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martedì 21 maggio 2019

IL NOSTRO DONBASS di Willi Langthaler

[ martedì 21 maggio 2019 ]

Giorni addietro davamo conto della partecipazione di Fabio Frati, del Cc di Programma 101, alle celebrazioni per il quinto anniversario della fondazione delle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk. Con Fabio c'erano altri compagni europei: francesi, tedeschi, austriaci, serbi, polacchi, ecc.
Di seguito le considerazioni di viaggio di Willi Langthaler, della sinistra patriottica  austriaca e portavoce del Campo Antimperialista.

*  *  *

In occasione delle celebrazioni della liberazione dall’occupazione nazista (9 maggio) e del quinto anniversario della fondazione delle Repubbliche del Donbass (11-12 maggio), una delegazione di 9 membri del movimento austriaco per la pace e la neutralità si è recata nei giorni scorsi nelle zone ribelli dell'Ucraina orientale.

Malgrado una visita di pochi giorni, ogni osservatore ha potuto rendersi conto che alcune narrazioni, diffuse dai media occidentali sui cosiddetti territori separatisti, sono smentite in modo sfacciato. Almeno nelle capitali, Donetsk e Lugansk, prevale la normale vita di tutti i giorni. Non si può dunque parlare di situazione di guerra o stato di emergenza. Le tracce della guerra le si deve andare a vedere. Si pensi a Parigi, davvero militarizzata. D'altra parte, si vedono in Donbass le difficoltà economiche, le conseguenze sociali della situazione incerta e la mancanza di investimenti.

Politicamente e culturalmente, si potrebbe parlare di una sorta di Risovietizzazione politica, anche se le basi e le cause sociali sono completamente diverse. Due momenti stanno creando l’identità per le repubbliche popolari: da un lato, la centralità della classe operaia nell'industria del carbone e dell'acciaio, che da centralità ad un "proletariato" inimmaginabile nel nostro paese. Non c'è mai stata un'élite borghese e gli oligarchi che sono emersi negli ultimi decenni, sono scappati con la guerra civile. I protostati nacquero da una rivolta popolare vera che ha partorito una nuova leadership. Soprattutto a Lugansk, dove il carbone e l'acciaio sono ancora dominanti, qui i sindacati la fanno da padrone. Si potrebbe quindi parlare di una repubblica sindacale. Donetsk aveva più industria meccanica e una realtà metropolitana più importante.

D'altra parte, c'è la vittoria sul nazismo tedesco, che è stato vinto soprattutto in questa regione con un bilancio particolarmente elevato. Ecco perché la connessione del nazionalismo ucraino alla tradizione nazista con Bandera & Co causa controreazioni particolarmente violente. Non per niente i numerosi monumenti sovietici sono intatti e continueranno ad essere onorati. Lenin lo si vede dappertutto.


Il 9 maggio è certamente un'alta priorità anche nella Federazione Russa, ma nel Donbass abbiamo a che fare con un'enorme mobilitazione dal basso, ancor più del 1° maggio, di cui molti degli altri partecipanti ci avevano parlato, oltre che i giorni fondatori delle repubbliche popolari. Tre volte in meno di due settimane, le masse scendono in piazza. Sebbene, ovviamente, le autorità sovrintendono all'organizzazione della partecipazione, un elemento di volontarietà spontanea è molto evidente. A questo proposito, il termine rivolta popolare è ancora valido, anche per quanto riguarda il 2014 militare e gli anni successivi. Se la Russia può aver sostenuto la rivolta, il punto di forza è stata la resistenza popolare. 

Un elemento nazionalista grande russo, che noi davamo per scontato, non è in alcun modo apprezzabile. La Chiesa ortodossa non giocò praticamente alcun ruolo, a differenza della stessa Russia, dove invece ha un grande peso. Persino i cosacchi, che si presentano nella regione come un momento di identità potenzialmente conservatrice nel senso di una meccanica culturale di stato, appaiono poco più che folklore, tranne che in un senso antifascista, non è un caso che, ad esempio, il monumento di Shevchenko — il poeta nazionale ucraino usato dai nazionalisti — non è stato rimosso. Si tratta del segnale consapevole che si è avuta una rivolta democratica e antifascista, non nazionalista. Senza dimenticare che il Donbass era un crogiolo sovietico, a differenza della Crimea russo-imperiale.

