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lunedì 22 luglio 2019

CI HA PAURA NON VADA ALLA GUERRA di Leonardo Mazzei

[ martedì 23 luglio 2019 ]



«Posto che una fase di emergenza va effettivamente messa nel conto (ma non nei termini ipotizzati dal Gionco), essa non sarebbe comunque troppo lunga. E qui voglio essere brutale ma chiaro: se non siamo nemmeno capaci di immaginare e di affrontare qualche giorno senza il bancomat, è giusto che rimaniamo schiavi. Non si può infatti avere la botte piena (la sovranità) e la moglie ubriaca (il quieto vivere senza scossone alcuno)».

In risposta a Davide Gionco



Chi ha paura non vada alla guerra. Ecco un detto che chi si occupa delle cose della politica sempre dovrebbe rammentarsi. E come non farlo, ricordando Sciascia, nel momento in cui gli ominicchi potrebbero lasciare il posto ai quaquaraqua? Ma non è di "grande" politica che vogliamo occuparci oggi, bensì di un problema più circoscritto: quello dei sovranisti alimentati a paura, quelli del "vorrei ma non posso", del "prima bisogna...", eccetera eccetera.

Stavolta ce ne offre lo spunto uno scritto di Davide Gionco, apparso su "Scenari economici". Il ritornello è sempre il solito: uscire dall'euro è difficile, la Bce ci strangolerebbe, il consenso non ci sarebbe (o comunque non reggerebbe), meglio sarebbe stato esserne fuori, ma ormai...


Certo in maniera del tutto involontaria sono proprio questi discorsi il regalo più grande che si possa fare alle oligarchie euriste. Del resto, anche tra i dominanti non manca chi riconosce che l'euro sia stato un errore, aggiungendo però subito dopo che adesso uscirne sarebbe semplicemente catastrofico.

Già tre anni fa chi scrive polemizzò con un articolo di Giorgio Lunghini, il cui succo si condensava in questa frase del noto economista scomparso nel 2018: 
«In breve, l’Unione Economica e Monetaria europea è come l'"Hotel California" nella canzone degli Eagles: forse sarebbe stato meglio non entrare, ma una volta dentro è impossibile uscire».
Un concetto assurdo in sé, quello della "impossibilità", che se preso sul serio ci condurrebbe dritti dritti nelle accoglienti braccia di Francis Fukuyama e della sua "Fine della storia", pensata e scritta dopo la disgregazione dell'Urss. Ma se del politologo americano di origine giapponese oggi ben pochi si ricordano, una ragione certo ci sarà. Purtroppo, però, certe visioni (stavolta cucinate in salsa tecnicista) si son fatte strada in tanti mondi, anche in quello sovranista. Ed una delle idee che circolano è che, non solo non ci sarebbe più spazio per le sollevazioni come per le rivoluzioni, non solo sarebbe vietato pensare, aspirare e lottare per una diversa società, ma pure uscire da due costruzioni politiche come l'euro e l'Ue sarebbe un'impresa quasi impossibile.

Il brutto è che mentre l'"impossibilismo" (mi si passi il termine) di Lunghini era tutto da ascriversi — singolare paradosso dei tempi nostri — al conservatorismo della cosiddetta "sinistra radicale"; quello adombrato da certi sovranisti, pur essendo animato da opposti obiettivi, rischia di condurci anch'esso nei meandri dell'impotenza. Ma la lotta per la sovranità nazionale non si alimenta con la paura, quanto piuttosto con la ragionevole speranza di una liberazione che non potrà tardare a lungo.


L'articolo di Davide Gionco


Partendo dalla fosca cornice di cui sopra, l'idea proposta da Gionco non è certo nuova. In breve: anziché uscire dall'euro, la moneta unica verrebbe semplicemente aggirata con l'introduzione di una moneta parallela. Avremmo così un parto indolore e tutti vivrebbero felici e contenti. Il primo paradosso di questo ragionamento è che dopo aver descritto un nemico pressoché invincibile, alla fine egli dovrebbe gettare la spugna dopo una manovra di aggiramento di cui (evidentemente) non si sarebbe accorto in tempo. Bah!

Prima di entrare nel merito dell'articolo voglio però ricordare due cose. La prima è che mai e poi mai abbiamo pensato ad un'uscita indolore dall'euro, il che non vuol dire però che essa debba essere immaginata e descritta come una catastrofe, come una sorta di Terza guerra mondiale. La seconda è che riteniamo positiva (e per certi aspetti necessaria) l'introduzione di una moneta parallela, e non a caso siamo a favore dei Mini-Bot, ma riteniamo che questa mossa abbia senso solo nell'ambito della prospettiva dell'uscita piena dall'euro e dalla Ue.

Detto questo, veniamo ad alcune affermazioni centrali dell'articolo in questione. Scrive Gionco:
«La soluzione al problema sembra semplice: “usciamo dall’euro!”. E traditori sono i politici che avevano promesso di farlo ed ora non lo dicono nemmeno più. Cerchiamo ora di capire perché, se anche sarebbe cosa buona che l’Italia non fosse mai entrata nell’euro e sarebbe cosa buona oggi trovarci fuori dall’Eurozona, vi sono delle difficoltà oggettive a realizzare il passaggio “da dentro a fuori”. E sono certamente queste difficoltà a far tacere i politici, quei pochi che hanno capito il problema, su questo argomento. Il fatto principale è che l’euro non è solo una moneta. E’ soprattutto un sistema di regole comuni a molti paesi europei, una organizzazione  complessa e interconnessa».
Lo ripeto a scanso di equivoci: non siamo mai stati tra i "facilisti" del "tutto e subito", ma giustificare certe giravolte dicendo che quei politici «hanno capito il problema» è davvero un po' troppo. Che l'euro sia un sistema oltre che una moneta è cosa fin troppo nota, scoprirlo ora o è tardivo o è furbesco.

Ma è davvero impossibile uscire da quel sistema? Qui Gionco fa sfoggio di un catastrofismo davvero fuori luogo. Per rendercene conto leggiamo due passaggi. Così si esprime nel primo:
«Se la BCE, sulla quale la Repubblica Italiana non ha sostanzialmente alcuna autorità, decide di bloccare il sistema bancario, succede che tutto il nostro denaro non lo possiamo più utilizzare. Ovvero: la BCE ha il potere di bloccare il sistema dei pagamenti bancari».
Ha la Bce questo potere? Ovviamente sì, ma ce l'ha finché restiamo nell'euro. Dopo no. Un minuto dopo l'uscita questo potere svanisce nel nulla. Una ragione in più per percorrere quella strada. Il problema è semmai nella fase precedente all'uscita, ma appunto per questo dilatarla oltremodo sarebbe un errore, quello sì, catastrofico.

