«È frequente imbattersi nella seguente considerazione: l'identità alla base delle comunità nazionali è una costruzione ideologica, anzi una fabbricazione elaborata 'a tavolino' per tutelare gli interessi dei ceti dominanti. Dato il carattere di artificiosità e di surrettizietà della nozione di “identità nazionale”, ogni tentativo di porla alla base di un discorso politico è del tutto fuorviante, sempre che si intenda fare un discorso emancipativo; se invece si intende impegnarsi in un progetto reazionario, allora quella costruzione è perfettamente adeguata allo scopo.
Questo tipo di argomentazione contiene in sé molti elementi di ragionevolezza, anche se andrebbe espresso con un linguaggio più preciso. Dire che un certo concetto è “artificiale”, volendo con ciò indicarne un difetto, non ha molto senso: non esistono i concetti “naturali”, e d'altra parte la caratteristica di essere artificiale non rappresenta un che di deteriore (la musica è artificiale). Andrebbe invece spiegato che alla base dimolti discorsi apologetici della identità (e della sovranità!) nazionale c'è invece un meccanismo di costruzione (ovviamente artificiale) di miti; un processo di mitopoiesi.
Usare il passato in maniera strumentale e senza riguardi per la razionalità storica allo scopo di fabbricare un'apposita mitologia, mitologia che a sua volta sarà utile per giustificare una certa strategia politica: questo è il vero fenomeno che la considerazione di cui sopra critica, e che costituisce l'essenza di quella che qualcuno ha chiamato cultura di destra. Quando la fabbricazione mitologica verte sull'identità nazionale, porta sempre con sé almeno due elementi, di cui uno assolutamente peculiare. Innanzitutto, la comunità nazionale della cui identità si discetta è sempre presentata come un ché di compatto e omogeneo, scevra da lacerazioni e conflitti strutturali, un organismo che, lasciato a sé stesso, genera benessere e soddisfazione per tutti. Quando esso va in crisi è perché qualcosa, da fuori, lo ha attaccato, magari servendosi di quinte colonne traditrici. Lo schema è sempre il medesimo: andava tutto bene, un tempo, finché non è arrivata la minaccia esterna che ci ha rovinati. Questo ci permette di passare al secondo elemento immancabile di questo tipo di operazione ideologica, quello peculiare: la rimozione degli elementi negativi dalla storia della comunità nazionale. Chi ha analizzato i profili ideologici del British National Party e dell'United Kingdom Indipendence Party ha trovato solo pochi punti in comune, creando qualche imbarazzo nello stabilire che cosa ci fa dire, apparentemente senza difficoltà, che entrambe sono formazioni di destra. Il punto in comune più rilevante era proprio una ricostruzione della storia britannica che la presentava come esente da gravi colpe, o di cose di cui vergognarsi. In ambito domestico ho trovato un brano che rende perfettamente l'idea di quando vado descrivendo:
Mitogenesi, anzi mitopoiesi. Per restituire “fierezza” al popolo è indispensabile fornire loro una ricostruzione della storia d'Italia basata esclusivamente sugli elementi positivi (o presunti tali), e su un una totale rimozione di tutto quanto possa turbare il quadro. La storia d'Italia è una storia di crimini, e anche il periodo repubblicano risulta ricco di contraddizioni. E non potrebbe che essere così. Per andare avanti, per progredire in un cammino di civiltà, è indispensabile prendere coscienza dei lati negativi del proprio passato nazionale, in un certo senso riconciliarsi con essi; allo stesso modo, un vero progetto di emancipazione non può che radicarsi nelle contraddizioni reali in seno alla società, nei conflitti che sempre la attaversano; nelle istanze e nelle esigenze concrete delle persone reali. Non certo nelle brodaglie ideologiche frutto della miscela di pezzi di passato scelti ad arte (quando non proprio travisati o falsificati).
Dunque, la critica alle “narrazioni” di questo tipo è sensata e condivisibile. Tuttavia, nella grande maggioranza dei casi esse cadono fuori bersaglio, finendo per concentrarsi su un fenomeno relativamente minore (per ora) e mancando di denunciare qualcosa di ben più inquietante.
Se è vero che la retorica identitaria è tanto più pericolosa quanto più e mistificante e artificiosa, è vero anche che tale retorica è tanto più mistificante quanto più si rivolge a “oggetti” sociali lontani dalla nostra vita quotidiana. Ad esempio, sostenere che esista una identità nazionale basca sarà anche un'operazione mistificante, ma è un'operazione che poggia su elementi assai concreti: in effetti esiste una comunità che parla basco, che vive in un territorio ben definito, e che si riconosce in un comune retaggio culturale. La vita quotidiana del cittadino basco non è così lontana dagli elementi fondanti l'ipotetica retorica del “popolo basco”.