Le questioni della situazione economica e le prospettive di sviluppo non possono essere messe a fuoco con la necessaria profondità in una visita di pochi giorni. Tuttavia, il ruolo schiacciante dello Stato è chiaro. Gli oligarchi sono scomparsi. Sebbene la loro proprietà sia stata formalmente preservata, la maggior parte dei governi ha dovuto intervenire e organizzarsi, senza dimenticare che non esiste un regolare sistema bancario e quindi nessun credito commerciale.

Formalmente, tutte le relazioni economiche con l’Ucraina di Kiev sembrano interrotte. Tuttavia senti dire che un qualche scambio commerciale c’è ancora. Il carbone del Donbass trova ancora la strada per raggiungere le sue vecchie aree di vendita. Il fatto che i nazionalisti ucraini e i radicali di destra abbiano accusato i propri oligarchi di continuare le relazioni economiche nel corso dell'imposizione del blocco della Donbass indica che ciò è avvenuto.

L'opportunità annunciata da Putin di rilasciare passaporti russi è stata accolta con entusiasmo. Grazie a questo è finalmente tornato disponibile per i cittadini del Donbass un documento di viaggio utilizzabile a livello internazionale, visto che non è possibile rinnovare i passaporti ucraini nelle Repubbliche popolari.

Anche se Mosca stessa non ne vuole sapere, e per questo motivo anche i vertici delle repubbliche popolari stanno frenando, praticamente tutti vogliono la connessione con la Russia — anche per ragioni piuttosto pragmatiche. Sia che si tratti dell'enorme differenza sociale: un minatore del Donbass guadagna 25.000 Rubli (circa 350 €), nel Kuzbass russo due o tre volte più — sia in vista della normalizzazione della situazione economica che dell'integrazione dell'industria pesante e metallurgica.

Nessuno crede davvero alla "pace di Minsk" e all'autonomia in seno all'Ucraina in essa prevista, Kiev ha dimostrato di essere militarista ed estremista. La guerra fratricida imposta dagli estremisti di destra della regione perpetrata dal regime di Maidan appare fratricida e priva di senso. Tuttavia, l’ipotesi dell’autonomia resta sul tappeto come ipotesi politica, almeno finché non è esclusa una rivoluzione democratica vittoriosa a Kiev.

Da notare le differenze tra Donetsk e Lugansk: Donetsk è più vicina alla Russia putiniana, mentre Lugansk affianca l'emblema nazionale ai simboli sovietici. A Donetsk le celebrazioni sono state organizzate dal ministero, a Lugansk dei sindacati.

Per quanto riguarda certe destre dell'Europa occidentale, non si può incolpare le repubbliche isolate di accettare il loro sostegno simbolico. Inoltre, le porte per la sinistra sono aperte, e lo saranno di più in futuro. Quando Werner Murgg, membro del parlamento della Stiria, ha presentato la grande delegazione austriaca con un totale di quattro comunisti stiriani al ministero degli esteri di Donetsk, tutti erano contenti. Lugansk ha già fatto diversi inviti per il futuro.

In vista del 9 maggio 2020, un'altra delegazione austriaca per la pace è stata concordata dai sindacati di Lugansk. Alcuni articoli sono già stati discussi. Visite nelle fabbriche per capire meglio la situazione sociale ed economica. La lotta antifascista continua.


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martedì 14 maggio 2019

PROGRAMMA 101 NEL DONBASS

Dontetsk, la parata militare
[ 14 maggio 2019 ]

Il 11 maggio 2014, con un referendum, i cittadini della Provincia (oblast) ucraina di Donetsk, nel Donbass, decisero per l'indipendenza dall'Ucraina dopo che con Euromaidan il potere passo nelle mani delle forze di estrema destra filo NATO e e filo Unione europea. Il giorno dopo, 12 maggio 2014, venne ufficialmente proclamata la Repubblica Popolare del Donetsk (Donets'ka Narodna Respublika). Qualche giorno prima, il 28 aprile, era stata fondata la Repubblica Popolare di Lugansk.