Vediamo ora il secondo passaggio:
«Se un governo democraticamente eletto decide di “uscire dall’euro”, la BCE lo minaccia con il blocco del sistema dei pagamenti. Mentre quel governo converte le euro-banconote in neo-lire, tutti noi ci troveremmo impossibilitati a ricevere lo stipendio sul nostro conto corrente bancario, non potremmo pagare le bollette, non potremmo ritirare banconote dai bancomat. Non è fantascienza, sono fatti a cui abbiamo già assistito in Grecia o a Cipro. O anche in Argentina nel 2001-2002. Non solo: lo Stato non potrebbe più ricevere i pagamenti delle tasse, né pagare gli stipendi. Si fermerebbe la macchina dello Stato, i trasporti, gli ospedali, l’economia intera. Come già successe in Argentina nel 2001, non potendo convertire le nostre “note contabili” presso le banche nei beni e servizi di cui abbiamo bisogno per vivere, ci sarebbero gli assalti ai supermercati per potersi procurare anche solo da mangiare e ci sarebbe la fuga dalle città verso le campagne, dove almeno è possibile trovare del cibo senza pagarlo».
Questo catastrofismo, francamente incommentabile, non ha davvero giustificazione alcuna. E per diversi motivi. In primo luogo, un governo minimamente capace non avrebbe troppe difficoltà a prendere tutte le contro-misure del caso. In secondo luogo, uscire dall'euro non è "uscire dal mondo" e neppure "uscire dall'Europa", e non è difficile prevedere che un po' tutti i paesi europei farebbero a gara per mantenere e sviluppare affari e commerci con l'Italia post-euro. Assurdo dunque spargere terrore sul sistema dei pagamenti bancari.

In terzo luogo, posto che una fase di emergenza va effettivamente messa nel conto (ma non nei termini ipotizzati dal Gionco), essa non sarebbe comunque troppo lunga. E qui voglio essere brutale ma chiaro: se non siamo nemmeno capaci di immaginare e di affrontare qualche giorno senza il bancomat, è giusto che rimaniamo schiavi.

Non si può infatti avere la botte piena (la sovranità) e la moglie ubriaca (il quieto vivere senza scossone alcuno).

Avendone scritto tante volte in passato, non la faccio qui troppo lunga sulla questione del debito pubblico, altro tema che preoccupa Gionco. Detto che sono totalmente d'accordo sulla sua rinazionalizzazione, non riesco veramente a comprendere il suo allarmismo. Lo spread è un problema, ma solo finché restiamo nell'euro senza una Banca centrale che faccia il suo lavoro di prestatrice di ultima istanza. Al massimo, per un periodo brevissimo, si tratterà di rinviare di qualche giorno il pagamento dei titoli in scadenza. Gli investitori inizieranno a vendere alle prime avvisaglie dell'uscita? Facciano pure. A loro decidere se svendere in euro od essere ripagati al 100% in nuove lire. Per lo Stato italiano nulla cambierebbe.


In conclusione


Se mi sono occupato dell'articolo di Gionco, non è solo per mettere in guardia da un catastrofismo che fa soltanto (evidentemente al di là delle intenzioni) il gioco delle èlite. E' anche per segnalare un errore di fondo ancora più grande.

Siamo talmente immersi nel mondo della tecnica da ridurre ogni questione ad un problema tecnico. E siccome la materia monetaria ha una sua complessità, i problemi tecnici sembrano l'aspetto principale. Errore, errore madornale. Gli aspetti tecnici hanno la loro importanza, ma mai vengono per primi.

Il nodo principale, quello veramente decisivo, è puramente politico. Quel che occorre è il potere politico, la volontà di agire per l'Italexit, la determinazione a farlo nelle condizioni più favorevoli (o meno sfavorevoli) per l'interesse nazionale e per quello del popolo lavoratore. Ciò che conta è questa capacità decisionale, questo doveroso coraggio unito alla mobilitazione popolare.

Poi verrà la tecnica e con essa i tecnici. Ma se vi saranno potere, volontà e determinazione, non mancherà di certo la capacità tecnica di risolvere ogni questione.

Nel frattempo non lasciamoci imbrigliare in risposte che sembrano più facili, ma che non solo non lo sono (vedi la risposta della Cupola eurocratica ai Mini-Bot), ma che rischiano di illudere sulla possibilità di evitare lo scontro col blocco eurista. Più che sfornare una ricetta tecnica al giorno, c'è adesso bisogno di costruire un percorso politico. 

La manifestazione del 12 ottobre servirà proprio a questo.


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lunedì 1 luglio 2019

COSA SONO DAVVERO I MINIBOT di Claudio Borghi Aquilini

[ lunedì 1 luglio 2019 ]

Riteniamo utile pubblicare l'intervista concessa da Claudio Borghi Aquilini al settimanale PANORAMA in edicola.




*  *  *











Borghi: "I Minibot non sono una nuova moneta"

Intervista con Claudio Borghi, l'inventore dei Minibot 
che fanno discutere (e che sono stati bocciati anche da Giorgetti)

Onorevole Borghi, questa settimana proviamo a spiegare la guerra dei Minibot? Nessuno meglio di lei può farlo.

(Sorride). Il mio primo video sui Minibot è del 2012. Il primo articolo era apparso un anno prima, nel 2011, su Il Giornale. L’unica differenza è che ancora non avevo immaginato l’aspetto.

Quando le ho fatto la prima intervista sui Minibot, nel 2016, erano considerati una curiosità eccentrica. Oggi ne parla il governatore della Bce.

Perché abbiamo spiegato al Paese per quale motivo sarebbero un’ottima soluzione a un grande problema: pagare subito tutti i debiti che lo Stato ha con i suoi cittadini.

La considera una emergenza.

Senza dubbio. Per evitare la follia di chi fallisce pur avendo crediti.

Però Draghi denuncia i Minibot come un grave pericolo.

(Sorride). Io, per vocazione, sono come Mister Wolf di Pulp Fiction: provo a risolvere i problemi. È facile dimostrare che i Minibot fanno questo.

Spieghi come e quando le venne quell’idea e ci aiuti a capire.

Otto anni fa iniziava la battaglia dello spread. E nell’estate 2011 Berlusconi stava facendo la cosa sbagliata: le concessioni all’Europa che hanno portato al rigore e al governo Monti. Io, invece, proponevo idee su come contrastare lo spread.

Perché fu la cosa sbagliata?

Ad agosto raddoppiarono le tasse sui risparmi, aumentarono i bolli, l’Iva e furono inventate le prime clausole di salvaguardia. Il resto lo fecero Monti e la Fornero.

Si disse che fosse inevitabile.

Balle. Io stesso ero stato elettore di Berlusconi. Il suo consenso politico fu distrutto da quelle scelte.

C’erano anche delle differenze, rispetto a oggi.

Il problema di fondo era lo stesso: i titoli di Stato che innescavano la crisi venivano venduti perché non c’era nessuna garanzia della Banca centrale.

Il famoso «Bazooka» che nacque dopo, proprio come risposta a quella crisi.

C’era paura sui mercati, e non c’erano garanzie, se non altro perché pochi mesi prima avevano fatto fallire la Grecia.

Vediamo le differenze?

La prima differenza è il consenso politico. Dopo il caso Ruby, Berlusconi non era un leader forte e legittimato, anche da un voto, come lo è Salvini oggi.

E poi?

La nostra economia era molto più fragile su un punto decisivo.

Quale?

