Di che parliamo? Di una importante notizia che non troverete su Repubblica e gli altri giornaloni di centro-sinistra. Non ne parlano lòe "Sardine" e nemmno la cosiddetta "sinistra radicale" in tutt'altro affacendata. La notizia in questione è apparsa invece su IL GIORNALE di ieri 9 gennaio.
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venerdì 10 gennaio 2020
CONTANTE: SE LO DICE ANCHE LA BCE
Di che parliamo? Di una importante notizia che non troverete su Repubblica e gli altri giornaloni di centro-sinistra. Non ne parlano lòe "Sardine" e nemmno la cosiddetta "sinistra radicale" in tutt'altro affacendata. La notizia in questione è apparsa invece su IL GIORNALE di ieri 9 gennaio.
giovedì 14 novembre 2019
UNA TRUFFA IN "CONTANTE" video di Guido Grossi
[ venerdì,15 novembre 2019 ]
Guido Grossi, del Coordinamento di LIBERIAMO L'ITALIA, ci spiega il perché della campagna in difesa del contante, che culminerà on una assemblea pubblica manifestazione sotto il Parlamento venerdì 6 dicembre a cominciare dalle ore 15:30
Buona visione
Guido Grossi, del Coordinamento di LIBERIAMO L'ITALIA, ci spiega il perché della campagna in difesa del contante, che culminerà on una assemblea pubblica manifestazione sotto il Parlamento venerdì 6 dicembre a cominciare dalle ore 15:30
Buona visione
mercoledì 23 ottobre 2019
PICCOLO BORGHESE IO TI SPARO di Piemme
[ giovedì 24 ottobre 2019 ]
Torniamo ad occuparci dell'economista Emiliano Brancaccio.
No, non per commentare il dibattito teorico tra lui e il liberista Olivier Blanchard sorto dopo la pubblicazione del contro-manuale di economia "ANTI-BLANCHARD. Un approccio comparato allo studio della macroeconomia" — chi fosse interessato veda anche QUI, QUI, QUI E QUI).
Vorremmo invece scendere dalle "stelle" alla "stalle per segnalare quanto ha dichiarato Brancaccio a Rassegna Sindacale, la rivista della CGIL, in merito alla Legge di bilancio del governo Conte Bis. In alcuni punti la sua critica alla anti-popolare finanziaria targata Pd-M5s-Italiaviva-Leu è condivisibile.
Poi però Brancaccio scivola sulla sua solita buccia di banana.
Quale? E' presto detto: il suo disprezzo viscerale proto-marxista per la piccola borghesia, considerata per sua natura una classe sociale reazionaria.
Ma sentiamo. Alla domanda del giornalista: "C’erano margini per attuare politiche più incisive?", il nostro risponde:
Né ci vuole molto per capire che questo governo "progressista" si muove sul solco di quelli mondialisti precedenti, ovvero in base al principio liberista, mercatista e globalista per cui i piccoli sono poco produttivi e che occorra facilitare la concentrazione del capitale e la "più efficiente" grande distribuzione. Ergo: che chiudano pure e vengano gettati sul lastrico piccoli imprenditori, artigiani, commercianti. Centinaia di migliaia di disoccupati sono quindi il prezzo da pagare sull'altare del "progresso".
Non vogliamo farla lunga, non è questa la sede. Vorremmo segnalare a Brancaccio il recente studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, secondo cui, considerato il tessuto economico di ben 99 paesi capitalistici, sette lavoratori su dieci sono lavoratori autonomi o di piccole imprese. Si dissolve dunque, assieme al paradigma marxiano, la leggenda che questo fenomeno sia una patologia essenzialmente italiana.
Sul fatto che la piccola borghesia sia per sua natura una classe reazionaria, che dire? Come è vero che è stato uno dei carburanti della reazione, è stato vero anche il contrario. Di sicuro l'approccio che ci propone il Brancaccio (la profezia che si autoavvera), agevola lo sforzo egemonico delle destre reazionarie, liberiste e non, lasciando loro campo libero nell'apparire paladini dei ceti medi, dei piccolo imprenditori, ecc..
E' il contrario che occorre invece fare. Come socialisti e patrioti noi dobbiamo difendere queste classi sociali contro il comune nemico, il grande capitalismo globalista e i suoi lacchè politici.
Torniamo ad occuparci dell'economista Emiliano Brancaccio.
No, non per commentare il dibattito teorico tra lui e il liberista Olivier Blanchard sorto dopo la pubblicazione del contro-manuale di economia "ANTI-BLANCHARD. Un approccio comparato allo studio della macroeconomia" — chi fosse interessato veda anche QUI, QUI, QUI E QUI).
Vorremmo invece scendere dalle "stelle" alla "stalle per segnalare quanto ha dichiarato Brancaccio a Rassegna Sindacale, la rivista della CGIL, in merito alla Legge di bilancio del governo Conte Bis. In alcuni punti la sua critica alla anti-popolare finanziaria targata Pd-M5s-Italiaviva-Leu è condivisibile.
Poi però Brancaccio scivola sulla sua solita buccia di banana.
Quale? E' presto detto: il suo disprezzo viscerale proto-marxista per la piccola borghesia, considerata per sua natura una classe sociale reazionaria.
Ma sentiamo. Alla domanda del giornalista: "C’erano margini per attuare politiche più incisive?", il nostro risponde:
«Dal punto di vista della lotta alle disuguaglianze certamente sì, almeno introducendo una patrimoniale sulle grandi ricchezze ed eliminando anche la flat tax salviniana sulle partite Iva, chiaro preludio di un aggiramento definitivo del principio costituzionale di progressività delle imposte. Ma questo governo sembra avere troppe velleità “ecumeniche”: non vuole scontentare né i ricchi, né i piccoli proprietari, e così facendo si ritrova con pochi spiccioli per i lavoratori dipendenti».
Brancaccio esulterà dunque alla notizia che invece nella Finanziaria del Governo è eliminata la cosiddetta "flat tax" al 20% per le Partite IVA fra i 65mila e i 100mila euro — norma che era stata inserita nella legge di Bilancio de passato governo giallo-verde.
Si capisce che egli contesterà invece la decisione (sensata) di mantenere il regime forfettario con aliquota al 15% per chi abbia ricavi sotto i 65mila euro.
Non vogliamo perderci nei meandri del farraginoso e ingiusto sistema fiscale italiano, sulla carta equo, nel fatti massimamente ingiusto. Tutte le indagini mostrano infatti che i pesci grandi pagano poco e niente mentre il fisco si accanisce oltre che sul lavoro dipendente sulle piccole e micro imprese, sugli artigiani, sugli esercenti, nonché sui tanti lavoratori che son costretti per lavorare ad aprire una partita Iva.
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Karl Marx |
Conferma infatti la Cgia di Mestre che "L'evasione fiscale delle grandi aziende è 16 volte maggiore di quella delle piccole".
Né ci vuole molto per capire che questo governo "progressista" si muove sul solco di quelli mondialisti precedenti, ovvero in base al principio liberista, mercatista e globalista per cui i piccoli sono poco produttivi e che occorra facilitare la concentrazione del capitale e la "più efficiente" grande distribuzione. Ergo: che chiudano pure e vengano gettati sul lastrico piccoli imprenditori, artigiani, commercianti. Centinaia di migliaia di disoccupati sono quindi il prezzo da pagare sull'altare del "progresso".
L'acredine verso la piccola borghesia non si giustifica se non in base ad un vetusto paradigma marxiano. Scrivevano Marx ed Engels nel manifesto del partito comunista:
«Nei paesi in cui si è sviluppata la civiltà moderna, si è formata una nuova piccola borghesia che oscilla fra il proletariato e la borghesia e che si ricostituisce sempre di nuovo come complemento della società borghese. Ma i piccoli borghesi vengono regolarmente risospinti dalla concorrenza verso il proletariato, anzi, con lo sviluppo della grande industria essi si avvicinano al punto in cui spariranno del tutto come elemento autonomo della società moderna e verranno rimpiazzati — nel commercio, nella manifattura e nell'agricoltura — da sorveglianti di fabbrica e da servitori».Poco più avanti Marx ed Engels saranno ancor più trancianti:
«In Germania la piccola borghesia rappresenta l'effettivo bastione sociale della società attuale, una piccola borghesia costituitasi nel XVI secolo e da allora sempre riaffiorante in forme diverse. La sua conservazione è la conservazione dell'attuale società tedesca. Essa teme di essere ineluttabilmente distrutta dall'egemonia industriale e politica della borghesia, sia per effetto della concentrazione del capitale che per il sorgere di un proletariato rivoluzionario».E' evidente quel fosse il paradigma: la piccola borghesia è un lascito sociale del passato precapitalista, un'anticaglia destinata ad essere spazzata via dal progresso rappresentato dalla grade industria e dalla legge generale dell'accumulazione capitalistica. Altrettanto evidente che questa previsione contenga un giudizio di valore: questo processo di annientamento è cosa buona e giusta.
Ammesso e non concesso che Marx ed Engels avessero ragione nel loro giudizio storico politico sulla piccola borghesia, la previsione si è dimostrata sostanzialmente sballata — così come si è dimostrata sbagliata l'idea che il "contadiname" non avrebbe potuto giocare alcun ruolo rivoluzionario — vedi Cina ed altri paesi a debole capitalismo —, ruolo che invece sarebbe spettato solo alla classe operaia industriale.