In occasione delle celebrazioni per il quinto anniversario della fondazione della Repubblica le autorità hanno invitato ufficialmente Programma 101. Invito che P101 ha accettato di buon grado, inviando una delegazione capeggiata da Fabio Frati che ha portato la solidarietà internazionalista della Sinistra patriottica italiana al popolo e alle autorità della Repubblica. 
A giorni pubblicheremo un'intervista a Fabio.
D'appresso alcune foto.
Fabio Frati (a destra) sulla tomba del comandante Aleksandr Zakharchenko


















Fabio Frati accanto al Presidente della Repubblica Denis Pušilin


















Fabio sul palco delle autorità
durante la parata militare


























Sfilano le diverse associazioni dei cittadini (1)











Sfilano le diverse associazioni dei cittadini (2)














martedì 4 settembre 2018

DONBASS: CHI HA UCCISO ZAKHARCHENKO di F.f

[ 4 agosto 2018 ]

Alexander Zakharchenko [nella foto], capo indiscusso della Repubblica Popolare di Donetsk, una delle repubbliche separatiste del Donbass, è rimasto ucciso il 30 agosto in un attentato nel centro della città. Dopo aver combattuto al fronte, Zakharchenko, 42 anni, era stato nominato primo ministro della Repubblica Popolare di Donetsk l’8 agosto 2014. Il 2 novembre dello stesso anno era stato eletto presidente con il 75% dei consensi. Nel febbraio 2015 aveva partecipato alle trattative per la stesura del trattato di pace di Minsk II. 
La sua dipartita — di contro a tanta retorica e disinformazione —è occasione per mettere meglio a fuoco, assieme alla sua figura, la natura (contraddittoria) della resistenza del Donbass, e la grande geopolitica che c'è dietro. Volentieri pubblichiamo questo contributo, malgrado dissentiamo su alcuni giudizi.

IL CONTESTO DEL CONFLITTO E L’AZIONE POLITICA DI ZAKHARCHENKO 

In Italia le vicende politiche che riguardano le differenti linee in seno ai cosiddetti “separatisti” del Donbass non sono affatto conosciute. Soprattutto a sinistra. Si continua a ritenere il Cremlino il responsabile di prima istanza della sollevazione della popolazione russofila del Donbass e della conseguente costituzione di Repubbliche popolari che mirano all’indipendenza da Kiev. Ciò è errato e deforma ogni analisi del contesto.

Dopo la riconquista della Crimea, per Vladimir Putin la partita era chiusa, ma probabilmente anche per le varie frazioni del Cremlino; da quella di Surkov, passando per altre, finanche a quella che possiamo considerare — come diceva Kirill Vasilev) autenticamente Neofascista, poiché ritiene che la Russia sarà a breve assediata, se già non lo è…, e dunque occorrerebbe puntare su una più decisa “politica di potenza” (non solo in senso militare ma anche e soprattutto ideologico-culturale) di sostanza Imperialista, trasformando la politica interna, con il sostegno strategico e ideologico alla “nuova classe media” e piccola borghesia, in trampolino offensivo di una grande politica globale russista.

Ma in realtà, se è un errore interpretare il forte grado di instabilità interna che ha caratterizzato la vita delle Repubbliche popolari del Donbass come contrassegnato in primo luogo, esclusivamente, da dissidi ideologici, è altrettanto un errore, anche più grande, considerare le milizie “separatiste” come milizie al servizio personale di Vladimir Putin.

La sollevazione del Donbass fu in primo luogo un evento spontaneo, non preventivato in quelle dimensioni né da Kiev, né tantomeno dal Cremlino; in secondo luogo, inevitabilmente, finì per raccogliere il necessario e inevitabile aiuto (che non significa consenso, si noti bene) di quegli elementi del complesso militar-industriale più sensibili alla visione imperiale grande-russa. La linea prevalente al Cremlino, anche dopo l’apertura del conflitto in Donbass, era quella dell’autonomia del Donbass come parte dello Stato ucraino, non come "Piccola Russia" (Malorossija) entro il quadro strategico della Grande Russia, come teorizzavano di contro gli elementi più ideologizzati del mondo separatista. Non a caso Boris Rapoport, più sensibile alla visione imperiale e più sensibile alla causa “separista”, fu silenziato e rimosso dalla sua funzione di principale responsabile della politica di Mosca verso i “separatisti”. Vennero egualmente rimossi, dal fronte di guerra, il comandante Igor Bezler “Bes”, che controllava la città strategica di Gorlovcka e il cosacco Kozicyn, che, secondo l’accusa, avrebbe creato il caos militare e politico con le sue truppe nella Repubblica di Lugansk


Lo snodo fondamentale per comprendere questi eventi si ha comunque nel luglio 2014, nel corso della battaglia di Slavyansk. Va tenuto presente che si ebbe in quel caso una partita a tre.