Il deficit commerciale. Infatti, avevamo un «doppio deficit». Importavano più di quello che esportavamo. Questo voleva dire che i soldi stavano uscendo dall’Italia. Oggi, invece, il saldo è positivo. Attiriamo valute straniere.

All’epoca aveva senso temere il rischio di fallimento?

Il default del titolo sovrano è un mostro creato dall’Ue.

In che senso?

Vede, nessuno può avere dubbi - per esempio - sul rischio default della Danimarca. Non esiste la possibilità.

Perché è un’economia forte?

Mannò. Perché al massimo posso temere che la corona si svaluti, non che manchi: la stampano loro.

L’economia italiana del 2011 era fragile, ma anche quella di oggi lo è.

Noi esportiamo più di quello che importiamo. Molti miliardi di valuta straniera entrano ogni giorno in Italia.

Questo non ci mette al riparo da qualsiasi rischio.

All’epoca il default sarebbe stato improbabile: oggi sarebbe insensato. Se anche - per assurdo - uscissimo dall’euro non avremmo mai il 50 per cento di svalutazione della nostra moneta.

Tuttavia lo spread ha toccato quota 300.

Una fiammata, dovuta alla speculazione del momento sui mercati.

Proprio lei li chiama «speculatori»?

Io ho lavorato in quel mondo. E li chiamo speculatori. Tecnicamente sono operatori che guadagnano così.

Cioè?

Traggono profitto dalle fluttuazioni del mercato su un titolo. Se vuole li chiami trader, ma cambia poco. Fanno quello.

Si dice: visto che il nostro debito è nelle mani delle banche italiane siamo più esposti.

Non è assolutamente vero. Più il debito è domestico, più a rigor di logica, dovremmo essere sicuri.

Perché?

Ci pensi. Per paradosso, se tutto il debito fosse italiano, tutti i famosi interessi aggiuntivi che paghiamo su quei titoli diventerebbero reddito diffuso distribuito in Italia.

Però le nostre banche sono più deboli, anche perché hanno in pancia tanti titoli di Stato.

Non è assolutamente vero. È propaganda.

Lei non legge tutte le grida di allarme di questi giorni?

Chi si preoccupa dello spread non dovrebbe fare altro che comprare titoli. Non solo perché stabilizzerebbe la fluttuazione, ma perché ci guadagnerebbe.

Lei lo fa?

Quando ho liquidità, la metto lì. Gli unici acquisti in titoli di Stato che ho fatto da quando sono stato eletto sono titoli italiani.

.....

Onorevole Borghi, la prima accusa della Bce è questa: i Minibot sono una moneta parallela.

Falso. Non c’è obbligo di prenderli. Quindi non sono moneta.

Voi fate l’esempio dei buoni pasto.

Ma non solo. Immagini la sua carta di credito. Immagini i suoi assegni. Circolano, ma possono anche non essere accettati. Con i Minibot sarebbe lo stesso.

Seconda obiezione, illustrata per esempio da Tito Boeri: c’è il rischio che si svalutino, fino al 50 per cento.

Questa è davvero una fesseria, se io consento di pagare le tasse con i Btp. È il legame con il pagamento delle tasse che àncora il valore del titolo a una conversione condizionata ma certa. E questo impedisce ogni svalutazione.

Non può escludere che ci sia una svalutazione rispetto all’euro.

Io sono certo che non ci sarebbe.

Ma ipotizzi che ci sia, e che sia del 10 per cento.

Bene. Quando il cittadino X, alla fine del ciclo, andasse a pagare 10 mila euro di tasse avendo speso 90 mila euro di Minibot, quel 10 per cento che risparmia sarebbe un premio per chi dà fiducia allo Stato. Un meccanismo virtuoso, dunque.

L’obiezione di Boeri ipotizza che la svalutazione sia molto più alta.

Sulla base di che? Se lo Stato li ritira a valore pieno, come possono valere di meno? Ho letto quel che dice e mi fa pensare: Boeri non è uno scappato di casa. O è totalmente disinformato oppure devo dubitare della sua intelligenza.

L’obiezione di Draghi è più seria. Si tratta di una nuova moneta, e dunque è vietata dai trattati.

Ripeto. La cosa che definisce la moneta è l’obbligo di accettarla. Per questo la carta di credito non è una moneta. Un assegno non lo è, anche se lo si può usare per pagare.

Seconda obiezione di Draghi: si tratta di nuovo debito.

Qui si arriva a un grave paradosso delle regole europee.

Quale?

Il debito calcolato per i criteri europei è esclusivamente quello liquidato.

Provi a spiegarlo.

Sei un Comune. Ti serve un idraulico per riparare una perdita in una scuola. Fai una gara, chiami un idraulico, autorizzi una spesa di mille euro.

Bene.

Per l’Europa finché non lo paghi quel debito non esiste.

Anche se è già nel nostro deficit?

Sì, ma non c’entra. Se però emetto un Btp per pagare quei mille euro, il debito emerge.

Un meccanismo perverso.

Siccome nel momento stesso in cui lo emetto ho il debito, la via che sceglie la Pubblica amministrazione è semplice: non pagare.

Quindi se il Minibot non è la soluzione giusta che si fa?

Allora Draghi dovrebbe dire esplicitamente: vogliamo che non paghiate i fornitori, così quel debito non emerge.

Invece il Minibot che effetto ha secondo lei?

Se pagassi con 50 miliardi di Btp normalinon sarebbe la stessa cosa dal punto di vista contabile.

Perché?

Il Minibot sarebbe classificato credito fiscale, non diventa subito nuovo debito.

Ma se poi il Minibot inizia a circolare, con i suoi biglietti, può creare inflazione.

Magari avessimo un po’ di inflazione! Aumenta la domanda interna. Era uno degli obiettivi economici della Bce!

Altri effetti positivi?

La spesa con i Minibot concentrerebbe gli acquisti sugli esercizi di prossimità. Non ci compri un aspirapolvere su Amazon. I Minibot girano.

Dicono: il salumiere non li prenderebbe.

Perché non dovrebbe? Ci pagherebbe le tasse!

Moscovici sostiene: i soliti trucchi italiani per non pagare.

Noi non solo paghiamo i nostri debiti, ma finanziamo l’Ue.

L’ultima obiezione, quella che fa più paura. Il Minibot prepara l’uscita dall’euro.

Perché pur non essendo moneta è un mezzo di pagamento alternativo? Allora vietino le carte di credito e i buoni pasto.

Onorevole Borghi, lei sa bene che se si uscisse dall’euro nessun Paese potrebbe sopravvivere con i buoni pasto usati come circolante!

Lei immagini che un giorno ci sia qualcuno che ci fa uno scherzetto e ci limita, in Italia, i prelievi dei bancomat a 50 euro al giorno.

Perché dovrebbe farlo?

È già accaduto, accadde in Grecia ai tempi del referendum di Tsipras.

Quindi può verificarsi ancora?

Esatto. Se qualcuno dovesse pensare a una simile aberrazione, il fatto che ci sia un deterrente non è un bene?

Cinquanta miliardi di titoli in circolo in forma di banconota lo sarebbero?

Secondo me, sì.

Dicendo questo lei aumenta quei sospetti, allora.