Sul fatto che la piccola borghesia sia per sua natura una classe reazionaria, che dire? Come è vero che è stato uno dei carburanti della reazione, è stato vero anche il contrario. Di sicuro l'approccio che ci propone il Brancaccio (la profezia che si autoavvera), agevola lo sforzo egemonico delle destre reazionarie, liberiste e non, lasciando loro campo libero nell'apparire paladini dei ceti medi, dei piccolo imprenditori, ecc..
E' il contrario che occorre invece fare. Come socialisti e patrioti noi dobbiamo difendere queste classi sociali contro il comune nemico, il grande capitalismo globalista e i suoi lacchè politici.
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sabato 19 ottobre 2019
IL CONTANTE, L'EVASIONE FISCALE E IL GOVERNO DI IMPOSTORI di Piemme
[ sabato 19 ottobre 2019 ]
Mettiamo in chiaro alcune "cosette", e facciamolo subito.
LA PRIMA. Quella di snidare gli evasori è stato, sin dagli anni '80, il cavallo di battaglia dei neoliberisti: l'obbiettivo vero era quello di far digerire il principio del pareggio di bilancio e quindi di istituire uno Stato di polizia tributaria. La favoletta (falsa) è nota: "Lo stato è come una famiglia, non può spendere più di quel che guadagna". La caccia all'evasore era quindi giustificata per finanziare la spesa pubblica. Per cui l'altra fandonia: o si sradica l'evasione oppure lo Stato è costretto tagliare la spesa sociale per scuola, sanità, trasporti, ecc.
LA SECONDA. Quello italiano è un popolo di furbetti, di evasori fiscali seriali e congeniti.
Falso! L'evasione fiscale in Italia, lo dicono le statistiche di lorsignori, è nella media europea e occidentale. In Germania, il paese leader della Ue e sempre presentato come quello "virtuosi" e da emulare, l'evasione fiscale, rispetto al Pil, è più alta che in Italia.
LA TERZA. La litania che sentiamo da ormai troppo tempo, e che questo governo ripete per giustificare l'obbiettivo di abolire il contante, è che i campioni dell'evasione si anniderebbero tra i piccoli: esercenti, artigiani, professionisti, ecc. Falso anche queso!
Secondo una recente indagine della autorevole Cgia di Mestre (condotta sui dati dell'Agenzia delle entrate), in Italia, "L'evasione fiscale delle grandi aziende è 16 volte maggiore di quella delle piccole". Per la precisione:
LA QUARTA. Si nasconde che l'Italia è il Paese con una pressione fiscale tra le più alte e ingiuste dell'Occidente, la qual cosa è causa principale dell'evasione di necessità, evasione che quindi si configura come legittima difesa per milioni di cittadini. La realtà è infatti che noi italiani LAVORIAMO 161 GIORNI ALL'ANNO PER PAGARE LE TASSE e 20 GIORNI DI LAVORO SE NE VANNO PER PAGARE GLI INTERESSI SUL DEBITO.
Mettiamo in chiaro alcune "cosette", e facciamolo subito.
LA PRIMA. Quella di snidare gli evasori è stato, sin dagli anni '80, il cavallo di battaglia dei neoliberisti: l'obbiettivo vero era quello di far digerire il principio del pareggio di bilancio e quindi di istituire uno Stato di polizia tributaria. La favoletta (falsa) è nota: "Lo stato è come una famiglia, non può spendere più di quel che guadagna". La caccia all'evasore era quindi giustificata per finanziare la spesa pubblica. Per cui l'altra fandonia: o si sradica l'evasione oppure lo Stato è costretto tagliare la spesa sociale per scuola, sanità, trasporti, ecc.
LA SECONDA. Quello italiano è un popolo di furbetti, di evasori fiscali seriali e congeniti.
Falso! L'evasione fiscale in Italia, lo dicono le statistiche di lorsignori, è nella media europea e occidentale. In Germania, il paese leader della Ue e sempre presentato come quello "virtuosi" e da emulare, l'evasione fiscale, rispetto al Pil, è più alta che in Italia.
LA TERZA. La litania che sentiamo da ormai troppo tempo, e che questo governo ripete per giustificare l'obbiettivo di abolire il contante, è che i campioni dell'evasione si anniderebbero tra i piccoli: esercenti, artigiani, professionisti, ecc. Falso anche queso!
Secondo una recente indagine della autorevole Cgia di Mestre (condotta sui dati dell'Agenzia delle entrate), in Italia, "L'evasione fiscale delle grandi aziende è 16 volte maggiore di quella delle piccole". Per la precisione:
«Le modalità di evasione delle holding non è ascrivibile alla mancata emissione di scontrini o ricevute, bensì al ricorso alle frodi doganali, alle frodi carosello, alle operazioni estero su estero e alle compensazioni indebite. La potenziale dimensione dell'infedeltà fiscale delle grandi aziende è enormemente superiore a quelle delle piccole».
Leggere con attenzione l'indagine per capire i tanti trucchi contabili a cui i pesci grossi del capitalismo ricorrono per sfuggire al fisco — la differenza tra evasione ed elusione fiscale dipende dalla maestria degli studi commerciali che tengono i conti. Il grosso dell'evasione non circola quindi in contante ma da tempo sui circuiti elettronici.
LA QUARTA. Si nasconde che l'Italia è il Paese con una pressione fiscale tra le più alte e ingiuste dell'Occidente, la qual cosa è causa principale dell'evasione di necessità, evasione che quindi si configura come legittima difesa per milioni di cittadini. La realtà è infatti che noi italiani LAVORIAMO 161 GIORNI ALL'ANNO PER PAGARE LE TASSE e 20 GIORNI DI LAVORO SE NE VANNO PER PAGARE GLI INTERESSI SUL DEBITO.
FERMIAMOLI !
(1) Le misure contro il contante che il governo Conte bis vuole adottare non colpiranno i grandi evasori ma solo quelli piccoli, col risultato che i benefici per l'erario (ammesso che siano legittimi) saranno irrisori.
(2) Queste misure sono un nuovo passo verso quello che abbiamo nominato STATO DI POLIZIA TRIBUTARIA.
(3) Esse rappresentano l'ultimo letale colpo alla microimpresa, all'artigianato e al commercio al dettaglio. Altre decine di migliaia saranno costretti a chiudere bottega a favore della grande distribuzione per non parlare dei colossi dell'E-commerce come Amazon, eBay, Uber, AirBnB. Un economicidio che lorisgnori camuffano cosmeticamente chiamandolo sharing economy, economia della condivisione, rental economy, economia peer-to-peer. E' invece null'altro che la vecchia legge capitalista per cui il pesce grosso divora quello piccolo.
(4) L'eventuale approvazione della norma sul contante proposta dal governo Conte Bis è l'ennesimo favore per le banche, anzitutto le grandi, visto che staccano il pizzo su ogni operazione commerciale che venisse eseguita tramite POS
(5) L'abolizione del contante e la tracciabilità digitale di ogni operazione commerciale, non ha solo un impatto economico disastroso sulle microimprese, il commercio al dettaglio e l'artigianato. E' un nuovo passo verso il "GRANDE FRATELLO" (G. Orwell), un potere poliziesco totalitario che tutto scruta e spia per tenere sotto controllo le persone, trasformate da cittadini in schiavi lobotomizzati.
Sacrosanta dunque la campagna lanciata da LIBERIAMO L'ITALIA in difesa del contante e contro la Legge di bilancio del governo Conte Bis.
venerdì 18 ottobre 2019
FINANZIARIA RECESSIVA: CE LO CHIEDE L'EUROPA di Leonardo Mazzei
[ venerdì 18 ottobre 209]
Liberarsi dalla gabbia dell'euro e dell'Ue è la vera emergenza: la Legge di Bilancio 2020 è lì a dimostrarlo
Sabato scorso abbiamo manifestato a Roma per liberare l'Italia dalla gabbia eurista. Ieri, invece, il governo ha diligentemente inviato a Bruxelles il DPB (Documento Programmatico di Bilancio), che anticipa ai signori dell'Ue quel che i parlamentari italiani dovranno approvare nel dettaglio nella Legge di Bilancio vera e propria.
Quale sia il legame tra questi due eventi è facile da capirsi. Senza rompere la gabbia eurista l'Italia non ha futuro. E la Finanziaria del Conte-bis (chiamiamola così, all'antica, che ci capiamo meglio) è lì a ricordarcelo. Tutti sanno che con l'attuale crescita zero, che annuncia una probabile recessione alle porte, sarebbe stato necessario rilanciare gli investimenti, la spesa pubblica ed i i consumi. Avviene invece l'esatto contrario: gli investimenti (peraltro del tutto insufficienti) sono rinviati ad un non meglio precisato futuro, la spesa pubblica subirà nuovi tagli, mentre le nuove tasse peseranno per circa 13 miliardi (md) di euro. Auguri vivissimi agli italiani, al popolo lavoratore in primo luogo, ma è chiaro che questa politica non solo non contrasta la recessione, al contrario la alimenta.
Come naturale, nella manovra firmata Gualtieri non mancano, qua e là, misure sensate ed approvabili, come l'abolizione del super ticket o quella del cosiddetto "bonus facciate" per le ristrutturazioni condominiali. Ma si tratta appunto di cose di facciata. Piccole caramelle inserite nella solita legge-monstre che, spaziando quest'anno dai 23 md dell'IVA alla tassa sulle bibite zuccherate, consente ad ognuna delle forze di governo di intestarsi questa o quella misura, lasciando ovviamente quelle più impopolari - la stragrande maggioranza - senza padri né madri.