Da una parte il cerchio putiniano,
Cristo Pantocrator, uno dei simboli di Novorossija
assolutamente e quasi totalmente dominato dal timore che la battaglia per Slavyanks conducesse a una carneficina inaudita e un nuovo “scenario ceceno” alle porte di Mosca, ma delegittimato dalla ribellione in corso a Doneck: poi l’esercito e la guardia nazionale ucraina che, sostenute dalla NATO e dalla UE, puntavano alla riconquista del Donbass; infine il Neo-zarista Igor Girkin, cultore dei Bianchi durante la guerra civile antibolscevica, ossia il comandante Strelkov, già elemento centrale e decisivo nella conquista della Crimea, poi carismatica guida dei “Ribelli” del Donbass che stava giocando una sua partita politica e strategica, di assoluta indipendenza tattica da Mosca (per un ritratto di Strelkov, si veda QUI).


I “separatisti”e i reparti armati di Strelkov, privati di rifornimenti, erano costretti a lasciare Slavyansks la notte tra il 4 e luglio dirigendosi prima a Kramatorsk, e poi ripiegando in massa nella “capitale” della RPD Doneck. L’esercito e la guardia nazionale di Kiev riprendevano così il controllo di Slavyansks in modo pressoché pacifico (fino al 10 luglio circa si sentirono comunque spari nei quartieri di periferia). Rimaneva, per chi ebbe modo di transitarvi in quei giorni, l’immagine di una città spettrale e vuota, abbandonata dai suoi abitanti, con moltissime case danneggiate da colpi di mortaio, ma non dissanguata da distruzioni su vasta scala. Lo scenario Grozny, il più temuto dal Presidente Putin, era quindi evitato; l’allora vicepremier della RPD, Andrey Purgin, rendeva noto che a Slavyansk era rimasto il 20% circa della popolazione; Slavyansk prima del conflitto aveva 120.000 abitanti. Slavyansk, nella partita politica in corso, significava dunque la sconfitta del carismatico Strelkov e della sua “compagnia di ventura”; certamente, nella cerchia di Putin tirarono un sospiro di sollievo, una vittoria di Strelkov sarebbe stato per il Presidente un incubo peggiore di un trionfo su tutta la linea della guardia nazionale ucraina; ma perché quel complesso militare industriale che Kirill indica come "neo-fascista Panrusso" non appoggiò, se non nel modo minimo necessario per non farla fisicamente perire, la linea Strelkov, lasciando il comandante proprio al momento decisivo privo di armi strategiche e rendendo necessario il suo ripiegamento e la sua successiva uscita di scena?

Fu una visione strategica che ha sempre caratterizzato la linea Panrussa.

Questa linea Imperialista e neofascista, presente nell’estrema periferia della politica centrale moscovita, sa che l’Ucraina è ancora oggi in larga parte insofferente alla naturale fratellanza con Mosca in larga parte a causa delle feroce e spietata politica staliniana degli anni trenta del ‘900. Replicare oggi la linea della guerra civile (Sì GUERRA CIVILE…..visto che soprattutto i più radicali Imperialisti russi considerano a ragione l’Ucraina la mitica culla della civiltà spirituale russa ortodossa), sarebbe un suicidio, imperdonabile, dell’ideale strategico imperiale grande-russo. 