No. Io parto dall’idea di pagare i debiti. Lo aveva progettatoCorrado Passera. E anche Pier Luigi Bersani: lì chiamavano Bersani Bond. Nessuno pensava che lui volesse distruggere l’euro.

Altra obiezione di Boeri: è una patrimoniale occulta.

Questa è particolarmente cretina. Abbiamo detto che se si svalutassero, diventerebbero un premio fiscale. È il contrario, semmai.

Obiezione seria, degli imprenditori: «Io ho un credito, voglio soldi veri».

E infatti noi non obblighiamo nessuno. Se non li vuoi, non li chiedi. La politica di questo governo è dare opzioni senza convincere nessuno. Vuoi Quota cento? Vuoi il Reddito? Vuoi i Minibot? Prego.

Come si limita il rischio di ritrovarsi con una montagna di carta svalutata?

Mettiamo due limiti: uno nella emissione, diciamo 50 miliardi. E l’altro nella quota massima ottenibile: 25 mila euro a persona.

Con che vincoli?

Nessuno. Hai un credito con lo Stato? Lo incassi.

Come ha preso forma l’idea?

Poco dopo il primo convegno dei sovranisti a Pescara, organizzato da Alberto Bagnai. Pensavo: cosa posso portare in quella sede di innovativo? Misi a punto i dettagli e presentai l’idea.

E fu così che nacque la proposta diusarli anche per gestire un sistema di pagamento alternativo?

Esatto: i miei video nascono così. E per questo sono associati all’uscita dall’euro. Ma null’altro stabilisce un legame tra Minibot e uscita dalla moneta unica. Dopo quel convegno non ne ho parlato più per anni.

Perché?

Sono andato a verificare le alternative. I certificati di crediti fiscale, la moneta positiva.... Tante idee, anche brillanti. Cose teoricamente efficaci o più difficili da capire rispetto ai Minibot.

Quando la proposta arriva a questa forma?

Quando decidiamo di farne un argomento di campagna elettorale.

E nascono anche le banconotine atraverso il voto in Rete.

Ah ah ah! Ci mettemmo a lavorare sul lay out. Tardelli banconota da 5, Falcone e Borsellino 10. Fallaci 20, Pertini da 50,Mattei da 100, Toscanini da 200. D’Annunzio da 500....

Mattei, per esempio, prevalse nel voto popolare su Olivetti, Ferrero e Agnelli.

E il grido di Tardelli sulla vittoria degli Abbagnale, lo scatto di Mennea, la borraccia di Coppi e Bartali.

Vi accusano anche di rubare a Tardelli la sua immagine.

Ridicolo. Scrissi a Tardelli che mi rispose: «Ne sono onorato». Ho letto da poco una sua intervista cult: «E se ai tedeschi non piacciono è perché hanno ancora paura». Mitico.

Vi accusano di averli introdotti in modo subdolo.

Questa è follia pura. Ne abbiamo parlato per tutta la campagna elettorale. E poi li abbiamo messi nel programma di governo. Più trasparente di così! Si vede che non sanno leggere.

Quindi lei conferma che li farete?

Certo, dobbiamo farli.

Ma quando? Nel tempo, passate le polemiche? Dopo l’addio di Draghi?

Il momento giusto è con la prossima legge di bilancio, con la Flat tax.

giovedì 27 giugno 2019

MINIBOT: UNA FURBATA ALL'ITALIANA? di Eros Cococcetta

[ giovedì 27 giugno 2019 ]


Abbiamo già scritto e detto dei MiniBoT. Volentieri pubblichiamo questo contributo di Cococetta, segnalando tuttavia due cose. Il nostro difende la tesi che i MiniBoT non saranno a corso forzoso bensì "titoli ad accettazione facoltativa". Abbiamo avuto modo di segnalare QUI e QUI perché questa facoltatività sarebbe un pericoloso vulnus.
Infine. Cococcetta conclude affermando che ove non si introducesse una moneta parallela l'uscita dall'euro sarebbe impossibile poiché "per uscire dall’Euro bisogna PRIMA avere già in circolazione (da almeno 6 mesi) un’altra moneta nazionale". Un'affermazione (quella che occorrerebbero 6 mesi) che a quanto risulta a noi non poggia su alcuna evidenza fattuale ed empirica.


*  *  *

Il ragionamento che fa Marco Mori è completamente sbagliato, sia sotto l’aspetto giuridico che economico, e stranamente pro UE e pro BCE anche se fatto da un leader politico che H24 si dichiara contro l’Euro e la UE.
La discussione sui Minibot ha ormai raggiunto livelli di propaganda incredibili. I contrari, con Draghi in testa, dicono che se sono moneta sono illegali, ma si guardano bene dal menzionare quali siano le norme violate, oppure se sono titoli di stato sono più debito, mentre invece si tratta di regolare un debito già esistente. 



Cerchiamo di fare il punto


I MINIBOT CERTAMENTE NON SONO MONETA perché sono titoli ad accettazione facoltativa, mentre la caratteristica principale della moneta è il corso forzoso, il che significa che la moneta deve essere accettata da chiunque e per questo è anche definita a corso legale.
Ricordiamo che lo Stato ha piena facoltà di emettere titoli di stato del taglio ritenuto più opportuno (grande, medio o piccolo). 

I MINIBOT sono dei TITOLI DI STATO DI PICCOLO TAGLIO, con alcune caratteristiche particolari: non hanno scadenza, non danno interessi, sono di accettazione facoltativa e sono di piccolo taglio per favorirne la circolazione anche per i piccoli pagamenti. E questa ultima caratteristica, anche per la grafica, le fa assomigliare alle banconote o più precisamente ai biglietti di Stato (come le vecchie 500 Lire di Aldo Moro), ma non sono banconote né biglietti di Stato perché di accettazione facoltativa. Ma per questa caratteristica del piccolo taglio i MINIBOT all'occorrenza potrebbero essere facilmente trasformati in MONETA SOVRANA e questo certamente terrorizza Draghi e la Commissione Europea. 

Ma i MINIBOT NON SONO NEPPURE DEBITO perché 
«sono titoli di pagamento a valere su debiti già maturati e contabilizzati dalla pubblica amministrazione. Quindi si tratta solo di dare luogo all’erogazione: è un problema di liquidità, non di debito ….. I minibot sono stati congegnati come mezzi di pagamento fiduciari: chi li riceve lo fa di propria volontà ….. Sicuramente ci potrà pagare le tasse, perché l’emettitore – lo Stato – dovrà accettare i minibot come pagamento delle tasse…. Quindi non è che lo Stato si indebita di più perché riceve meno tasse in euro, essendo stato pagato il suo credito in minibot. Si è semplicemente regolata, parzialmente, la problematica della liquidità …»  Nino GALLONI a Draghi: i minibot non sono né valuta né debito
- Su debito pubblico e MiniBoT: Carlo BOTTA: audio intervista a "Non è la Radio 

