendono indisponibili gli offesi del pianeta, li rendono schiavi in lotta per le loro catene. Pronti a battersi unicamente contro eventuali liberatori. Rimodellando le parole di una nota canzone: avanti élite, alla riscossa, bandiera fucsia trionferà…


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martedì 19 novembre 2019

DOVE VANNO LE SARDINE ? di Lucio D.

[ mercoledì 20 novembre 2019 ]

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

«La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati»
Antonio Gramsci

Ieri sera a Modena in Piazza Grande io c'ero. Malgrado la pioggia piazza stracolma come non ne vedevo da tanto tempo.

Sono andato anzitutto per curiosità, per capire, e certo perché Salvini, per ragioni certo diverse, lo considero anche io un pericolo per il Paese.

Molte le anime nella piazza ma non sbaglio se dico che quella dominante è quella di certa base popolare e giovanile della sinistra, non solo piddina, che a questa sinistra vuole dare la sveglia. Chi pensa che questa base sia scomparsa si sbaglia, e di grosso. E' minoritaria ma ancora viva e presente.

Cosa vibrava anzitutto nella piazza? L'idiosincrasia viscerale per Matteo Salvini e la Lega. Fin qui potrei dire, niente di male. Ma dietro a questa idiosincrasia c'è tutto il precipitato di decenni di demagogia di quella che voi avete chiamato "sinistra transgenica": l'accoglienza indiscriminata, l'europeismo, il buonismo "catto-comunista", tutto il ciarpame politicamente corretto, l'idea che il sovranismo=fascismo.

Non c'ero ai tempi di girotondi contro Berlusconi ma ho la sensazione che siamo alla storia che si ripete: prima l'antiberlusconismo ora l'antisalvinismo. Quanti danni fece, e quanti errori, e quanti misfatti vennero compiuti in nome dell'antiberlusconismo? Tanti, troppi. La sinistra fece dell'antiberlusconismo l'alibi per nascondere la politica vera che essa portava avanti: smantellare lo stato sociale, privatizzare il privatizzabile in nome del pareggio di bilancio, farci digerire l'euro, in pratica per portare avanti lo stesso liberismo mascherato di progressismo. 

Leggo che anche in altre città vogliono imitare le "sardine". Avranno uno sbocco politico? Se sì quale? Qui in Emilia quale possa essere questo sbocco è fuori discussione, non solo arginare l'avanzata della Lega ma puntellare il governo-sistema piddino.

Riusciranno le "sardine" a rovesciare i pronostici che danno il centro destra leghista vincente?  Improbabile. Modena ha quasi duecentomila abitanti e settemila, malgrado siano molti, non ci dice che il centro-sinistra possa riuscire a recuperare lo svantaggio. Nelle urne emiliane si riverserà il malcontento e la protesta della maggioranza, che sulla scheda significa voto alla Lega.

Una cosa è comunque sicura, anche ove piddinia qui in Emilia resista, l'avanzata della Lega sarà fortissima. Nel 2014 con una percentuale di votanti bassissima (la più bassa della storia) Bonaccini quasi doppiò il leghista Alan Fabbri. Ora l'aria è ben diversa.

Una seconda cosa penso sia sicura, se le "sardine" diventassero una truppa ausiliaria del PD, dureranno ancora meno dei "girotondi".


Lucio D., Modena

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venerdì 15 novembre 2019

I NAZIONALISMI, LE SINISTRE E NOI

[ venerdì 15 novembre 2019 ]

Abbiamo avuto spesso modo, negli anni, di polemizzare con l'editorialista del CORRIERE DELLA SERA Ernesto Galli della Loggia. L'ultima volta il 1 novembre. Lo abbiamo fatto perché lo consideriamo una delle menti più lucide tra le teste pensanti della borghesia liberal-liberista del nostro Paese.
Sul CORRIERE di oggi, 15 novembre, Della Loggia ha scritto un editoriale che vale davvero la pena leggere.
Offre una chiave di lettura perspicace dei risorgenti nazionalismi sovranisti, sarebbe impeccabile se non avesse taciuto e assolto l'Unione europea in quanto fondamentale concausa. Per certi liberali europeisti, che della Ue hanno fatto un principio sacro e meta-storico, essa resta un inviolabile tabù.
Ma veniamo a noi. Il nostro afferma concetti che noi, da almeno un decennio, siamo andati sostenendo — per questo ostracizzati da certe sinistre transgeniche

Quali sono questi concetti?

1) Sbagliato equiparare questi nuovi nazionalismi a quelli fascisti e nazisti del '900. Questi ultimi furono violenti, espansionistici (imperialistici) "estroflessi e offensivi", mentre gli attuali nazionalismi sono "introversi e difensivi".

2) I nuovi nazionalismi esprimono un profondo bisogno di sicurezza e protezione davanti alla globalizzazione sfrenata. La nazione e lo stato nazionale vengono invocati come "rifugio", "scudo protettivo", non solo economico-sociale ma culturale e spirituale.