Anche i neonazisti che erano pur presenti, all’inizio, con i Ribelli del Donbass vennero silenziati e emarginati per questo motivo; secondo questa visione Panrussa, non esiste ideologicamente una razza russa, come sostengono i nazisti russi, ma esiste invece il mito di un imperialismo ortodosso granderusso (Mosca Terza Roma). Va precisato, comunque, che la quasi totalità dei neonazisti russi sostiene l’Ucraina e ha dato moltissimi volontari ai vari battaglioni razzisti e suprematisti ucraini. Venne quasi ricercato invece, da parte dei Panrussi, il consenso di fazioni “neofasciste” europee occidentali e al tempo stesso di quelle, ormai rare, componenti di sinistra nazionalista e antimondialista. La lotta ideologica politica e di “clan” si svolgeva su queste direttive; dove passava dunque il fronte, come si suol dire in tali casi?

Un Imperialista russo, addirittura “neofascista” come dice Kirill Vasilev, non avrebbe mai potuto dire nell’Estate 2014: “Vladimir Putin marcia su Kiev…..”, come affermava invece A. Dughin. La linea “neofascista” panrussista, se così la vogliamo chiamare, legge d’altra parte l’intera storia russa all’insegna del conflitto strategico, di civiltà, con Londra e con il mondo anglosassone; la guerra civile con Kiev sarebbe perciò stato l’abbocco in una trappola politica del Nemico e in una sorta di suicidio strategico. Proprio la linea panrussista si imponeva sullo stesso Putin, aprendo gli occhi al Cremlino sul grave tranello in cui la Russia stava cadendo.

In questo contesto, non a caso, in prossimità del 15 agosto 2014, si affermava nelle lotte interne alle Repubbliche popolari, con il consenso di Mosca (soprattutto della linea Panrussa di cui ho appena parlato), Aleksandr Zakharchenko. Si dimetteva Bolotov, leader della Repubblica popolare di Lugansk (RPL); si dimetteva Pushilin, leader della RPD; tornavano in Russia Strelkov e Boroday. Zakharchenko, elettricista, esponente locale, veniva da esperienze politiche neofasciste (come del resto Pavel Gubarev) ed era stato leader delle milizie “Oplot”, che aveva legami con il Partito delle regioni. Zakharchenko era portato alla mediazione politica con Kiev, con l’UE, con l’oligarcato dell’Ucraina orientale (che in realtà aveva mal-digerito la maldestra e stupida prova di forza di Kiev) e con il noto R. Akhmetov. Zakharchenko non era esponente, dunque, del partito militarista che mirava al blitzkrieg direzione Kiev; tutt’altro. Combattente, più volte ferito al fronte, aveva però alte capacità di relazione umana e di politico autentico.

Proprio la componente più estremista dell’Imperialismo panrusso, che aveva in passato incalzato Putin e i suoi per talune loro posizioni eccessivamente “liberali”, liberiste e di eccessivo compromesso tattico con Londra e UK, caldeggiava invece in Donbass la soluzione politica Zakharchenko, risolvendo così la grana in cui lo stesso Cremlino era caduto. Era chiaramente la sconfitta definitiva della linea della mobilitazione totale e della guerra lunga verso Kiev (sebbene molti leader militari “ribelli”, presi dal vortice, faticheranno a capirlo insistendo su questa direttiva errata); era invece la consacrazione della fase tattica, della fase diplomatica e politica, che contemplava solo piccoli assalti ai fianchi e grandi avanzamenti laterali in una comune prospettiva russista, nella certezza che l’Ucraina non poteva vivere e crescere senza la fratellanza con la Mosca. I fatti, possiamo dirlo oggi, daranno ragione proprio ai panrussi. Kiev vive in una situazione di stallo permanente. Non sono i soldi della Germania a farla rinascere; e la vittoria di Trump in USA ha messo la fanatica Ucraina neonazista e antirussa con le spalle al muro!

Zakharchenko, di contro, sarebbe riuscito nella sua missione. Le Repubbliche popolari, pur nel contesto terribile e disperato che tutti conosciamo, sopravvivevano e non cedevano alle tremende pressioni cui erano sottoposte.

Si parla continuamente, con improbabili fake news, dopo il suo omicidio, di recenti dissidi con Mosca.