Diciamo che i MINIBOT sono una GENIALATA perfettamente legale, UNA FURBATA ALL'ITALIANA, su cui la Commissione Europea e Draghi non possono farci nulla, oltre che sbraitare, perché capiscono perfettamente il pericolo che nascondano: la CADUTA DELL’EURO....
Sulla MONETA quasi tutti gli esperti si sono dimenticati dell'art. 117 della COSTITUZIONE: 
«LO STATO HA LEGISLAZIONE ESCLUSIVA NELLE SEGUENTI MATERIE: lett. e) MONETA, TUTELA DEL RISPARMIO E MERCATI FINANZIARI; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; ....»
 Questo è il testo vigente anche dopo le modifiche apportate da Monti sul pareggio di bilancio (legge cost. 1/2012). Può un Trattato europeo approvato dal Parlamento con una legge di ratifica (il Trattato di Lisbona del dic. 2007 è stato approvato con legge 2.8.2008 n. 130) annullare o vanificare una norma costituzionale? DIREI PROPRIO DI NO, anzi anche le leggi di esecuzione dei Trattati europei possono essere assoggettate al giudizio della Corte Cost. se in contrasto con i principi fondamentali della nostra Costituzione o con i diritti inalienabili della persona umana (v. sentt. nn. 183 del 1973, 170 del 1984). E non c’è dubbio che i trattati europei violano il diritto al lavoro spettante a tutti i cittadini e il dovere dello Stato di garantire la piena occupazione (artt. 1, 3 e 4 Costituzione).


E’ bene sottolineare che gli Stati dell'Eurozona, ai sensi dell’art. 128 TFUE, emettono monete metalliche in Euro ma non possono emettere banconote in Euro, poiché tale facoltà è riservata alla BCE e alle Banche Centrali Nazionali; e la POLITICA MONETARIA che fa capo alla BCE (artt. 2, 3 e 127 TFUE) riguarda soltanto l’Euro e gli aspetti finanziari connessi all’Euro (e certamente non l'emissione dei titoli di stato che rientra nella competenza esclusiva degli Stati): essenzialmente la quantità di banconote in Euro in circolazione e l’acquisto di titoli di stato già in circolazione, cioè sul mercato secondario (QE), dato che la BCE non può avere alcun rapporto finanziario diretto con gli Stati UE — art.123 TFUE, la norma più assurda dei trattati europei, che svela in modo evidente le intenzioni anti statali di chi ha redatto i trattati, ossia le élite finanziarie. 

Ma la BCE non può decidere nulla sulle monete dei n. 9 Stati UE che hanno mantenuto la propria valuta rinunciando all’Euro (una scelta molto felice dato che i 9 Stati ribelli presentano incrementi annuali di PIL quasi sempre superiori rispetto agli Stati Eurozona). L’aspetto importante da sottolineare è che la competenza della BCE riguarda soltanto l’Euro, in particolare le banconote in Euro e la moneta elettronica in Euro; cioè la BCE ha il monopolio dell’Euro e non della moneta in generale e gli artt. 2, 3 e 127 vanno letti insieme all’art.128. 

Perciò gli Stati Eurozona possono benissimo emettere BIGLIETTI DI STATO (emessi dalla Zecca) in un’altra valuta valida soltanto sul territorio nazionale (almeno inizialmente). Questo perché anche nell’Unione Europea vige il PRINCIPIO DI LEGALITA’, per cui quello che non è espressamente vietato dalla legge o dai trattati, o comunque non è regolato da tali norme, è consentito. 

I mercati ci attaccherebbero? Pazienza, un motivo in più per stampare a manetta la nuova moneta sovrana. Ricordiamoci che noi abbiamo POSTE ITALIANE presente in tutto il territorio nazionale, che è la banca della CASSA DEPOSITI E PRESTITI. E non dimentichiamo che esiste anche l’ART. 114-bis del Testo Unico Bancario concernente la facoltà di emettere MONETA ELETTRONICA, che riguarda: le banche e «la BCE, le banche centrali comunitarie, LO STATO ITALIANO e gli altri Stati comunitari, LE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI STATALI, REGIONALI E LOCALI, nonché POSTE ITALIANE». 

Un’ultima notazione: qualora si ritenesse (anche se erroneamente, per quanto sopra chiarito) che non sia possibile introdurre una MONETA PARALLELA SOVRANA NAZIONALE sarebbe di fatto impossibile uscire dall’Euro. Questo perché per uscire dall’Euro bisogna PRIMA avere già in circolazione (da almeno 6 mesi) un’altra moneta nazionale, per l’evidente motivo tecnico che uscendo dall’Euro da oggi a domani ci troveremmo senza Euro e senza la moneta nazionale, che sarebbe un disastro finanziario assoluto.
Quindi possiamo concludere dicendo: avanti con i Minibot, poi con i Certificati di credito fiscale e poi con la Moneta sovrana nazionale.



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lunedì 24 giugno 2019

MINIBOT? C'È UN MODO PIÙ SEMPLICE PER USCIRE di E. Brancaccio e M. Gallegati

[ lunedì 24 giugno 2019 ]


Qualche giorno fa, col titolo Tools exist for a transition towards a new currency, sul prestigioso Financial Times, è apparso un contributo assai critico sulla questione dei MiniBoT di Emiliano Brancaccio e Mauro Gallegati. 
La tesi dei due economisti, in base alle "intuizioni del compianto Augusto Graziani sul funzionamento del SEBC e sui lavori preparatori dei trattati istitutivi dell’euro, è icastica quanto fulminante: i MiniBoT come del resto ogni "moneta di transizione" sono "un falso problema", visto che sarebbe sufficiente che il governo dia ordine a Bankitalia di stampare ancora... euro. 
Per farlo sarebbe necessario che Bankitalia sia riportata sotto il controllo del governo. Auspichiamo questo passo? Ovvio che sì. Ma ciò non significa che i MiniBot siano un "falso problema". Rinazionalizzare Bankitalia sarebbe un attacco con la bomba atomica contro la Ue. Nell'attesa si può sempre difenderci con l'artiglieria.


*  *  *


UNA “MONETA DI TRANSIZIONE” PER USCIRE DALL’EURO? UN FALSO PROBLEMA

di Emiliano Brancaccio e Mauro Gallegati

Quando la Grecia fu sull’orlo dell’uscita dall’euro, l’allora ministro delle finanze Yanis Varoufakis cercò con scarso successo di istituire un sistema parallelo di pagamenti per gestire l’eventuale transizione. Analogamente, la recente proposta di alcuni membri del Parlamento italiano di emettere i cosiddetti “Mini-BOT” è stata da molti interpretata come un tentativo surrettizio di introdurre una “moneta di transizione” per predisporre una via d’uscita dalla moneta unica. Con gli ultras anti-euro compiaciuti per la “furba” trovata e i pasdaran pro-euro pronti ad agitare il nuovo, minaccioso spauracchio.

In realtà, e al di là del folclore, chiunque abbia studiato i lavori preparatori dell’Unione Monetaria Europea sa che il Sistema Europeo delle Banche Centrali è già organizzato in modo tale da permettere un eventuale abbandono della moneta unica senza bisogno di ricorrere a monete di “transizione”. Basti notare, a questo riguardo, che la materiale emissione degli euro è rimasta di competenza delle banche centrali nazionali e che nel numero di serie di ciascuna banconota c’è una lettera che identifica la nazione emittente: S per l’Italia, U per la Francia, X per la Germania, e così via.