3) Ecco dunque spiegato come mai essi abbiano fatto breccia, anzitutto, tra le classi subalterne, classe operaia e classi medie pauperizzate e ferite dalla globalizzazione.

4) questi neo-nazionalismi esprimono infine, a loro modo, un rifiuto della modernità, contestano il "nuovo" ed il cosiddetto "progresso", di qui una certa nostalgia del passato che fu.

5) Di qui la crisi "fatale" delle sinistre, visto che da Marx in poi hanno sempre sostenuto "progresso e innovazione", e che sarebbero state le classi dominanti ad opporsi al nuovo, "al cammino della storia (sempre infallibilmente positivo)". 

Come detto, è da almeno un decennio che SOLLEVAZIONE, poi MPL-Programma 101  sostiene concetti del tutto simili. Non ci siamo tuttavia limitati a pronosticare la rinascita dei nazionalismi, non abbiamo solo respinto gli esorcismi cosmpolitici, abbiamo sostenuto che l'arma da utilizzare contro i neo-nazionalismi non è l'astratto internazionalismo bensì un programmatico patriottismo democratico, repubblicano e rivoluzionario.



*  * *

Perché la destra è così forte in Europa

La posizione polemica è fatta propria dagli strati disagiati della società 
contro il nuovo, contro la modernità

di Ernesto Galli della Loggia


(...)

«Ma il fattore cruciale dell’ascesa della destra antiliberale è il nazionalismo. È il nazionalismo, non il fascismo, il suo vero orizzonte. È il nazionalismo il «punto di raccolta dell’ira» – per usare l’espressione che fa da leitmotiv dell’importante libro di Peter Sloterdijk «Ira e tempo» appena uscito da Marsilio – con cui la destra anima la sua propaganda e la sua influenza nell’opinione pubblica. È un nazionalismo, tuttavia, che ha perso completamente il carattere centrale che fu suo nella storia del Novecento, e che consistette essenzialmente nell’espansionismo, nella competizione aggressiva sul terreno della politica estera. È un nazionalismo nuovo, per così dire: tutto introflesso e difensivo quanto l’altro, invece, era estroflesso e offensivo. Oggi la nazione, insomma, non è più il luogo dove «armare la prora e salpare verso il mondo». È un rifugio dal mondo. La sua invocata sovranità un’arma di difesa, una protezione. E proprio per questo la nazione è un valore sempre più sentito e apprezzato specialmente da chi di protezione ha costituzionalmente bisogno, cioè dalle classi popolari, in genere dai settori più sfavoriti della popolazione, inclusi all’occasione anche settori impoveriti del ceto medio.

Spagna, benvenuta in Europa: VOX avanza
Oggi la nazione è invocata come un rifugio dalle novità che sottratte a ogni nostro controllo e contro ogni nostra volontà fioriscono e impazzano nel mondo «là fuori», finendoci poi rovinosamente addosso. Novità economiche, innanzi tutto. Un rifugio quindi principalmente dagli effetti negativi della globalizzazione: dalla chiusura incomprensibile di fabbriche che ancora ieri sembravano andare bene; dal brutale ridimensionamento dell’organico impiegatizio per l’arrivo dei computer; un rifugio dall’improvviso venir meno, deciso in una lontana capitale europea, di quella spesa pubblica che poteva permettere a un Comune di aggiustare una scuola o di assumere qualcuno; una difesa dal passaggio in mani straniere di aziende che erano tutt’uno con i luoghi e ora invece si trovano a dipendere da chi di quei luoghi fino a ieri non conosceva neppure il nome.

Ma il nazionalismo odierno serve soprattutto come un rifugio culturale. Serviva a questo anche un tempo, ma mai nella misura attuale, così radicale e coinvolgente sul piano emotivo. Il che accade perché radicale e capillare è stato il mutamento intervenuto nei modi di vivere e di sentire delle società occidentali negli ultimi decenni. In pratica si è dissolto quasi del tutto un modello culturale che per più aspetti durava da secoli. Proprio ciò ha prodotto e sta producendo nel corpo sociale una frattura assai più profonda di quanto si creda. La frattura tra una parte, dotata di maggiori risorse, in stretto rapporto con la modernità e i suoi linguaggi, orientata al nuovo, familiare con la più ampia diversità degli stili di vita, impregnata di individualismo permissivo, insofferente di ogni vincolo, passabilmente anglofona, insomma psicologicamente e culturalmente cittadina del mondo; e un’altra parte, invece, perlopiù dotata di assai minori risorse, maggiormente legata a una dimensione comunitaria, a un modo di pensare tradizionale e a un rapporto con il passato; ancora convinta – pur se tutt’altro che osservante – della propria identità cristiana, della bontà delle regole da sempre a presidio della riproduzione e dei rapporti tra i sessi e tra le generazioni, aderente al significato tramandato della gerarchia e dei ruoli sociali.