I dissidi con Mosca sono l’ultimo dei problemi. Da grande patriota quale era, Zakharchenko rivendicò dal primo giorno ciò che spettava alla sua gente sotto assedio e cercò di strappare tutto quel che poteva a Mosca. Dissidi tra Zakharchenko e Mosca ci furono quindi dall’agosto ’14 e andarono avanti sino al 30 agosto’18. Ma altrettanto certo è che proprio le componenti panrussiste di Mosca avevano trovato in lui la figura politica-diplomatica ideale in quel contesto. Assolutamente improbabile che lo abbiano “bruciato”: da escludere. Molto più probabile un lavoro su commissione del britannico MI6. Questo è solo l’inizio di una calda escalation antirussa che si va annunciando, causata dal progetto Nord-Stream 2. Va detto, infine, che non sono state di circostanza le parole commosse con cui il Presidente russo ha poco dopo l’attentato salutato il martirio del leader della RPD: come si sarà capito Zakharchenko tolse a Mosca, in un momento tragico, le castagne dal fuoco nella Novorossiya.
L'aquila russa devasta la bandiera di Pravy Sector


Fascismo e Antifascismo in RPD e in Zakharchenko

In Italia, ideologicamente, si parla molto di antifascismo o neofascismo della RPD. Senza conoscere la storia russa e gli ideali, le emozioni, le aspettative che dominano.

In realtà, prima di cadere nella guerra delle parole e degli slogan propagandistici, bisognerebbe aver chiaro che quando, seguendo la retorica ufficiale, in RPD si parla di Antifascismo, esso non fa rima con Antimperialismo.

Bisognerebbe poi analizzare un documento ufficiale della propaganda ideologica della RPD, “Noi siamo la Controrivoluzione russa” mai pubblicato in italiano. Per quanto contro-rivoluzione rimandi all’ideologia del contro-Maidan, la sostanza politica proviene dalla linea nera del patriarcato di Mosca e dal nazionalismo panrusso di Safarevich e Solzenicyn. La rivoluzione russa è completamente demonizzata quale frutto di una cospirazione russofobica, ebraica e straniera e si concepisce l’Euromaidan in continuità antirussa con la Rivoluzione d’Ottobre. L’unico Socialismo accettato è quello cristiano-ortodosso e nazionalista che deriva dall’ultimo Dostoevskij, non esisterebbe dunque un marxismo socialista, poiché non può esistere un socialismo anticristiano. Stalin e Breznev vengono riabilitati, a differenza di Lenin e Trockij, dalla ideologia ufficiale della RPD; solo in parte però in quanto “la loro negazione dell’ideologia marxista comunista…fu solo parziale”, come non venne messa la parola fine alla terribile persecuzione anticristiana che caratterizzò il bolscevismo russo. Allo stesso modo, le varie Costituzioni delle Repubbliche popolari confermano, oltre la retorica, l’Anticomunismo di fondo della dottrina politica. Il culto dei valori tradizionalisti ortodossi è la cartina di tornasole che differenzia uno Stato in ordine da uno “degenerato” e corrotto. La Costituzione della RPD (14 maggio 2014) nell’art. 6.5 proclama che alla base della politica vi è il rispetto del Tradizionalismo ortodosso del mondo russo e la religione del patriarcato di Mosca è considerata Religione di stato (art. 9.2). Il Cristo combattente e pantocrator è il simbolo universale condiviso delle milizie russofile. Il radicale antieuropeismo ideologico della RPD è dovuto alla sostanza liberaldemocratica e “anticristiana” della ideologia europea. Tra gli europei dominerebbe la sodomia e la corruzione sessuale; spesso i militanti del “separatismo” definiscono sprezzantemente Gayopa Bruxelles e l’UE, la Francia a loro avviso sarebbe una nazione “omosessuale” ed eterofoba, l’esempio perfetto di tutto ciò che i Russi non devono fare, una nazione in cui a breve l’islamizzazione strisciante potrebbe portare alla Sharia e ai ghetti per i resistenti cristiani. Onde evitare questo tragico quadro per il mondo ortodosso, l’ideologia RPD si riconosce nella promozione quotidiana e capillare del nazionalismo grande-russo e combatte dunque per la sua affermazione. Questo il punto centrale.