Meglio allora non farsi distrarre troppo ed andare all'essenziale. La Finanziaria 2020 è figlia del sistema dell'euro, ed è stata partorita da quello che abbiamo definito come il governo della restaurazione. Nessuno stupore dunque, ma una critica puntuale del lavoro di lorsignori è quanto mai opportuna.
Per non farla troppo lunga, proviamo a sintetizzare per punti.
Proprio mentre la congiuntura economica avrebbe richiesto provvedimenti anti-ciclici, cioè di contrasto al trend recessivo, il Conte-bis fa l'esatto contrario. Da un lato si continua con l'assurdità degli avanzi primari (1,1% del Pil nel 2020, per poi risalire addirittura all'1,6% nel 2022: non si dica mai che non facciamo i compiti a casa!). Dall'altro, portando il deficit tendenziale del 2,7% ad un programmatico del 2,2% si sottraggono all'economia italiana circa 9 md di euro. Di questi tempi, non proprio una bazzecola.
Ora, l'Italia è l'unico paese al mondo che, con la sola eccezione del 2009, è in avanzo primario da oltre un quarto di secolo (per l'esattezza dal 1992). Vogliamo continuare a migliorare questo ben poco invidiabile record? Per chi ancora non lo sapesse, l'avanzo primario è la differenza tra le entrate e le spese dello Stato. Dunque, sono 28 anni che le entrate superano (e di gran lunga) le uscite. Come noto il problema è che a valle di questo calcolo c'è il pedaggio da pagare ai possessori dei titoli del debito pubblico, quello che - già nel 1981 - Ciampi ed Andreatta (ricordiamo sempre i loro nomi) vollero mettere nelle mani dei pescecani della finanza internazionale. Riguardo al 2020, a causa di un'incidenza degli interessi prevista nel 3,3% del Pil, l'avanzo dell'1,1% diventa così un disavanzo del 2,2%, Che è come dire che anziché avere 19 md in cassa, ne dovrò invece pagare 38.
Non è questa la sede per approfondire il discorso e mi fermo qui. Ma possiamo continuare a farci del male in questo modo? Per gli eurocrati assolutamente sì. Anzi, quel risultato ancora non gli basta, che il Fiscal compact prevede sacrifici ancor più duri. Ma almeno l'Europa è contenta, così si dice. Che lo siano anche gli italiani è invece cosa dubbia assai.
Ma, si dice ancora, l'IVA, almeno quella, ce la siam tolta dai piedi! Peccato non sia così. La cosiddetta "clausola di salvaguardia" è stata solo congelata per il 2020. Per il 2021 la clausola rimane per un importo di 18 miliardi. Sai che gioia veder ripartire la stessa litania sull'aumento IVA da disinnescare già dalla prossima primavera.
"Disinnescare". Il problema è che con certi artificieri il risultato è pressoché certo: l'IVA non aumenta, ma aumentano altre cento tasse. Che è esattamente quello che avverrà con questa Finanziaria. Le misure di copertura della manovra ammontano infatti a 15,4 md. Di questi 2,7 arriveranno da nuovi tagli, 12,7 da maggiori entrate tributarie.
Attenzione adesso, perché la propaganda governativa voleva far credere, fino a pochi giorni fa, che ben 7,2 md sarebbero stati incassati con il maggior contrasto all'evasione fiscale. Questa balla non ha retto alla prova dei fatti, ed ora nel DPB l'obiettivo è stato ridotto più realisticamente a 3,4 miliardi.
Ma anche su questi 3,4 md ci sarebbe molto da dire. La lotta all'evasione, di cui il Conte-bis si fa gran vanto, non è infatti rivolta contro i grandi evasori, gli esportatori di capitali, le aziende che trasferiscono fittiziamente la loro sede legale all'estero, gli allegri fruitori dei vantaggi offerti dai paradisi fiscali, bensì contro i piccoli: piccoli commercianti, piccoli artigiani, piccoli lavoratori autonomi che spesso senza un po' di nero non potrebbero neppure sopravvivere.
D'altronde, la lotta alla grande evasione è resa sostanzialmente impossibile proprio da quelle regole neoliberiste, come quella sulla libera circolazione dei capitali, sulle quali si fonda l'Unione Europea.
Detto questo, lotta alla piccola evasione a parte, da dove vengono i restanti 9,3 md? Tre le voci previste: 1) le maggiori entrate dei lavoratori autonomi che utilizzano l'ISA (3 md); 2) i tagli alle agevolazioni fiscali e la nuova tassa sulla plastica (2 md); 3) una miriade di nuovi balzelli su acquisto prima casa, certificazioni penali, sugar tax, tabacco, gioco d'azzardo, eccetera (4,3 md).
Come si può ben capire siamo decisamente di fronte ad un forte aumento della pressione fiscale. L'esatto contrario delle promesse di agosto. Un aumento spalmato in tanti rivoli affinché non si veda troppo, ma non per questo meno pesante.
Ovviamente il governo si fa bello per la riduzione del cosiddetto "cuneo fiscale" a vantaggio dei lavoratori. In realtà siamo di fronte a cifre davvero miserevoli: 3 md per il 2020, 6 per il 2021. Ancora non è chiaro chi sarà veramente il beneficiario di questa misura. Prima sembrava che la platea fosse quella fino a 26mila euro lordi (la stessa degli 80 euro di Renzi), adesso si dice che si arriverà fino ai 35mila euro. Inutile dire che più si allargherà la platea, più si ridurrà il beneficio medio. Da alcune indiscrezioni (vedi il Sole 24 Ore del 17 ottobre) si apprende comunque che i percettori di redditi fino a 24.050 euro lordi non avranno alcun beneficio.
Staremo a vedere, ma quel che si può dire fin d'ora è che siamo di fronte ad una misura davvero modesta, poco incisiva in generale e del tutto inefficace sul piano macro-economico.
Quella della lotta al contante è la vera ossessione del momento. Alcune ipotesi (come quella dell'aperta penalizzazione del contante) sono saltate, ma la sostanza resta. Perché è ovvio che si penalizza il contante anche solo favorendo i pagamenti elettronici. Ma, soprattutto, è chiaro che siamo solo all'inizio di un'offensiva che punta a dare alle banche (ed al mondo della finanza) il totale controllo della circolazione del denaro. Un controllo che arriva anche a monitorare ogni aspetto della vita delle persone.
Quello della lotta all'evasione fiscale è più che altro un pretesto. Per capirlo c'è un esempio che basta ed avanza. Pare che una delle misure decise sia quella di accettare le detrazioni per le agevolazioni fiscali previste dalla legge, solo se i pagamenti verranno fatti con carta o bonifico bancario. Cosa c'entra tutto ciò con l'evasione fiscale? Nulla. Assolutamente nulla. Come ovvio, già oggi ogni detrazione si appoggia su un documento fiscale (fattura o scontrino) che attesta l'avvenuto pagamento ed il codice fiscale di chi lo ha effettuato. Per quale motivo, dunque, si dovrebbe andare in farmacia a comprare l'aspirina con la carta di credito anziché con i soliti spiccioli?
Ovvio, lo si dovrà fare perché così vogliono i pescecani della finanza, altro che lotta all'evasione fiscale!
A questa autentica porcata non resta che opporsi con ogni strumento, a partire dalla campagna in difesa del contante lanciata dai partecipanti alla manifestazione del 12 ottobre.
Vista la natura dell'attuale opposizione (si pensi al dietro-front di Salvini sull'euro), non è detto che il governo paghi subito la pochezza di questa Finanziaria di mero galleggiamento, una manovra senz'anima se non quella del solito signorsì ai padroni di Bruxelles, Francoforte e Berlino. Di certo pagheranno invece gli italiani, pagherà il popolo lavoratore.
Quella del precisino Gualtieri è una Finanziaria dove mancano soprattutto gli investimenti pubblici, dove scuola e sanità restano solo titoli senza impegni, dove lo Stato tradisce ancora una volta i più importanti principi costituzionali.
Ma restando nella gabbia dell'Ue, ed avendo spazzato via l'almeno contraddittorio esecutivo gialloverde, non c'erano dubbi sul segno della manovra autunnale del governo della restaurazione.
Così ha scritto 2 settimane fa Programma 101: «Non c'è alcuna possibilità di uscire dalla crisi dentro la gabbia europea. Se i risultati della "flessibilità" transitoria ottenuta dal governo della restaurazione sono questi, figuriamoci cosa dobbiamo attenderci per il futuro. Nell'euro e nella Ue si soffoca, l'Italexit è sempre più necessaria».
Verità semplici che la Finanziaria di Gualtieri ci ha puntualmente confermato.
Liberarsi dalla gabbia dell'euro e dell'Ue è la vera emergenza: la Legge di Bilancio 2020 è lì a dimostrarlo
Sabato scorso abbiamo manifestato a Roma per liberare l'Italia dalla gabbia eurista. Ieri, invece, il governo ha diligentemente inviato a Bruxelles il DPB (Documento Programmatico di Bilancio), che anticipa ai signori dell'Ue quel che i parlamentari italiani dovranno approvare nel dettaglio nella Legge di Bilancio vera e propria.