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È per l’appunto questa parte della società orientata culturalmente al passato la quale, di fronte alla perdita di presentabilità sociale che colpisce il suo modo di pensare, di fronte alla critica sovente sommaria quando non duramente censoria a cui questo viene sottoposto specie dai media, di fronte alla scomparsa pressoché dovunque del cattolicesimo politico che in qualche modo rappresentava in precedenza i suoi valori, ha cominciato da tempo a vedere nella nazione, nell’ovvia radice antica dell’identità nazionale, un utile scudo protettivo contro una modernità percepita come qualcosa di ostile e distruttivo che giunge da «fuori».

Il cuore del nazionalismo attuale, insomma, è costituito in tutti i sensi da una posizione polemica, perlopiù fatta propria dagli strati disagiati della società, contro il nuovo, contro la modernità. E allora si capisce la radice della difficoltà che ha la sinistra a farci i conti. Dimentica del Manifesto di Marx ed Engels, la sinistra, infatti, nel corso della sua lunga vicenda si è sempre più andata rafforzando nell’idea che a opporsi al nuovo, al cammino della storia (sempre infallibilmente positivo) non potessero essere che i grandi interessi, le classi dominanti, conservatrici per definizione, mai le classi inferiori. E che quindi il proprio posto non potesse che essere sempre dall’altra parte, a favore di ogni innovazione, comunque nelle schiere della modernità. Un calcolo sbagliato che rischia di esserle fatale».

mercoledì 16 ottobre 2019

CATALOGNA: AUTODETERMINAZIONE SENZA SECESSIONE di Manolo Monereo

[ mercoledì 16 ottobre 2019 ]

Il prossimo 10 novembre gli spagnoli tornano al voto. 
I sondaggi danno il PSOE di Sanchez e Ciudadanos in grande difficoltà, mentre le destre del Partito Popolare e Vox in grande sarebbero in grande spolvero. Difficilmente prevedibile l'esito per Podemos dopo la scissione di Íñigo Errejón che ha fondato Mas Pais.
Risultato che sarà fortemente condizionato dalla vicenda catalana. Continuano infatti le proteste in Catalogna dopo le dure condanne di alcuni esponenti indipendentisti da parte della Corte suprema spagnola.
Quale sarà l'esito dello scontro in atto tra lo Stato spagnolo e gli indipendentisti catalani? Pubblichiamo l'ultima parte dell'intervista rilasciata a Cuarto Poder da Manolo Monereo — compagno di lotta di Julio Anguita, intellettuale di punta della sinistra sovranista spagnola, ex parlamentare di Podemos.

* Traduzione a cura della redazione


*  *  *

D.Più Spagna. Sovranità del popolo spagnolo. Hai fatto molti riferimenti alla Spagna. Al momento, ritieni ancora che lo stato spagnolo sia uno stato plurinazionale? Ritieni che il rapporto tra i diversi territori debba essere regolato dal loro diritto all’autodeterminazione?

R. Ciò che sta arrivando non è la fine degli stati-nazione, ma il loro rafforzamento. Penso che li si debba rafforzare. È vero che i globalisti hanno inimicizia verso gli stati-nazione, che vogliono disaggregarli come strumento di dominio. Credo profondamente nell'unità del Paese, ma il Paese, però, deve essere un altro. Di contro alla destra e all'estrema destra, secondo me la Spagna va considerata un progetto in costruzione e deve essere costruito dal basso, come Repubblica federale e solidale. Le regioni più ricche devono essere solidali con le più povere. Dobbiamo vivere in uno spazio comune di libertà, diritti sociali e democrazia economica. Rinunciare a questo equivale lasciare la Spagna all'estrema destra.

Questa Spagna dev’essere di tutti, come si vede ogni giorno in Andalusia, Estremadura o nei Paesi Baschi. C'è una grande maggioranza di spagnoli che si sentono spagnoli e per molti essere spagnolo è un modo di essere basco, spagnolo, catalano, valenciano o andaluso. La situazione in Estremadura e in Andalusia è dovuta ai trasferimenti di reddito tra le regioni, in particolare quella che riceve di più è Madrid. Uno Stato è un progetto comune in cui diverse federazioni si strutturano entro una convivenza e federale.

Se si segue questa strada non andremo verso la segregazione, andremo piuttosto verso una nuova guerra civile o, peggio ancora, ad un altro colpo di stato. Sul diritto all’autodeterminazione, parto dall'idea di ciò che è il demos spagnolo. Mettere in discussione che la Spagna è un demos ci porta a una guerra civile. Dopo la Jugoslavia non può esserci ingenuità con l'autodeterminazione, non può esserci ingenuità. La mia visione è cambiata dopo la Jugoslavia. Disarmare uno stato-nazione avrebbe conseguenze anzitutto in Catalogna, si rompe la convivenza, ma poi, per una parte della Catalogna, è una crisi esistenziale.