Non tutti i padri fondatori dell’euro condivisero la scelta di lasciare l’emissione materiale di moneta alle banche centrali nazionali, né appoggiarono la decisione di esplicitare i paesi emittenti su ciascuna banconota. Tuttavia quelle scelte furono compiute, il che oggi indubbiamente facilita eventuali transizioni da una valuta all’altra. L’unica banale condizione è che un governo che decida o si veda costrettoad abbandonare l’euro sia almeno in grado di controllare la banca centrale nazionale (Varoufakis, come è noto, non era nemmeno in grado di far questo).

Questa evidenza rende l’attuale dibattito sull’opportunità di dotarsi di una “moneta di transizione” piuttosto sterile e fuorviante. I governi che fossero un giorno sospinti verso l’abbandono della moneta unica europea dovrebbero affrontare notevoli difficoltà, specialmente se lasciassero piena libertà agli scambi e ai movimenti di capitale sui mercati finanziari. Le leadership attualmente in carica in Europa, siano esse pro o contro l’euro, non sembrano avere adeguata consapevolezza di queste grandi questioni. Ma i meri aspetti operativi della transizione verso una nuova moneta sono un falso problema: che ci piaccia o meno, gli strumenti per affrontarli esistono già.


* Fonte: Emiliano Brancaccio

** Emiliano Brancaccio (Università del Sannio) e Mauro Gallegati (Università Politecnica delle Marche)

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GIORGETTI VIENE ALLO SCOPERTO...

[ lunedì 24 giugno 2019]



Certo, i media di regime soffiano sul fuoco; certo essi seminano zizzania per spaccare  il "governo populista". Ma è un fatto che man mano che cresce l'assedio da parte dell'Unione europea e dei suoi ascari nostrani, vengono a galla le tensioni nella maggioranza giallo-verde. Aumenteranno in vista della prossima Legge di bilancio, che ha tutta l'aria di essere una specie di redde rationem.

Stamattina la agenzie battono due notizie di peso. 

Da una parte ci dicono che Di Maio accusa Di Battista di "destabilizzare" il governo: "vuole votare a settembre" — cioè interpreta le uscita del Dibba proprio come noi avevamo fatto giorni addietro. Poi ci sono, ad attestare che nel M5S le tensioni aumentano, le dimissioni della senatrice Paola Nugnes, annunciate, guarda un po', con un'intervista a il manifesto.

Ma la notizia che campeggia su tutti i giornali stamattina è la bomba a testata multipla lanciata da Giorgetti. Liquidando come una corbelleria i MiniBoT — «C’è ancora chi crede a Borghi? Ma vi sembrano verosimili i minibot? Se si potessero fare, li farebbero tutti» — Giorgetti non colpisce solo Borghi, ma pure Salvini e con lui l'intero governo. Una  mossa che francamente ci aspettavamo e che, in modo simmetrico rispetto a quella del Di Battista, contribuisce a provocare la crisi di governo, le elezioni anticipate.

Dato il grande peso che Giorgetti ha nella Lega, la sua bomba avrà certo conseguenze. Non può essergli infatti sfuggito che l'idea (giusta) dei MiniBoT non è una stravaganza di Borghi, che essa è condivisa da Salvini, che infatti l'ha difesa giorni addietro con queste testuali parole:
«I minibot non solo sono nel contratto di governo ma sono anche stati votati dalla Camera. Sono lo strumento più intelligente per pagare i debiti della pubblica amministrazione: se qualcuno ne ha uno migliore bene, altrimenti dico che si va avanti con questo».
D'altra parte lo stesso Giorgetti aveva detto: 
«Tutte le soluzioni nuove sono contestate – spiegava - non dico che siano la Bibbia, ma i minibot sono una proposta per accelerare i pagamenti, una delle possibilità». 
Come mai questa giravolta? Di sicuro questa uscita di Giorgetti — ex bocconiano e liberista, uomo della borghesia padana in stretto contatto con Draghi — è un assist a Bruxelles, a Mattarella e al suo cavallo di Tr(o)ia nel governo, oltre che un gesto servile per candidarsi a commissario a Bruxelles.

Una conferma che di Lega non ce n'è una, ce ne sono due. Quella di Giorgetti che punta ad ubbidire ai diktat della Ue e a riportare la Lega nel centro destra e quella "populista" di Salvini.

Più ci si avvicina allo snodo della Legge di bilancio, più le pressioni dei poteri forti per spaccare Lega e M5s aumenteranno, e più quindi cresceranno le tensioni interne al "campo populista".


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sabato 22 giugno 2019

COSA ACCADRÀ ADESSO ? di Leonardo Mazzei

[ sabato 22 giugno 2019 ]

Cresce in Europa l'interesse per le vicende italiane dopo le elezioni europee. Cosa accadrà adesso? Ci saranno elezioni anticipate? Quali sono le vere intenzioni del governo giallo-verde riguardo all'Unione europea? Davvero saranno lanciati i MiniBoT? Reggerà l'alleanza M5s Lega? Di che natura è il populismo di Salvini?
A queste ed altre domande poste dal sito in lingua tedesca EUREXIT risponde Leonardo Mazzei del Comitato centrale di P101L'intervista è di Wilhelm Langthaler.


*  *  *


D. Le elezioni europee hanno rovesciato i rapporti di forza nel governo populista. Perché è avvenuto?

R. I rapporti di forza interni si sono invertiti, ma la maggioranza giallo-verde ha perfino guadagnato consensi. Alle elezioni politiche del 2018 aveva il 50,03% dei voti, alle europee ha ottenuto il 51,40%. Considerato che per il governo non è certo stato un anno facile, si tratta di una differenza minima ma significativa.
Credo che il rovesciamento dei consensi sia da attribuirsi a tre fattori. In primo luogo la Lega ha potuto incassare molti consensi grazie allo stop all'immigrazione clandestina nel Mediterraneo. In secondo luogo, mentre il Reddito di cittadinanza ha prodotto una forte delusione nell'elettorato M5S, l'intervento sulle pensioni — "Quota 100" — voluto in primo luogo dalla Lega, ha spinto molti lavoratori a votare per la prima volta questo partito. In terzo luogo, non bisogna dimenticarsi del ruolo dei media, che per un anno intero hanno fatto ricorso ad ogni argomento per attaccare i Cinque Stelle ancor più che il governo nel suo insieme.
Come se non bastasse, Di Maio ha sbagliato tutto nell'ultima parte della campagna elettorale quando, per dimostrare la propria autonomia da Salvini, ha operato una sorta di "svolta a sinistra". Purtroppo questa sterzata includeva anche un profilo assai più europeista di quello tradizionale del movimento. Una mossa pagata nelle urne.
Leonardo Mazzei

D. Dopo questi risultati, possiamo parlare di una svolta a destra come fanno i media europei?

R. Ci andrei molto cauto. Se guardiamo nel lungo periodo una svolta a destra certamente c'è stata, ma non è un fatto dell'ultimo anno. La verità è che con la fine sostanziale dei partiti, abbiamo ormai un voto non ideologico. Un voto dato, di volta in volta, a chi in quel momento sembra più adatto a risolvere i problemi. E per l'Italia il problema è la crisi, una lunga stagnazione (con due intense fasi recessive) che dura da dodici anni. Basti pensare che il Pil pro-capite italiano è ancora 7 punti al disotto di quello del 2007.
Buona parte dei votanti della Lega nel 2019, nel 2014 avevano votato Renzi (che prometteva sfracelli in Europa), poi i Cinque Stelle un anno fa. Come voteranno tra un anno o tra tre nessuno può dirlo adesso. Diciamo che le persone cercano una via d'uscita alla situazione attuale. Una svolta che vorrebbero la più indolore possibile, e proprio per questo si affidano al voto. Al tempo stesso, però, questo moderatismo non è stupido ed ha un suo preciso orientamento, tendendo a premiare chi in quel momento appare più credibile ed incisivo.