Ma che dire dell'identità europea? Essa non si fonda su una lingua comune, né su un comune retaggio culturale: l'Europa è un multiverso di culture e civiltà differenti. Il dato geografico è molto astratto, perché non fa riferimento a un territorio ben definito, a meno di non considerare tale un continente dai confini arbitrari. Alla fine ci si trova davanti a una verità piuttosto imbarazzante: gli unici elementi comuni a tutti i popoli europei sono la religione cristiana (o quel che ne rimane) e la pelle bianca. Non proprio l'ideale per costruire una “narrazione” progressista dell'identità europea! E così chi si trova a “fabbricare” quell'identità, senza infrangere il politically correct, si ritrova invischiato in un processo di mitopoiesi particolarmente impegnativo e “artificiale”, dovendo letteralmente inventare una comunanza di idee, valori e tradizioni del tutto immaginaria.
Ciò peraltro ci illumina su un'altra carattetistica del “discorso” europeista: come la maggior parte delle retoriche nazionaliste, e al di là delle apparenze, esso è tutto rivolto al passato, a ciò che eravamo. È un tentativo di conservare l'antica gloria europea, chiudendosi a riccio contro il resto del mondo. Come abbiamo già scritto altre volte, è una passione triste.
Forse sarebbe il caso che chi si dedica allo smascheramento (benemerito) delle retoriche nazionaliste e patriottarde riservi una quota del suo tempo anche al contrasto della mistificazione europeista, che è tanto più falsa quanto più poggia su fondamenta estranee alla sensibilità e alla vita concreta delle masse europee. Non c'è da contrastare solo il vecchio nazionalismo, ma anche il nuovo nazionalismo europeo. Speriamo che qualcuno se ne accorga».
Fonte: mainstream
Questo tipo di argomentazione contiene in sé molti elementi di ragionevolezza, anche se andrebbe espresso con un linguaggio più preciso. Dire che un certo concetto è “artificiale”, volendo con ciò indicarne un difetto, non ha molto senso: non esistono i concetti “naturali”, e d'altra parte la caratteristica di essere artificiale non rappresenta un che di deteriore (la musica è artificiale). Andrebbe invece spiegato che alla base dimolti discorsi apologetici della identità (e della sovranità!) nazionale c'è invece un meccanismo di costruzione (ovviamente artificiale) di miti; un processo di mitopoiesi.
Usare il passato in maniera strumentale e senza riguardi per la razionalità storica allo scopo di fabbricare un'apposita mitologia, mitologia che a sua volta sarà utile per giustificare una certa strategia politica: questo è il vero fenomeno che la considerazione di cui sopra critica, e che costituisce l'essenza di quella che qualcuno ha chiamato cultura di destra. Quando la fabbricazione mitologica verte sull'identità nazionale, porta sempre con sé almeno due elementi, di cui uno assolutamente peculiare. Innanzitutto, la comunità nazionale della cui identità si discetta è sempre presentata come un ché di compatto e omogeneo, scevra da lacerazioni e conflitti strutturali, un organismo che, lasciato a sé stesso, genera benessere e soddisfazione per tutti. Quando esso va in crisi è perché qualcosa, da fuori, lo ha attaccato, magari servendosi di quinte colonne traditrici. Lo schema è sempre il medesimo: andava tutto bene, un tempo, finché non è arrivata la minaccia esterna che ci ha rovinati. Questo ci permette di passare al secondo elemento immancabile di questo tipo di operazione ideologica, quello peculiare: la rimozione degli elementi negativi dalla storia della comunità nazionale. Chi ha analizzato i profili ideologici del British National Party e dell'United Kingdom Indipendence Party ha trovato solo pochi punti in comune, creando qualche imbarazzo nello stabilire che cosa ci fa dire, apparentemente senza difficoltà, che entrambe sono formazioni di destra. Il punto in comune più rilevante era proprio una ricostruzione della storia britannica che la presentava come esente da gravi colpe, o di cose di cui vergognarsi. In ambito domestico ho trovato un brano che rende perfettamente l'idea di quando vado descrivendo:
quello italiano oggi non è un popolo fiero. (…) La fierezza nasce da una ricostruzione della storia passata, non esiste altra possibile genesi. Dunque, per cominciare a ricostituirla, è necessario andare alla ricerca del meglio della nostra storia: il volontarismo risorgimentale, il pensiero di Mazzini, la figura di Garibaldi, la Costituzione romana, la precoce abolizione della pena di morte, la compattezza mostrata nella macelleria della prima guerra mondiale, l'eccellente legge bancaria del 1936, lo scoperto infinito dello Stato presso la banca d'Italia (1936-1945), il divieto di acquistare titoli emessi all'estero per motivi speculativi (1934), la stratosferica tecnica legislativa dei codici, la resistenza, la costituente, la riforma agraria, l'abolizione della mezzadria, la piena occupazione, la scala mobile, lo stato sociale, il piano casa, la enorme mobilità sociale degli anni settanta e ottanta, il non aver avuto per decenni, fino a Berlusconi, imprenditori che abbiano ricoperto ruoli politici di primo piano, una scuola e una università di massa a lungo più serie e (quindi) severe rispetto a scuola e università di altri Stati a noi simili, la repressione della rendita finanziaria fino al 1981, l'attenuazione delle differenze tra nord e sud nel periodo 1951-1981, le partecipazioni statali e altro ancora.