Manolo Monereo

Se vieni da Jaén e vivi a Sabadell [città della Catalogna, Ndr], ed io questo l'ho vissuto, dopo che hai combattuto per i diritti sociali, linguistici e nazionali della Catalogna, ti dicono che devi scegliere tra essere andaluso o catalano. Si crea una crisi esistenziale, queste persone [ si riferisce ai tanti emigranti andalusi che vivono in Catalogna, Ndr] diventano una minoranza nazionale. Il giorno in cui ci fosse una repubblica catalana, avremmo una minoranza nazionale spagnola che dovrebbe essere difesa, questo gli indipendentisti si rifiutano di ammetterlo. Ficcarsi in questo pasticcio porta al crollo della comunità catalana e alla destrizzazione della Spagna. La Spagna è più di destra dopo il Procés [il Procés è l’ondata indipendentista catalana, Ndr]. Uno stato non si suicida. Se non siamo in grado di capirlo, non troveremo una soluzione.

D. La sentenza della Corte Suprema ai leader dell'indipendenza sta per arrivare è prevista. Viene anticipata dall'arresto di attivisti CDR [ Comitati di Difesa della Repubblica:gli organismi che nel 2017 animarono la mobilitazione indipendentista in Catalogna, Ndr] qualche giorno fa. Pensi che ci sia un'operazione statale che si sta dirigendo verso un'umiliazione della Catalogna, come indicato da alcuni settori catalani?

R. Che ci sia un'azione statale contro l'insurrezione in Catalogna è fuori discussione.

D. Che ruolo dovrebbe avere la sinistra spagnola in questo?
R. Penso che ci sia molto dilettantismo nell'indipendentismo catalano. Quando vedo la borghesia catalana della CIU [Convergenza e Unione, la forza della destra indipendentista capeggiata da Jordi Pujol, Ndr], i miei tanti amici di ERC [Sinistra Repubblicana di Catalogna, Ndr] e la CUP [candidatura di Unità Popolare, movimento indipendentista catalano di estrema sinistra. Ndr] tutti insieme, sono pieno di tenerezza, sto per iniziare a levitare. Ma soprattutto credono che con la forza che hanno, essi sono metà della Catalogna, spezzeranno lo Stato spagnolo. Questo per giocare la rivoluzione. Che gli eredi del (borghese e corrotto) Jordi Pujol faranno una rottura con lo Stato spagnolo verso una repubblica socialista catalana, quest'idea mi riempie di tenerezza. Non sanno cos'è la Spagna e non sanno cos'è l'Unione europea. Essere al contempo sostenitori della UE e del diritto all'autodeterminazione significa non comprendere in che mondo ci troviamo.

Penso che devi trovare una base che combini due cose, l'unità dello Stato e dare la voce al popolo della Catalogna. Ciò significa uno stato federale. Il problema politico della Catalogna non ha come alternativa l'indipendenza della Catalogna. Proporre l'indipendenza della Catalogna implica non comprendere cos’è la UE, che è terribile, né la Spagna, che in parte lo è anche.

Ci si doveva rendere conto che aver infranto la legalità dello stato della Catalogna avrebbe avuto conseguenze legali. Nel processo di risoluzione e negoziazione politica di questo conflitto, si deve anche giungere a una soluzione che comprenda il destino di coloro che sono in prigione. Se tutto ciò non viene preso in considerazione, se andiamo a uno scontro diretto tra metà della Catalogna e lo Stato spagnolo, andiamo in una situazione di guerra civile o verso un colpo di stato e la destrizzazione della Spagna.

Ciò che è stato negativo del nazionalismo catalano è la rinascita con tale forza del nazionalismo spagnolo. Oggi, le tre forze di destra rappresentano oltre il 40% della mappa politica spagnola. Sono riuscite a far risorgere un nazionalismo spagnolo che era molto diffuso ed ora, un nazionalismo che fa della Catalogna e dell'unità della Spagna il proprio elemento centrale. E questo è molto trasversale.

D. Ribellione, sedizione… Condividi queste accuse?
R. La qualificazione giuridico-legale è stata eccessiva. Lo stato spagnolo si è scontrato con dei dilettanti, credevano di poter fare tutto ciò che gli piaceva perché avevano una sorta di salvaguardia globale. Pensavano che la UE e la Germania avrebbero accettato l'indipendenza della Catalogna. Non è successo.

Dobbiamo ristabilire le leggi della realtà. Oggi, in Spagna e in Europa, la possibilità di indipendenza non è praticabile. Insistere su quella strada ci porta solo alla rottura della comunità catalana e alla destrizzazione della Spagna. Gli stati non si suicidano.

La risposta dello Stato sarà molto dura [l’intervista è stata rilasciata prima della sentenza del 14 ottobre con cui la Corte suprema spagnola ha condannato Oriol Junqueras e gli altri indipendentisti catalani, Ndr].

Come sinistra dobbiamo perorare il negoziato politico, ma anche essere chiari su quale progetto di Paese abbiamo.