Ma per capire come sia improprio parlare di "svolta a destra" possiamo anche considerare i diversi risultati elettorali degli ultimi 11 anni. Nel 2008 la coalizione di destra vinse le elezioni politiche con il 46,81%, ma se consideriamo anche le altre liste non coalizzate la destra arrivò complessivamente al 55,43%. Nel 2013 ci fu invece il tracollo: 29,18% alla coalizione, 31,84% nel complesso. Nel 2018 la coalizione risalì al 37,00% (39,01% con i non coalizzati). Quest'anno le forze della tradizionale coalizione di destra (Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia) hanno raggiunto il 49,58%, mentre le due formazioni apertamente neofasciste - CasaPound e Forza Nuova - hanno ottenuto rispettivamente lo 0,33% e lo 0,15%, Un risultato, quest'ultimo, che dimostra alla grande quanto sia strumentale l'allarme antifascista suonato dalle èlite.

Mentre questi dati ci mostrano la grande mobilità elettorale degli ultimi anni, essi mettono in luce come i consensi attuali della destra siano perfino inferiori a quelli del 2008, quando nessuno se ne allarmava perché tutto si svolgeva comunque nel recinto di un bipolarismo che molti immaginavano allora come eterno. 

D. Quali conseguenze politiche avrà il voto del 26 maggio? Si è sentito parlare di elezioni anticipate.

R. Al momento le elezioni anticipate sono possibili, ma non certe. Dopo il voto i due partiti di governo si sono infatti ricompattati. Adesso lo scontro non è tra Lega ed M5S, quanto invece tra questi due partiti e la componente imposta da Mattarella, quella che definiamo da sempre come "Quinta Colonna" interna al governo. Il ministro degli Esteri Moavero e, soprattutto, il ministro dell'Economia Tria, operano fin dall'inizio come due infiltrati del blocco eurista dentro all'esecutivo. Nelle ultime settimane, con il riaccendersi dello scontro con la Commissione europea, anche il primo ministro Conte si è posto sempre più chiaramente sulla linea di Tria.

Qualora questa componente, sostanzialmente teleguidata dal presidente della repubblica, dovesse prevalere, sarebbe la vittoria di Bruxelles e la fine politica del governo giallo-verde. E' difficile però che le cose vadano in questo modo. Decisiva sarà la sorte di Tria. Se sarà costretto alle dimissioni il governo potrà andare avanti, dunque niente elezioni anticipate. Ma Tria, proprio per il gioco sporco che svolge, farà di tutto per restare al suo posto operando come guastatore interno al governo.

Se Salvini e Di Maio non riusciranno a venire a capo di questa situazione è probabile che a settembre si vada alle elezioni anticipate. E' questa una prospettiva vista con favore da Mattarella. Il presidente della repubblica ha infatti come primo obiettivo la caduta del governo giallo-verde, puntando poi a fare i conti con Salvini grazie alla parte più docile della Lega, aiutata magari da qualche azione della magistratura. Una componente, quest'ultima, sempre presente nei momenti decisivi della vita nazionale.

D. La commissione europea sta attaccando l'Italia per “l’infrazione dei trattati”. Come reagiranno il governo e le sue componenti interne? Sembra che Conte cerchi un compromesso, ma su quale base?

R. Come ho già detto Conte è adesso allineato con Tria. La loro tesi è che la "procedura d'infrazione" sarebbe per l'Italia il peggiore dei mali, dunque l'accordo con l'UE va secondo loro trovato a tutti i costi. Una posizione non condivisa da Lega e M5S.
Il problema non è la manovra aggiuntiva richiesta, bensì la futura Legge di Bilancio, che come noto andrà presentata entro il 15 ottobre. Per l'Italia è impensabile tornare all'austerità. Sono impensabili nuove tasse (in gioco c'è soprattutto l'IVA), come nuovi tagli. Veri spazi di compromesso in realtà non se ne vedono. Un accordo come quello trovato nel dicembre scorso non sembra oggi riproponibile. E' la stessa situazione economica italiana, con la crescita zero dell'ultimo anno, che impone delle scelte espansive. Ma questo l'UE non può accettarlo. Lo scontro sembra dunque certo. Più che ad un compromesso la linea di Tria e Conte porterebbe ad una capitolazione. Probabilmente sanno anch'essi che questa è improbabile, dato che Salvini e Di Maio non la potranno accettare, ma il loro gioco è a questo punto chiaramente disfattista.

D. I due grandi progetti del governo erano il reddito di cittadinanza (Cinque stelle) e "Quota 100" sulle pensioni  (Lega). Poi c'è la flat tax, un altro progetto del partito di Salvini. Cosa hanno fatto e cosa faranno nel prossimo futuro su questi temi?

R. Reddito di cittadinanza e "Quota 100" sono stati realizzati con la Legge di Bilancio del 2018. Ma entrambe queste misure sono state ridimensionate a causa dell'accordo con l'UE che abbiamo già ricordato.
Mentre "Quota 100" consentirà comunque di anticipare la pensione ad almeno trecentomila lavoratori, il Reddito di cittadinanza — pur restando in ogni caso la prima vera misura di contrasto alla povertà — ha subito tagli e limitazioni che ne hanno ridotto sia l'efficacia che il numero dei beneficiari.
Ora in ballo ci sono il salario minimo, voluto da M5S e contrastato dalle aziende, e la flat tax proposta dalla Lega. In termini macroeconomici, dunque nel confronto-scontro con l'UE, il tema fiscale sarà con ogni probabilità quello centrale.

Sulla flat tax vanno dette due cose. La prima è che, a dispetto del nome, essa non sarà comunque flat. Il progetto originario della Lega (aliquota unica sui redditi familiari al 15%) è stato ormai accantonato. Un abbandono dovuto tanto alla sua insostenibilità economica, quanto alla sua improponibilità dal punto di vista sociale. Tra l'altro l'articolo 53 della Costituzione dispone il carattere progressivo dell'imposizione fiscale. La seconda cosa è che il progetto non è stato ancora presentato. Si parla ora di una tassa piatta al 15% solo per i redditi familiari inferiori ai 50mila euro lordi (26mila per i single), ma trattandosi per adesso solo di discorsi è impossibile al momento una valutazione più precisa.