Quale sia il legame tra questi due eventi è facile da capirsi. Senza rompere la gabbia eurista l'Italia non ha futuro. E la Finanziaria del Conte-bis (chiamiamola così, all'antica, che ci capiamo meglio) è lì a ricordarcelo. Tutti sanno che con l'attuale crescita zero, che annuncia una probabile recessione alle porte, sarebbe stato necessario rilanciare gli investimenti, la spesa pubblica ed i i consumi. Avviene invece l'esatto contrario: gli investimenti (peraltro del tutto insufficienti) sono rinviati ad un non meglio precisato futuro, la spesa pubblica subirà nuovi tagli, mentre le nuove tasse peseranno per circa 13 miliardi (md) di euro. Auguri vivissimi agli italiani, al popolo lavoratore in primo luogo, ma è chiaro che questa politica non solo non contrasta la recessione, al contrario la alimenta.
Come naturale, nella manovra firmata Gualtieri non mancano, qua e là, misure sensate ed approvabili, come l'abolizione del super ticket o quella del cosiddetto "bonus facciate" per le ristrutturazioni condominiali. Ma si tratta appunto di cose di facciata. Piccole caramelle inserite nella solita legge-monstre che, spaziando quest'anno dai 23 md dell'IVA alla tassa sulle bibite zuccherate, consente ad ognuna delle forze di governo di intestarsi questa o quella misura, lasciando ovviamente quelle più impopolari - la stragrande maggioranza - senza padri né madri.
Meglio allora non farsi distrarre troppo ed andare all'essenziale. La Finanziaria 2020 è figlia del sistema dell'euro, ed è stata partorita da quello che abbiamo definito come il governo della restaurazione. Nessuno stupore dunque, ma una critica puntuale del lavoro di lorsignori è quanto mai opportuna.
Per non farla troppo lunga, proviamo a sintetizzare per punti.
Perché la Finanziaria è recessiva
Proprio mentre la congiuntura economica avrebbe richiesto provvedimenti anti-ciclici, cioè di contrasto al trend recessivo, il Conte-bis fa l'esatto contrario. Da un lato si continua con l'assurdità degli avanzi primari (1,1% del Pil nel 2020, per poi risalire addirittura all'1,6% nel 2022: non si dica mai che non facciamo i compiti a casa!). Dall'altro, portando il deficit tendenziale del 2,7% ad un programmatico del 2,2% si sottraggono all'economia italiana circa 9 md di euro. Di questi tempi, non proprio una bazzecola.
Ora, l'Italia è l'unico paese al mondo che, con la sola eccezione del 2009, è in avanzo primario da oltre un quarto di secolo (per l'esattezza dal 1992). Vogliamo continuare a migliorare questo ben poco invidiabile record? Per chi ancora non lo sapesse, l'avanzo primario è la differenza tra le entrate e le spese dello Stato. Dunque, sono 28 anni che le entrate superano (e di gran lunga) le uscite. Come noto il problema è che a valle di questo calcolo c'è il pedaggio da pagare ai possessori dei titoli del debito pubblico, quello che - già nel 1981 - Ciampi ed Andreatta (ricordiamo sempre i loro nomi) vollero mettere nelle mani dei pescecani della finanza internazionale. Riguardo al 2020, a causa di un'incidenza degli interessi prevista nel 3,3% del Pil, l'avanzo dell'1,1% diventa così un disavanzo del 2,2%, Che è come dire che anziché avere 19 md in cassa, ne dovrò invece pagare 38.
Non è questa la sede per approfondire il discorso e mi fermo qui. Ma possiamo continuare a farci del male in questo modo? Per gli eurocrati assolutamente sì. Anzi, quel risultato ancora non gli basta, che il Fiscal compact prevede sacrifici ancor più duri. Ma almeno l'Europa è contenta, così si dice. Che lo siano anche gli italiani è invece cosa dubbia assai.
Il trucco sull'IVA e quello sull'evasione fiscale
Ma, si dice ancora, l'IVA, almeno quella, ce la siam tolta dai piedi! Peccato non sia così. La cosiddetta "clausola di salvaguardia" è stata solo congelata per il 2020. Per il 2021 la clausola rimane per un importo di 18 miliardi. Sai che gioia veder ripartire la stessa litania sull'aumento IVA da disinnescare già dalla prossima primavera.
"Disinnescare". Il problema è che con certi artificieri il risultato è pressoché certo: l'IVA non aumenta, ma aumentano altre cento tasse. Che è esattamente quello che avverrà con questa Finanziaria. Le misure di copertura della manovra ammontano infatti a 15,4 md. Di questi 2,7 arriveranno da nuovi tagli, 12,7 da maggiori entrate tributarie.
Attenzione adesso, perché la propaganda governativa voleva far credere, fino a pochi giorni fa, che ben 7,2 md sarebbero stati incassati con il maggior contrasto all'evasione fiscale. Questa balla non ha retto alla prova dei fatti, ed ora nel DPB l'obiettivo è stato ridotto più realisticamente a 3,4 miliardi.
Ma anche su questi 3,4 md ci sarebbe molto da dire. La lotta all'evasione, di cui il Conte-bis si fa gran vanto, non è infatti rivolta contro i grandi evasori, gli esportatori di capitali, le aziende che trasferiscono fittiziamente la loro sede legale all'estero, gli allegri fruitori dei vantaggi offerti dai paradisi fiscali, bensì contro i piccoli: piccoli commercianti, piccoli artigiani, piccoli lavoratori autonomi che spesso senza un po' di nero non potrebbero neppure sopravvivere.
D'altronde, la lotta alla grande evasione è resa sostanzialmente impossibile proprio da quelle regole neoliberiste, come quella sulla libera circolazione dei capitali, sulle quali si fonda l'Unione Europea.
Detto questo, lotta alla piccola evasione a parte, da dove vengono i restanti 9,3 md? Tre le voci previste: 1) le maggiori entrate dei lavoratori autonomi che utilizzano l'ISA (3 md); 2) i tagli alle agevolazioni fiscali e la nuova tassa sulla plastica (2 md); 3) una miriade di nuovi balzelli su acquisto prima casa, certificazioni penali, sugar tax, tabacco, gioco d'azzardo, eccetera (4,3 md).
Come si può ben capire siamo decisamente di fronte ad un forte aumento della pressione fiscale. L'esatto contrario delle promesse di agosto. Un aumento spalmato in tanti rivoli affinché non si veda troppo, ma non per questo meno pesante.
La miseria della riduzione del "cuneo fiscale"
Ovviamente il governo si fa bello per la riduzione del cosiddetto "cuneo fiscale" a vantaggio dei lavoratori. In realtà siamo di fronte a cifre davvero miserevoli: 3 md per il 2020, 6 per il 2021. Ancora non è chiaro chi sarà veramente il beneficiario di questa misura. Prima sembrava che la platea fosse quella fino a 26mila euro lordi (la stessa degli 80 euro di Renzi), adesso si dice che si arriverà fino ai 35mila euro. Inutile dire che più si allargherà la platea, più si ridurrà il beneficio medio. Da alcune indiscrezioni (vedi il Sole 24 Ore del 17 ottobre) si apprende comunque che i percettori di redditi fino a 24.050 euro lordi non avranno alcun beneficio.
Staremo a vedere, ma quel che si può dire fin d'ora è che siamo di fronte ad una misura davvero modesta, poco incisiva in generale e del tutto inefficace sul piano macro-economico.
Lotta al contante: perché?
Quella della lotta al contante è la vera ossessione del momento. Alcune ipotesi (come quella dell'aperta penalizzazione del contante) sono saltate, ma la sostanza resta. Perché è ovvio che si penalizza il contante anche solo favorendo i pagamenti elettronici. Ma, soprattutto, è chiaro che siamo solo all'inizio di un'offensiva che punta a dare alle banche (ed al mondo della finanza) il totale controllo della circolazione del denaro. Un controllo che arriva anche a monitorare ogni aspetto della vita delle persone.
Quello della lotta all'evasione fiscale è più che altro un pretesto. Per capirlo c'è un esempio che basta ed avanza. Pare che una delle misure decise sia quella di accettare le detrazioni per le agevolazioni fiscali previste dalla legge, solo se i pagamenti verranno fatti con carta o bonifico bancario. Cosa c'entra tutto ciò con l'evasione fiscale? Nulla. Assolutamente nulla. Come ovvio, già oggi ogni detrazione si appoggia su un documento fiscale (fattura o scontrino) che attesta l'avvenuto pagamento ed il codice fiscale di chi lo ha effettuato. Per quale motivo, dunque, si dovrebbe andare in farmacia a comprare l'aspirina con la carta di credito anziché con i soliti spiccioli?
Ovvio, lo si dovrà fare perché così vogliono i pescecani della finanza, altro che lotta all'evasione fiscale!
A questa autentica porcata non resta che opporsi con ogni strumento, a partire dalla campagna in difesa del contante lanciata dai partecipanti alla manifestazione del 12 ottobre.
Conclusione
Vista la natura dell'attuale opposizione (si pensi al dietro-front di Salvini sull'euro), non è detto che il governo paghi subito la pochezza di questa Finanziaria di mero galleggiamento, una manovra senz'anima se non quella del solito signorsì ai padroni di Bruxelles, Francoforte e Berlino. Di certo pagheranno invece gli italiani, pagherà il popolo lavoratore.