Siamo indipendentisti? Giochiamo con l’indipendentismo? [in vista delle prossime elezioni politiche i capilista sia di Podemos che di Mas Pais sono due noti indipendentisti, Ndr]

Dobbiamo definire la nostra proposta di stato in modo molto preciso, per quanto ne so, siamo federalisti. Abbiamo optato per una federazione plurinazionale e crediamo di dover articolare un processo e un progetto in cui le peculiarità nazionali abbiano il riconoscimento costituzionale per dare soluzione alla crisi statale. È tempo che Unidas Podemos definisca un progetto di Stato che riguardi tutto il territorio. 


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martedì 3 settembre 2019

M5S ED IL MITO DELLA SINISTRA CHE NON C’E’ di Inessa Armand

[ martedì 3 settembre 2019 ]

Volentieri pubblichiamo questo duro intervento che ci ripropone la tesi della scomparsa della dicotomia destra-sinistra. Tesi che viene da lontano e che abbiamo avuto modo di contestare. Ci permettiamo di segnalare: 



DICOTOMIA DESTRA-SINISTRA: TRAMONTO O ECLISSI? sulle tesi di Preve e Fusaro?
DICOTOMIA DESTRA-SINISTRA: critica a Giulietto Chiesa,  
SOVRANISMI (DI SINISTRA, DI DESTRA... E DI CENTRO)