Mitogenesi, anzi mitopoiesi. Per restituire “fierezza” al popolo è indispensabile fornire loro una ricostruzione della storia d'Italia basata esclusivamente sugli elementi positivi (o presunti tali), e su un una totale rimozione di tutto quanto possa turbare il quadro. La storia d'Italia è una storia di crimini, e anche il periodo repubblicano risulta ricco di contraddizioni. E non potrebbe che essere così. Per andare avanti, per progredire in un cammino di civiltà, è indispensabile prendere coscienza dei lati negativi del proprio passato nazionale, in un certo senso riconciliarsi con essi; allo stesso modo, un vero progetto di emancipazione non può che radicarsi nelle contraddizioni reali in seno alla società, nei conflitti che sempre la attaversano; nelle istanze e nelle esigenze concrete delle persone reali. Non certo nelle brodaglie ideologiche frutto della miscela di pezzi di passato scelti ad arte (quando non proprio travisati o falsificati).
Dunque, la critica alle “narrazioni” di questo tipo è sensata e condivisibile. Tuttavia, nella grande maggioranza dei casi esse cadono fuori bersaglio, finendo per concentrarsi su un fenomeno relativamente minore (per ora) e mancando di denunciare qualcosa di ben più inquietante.
Se è vero che la retorica identitaria è tanto più pericolosa quanto più e mistificante e artificiosa, è vero anche che tale retorica è tanto più mistificante quanto più si rivolge a “oggetti” sociali lontani dalla nostra vita quotidiana. Ad esempio, sostenere che esista una identità nazionale basca sarà anche un'operazione mistificante, ma è un'operazione che poggia su elementi assai concreti: in effetti esiste una comunità che parla basco, che vive in un territorio ben definito, e che si riconosce in un comune retaggio culturale. La vita quotidiana del cittadino basco non è così lontana dagli elementi fondanti l'ipotetica retorica del “popolo basco”.
Ma che dire dell'identità europea? Essa non si fonda su una lingua comune, né su un comune retaggio culturale: l'Europa è un multiverso di culture e civiltà differenti. Il dato geografico è molto astratto, perché non fa riferimento a un territorio ben definito, a meno di non considerare tale un continente dai confini arbitrari. Alla fine ci si trova davanti a una verità piuttosto imbarazzante: gli unici elementi comuni a tutti i popoli europei sono la religione cristiana (o quel che ne rimane) e la pelle bianca. Non proprio l'ideale per costruire una “narrazione” progressista dell'identità europea! E così chi si trova a “fabbricare” quell'identità, senza infrangere il politically correct, si ritrova invischiato in un processo di mitopoiesi particolarmente impegnativo e “artificiale”, dovendo letteralmente inventare una comunanza di idee, valori e tradizioni del tutto immaginaria.
Ciò peraltro ci illumina su un'altra carattetistica del “discorso” europeista: come la maggior parte delle retoriche nazionaliste, e al di là delle apparenze, esso è tutto rivolto al passato, a ciò che eravamo. È un tentativo di conservare l'antica gloria europea, chiudendosi a riccio contro il resto del mondo. Come abbiamo già scritto altre volte, è una passione triste.
Forse sarebbe il caso che chi si dedica allo smascheramento (benemerito) delle retoriche nazionaliste e patriottarde riservi una quota del suo tempo anche al contrasto della mistificazione europeista, che è tanto più falsa quanto più poggia su fondamenta estranee alla sensibilità e alla vita concreta delle masse europee. Non c'è da contrastare solo il vecchio nazionalismo, ma anche il nuovo nazionalismo europeo. Speriamo che qualcuno se ne accorga».
Fonte: mainstream