Quella del precisino Gualtieri è una Finanziaria dove mancano soprattutto gli investimenti pubblici, dove scuola e sanità restano solo titoli senza impegni, dove lo Stato tradisce ancora una volta i più importanti principi costituzionali.
Ma restando nella gabbia dell'Ue, ed avendo spazzato via l'almeno contraddittorio esecutivo gialloverde, non c'erano dubbi sul segno della manovra autunnale del governo della restaurazione.
Così ha scritto 2 settimane fa Programma 101: «Non c'è alcuna possibilità di uscire dalla crisi dentro la gabbia europea. Se i risultati della "flessibilità" transitoria ottenuta dal governo della restaurazione sono questi, figuriamoci cosa dobbiamo attenderci per il futuro. Nell'euro e nella Ue si soffoca, l'Italexit è sempre più necessaria».
Verità semplici che la Finanziaria di Gualtieri ci ha puntualmente confermato.
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giovedì 17 ottobre 2019
GIÙ LE MANI DAL CONTANTE ! di LIBERIAMO L'ITALIA
[ giovedì 17 ottobre 2019 ]
Pubblichiamo l’appello approvato per acclamazione dai partecipanti alla manifestazione nazionale LIBERIAMO L’ITALIA svoltasi a Roma il 12 ottobre scorso.
Aderisci all’Appello per promuovere la campagna in difesa del contante e contro la finanziaria del governo Pd-M5s, scrivendo a:
difendiamoilcontante@liberiamolitalia.org
Organizziamo assemblee pubbliche in ogni città, costruiamo i comitati territoriali di LIBERIAMO L’ITALIA.
– al presidente della Camera dei Deputati
– al presidente del Senato della Repubblica
– a tutti i parlamentari
La scelta del governo Conte di colpire il normale uso del denaro contante va respinta.
La lotta all’evasione fiscale, con la quale viene giustificata, è solo un pretesto.
Organizziamo assemblee pubbliche in ogni città, costruiamo i comitati territoriali di LIBERIAMO L’ITALIA.
* * *
GIÙ LE MANI DAL CONTANTE
Il governo delle banche vuol togliere il contante alle persone: fermiamoli!
– al presidente della Camera dei Deputati
– al presidente del Senato della Repubblica
– a tutti i parlamentari
La scelta del governo Conte di colpire il normale uso del denaro contante va respinta.
La lotta all’evasione fiscale, con la quale viene giustificata, è solo un pretesto.
La grande evasione (oltre il 90% del totale) si avvale di ben altri strumenti: dall’esportazione di capitali, al fittizio spostamento all’estero delle sedi aziendali, all’allegro utilizzo dei vari paradisi fiscali esistenti. Ma su questo né il governo italiano, né tantomeno l’Unione europea (guidata fino a ieri proprio da un rappresentante di quel regno dei grandi evasori che è il Lussemburgo), intendono muovere foglia.
Le vere ragioni per cui si vuol imporre in tutti i modi l’uso della moneta elettronica sono altre.
In primo luogo, chiara è la volontà di favorire il sistema delle banche e delle grandi società che gestiscono i principali circuiti di pagamento. L’aumento degli introiti, che i pescecani della finanza otterrebbero in questo modo, unito a quel punto alla possibilità di imporre tassi negativi sui depositi bancari a danno del risparmio delle famiglie, genererebbe un ulteriore e gigantesco spostamento della ricchezza verso il mondo della finanza, che arriverebbe così gradualmente ad un controllo assoluto sul denaro e la sua circolazione.
Le vere ragioni per cui si vuol imporre in tutti i modi l’uso della moneta elettronica sono altre.
In primo luogo, chiara è la volontà di favorire il sistema delle banche e delle grandi società che gestiscono i principali circuiti di pagamento. L’aumento degli introiti, che i pescecani della finanza otterrebbero in questo modo, unito a quel punto alla possibilità di imporre tassi negativi sui depositi bancari a danno del risparmio delle famiglie, genererebbe un ulteriore e gigantesco spostamento della ricchezza verso il mondo della finanza, che arriverebbe così gradualmente ad un controllo assoluto sul denaro e la sua circolazione.
In secondo luogo, altrettanto grave è la volontà di trasformare un semplice atto della vita quotidiana (come i normali acquisti di ognuno di noi) in un tassello di quel Grande Fratello preposto a controllare l’esistenza, le abitudini e le scelte di ogni persona.
Per queste elementari ragioni l’uso del contante va difeso. Ed ogni sua lesione va considerata come un atto discriminatorio ed antisociale, in contrasto con gli stessi principi della Costituzione repubblicana.
I sottoscritti aderenti al presente appello, certi di rappresentare l’ampia maggioranza dei cittadini italiani, si rivolgono quindi al Parlamento affinché respinga in toto l’assurda pretesa di tassare il contante. Di fronte ai principi di equità e di libertà che sono in gioco in questa scelta, che ognuno si assuma le proprie responsabilità!
No al pizzo a favore delle banche!
No alla penalizzazione dell’uso del contante!
Sì ai diritti dei persone!
LIBERIAMO L’ITALIA
12 ottobre 2019
mercoledì 11 settembre 2019
SUL PROGRAMMA DI GOVERNO DEL CONTE BIS di Leonardo Mazzei
[ mercoledì 11 settembre 2019 ]
IL GOVERNO PIÙ A SINISTRA DELLA STORIA?
Dovessimo prenderli sul serio, i 29 punti condivisi da Pd, M5s e Leu sembrerebbero dar ragione all'ex cavaliere d'Arcore, che ha parlato senza remore del "governo più a sinistra della storia d'Italia". Ma possiamo prenderli sul serio? Ovviamente no, tant'è vero che saranno proprio i berluscones (specie al Senato) a dar manforte al Conte-bis ogni volta che ve ne sarà bisogno. Che Berlusconi sia passato all'estrema sinistra?
Una montagna di promesse
La prima cosa da capire è che i 29 punti non sono un programma, bensì una lista sterminata di promesse. Limitandoci alla parte economico-sociale, troviamo alla rinfusa (ma il testo è scritto proprio così) la cancellazione dell'aumento dell'IVA, il sostegno alle famiglie ed ai disabili, misure per l'emergenza abitativa, incentivi agli investimenti, più risorse per la scuola, l'università, la ricerca, il welfare. E questo è solo il punto 1...
Ma si prosegue con il potenziamento degli incentivi alle piccole e medie imprese, la riduzione delle tasse sul lavoro (cuneo fiscale), il salario minimo, misure a favore dei giovani appartenenti a famiglie a basso reddito. Si annuncia un piano straordinario di assunzioni di medici ed infermieri, aumenti salariali ad insegnanti, poliziotti, militari e vigili del fuoco.
Non poteva poi mancare la promessa di un Green New Deal, quella di maggiori interventi per la difesa del territorio e per la velocizzazione della ricostruzione nelle zone terremotate. Ma non ci si è dimenticati neppure del lancio di un piano straordinario per il Sud, né della necessità di nuovi investimenti infrastrutturali. E questa è solo una sintesi di quanto il nuovo tripartito ha pensato bene di promettere agli italiani...
Che dire? Troppa grazia Sant'Antonio! E' evidente come nel caldo agostano si sia deciso di non porsi troppi limiti, tanto poi ai numeri veri della manovra ci penserà la Nota di aggiornamento del DEF, da presentarsi entro settembre; mentre la precisazione delle misure che verranno effettivamente prese avverrà solo con la Legge di Bilancio, da presentarsi entro il 15 ottobre.
E' pacifico come alla prova dei fatti molti impegni resteranno lettera morta, altri verranno spostati più avanti, altri ancora si tradurranno in qualche mancia di poco conto. Tuttavia una cosa è certa: la Legge di Bilancio 2020 (da approvarsi entro la fine del 2019) sarà più espansiva di quella dell'anno precedente. Questo per il semplice motivo che la Commissione europea concederà al governo della restaurazione quel che invece rigorosamente vietava al governo populista.
Un "anno sabbatico": premio di una ritrovata sudditanza
E' la politica che comanda l'economia, non viceversa. A Bruxelles, Berlino e Francoforte si erano presi una bella paura con il governo giallo-verde. Pasticcione, incoerente, inadeguato e financo opportunamente infiltrato; ma pur sempre diverso, largamente estraneo alle élite, poco prevedibile e — quel che era veramente intollerabile — troppo sensibile agli umori ed agli interessi delle masse.
Dunque, passato lo spavento, chiusa quella che lorsignori interpretano come una spiacevole parentesi, ecco che non si può chiedere al governo loro amico di assumere di nuovo le sembianze di un Monti-bis, dato che questo equivarrebbe ad un suicidio politico in piena regola. Da qui la prevedibile decisione di concedere all'Italia una sorta di "anno sabbatico" come premio della ritrovata sudditanza. Sbagliava dunque Salvini, ma credo l'abbia ora ben capito, nell'immaginarsi una specie di governo tecnico tutto teso a tagli e tasse già con il prossimo bilancio. Nuovi tagli vi saranno, come pure nuove tasse, ma tutto ciò sarà sostanzialmente nascosto nelle pieghe di una manovra che verrà certamente presentata come espansiva.