*  *  *

RIFLESSIONI SUI PERICOLI DELLA NOSTALGIA E
SULLA POTENZA DELLE ALLUCINAZIONI




Esaminando l’attuale situazione politica è necessario, quanto inevitabile, che il termine “sinistra”, parafrasando Trotsky, venga definitivamente gettato nella raccolta differenziata, tra i rifiuti altamente tossici, più esattamente tra quelli radioattivi.
Che ci si riferisca alle mutazioni genetiche del PCI o alle diverse scorie prodotte dalla deflagrazione di organizzazioni post sessantottine, il risultato non cambia, si tratta ormai, mutatis mutandis, esattamente della stessa melma.
 Per anni, la sinistra “radicale” e quella “canonica” si sono scontrate, caratterizzate da una diversa prassi politica che rendeva possibile fare dei distinguo; ora tutto è cambiato e, in questa fase di importanti trasformazioni sociali, si ritrovano accomunate da inqualificabili prese di posizione: dalla difesa della teoria gender, alla ”illusione del multiculturalismo” ( la cui massima espressione è il Global Compact che giustifica e garantisce un’immigrazione totalmente incontrollata), dalla scienza teorizzata come nuova teologia (per far passare l’obbligatorietà di 12 vaccini ed una mostruosità come la Triptorelina) fino alla difesa della legge sulle impronte digitali o quella sulle fake news (ovvero l’ultima frontiera, almeno per ora, del controllo sociale).
Conseguentemente, ora più che mai, proprio alla luce di quanto accade, appare chiaro che il vocabolo “Sinistra” è un significante vuoto ovvero privo di significato.
Ne consegue che quel che le élites neoliberali hanno sbandierato come la sparizione della dicotomia destra/sinistra è, pertanto, semplicemente, un’ipocrisia, un’invenzione ideologica prima che politica. 
 E’ necessaria la mera presa di coscienza di questo inganno per iniziare a ragionare sul presente; affermare quanto sopra non vuol dire negare le differenze di analisi e, di conseguenza, ideologiche tra le diverse teorie sulla prassi politica, vuol dire, anzi, liberarle dalle grottesche generalizzazioni a cui si è arrivati a causa di un ristagno teoretico, di un lunghissimo riflusso e di un’immobilità concettuale senza precedenti. In tale situazione, avvalersi ancora del lemma “Sinistra” è qualcosa che, politicamente, non ha più senso.
Nei secoli precedenti, il contesto storico politico ha originato fondamentali dottrine economico-filosofiche: si parlava di marxismo, leninismo, trotskismo, lambertismo, bordighismo... Pur esistendo il termine Sinistra, questo designava un concetto talmente vago da essere solo parzialmente utilizzabile, un’idea geografica prestata alla politica; la Sinistra, come blocco ideologico, non esisteva e, forse, non è mai esistita.
Tra la metà dell’800 e gli inizi del ‘900, sono state elaborate teorie, creati strumenti di interpretazione di quella realtà e rivoluzionato il corso degli eventi. Parliamo di una fase storica precisa.
Ora però siamo nel 2019 e la fase storica è cambiata radicalmente, la situazione politica, economica e sociale non è più, neanche lontanamente, paragonabile a quella dei secoli scorsi, per dirla tecnicamente, siamo in un altro ciclo di accumulazione capitalistico.
Una diversa realtà ha, conseguentemente, bisogno di essere interpretata con nuovi strumenti e necessita di una nuova teoria politica. Continuare a decodificare il momento attuale servendosi della concezione, degli strumenti interpretativi e delle categorie socio-economiche create tra il 1848 ed il 1940 sarebbe come combattere i missili, di cui dispongono oggi le forze neoliberali, con i cannoni ed i fucili a scoppio. Sarebbe assurdo, oltreché assolutamente stupido. Sarebbe un inutile massacro, la cronaca di una morte annunciata e, peggio ancora, una follia anacronistica.
Ancora fino agli anni ’70 la realtà era diversa: analizzando la situazione sociale è possibile affermare che ci fossero un grande partito di massa, il PCI, e grandi sindacati di massa, un blocco sociale enorme incanalato e tenuto insieme affinché le istanze e le semplici rivendicazioni non potessero, in alcun modo, sfociare in un movimento che avrebbe rischiato di diventare ingestibile.
Che cos’era la sinistra in Italia e che cosa è diventata? Ci sono state moltissime organizzazioni partitiche, dal PCI al PSI o DP (solo per citarne alcune) fino ad arrivare al PRC e tutto quel che dalla scomparsa del PCI è fuoriuscito, PD compreso, ma c’era anche una così detta sinistra rivoluzionaria, una miriade di organizzazioni molto prolifiche intellettualmente ma solo parzialmente radicate sul territorio, spesso poco più che dei circoli culturali, dei centri studi.
Molte di quelle organizzazioni esistono ancora ma sono rimaste intrappolate nel loro pensiero pensante, come in una bolla dalla quale vedono lo scorrere del tempo ma non i cambiamenti sociali. Peggio ancora esse hanno completamente aderito alla propaganda neoliberale della globalizzazione e, paradossalmente, gli stessi che avevano partecipato al movimento No global, ora si trovano impastoiati, impantanati nella grande narrazione.
La sinistra canonica (PD, PRC ecc) non è stata da meno: ha aderito a Maastricht ed agli altri trattati, con le disastrose conseguenze che ben conosciamo, ha abbattuto la produzione manufatturiera avallando la delocalizzazione, ha distrutto il lavoro salariato grazie al mortale colpo del Job Act, ha tagliato drasticamente le pensioni mediante la legge Fornero, ha dato il colpo di grazia alla sanità pubblica ed ha portato avanti la demolizione della scuola e delle università e l’hanno chiamata “Buona scuola”.