D. Il parlamento ha autorizzato l'emissione dei Mini-Bot, che la Commissione ha subito respinto. È veramente un passo verso una nuova moneta? O è solamente una minaccia alla commissione? Anche Tsipras e Varoufakis provarono un bluff, ma il risultato fu catastrofico. Sarà diverso in Italia?

R. Se fosse solo un bluff sarebbe il più stupido dei bluff, anche perché a Bruxelles non ci metterebbero molto a scoprirlo. In realtà l'emissione dei Mini-Bot sarà — in un senso o nell'altro — la vera prova della volontà politica del governo.
Formalmente non si tratterebbe di una nuova moneta, bensì di titoli del debito un po' particolari, dato che non prevederebbero né interessi né scadenze. Essi servirebbero ad accelerare i tempi di pagamento dei debiti commerciali della pubblica amministrazione. Uno strumento che darebbe due vantaggi allo Stato: quello di non pagare interessi e di immettere — di fatto — nuova liquidità.
E' chiaro che se i Mini-Bot funzionassero — ed io penso che funzionerebbero — col tempo potrebbero diventare una sorta di moneta parallela, utilizzabile non solo a compensazione dei crediti/debiti tra Stato ed aziende, ma nelle normali transazioni commerciali. Proprio per questo la questione è cruciale. Se il governo andrà avanti, lo scontro con l'Ue sarà inevitabile.

D. I Cinque Stelle sono considerati come l'ala sinistra del governo populista. Come leggono la loro sconfitta? Come pensano di rispondere?

R. Obiettivamente i Cinque Stelle sono l'ala sinistra del governo, ma il loro modo di essere e di presentarsi è troppo confuso. Sono permeabili alle questioni sociali, pur essendo nella sostanza subalterni alla narrazione neoliberista. Esprimono una visione democratica e costituzionale, contraddetta però dai pazzeschi meccanismi del loro funzionamento interno. A differenza della Lega, hanno spesso posizioni corrette sulle questioni internazionali, ma non mancano mai di riaffermare il loro atlantismo. E si potrebbe continuare... D'accordo che una certa dose di ambiguità è tipica di ogni populismo, ma questi troppe volte esagerano...
Proprio per l'assenza di una vera identità i Cinque Stelle faticano a leggere la loro sconfitta. Personalmente non sono tra coloro che pensano che M5S sia destinato a scomparire nei prossimi anni dalla scena politica italiana, ma alcune scelte (dall'organizzazione, alla democrazia interna) non paiono più rinviabili. Purtroppo, però, una vera risposta politica alla sconfitta elettorale ancora non si vede. Speriamo che sia solo una questione di tempo.

D. La Lega sembra il grande vincitore. Ma ha sostanza? Il suo blocco sociale nordista include anche la borghesia industriale, com'è pensabile che resista alla Commissione fino alla rottura?

R. Questo è forse l'interrogativo più grande. La Lega è passata in pochi anni dall'essere una forza del Nord, oscillante tra l'autonomismo ed il secessionismo, ad essere un partito che in quanto nazionalista non può che puntare ad essere innanzitutto "nazionale". Ovviamente questa trasformazione non è ancora un fatto del tutto compiuto, anzi.
Per certi aspetti è come se nella Lega convivessero oggi due partiti in uno. Da una parte la Lega salviniana (nazionalista) si fa forte dell'incredibile ascesa elettorale di questi anni; dall'altra la Lega nordista dispone ancora di tanta parte dei militanti e dei dirigenti ed ha dalla sua il peso della tradizione e quello dei soldi. Rivelatrice della forza di questa componente è la questione del "regionalismo differenziato", il progetto di trasferire risorse economiche dalle regioni più povere del sud a quelle più ricche del nord del Paese. Un progetto al momento bloccato dall'opposizione di M5S, ma al quale la Lega non intende rinunciare, avvalendosi peraltro delle norme inserite nella Costituzione nel 2001 dall'allora maggioranza di centrosinistra.
E' evidente come nel blocco della Lega nordista, che include anche pezzi della borghesia industriale ma non i grandi centri del potere economico, sia tuttora forte una sorta di "europeismo di fatto" dovuto in primo luogo allo stretto legame delle industrie del nord con la filiera produttiva tedesca.
Come si risolverà questo conflitto tra le "due Leghe" non lo sappiamo. Quel che è certo è che se la Lega salviniana tornasse ad essere la Lega Nord di un tempo i suoi consensi si sgonfierebbero assai presto.

D. E' immaginabile davvero un'uscita da destra dall'euro?

R. Questo ce lo diranno i fatti, ma è un'ipotesi che non abbiamo mai escluso. Già nel 2014 il vecchio Coordinamento della sinistra no-euro, nato chiaramente per lavorare ad un'uscita da sinistra dalla moneta unica (e per contrastare su quel terreno l'egemonia della Lega), affermava con chiarezza che anche un'uscita da destra sarebbe stata meglio della permanenza in quella gabbia.
Naturalmente è questa un'ipotesi che pone diversi problemi, ma quell'orientamento resta perché senza liberazione nazionale, senza riconquista della sovranità democratica, ogni altra lotta sociale sarebbe persa in partenza. Figuriamoci quella per il rilancio di un'alternativa socialista...

D. Non si vede il fattore “gilets jaunes” alla italiana.

R. Non si vede perché non c'è. E non c'è perché i settori sociali che potrebbero dar vita ad un movimento del genere al momento affidano ancora le loro speranze alle forze di governo.
Prima nel 2012 in Sicilia, poi alla fine del 2013 sul piano nazionale, il movimento dei "Forconi" fu — sia pure su una scala più ridotta — un'anticipazione di quanto avvenuto cinque anni dopo in Francia. Stessa la composizione sociale ed il maggior radicamento nelle aree periferiche. Stesse le modalità di mobilitazione e gli elementi identificativi.
Se ci sarà un ritorno alle politiche di austerità è molto probabile che un movimento con quelle caratteristiche riemerga assai presto, specie nel Sud del Paese. 

D. E la sinistra, quella tradizionale globalista e quella vostra patriottica?

R. La sinistra globalista è ormai alla frutta. Alle europee, la lista "la Sinistra" ha ottenuto un misero 1,7%, mentre cinque anni prima "l'Altra Europa con Tsipras" aveva superato il 4%. Ancor più che in passato questa lista è apparsa senza idee, salvo quella di dover comunque difendere l'Unione Europea dall'assalto del nazionalismo di destra. Aver partecipato ad un allarme antifascista, del tutto estraneo al sentimento delle masse, ha fatto il gioco del Partito democratico, che ha così incassato il cosiddetto "voto utile" di chi a quell'allarme ha creduto.
La sinistra patriottica ha grandi idee, ma forze ancora troppo divise. Superare queste divisioni è la condizione indispensabile per operare il salto di qualità verso un soggetto politico credibile. Un soggetto che sappia legare la lotta all'euro-dittatura con una nuova prospettiva socialista. Operazione che nella concreta situazione italiana dell'oggi — questa è la posizione di Programma 101 — può essere condotta solo con un chiaro posizionamento nel campo populista.

15 giugno 2019


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