Ancora non si parla ufficialmente di numeri, ma il Conte-bis nasce apertamente sull'ipotesi di ottenere dalla Commissione più flessibilità sui conti, portando a preventivo il rapporto deficit/Pil attorno al 2,5%, per poi andare a consuntivo in area 3%. Numeri non trascendentali, decisamente al di sotto di quel che sarebbe necessario, tuttavia ben diversi da quelli chiesti finora da Bruxelles. Un anno fa la prima versione della Legge di Bilancio venne respinta dagli eurocrati per un deficit al 2,4%, mentre i giornaloni si stracciavano le vesti per un disavanzo che, a loro dire, avrebbe fatto sprofondare l'Italia nel Mediterraneo. Ancora nella primavera scorsa l'Ue passò all'attacco per sottoporre l'Italia ad una "procedura d'infrazione", evitata solo con la promessa di far scendere nel 2020 il deficit ben al di sotto del 2,0%.
Adesso, si dice, "l'aria è cambiata". Se il 2,4% prima era un crimine, adesso non può far che bene alla salute anche il 3,0%. Miracoli della restaurazione! Miracoli che piacciono anche ai famosi "mercati", dato che con il 2,4% di deficit lo spread stava sopra quota 300, mentre adesso che sembra destinato ad andare ben oltre lo spread è a 150.
Il perché l'aria sia momentaneamente cambiata lo abbiamo già detto. Non perché le politiche europee stiano mutando, non per un'inesistente uscita dall'ordoliberismo, ma solo per le evidentissime esigenze della politica. In fondo all'Italia verrà concesso un po' meno di quanto consentito per anni alla Francia ed alla Spagna di Rajoy. Dal punto di vista dell'oligarchia eurista un prezzo non troppo alto per ricondurre il nostro Paese all'ovile del loro dominio.
Del resto, il nuovo governo, spalleggiato in questo da Mattarella, ha già dichiarato in tutti i modi la sua piena sudditanza. Il "Viva l'Europa" è il vero slogan della maggioranza Pd-M5s-Leu. E' questo il significato più importante del cambio di governo a Roma. A Bruxelles e Berlino l'hanno sempre avuto chiaro, tanto che Tusk e Merkel sono pesantemente intervenuti nella crisi italiana affinché il ribaltone andasse in porto.
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Anche Fassina ha votato la fiducia... |
Il problema era la sovranità, non qualche decimale di deficit in più o meno. Adesso che l'eurocrazia ha trionfato, tutti possono rendersi conto di come quegli zerovirgola siano stati giocati spudoratamente solo per terrorizzare la popolazione, affinché le gerarchie costituite (detto in breve: Berlino comanda e Roma ubbidisce) non vengano messe in discussione. Oltretutto, in questo momento di stagnazione economica, un certo allentamento delle politiche austeritarie fa comodo anche alla Germania...
Come sarà la Legge di Bilancio?
Dal punto di vista dell'Italia non sarà certo un anno di maggior flessibilità a cambiare la situazione generale. L'euro, giova ricordarlo, ci è già costato un 25% di minor Pil cumulato. Non si esce da un simile disastro con una modestissima (e solo temporanea) boccata d'ossigeno come quella che si profila.
Ma, alla luce di quanto detto finora, cosa possiamo aspettarci allora dalla Legge di Bilancio? Lo schema generale della manovra sarà probabilmente assai vicino a quello tratteggiato da Federico Fubini sulle pagine del Corriere della Sera.
Al momento il deficit tendenziale (cioè a legislazione invariata) per il 2020 sarebbe all'1,6%. Piccolo problema, a "legislazione invariata" significherebbe far scattare l'aumento dell'IVA dal prossimo 1° gennaio. Ma questo aumento non ci sarà, facendo così mancare alle casse dello stato i relativi 23 miliardi. E poiché questa cifra corrisponde ad un 1,3% di Pil, ecco che il deficit salirebbe così al 2,9%. Tria pensava di riportarlo almeno al 2% con 9 miliardi di maggiori entrate dell'Irpef (riduzione più o meno lineare di detrazioni e deduzioni) e con 6 miliardi di tagli (anch'essi sostanzialmente lineari) alla spesa dei ministeri. Una strada questa che verrà riproposta dal nuovo governo (vedi punto 17 del programma), ma non si sa in quale misura.
Difficile, ma potremmo dire impossibile, ipotizzare davvero un recupero di 15 miliardi. Troppo pesante e troppo impopolare per le gracili ossa del governo appena nato. Sul lato della spesa, dopo anni di tagli continui c'è rimasto ben poco da limare. Non solo, questi tagli — viste le promesse del programma — non dovrebbero toccare né la scuola né la sanità, comparti dove la spesa dovrebbe invece salire. Sul lato delle tasse, il taglio delle agevolazioni fiscali (le cosiddette "tax expeditures") è stato per anni materia di esercitazione per i diversi ministri dell'economia che nel tempo si sono succeduti, senza che niente di sostanziale sia stato fatto. Questo per un semplice motivo: non è facile intervenire in quella giungla, ed è impossibile farlo senza colpire fette consistenti della popolazione.
Per saperne di più bisognerà dunque aspettare. Stavolta l'ipotesi che va per la maggiore è quella di partire dal taglio delle agevolazioni considerate negative dal punto di vista ambientale, riproponendo in qualche modo quel meccanismo alla Macron (si colpiscono ampie fasce popolari, ma il tutto in nome dell'ambiente) che in Francia ha scatenato la rabbia dei Gilet gialli. Insomma, nonostante la flessibilità che verrà concessa, la Legge di Bilancio che si annuncia non sarà tutta rose e fiori come si vorrebbe far credere.
Detto questo, restano da considerare le maggiori spese e le minori entrate previste nel programma — tra queste i 6 miliardi che dovrebbero servire ad abbassare la tassazione sui redditi inferiori ai 26mila euro. Nessuna delle maggiori spese è quantificata nei 29 punti ma, pur considerando che molte promesse non avranno alcun seguito, appare ragionevole ipotizzare un deficit tra il 2,5 ed il 3%. Ragion per cui possiamo immaginare che sia grosso modo agli estremi di questo range che andranno a collocarsi il deficit programmatico e quello reale.
Due questioni politiche dall'enorme portata
Ovviamente il programma non parla solo di economia.
Mentre la politica estera viene rapidamente racchiusa nella formula della doppia "fedeltà" (leggasi sudditanza) all'Ue ed agli Usa, due le questioni politiche davvero rilevanti sulle quali potrebbe anche giocarsi il futuro del governo della restaurazione: la legge elettorale ed il "regionalismo differenziato".
Quest'ultimo viene così trattato al punto 20:
«È necessario completare il processo di autonomia differenziata giusta e cooperativa, che salvaguardi il principio di coesione nazionale e di solidarietà, la tutela dell'unità giuridica e economica; definisca i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, i fabbisogni standard; attui compiutamente l'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, che prevede l'istituzione di un fondo di perequazione volto a garantire a tutti i cittadini la medesima qualità dei servizi. Ciò eviterà che questo legittimo processo riformatore possa contribuire ad aggravare il divario tra il Nord e il Sud del Paese».
Ho già avuto modo di entrare nel merito di questa intricata questione. La contraddittoria formulazione di cui sopra vorrebbe tentare di conciliare capra e cavoli, l'autonomia differenziata e l'unità nazionale. Ma c'è un particolare: questa quadratura del cerchio è semplicemente impossibile. Come il governo ne verrà fuori non è affatto chiaro, ma non ci sarebbe da stupirsi se il progetto dovesse finire su un binario morto. Il che sarebbe di certo la cosa migliore.
Sulla legge elettorale, ricollegandosi alla scelta di ridurre i parlamentari (tema sul quale Pd e Leu hanno dovuto cambiare posizione per andare incontro ad M5s), i partiti di maggioranza così si esprimono al punto 10:
«occorre avviare un percorso di riforma, quanto più possibile condiviso in sede parlamentare, del sistema elettorale».
Sulla materia è il Pd ad avere in mano il pallino, ma al suo interno convivono due posizioni. La prima, che possiamo definire "difensiva", prevede l'eliminazione della quota maggioritaria, per arrivare ad un sistema proporzionale "puro" ma con una soglia di sbarramento particolarmente alta (si vocifera del 5% contro il 3% attuale). Ho definito questa posizione (originariamente lanciata da Renzi nella sua proposta che ha avviato la trattativa con i Cinque Stelle) come "difensiva", perché pensata per sbarrare la strada alla Lega, che col sistema elettorale attuale potrebbe invece conquistare la maggioranza assoluta dei seggi anche solo con il 40% dei voti.
Negli ultimi giorni, però, si è fatta avanti, al contrario, una posizione più "offensiva", sostenuta in particolare da due ex presidenti del Consiglio: Romano Prodi e Massimo D'Alema. La loro idea è che, previa la ricostruzione del centrosinistra attraverso l'assorbimento di M5s, la nuova alleanza potrebbe aspirare alla conquista della maggioranza relativa. Dunque, ne conseguono, avanti tutta con un nuovo e più dirompente maggioritario!
Come si può ben capire, siamo qui al confronto non tra due modelli di rappresentanza e di democrazia parlamentare, bensì alla semplice scelta di quel che sembra più conveniente al momento. Una cosa decisamente indegna.
Se l'idea (meglio, l'interesse) del maggioritario dovesse prevalere nell'area Pd e dintorni, ecco le due ipotesi avanzate dallo spudorato Prodi: o il collegio uninominale con maggioritario secco all'inglese (un modello, in verità, piuttosto in crisi in patria); o il ballottaggio alla francese, con l'evidente necessità di ritornare grosso modo alle idee "costituzionali" di Renzi.