Ha portato a termine o ha dato il colpo di grazia perché il percorso era iniziato prima: senza fare archeologia politica, è possibile affermare che l’era della distruzione è iniziata dopo mani pulite con i diversi governi tecnici e con Berlusconi (la complicità delle sinistre è stata comunque determinante), poi, come è noto, le élites hanno visto in Renzi un candidato promettente. Ha fatto un gran bel lavoro di smantellamento mentre un’altra parte della sinistra si impegnava alacremente, e si impegna tutt’ora, in arcobaleni ed in una acritica “accoglienza” senza minimamente rendersi conto che la maggioranza della popolazione si sta ribellando a questa visione perversa, sta vivendo una situazione sociale di estrema difficoltà: periferie sempre più impraticabili, salari abbassati, lavoro nero in aumento, disoccupazione ai massimi storici, impoverimento, degrado sociale, aumento della violenza… Chi prende posizione contro questa visione delirante è considerato un fascista, un razzista.
La sinistra è ormai inappellabilmente condannata ad allontanarsi dalle masse, non ne difende più gli interessi perché non è più in grado di comprenderne né le priorità, né le problematiche. E’ quella che ha tradito i lavoratori, è quella che difende l’immigrazione di massa, è quella che non difende la parità di diritti ma propaga la teoria gender, è quella che insulta ed accusa, è quella della giustizia rossa che non protegge, è quella della corruzione, della malasanità, degli appalti truccati, delle cooperative rosse… E’ Tutto questo.
Leggendo, senza pregiudizi e, soprattutto senza vuoti sentimentalismi, ciò che è accaduto in questi anni, la situazione italiana, appare assolutamente chiara, se poi estendessimo questa analisi a quanto è successo negli ultimi mesi, considerando non solo l’esito delle elezioni politiche, ma quello delle elezioni europee e locali, regionali e comunali, la veridicità di quanto affermato, diventa inoppugnabile.
I blocchi sociali, così come li conoscevamo ed erano rappresentati, almeno fino agli anni ’60, non esistono più; sono radicalmente mutati, scompaginati.
In Italia, un coacervo di istanze sociali, “sezionali e prepolitiche” ha cercato la sua espressione politica nelle urne ed ha affidato le sue richieste al governo che è seguito alle votazioni del 4 marzo: La Lega ed il Movimento 5 Stelle.
Fin dall’inizio, sia i mass media (ed in genere, il pensiero dominante) che le oligarchie eurocentriche, hanno aspramente avversato questo governo, ma, paradossalmente, proprio queste critiche hanno contribuito a tenerlo in vita ed a far sì che venisse percepito come qualcosa di diverso, un elemento di rottura con i precedenti.  
Sappiamo come è andata a finire: i “deplorevoli” sono stati delusi anche perché, ciò che per troppi non è ancora evidente, è la reale natura dei “Criceti di Satana”, quel buco nero che è il Movimento 5 Stelle, l’apoteosi della normalizzazione neoliberale.
Una disamina, di questo fenomeno politico da baraccone, appare necessaria ed urgente.
Il problema vero è costituito da coloro che, pur conoscendone la genealogia ed il successivo sviluppo, perseverano nel considerare il M5S qualcosa di diverso da quel che è.
Il M5S è un movimento creato a tavolino in guisa di contenitore, nel senso più stretto del termine: contenere! Convogliare e contenere il malessere sociale, canalizzandolo in un ambito istituzionale. La fede in una fantasiosa distopia tecno-scientifica è il pilastro che soggiace a sgangherate posizioni politiche di circostanza. Per provarlo, oltre ogni ragionevole dubbio, è sufficiente analizzare il modo in cui hanno normalizzato certe espressioni chiare di istanze sociali, di malcontento. Due esempi fattuali: il reddito di cittadinanza, il cui progetto originale avrebbe potuto segnare un passo avanti nell’ambito delle conquiste sociali, svilito e deturpato in modo da farlo diventare una sorta di Hartz 4 tedesco e la legge Lorenzin peggiorata nel DDL 770. Questi erano due dei loro cavalli di battaglia pre-elettorali, hanno preso voti per questo; poi la montagna ha partorito il miserabile topolino. L’inganno è stato svelato dai fatti.
Altra prova a suffragare tale valenza normalizzatrice: all’indomani del colpo di mano di Mattarella ne avevano chiesto l’impeachment, idea difendibile, l’intromissione era insopportabile, chiunque se ne è reso conto; Di Maio annuncia una grande manifestazione di protesta, tempo ventiquattr’ore e tutto è finito con funambolico passo indietro: una possibile manifestazione di massa, trasformata in una pacifica ed innocua, quanto inutile, scampagnata post elettorale al circo Massimo.
Il M5S non ha nessuna intenzione, prima ancora che la capacità, di “tenere una piazza”, non gli interessa: è stato creato con l’intento opposto. Se non basta ciò che è accaduto in Italia, analizziamo quel che è successo in Francia, altrettanto emblematico: Di Battista e Di Maio incontrano una delegazione di GJ a Nizza e ciò che ne segue è una listaccia per le elezioni europee che ha solo emarginato i quattro gatti che vi hanno aderito.
Spazzatura neoliberale ma ammantata dell’uso di un altro termine (per altro altrettanto svuotato di significato) “onestà” che loro hanno trasformato in parola d’ordine, mantra scriteriato che ripetono mentre vorrebbero ridurre lo spazio democratico ratificando la diminuzione del numero dei parlamentari (che ricorda il referendum renziano), il taglio degli stipendi dei parlamentari, l’abolizione delle provincie, l’eliminazione del finanziamento pubblico ai partiti.
 Analizzando, non è difficile vedere quel che si cela dietro queste richieste: sono tutte applicazioni di direttive europee, sebbene abbiano cercato di travestirle da innovativi punti programmatici (presenti nel loro Programma Elettorale insieme ad altre preoccupanti quanto aberranti derive tecnocratiche), cascami europeisti dissimulati come scelta politica contro gli sprechi.
Il loro europeismo è, de facto, inequivocabile, tanto che certe dichiarazioni di Di Maio, come quella “noi non siamo contro i vicoli europei” (FQ 07/05/2019) suonano quasi ridondanti, al pari della rivendicazione del Salario minimo orario europeo (dovremmo parlare di circa 9,00 Euro lordi), ancora una volta di renziana memoria!
Ogni possibile dubbio è stato infine dissipato dal voto alla Von der Leyen, perfettamente in asse con le altre forze europeiste, tra le quali spicca il PD.
A voler pensar male, si potrebbe evincere che le oligarchie finanziarie europeiste avevano deciso di affidare a questo magma, che è il M5S, il ruolo che, precedentemente, avevano conferito a Renzi che era riuscito, solo in parte, a portare avanti il progetto. Il suo delirio di onnipotenza lo aveva convinto ad usare il Referendum come mezzo, gli italiani hanno reagito compattamente mandando un chiaro segnale. Il M5S sta cercando di perseguire lo stesso fine, con altri mezzi, molto più pericolosi perché surrettizi.
Questi “Criceti di Satana”, con una fede cieca nella tecnologia e nella scienza, pronti ad asserire e poi negare qualsiasi assunto, non si sono dimostrati altro se non utili idioti al servizio di poteri più grandi di loro.
La base elettorale se ne sta rendendo conto, l’illusione è ormai stata ampiamente svelata ed è per questa ragione che hanno iniziato a perdere consensi ovunque, un’emorragia che parrebbe confermata dalle ultime consultazioni elettorali. Avevano promesso, hanno tradito, hanno perso voti.
Pochi non ne hanno ancora preso atto, evidentemente, vittime di un abbaglio politico-sociale o di un errore di valutazione: ignorano le origini di questo movimento e ne ignorano la natura, ovvero si barricano dietro ad una perversa, quanto fallace, giustificazione, ciò è dire e sostenere che il M5S sia meno liberista della Lega: questo è l’assunto politico più inquietante! Eppure era Von Hayek che teorizzava che “uno vale uno” ma forse gli è sfuggito… E, se gli è sfuggito questo, gli sono sfuggite molte altre posizioni indifendibili: gli è sfuggito che Il reddito di cittadinanza è uno Hartz4, che la Ministra Grillo ha fatto passare la Triptorelina, che il personale scolastico e medico potrebbe essere sottoposto ad un numero indefinito di vaccini, che l’ecotassa colpisce gli strati più deboli della popolazione, che la digitalizzazione è controllo sociale, che la tutela del Made in Italy è la svendita all’imperialismo sub-umano cinese, che il 5G è un potenziale pericolo per la salute, che ridurre il numero dei parlamentari riduce i margini della democrazia…
Tutto inutile. Vedere questo significa analizzare e condannare, senza appello, le scelte politico-sociali di un’organizzazione che millanta novità, non vederlo vuol dire appellarsi ad una sorta di surrealismo magico.
Le ombre delle ombre della caverna di Platone.
Non si intravede, neppure analizzandolo al microscopio elettronico, nel M5S, alcun blocco sociale di riferimento a cui ci si possa appellare, a meno che non sia per smascherare il loro opportunismo elettorale ed il loro totale asservimento all’Unione Europea. Il fatto è che costoro non hanno accumulato nulla di tangibile: ciò che fanno balenare, come blocco sociale, è volatile, evanescente ed accessibile senza essere costretti a stipulare alcun contratto o legame.
Ciò che si evince, guardando la realtà e quindi anche il substrato elettorale di questo governo (cioè di entrambe le forze che lo compongono), è una congerie di istanze sociali diverse, espressioni eterogenee di una diffusa insoddisfazione sociale, che ha consegnato le proprie aspettative a coloro che hanno dato ad intendere di rappresentare, e poter attuare, il cambiamento. Legarsi politicamente, a chi ha fatto dell’infingimento la sola pratica politica, è suicidio inutile ed una lettura diversa può essere solo frutto di un fallace pregiudizio ideologico.
Questa ostinata miopia, al pari del vagheggiamento di un’altra “sinistra” come qualcosa di diverso dall’accozzaglia realmente esistente, appare come un inganno della ragione, un’ineffabile quanto patetica nostalgia che ha a che fare più con la psicoanalisi che con la politica.
Continuando ad essere prigionieri di questo incantesimo, il rischio è quello di ritrovarsi o fermi ad aspettare invano Godot o, peggio ancora, a non avere il coraggio politico di fare il passo necessario verso una consapevole emancipazione da ogni forma di nostalgia e dal pregiudizio.
Quel che occorre è, innanzi tutto, intercettare le variegate sollecitazioni sociali e dargli una risposta politica precisa e non dissimulata, semplice e non fuorviata da anacronismi ideologici inadeguati, una risposta in grado di coalizzarle intorno ad una visione chiara del momento attuale e delle strategie per uscire da questo impasse politico, economico e sociale.
Dissolvere il fumo propagato da questi mendaci venditori, servitori sciocchi dell’Unione Europea, e ripulire l’aria mostrando la gabbia in cui siamo finiti, “la tela di ragno” in cui siamo intrappolati da vent’anni.  Il resto appare come un’assoluta perdita di tempo che mostra un totale disprezzo per l’urgenza di assunzione di responsabilità che la rapida mutevolezza degli eventi richiede.
 Non è possibile continuare a correre dietro a tutto ciò che accade, prestando attenzione ad ogni abbaiar di cane, occorre aver chiara la meta, sapere dove andare, avere delle priorità ed affinare una strategia per raggiungere lo scopo.
Non servono mirabolanti previsioni astrologiche sul futuro, peraltro puntualmente ribaltate dai fatti perché, qualsiasi cosa accada, chi fa politica fuori dalle organizzazioni partitiche esistenti, deve essere attento, deve sottoscrivere una dichiarazione di assunzione di responsabilità e deve essere assolutamente credibile; appellarsi ad una fantomatica “sinistra”, di qualsivoglia tipo, è un errore tattico, terminologico politicamente indifendibile, occorre prenderne atto. Non è una strada percorribile e la nostalgia non aiuta, il cordone ombelicale va troncato di netto, nessun sentimentalismo è possibile, ancor peggio ogni sentimentalismo è destinato al naufragio.

 E’ necessario, al contrario, leggere, senza preconcetti, la realtà, fornirne adeguati strumenti interpretativi ed elaborare, sulla base dei risultati di questa lettura, una teoria che soggiaccia ad una strategia che diventi pratica politica.  

* Fonte: FRONTIERE

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