Ecco, chi tanto si preoccupava delle ipotetiche minacce alla democrazia di Salvini, farebbe forse meglio ad occuparsi oggi di quelle ben più concrete che vengono come sempre dal campo del centrosinistra.
Infine, pesce lesso Gentiloni
A suggellare il ritorno all'ovile eurocratico è arrivata ieri la nomina a commissario europeo di Paolo (pesce lesso) Gentiloni. Notare, non in un posto qualsiasi, bensì come commissario agli Affari Economici, l'importante ruolo finora occupato da Pierre Moscovici. Un posto che non sarebbe mai andato ad un commissario italiano indicato dal governo precedente.
Essendo uno dei loro, per i padroni dell'Europa nominare Gentiloni è stata invece la cosa più facile del mondo. Tanto da lì problemi non gliene verranno. Resta solo da riflettere sul brutto momento del nostro Paese: tradito dalla sua classe dirigente, premiato solo quando è servo. Anche di queste umiliazioni è fatta la restaurazione in corso.
E pensare che c'è ancora chi ci chiede come mai insistiamo così tanto sulla sovranità nazionale.
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mercoledì 7 agosto 2019
SIAMO ALLA FRUTTA di Piemme
[ mercoledì 7 agosto 2019 ]
Oggi andrà in scena l'ennesimo atto della stucchevole sceneggiata che dura ormai da mesi. Non è detto che sia l'ultima.
Il Parlamento vota sul TAV. Piddini e berluscones voteranno a favore, assieme alla Lega. Potrebbero far saltare il governo, se solo lo volessero — ad esempio assentandosi dall'Aula al momento del voto. Non lo faranno, terrorizzati dallo spauracchio di elezioni anticipate che segnerebbero una loro ennesima batosta. Ancor più atterriti dal rischio di tornare alle urne, i 5 stelle, costretti a presentare una mozione contro il TAV. Pagliacciata senza precedenti: prima lasciano che il Consiglio dei ministri (nel quale hanno la maggioranza assoluta) approvi il buco con la Francia, poi, con la faccia come il culo, chiedono al Parlamento che dica l'ultima parola, in realtà sapendo e sperando che la loro mozione venga bocciata.
Questa è l'ultima di una serie di clamorose bestialità compiute dalla cricca di Di Maio per autodistruggere il Movimento. La più grande senza dubbio è stata il voto per la Von Der Leyen, voto col quale la cricca ha compiuto un giuramento solenne di fedeltà all'eurocrazia ed ai poteri forti italiani.
D'altra parte abbiamo il Salvini il quale, nella botte di ferro dei sondaggi che lo vedono in grande spolvero, sbraiata e minaccia sfracelli in caso non si faccia come dice lui.
Ma cos'è che propriamente dice lui? Quali sono davvero i suoi desiderata? Quale il suo disegno politico?
Non si capisce, e se non si capisce non è perché non siamo in grado di decifrarli. Non si capisce perché molto probabilmente non lo sa nemmeno lui. Semplicemente, credendo di essere il dominus della scena, si permette di maramaldeggiare, di fare lo sbruffone, di dire, sulle cose serie, tutto e il suo contrario. Avendo capito che per il momento basta e avanza la sua linea del pugno duro sulla sicurezza e sull'immigrazione. Lì si ferma e porta all'incasso.
Sulle cose serie —come far ripartire l'economia e l'occupazione, come rilanciare una domanda interna asfittica, come risolvere i drammatici problemi sociali del popolo lavoratore (che in buona parte lo voterebbe) — cazzeggia, urlando ai quattro venti "Flat tax! Flat tax!", confermando quindi la sua fede liberista, per cui, parole sue, "non è lo Stato che crea lavoro ma le imprese".
E su questa cosiddetta "Flat tax" promette sfracelli, che non cederà un millimetro con l'Unione europea in merito alla prossima Legge di bilancio. C'è solo un problema in questa narrazione: essa è ingannevole. La Ue potrebbe ben accettare di concedere una riduzione fiscale a favore delle imprese a patto che a ciò corrisponda un taglio di pari proporzioni della spesa sociale, con in più ulteriori privatizzazioni.
Salvini, e ancor più Giorgetti, lo sanno bene. Il rischio è che dunque non solo l'eurista Tria resti al suo posto, ma che la Legge di bilancio la faccia proprio lui di concerto con Bruxelles.
Giorni addietro dicevo che avendo lasciato passare il momento buono per rovesciare il tavolo, non è più Salvini ad avere "il pallino in mano". Ciò sembrerebbe contraddetto dalla sua sparata di ieri per cui "o si fa come dico io o si va alle elezioni!". Bluff o delirio di onnipotenza? Tutte e due le cose.
I governi si fanno cadere per motivi seri, che i cittadini capiscono. Tranne i suoi peones nessuno giustificherebbe una crisi di governo solo per permettergli di ottenere il suo proprio successo elettorale. Il motivo serio Salvini lo avrebbe, ed è appunto il rifiuto di votare una Legge di bilancio austeritaria che aggraverebbe l'attuale recessione.
Ma fare cose serie non è nelle corde di questo governo-zombi, e nemmeno di Salvini medesimo. Tutti sperano che passi la nottata, che a Bruxelles siano clementi, che non sopraggiunga nel frattempo una bolla finanziaria globale con tanto di nuovo collasso dell'economia, come e peggio di quella di dieci anni fa.
Sia come sia questi apprendisti stregoni di M5s e Lega, invece di fare tesoro della potente ondata di protesta scaricatasi nelle urne il 4 marzo dell'anno scorso, la stanno non solo dissipando, gli stanno voltando le spalle.
A maggior ragione occorre scendere in piazza a Roma il prossimo 12 ottobre rispondendo all'Appello LIBERIAMO L'ITALIA.
Oggi andrà in scena l'ennesimo atto della stucchevole sceneggiata che dura ormai da mesi. Non è detto che sia l'ultima.
Il Parlamento vota sul TAV. Piddini e berluscones voteranno a favore, assieme alla Lega. Potrebbero far saltare il governo, se solo lo volessero — ad esempio assentandosi dall'Aula al momento del voto. Non lo faranno, terrorizzati dallo spauracchio di elezioni anticipate che segnerebbero una loro ennesima batosta. Ancor più atterriti dal rischio di tornare alle urne, i 5 stelle, costretti a presentare una mozione contro il TAV. Pagliacciata senza precedenti: prima lasciano che il Consiglio dei ministri (nel quale hanno la maggioranza assoluta) approvi il buco con la Francia, poi, con la faccia come il culo, chiedono al Parlamento che dica l'ultima parola, in realtà sapendo e sperando che la loro mozione venga bocciata.
Questa è l'ultima di una serie di clamorose bestialità compiute dalla cricca di Di Maio per autodistruggere il Movimento. La più grande senza dubbio è stata il voto per la Von Der Leyen, voto col quale la cricca ha compiuto un giuramento solenne di fedeltà all'eurocrazia ed ai poteri forti italiani.
D'altra parte abbiamo il Salvini il quale, nella botte di ferro dei sondaggi che lo vedono in grande spolvero, sbraiata e minaccia sfracelli in caso non si faccia come dice lui.
Ma cos'è che propriamente dice lui? Quali sono davvero i suoi desiderata? Quale il suo disegno politico?
Non si capisce, e se non si capisce non è perché non siamo in grado di decifrarli. Non si capisce perché molto probabilmente non lo sa nemmeno lui. Semplicemente, credendo di essere il dominus della scena, si permette di maramaldeggiare, di fare lo sbruffone, di dire, sulle cose serie, tutto e il suo contrario. Avendo capito che per il momento basta e avanza la sua linea del pugno duro sulla sicurezza e sull'immigrazione. Lì si ferma e porta all'incasso.
Sulle cose serie —come far ripartire l'economia e l'occupazione, come rilanciare una domanda interna asfittica, come risolvere i drammatici problemi sociali del popolo lavoratore (che in buona parte lo voterebbe) — cazzeggia, urlando ai quattro venti "Flat tax! Flat tax!", confermando quindi la sua fede liberista, per cui, parole sue, "non è lo Stato che crea lavoro ma le imprese".
E su questa cosiddetta "Flat tax" promette sfracelli, che non cederà un millimetro con l'Unione europea in merito alla prossima Legge di bilancio. C'è solo un problema in questa narrazione: essa è ingannevole. La Ue potrebbe ben accettare di concedere una riduzione fiscale a favore delle imprese a patto che a ciò corrisponda un taglio di pari proporzioni della spesa sociale, con in più ulteriori privatizzazioni.
Salvini, e ancor più Giorgetti, lo sanno bene. Il rischio è che dunque non solo l'eurista Tria resti al suo posto, ma che la Legge di bilancio la faccia proprio lui di concerto con Bruxelles.
Giorni addietro dicevo che avendo lasciato passare il momento buono per rovesciare il tavolo, non è più Salvini ad avere "il pallino in mano". Ciò sembrerebbe contraddetto dalla sua sparata di ieri per cui "o si fa come dico io o si va alle elezioni!". Bluff o delirio di onnipotenza? Tutte e due le cose.
I governi si fanno cadere per motivi seri, che i cittadini capiscono. Tranne i suoi peones nessuno giustificherebbe una crisi di governo solo per permettergli di ottenere il suo proprio successo elettorale. Il motivo serio Salvini lo avrebbe, ed è appunto il rifiuto di votare una Legge di bilancio austeritaria che aggraverebbe l'attuale recessione.
Ma fare cose serie non è nelle corde di questo governo-zombi, e nemmeno di Salvini medesimo. Tutti sperano che passi la nottata, che a Bruxelles siano clementi, che non sopraggiunga nel frattempo una bolla finanziaria globale con tanto di nuovo collasso dell'economia, come e peggio di quella di dieci anni fa.
Sia come sia questi apprendisti stregoni di M5s e Lega, invece di fare tesoro della potente ondata di protesta scaricatasi nelle urne il 4 marzo dell'anno scorso, la stanno non solo dissipando, gli stanno voltando le spalle.
A maggior ragione occorre scendere in piazza a Roma il prossimo 12 ottobre rispondendo all'Appello LIBERIAMO L'ITALIA.
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martedì 12 marzo 2019
ITALIA IN RECESSIONE, PERCHÉ? di Piemme
[ 12 marzo 2019 ]
Dunque l’economia italiana è entrata, a partire dall’ultimo trimestre del 2018, in recessione (ne scrivevamo giorni addietro).
La grande macchina della propaganda di regime ha subito scovato il colpevole, il governo giallo-verde.
E’ davvero così? No che non è così, e ce lo dicono i numeri.
Numeri che gli stessi vessilliferi neoliberisti nonché nemici giurati del governo tirano in ballo, ciò facendo smentendo sé stessi.
Un esempio lampante di come questi signori s’impappinano impigliandosi in clamorose contraddizioni, ce lo fornisce un bocconiano di ferro, Francesco Daveri, docente di Macroeconomia, intervistato da Il Sole 24 Ore. Ascoltare per credere.
Ma che ci dice in buona sostanza il Daveri?
Che malgrado il rallentamento dell’economia tedesca — “se la Germania va meno bene noi andiamo meno bene perché siamo fortemente integrati, e questo ha lasciato un segno” —, i dati dell’Istat riferiti al quarto trimestre 2018 mostrano che il “contributo netto della domanda estera è stato positivo”. Traduzione: siccome il saldo tra le esportazioni rispetto alle importazioni è stato positivo, la recessione non dipende anzitutto da fattori esogeni.
Da che dipende allora? Afferma Daveri che la causa primaria è stata il calo della domanda interna e degli investimenti.
Anche un profano capisce, dal momento che le due misure principali del governo sono quelle del Reddito di cittadinanza e Quota 100 (che per definizione sono misure dedicate a aumentare la domanda interna), non solo esse non han causato la recessione, ma vanno proprio nel senso contrario. Per dirla con Keynes: in fasi recessive la domanda aggregata è funzione reale dell’offerta di moneta.
Se dunque una critica si può fare al governo giallo-verde è semmai che con la Legge di bilancio è stato fatto troppo poco, che per risollevare la domanda interna occorrerebbero ben più coraggiose misure, tra cui appunto, un piano massiccio di investimenti pubblici nonché forti aumenti salariali.
Già, ma se proprio occorre cercare un colpevole, di chi è se non dell’Unione europea che ha costretto il governo a recedere dal già modesto 2,4% di deficit per accettare il 2,04? Di chi la colpa della recessione e se è stato fatto troppo poco se non dell’Unione europea e delle sue regole sul pareggio di bilancio? Di chi la colpa se non del fatto che l’Italia è stata privata della sua sovranità monetaria non potendo emettere moneta ma solo prenderla in prestito dalla Bce?
Ciononostante l’organo della Confindustria titola “Perché la legge di bilancio non è piaciuta ai mercati e all’Europa”. E perché, malgrado vada nella direzione di aggredire la prima causa della recessione (la stagnante da più di un decennio domanda interna, crollata, detto per inciso, con la cura Monti) la manovra non piace? E’ presto detto: perché stante le regole europee (Pareggio di bilancio in primis, le clausole del Fiscal compact, ecc.) né Reddito di cittadinanza né Quota 100 sarebbero “misure sostenibili nel tempo”. E perché non sarebbero sostenibili? Perché l’Italia, per rientrare nei parametri Ue dovrebbe con la prossima Legge di bilancio 2020, ammesso che ciò basti agli eurocrati, far scattare le famigerate “clausole di salvaguardia), ovvero aumentare l’Iva sui tutti i beni di consumo appunto per mantenere il deficit pubblico sotto il 3%, pena pesanti sanzioni. Quindi una letale mazzata ai consumi che trasformerebbe l’attuale mini-recessione in recessione dispiegata.
E’ facile intuire che la tregua tra governo e Commissione sancita con l’ultima legge di bilancio sarà seppellita non appena si saranno chiuse le urne delle europee. La Commissione passerà all’attacco chiedendo al governo un Def e une Legge di bilancio 2020 fortemente austeritaria e forse già a giugno una “manovra correttiva”.
C’è chi scommette sul fatto che questo governo capitolerà come ha fatto Tsipras in Grecia. Noi non ne siamo così sicuri. Né tantomeno ce lo auguriamo, come fa invece il grande fronte trasversale guidato dai poteri forti euro-liberisti.
Dunque l’economia italiana è entrata, a partire dall’ultimo trimestre del 2018, in recessione (ne scrivevamo giorni addietro).
La grande macchina della propaganda di regime ha subito scovato il colpevole, il governo giallo-verde.
E’ davvero così? No che non è così, e ce lo dicono i numeri.
Numeri che gli stessi vessilliferi neoliberisti nonché nemici giurati del governo tirano in ballo, ciò facendo smentendo sé stessi.
Un esempio lampante di come questi signori s’impappinano impigliandosi in clamorose contraddizioni, ce lo fornisce un bocconiano di ferro, Francesco Daveri, docente di Macroeconomia, intervistato da Il Sole 24 Ore. Ascoltare per credere.
Ma che ci dice in buona sostanza il Daveri?
Che malgrado il rallentamento dell’economia tedesca — “se la Germania va meno bene noi andiamo meno bene perché siamo fortemente integrati, e questo ha lasciato un segno” —, i dati dell’Istat riferiti al quarto trimestre 2018 mostrano che il “contributo netto della domanda estera è stato positivo”. Traduzione: siccome il saldo tra le esportazioni rispetto alle importazioni è stato positivo, la recessione non dipende anzitutto da fattori esogeni.
Da che dipende allora? Afferma Daveri che la causa primaria è stata il calo della domanda interna e degli investimenti.
Anche un profano capisce, dal momento che le due misure principali del governo sono quelle del Reddito di cittadinanza e Quota 100 (che per definizione sono misure dedicate a aumentare la domanda interna), non solo esse non han causato la recessione, ma vanno proprio nel senso contrario. Per dirla con Keynes: in fasi recessive la domanda aggregata è funzione reale dell’offerta di moneta.
Se dunque una critica si può fare al governo giallo-verde è semmai che con la Legge di bilancio è stato fatto troppo poco, che per risollevare la domanda interna occorrerebbero ben più coraggiose misure, tra cui appunto, un piano massiccio di investimenti pubblici nonché forti aumenti salariali.
Già, ma se proprio occorre cercare un colpevole, di chi è se non dell’Unione europea che ha costretto il governo a recedere dal già modesto 2,4% di deficit per accettare il 2,04? Di chi la colpa della recessione e se è stato fatto troppo poco se non dell’Unione europea e delle sue regole sul pareggio di bilancio? Di chi la colpa se non del fatto che l’Italia è stata privata della sua sovranità monetaria non potendo emettere moneta ma solo prenderla in prestito dalla Bce?
Ciononostante l’organo della Confindustria titola “Perché la legge di bilancio non è piaciuta ai mercati e all’Europa”. E perché, malgrado vada nella direzione di aggredire la prima causa della recessione (la stagnante da più di un decennio domanda interna, crollata, detto per inciso, con la cura Monti) la manovra non piace? E’ presto detto: perché stante le regole europee (Pareggio di bilancio in primis, le clausole del Fiscal compact, ecc.) né Reddito di cittadinanza né Quota 100 sarebbero “misure sostenibili nel tempo”. E perché non sarebbero sostenibili? Perché l’Italia, per rientrare nei parametri Ue dovrebbe con la prossima Legge di bilancio 2020, ammesso che ciò basti agli eurocrati, far scattare le famigerate “clausole di salvaguardia), ovvero aumentare l’Iva sui tutti i beni di consumo appunto per mantenere il deficit pubblico sotto il 3%, pena pesanti sanzioni. Quindi una letale mazzata ai consumi che trasformerebbe l’attuale mini-recessione in recessione dispiegata.
E’ facile intuire che la tregua tra governo e Commissione sancita con l’ultima legge di bilancio sarà seppellita non appena si saranno chiuse le urne delle europee. La Commissione passerà all’attacco chiedendo al governo un Def e une Legge di bilancio 2020 fortemente austeritaria e forse già a giugno una “manovra correttiva”.
C’è chi scommette sul fatto che questo governo capitolerà come ha fatto Tsipras in Grecia. Noi non ne siamo così sicuri. Né tantomeno ce lo auguriamo, come fa invece il grande fronte trasversale guidato dai poteri forti euro-liberisti.
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