Zakharchenko si riconosceva completamente in questa visione del mondo, sono note talune sue conferenze in cui attribuiva alla “perversa” regia tedesca e ebraica la Rivoluzione d’Ottobre e in cui sosteneva che la Russia deve oggi massimamente difendere la sua identità cristiano-ortodossa da un presunto attacco islamico sostenuto e eterodiretto dagli Anglosassoni, come avrebbe mostrato la guerra cecena.

lunedì 31 ottobre 2016

OMBRE RUSSE A SALERNO di P101


[ 31 ottobre ]

SALERNO

Domenica 6 novembre, alle ore 20, presso il circolo "Mumble-Rumble" di via Loria, 35 (quartiere Pastena) il P101- Movimento di Liberazione Popolare organizza una serata di cultura russa con letture poetiche in lingua e in italiano, musica tradizionale, dibattito ed altro.
I brani verranno letti oltre che dai componenti del movimento, da attori e dicitori professionisti come i proff. Mimma Virtuoso, Anna Rotunno e Rino Graziano (docenti del Liceo "De Sanctis" di Salerno). Durante la serata verrà tentato un collegamento via Skype col Donbass, per dare voce ai protagonisti su una guerra dimenticata in un periodo di grave e rinnovata tensione internazionale.
Nello De Bellis
Comunicato Stampa

"Abbiamo deciso di dar vita a questa iniziativa —hanno dichiarato gli esponenti locali di P101-Movimento Popolare di Liberazione, Nello De Bellis, Maurizio del Grippo, Franco Maggio e Nina Tòlstikova, per ricordare in un momento come questo in cui la Russia è percepita come una potenza minacciosa e ostile, a causa di una incessante campagna mediatica, il grande contributo della cultura russa alla civiltà mondiale: dalla spiritualità ortodossa in cui rivive la patristica greca, alla grande letteratura del XIX e XX secolo, momento decisivo della cultura mondiale, alla stessa rivoluzione del 1917, risposta legittima al bagno di sangue determinato dal massacro imperialistico della Grande Guerra.

Siamo dalla parte della Russia attuale, che non è più quella dell'ubriacone El'cin, né del liquidatore fallimentare Gorbaciòv, non per un riflesso ideologico condizionato, ma perché la Russia di oggi, pur non esprimendo un'alternativa radicale, come ai tempi dell'URSS, al sistema liberalcapitalistico, può opporsi allo strapotere del capitalismo euro-atlantico, radicato negli Stati Uniti e nell'Unione europea, che non a caso individuano nella Russia il capro espiatorio della grave crisi sistemica che travaglia l'Occidente e nello stesso tempo l'unico serio ostacolo alle mire imperialistiche del modello neoliberista.

In tal senso, nel momento in cui le imminenti elezioni alla Casa Bianca, lo rimettono fortemente in discussione, essa può garantire l'equilibrio di un mondo multipolare. 
Ciò è particolarmente importante per noi europei che ci troviamo nell'epicentro della crisi, perché dopo la fine del bipolarismo Est-Ovest è emersa sempre più la tendenza degli USA a dominare il mondo in forma unipolare e perché la loro super-potenza è sconfinata sempre più nella prepotenza." 
«Alla serata parteciperanno —hanno aggiunto gli organizzatori—degli amici della Repubblica indipendente di Lugànsk (mediante collegamento Skype) che forniranno la loro viva testimonianza sul conflitto nel Donbass, conseguenza del colpo di Stato di piazza Majdàn a Kiev, che depose con la forza il Presidente ucraino legittimamente eletto Janukovic, sostituendolo con l'attuale governo, espressione di forze storiche nazi-fasciste appoggiate ed imposte da USA e UE».

martedì 13 settembre 2016

VASILIJ VOLGA: "L'UNIONE EUROPEA È RESPONSABILE PER LA GUERRA CIVILE IN UCRAINA"

[ 13 settembre ]

Vasilij Volga [nella foto] sarà uno dei protagonisti del III. Forum Internazionale No Euro. Una presenza eccezionale...
Vasilij, da poco uscito di prigione dopo tre anni e mezzo di ingiusta detenzione, è presidente dell'Unione delle forze di sinistra dell'Ucraina, ex deputato, ex capo della Commissione statale di servizi finanziari di Ucraina. 
L'intervista è di Wilhelm Langthaler.


D. Qual è il vostro giudizio sull'accordo di libero scambio tra l'Ucraina e l'Unione europea?
R. L'accordo è altamente dannoso per l'economia nazionale dell'Ucraina. Le forze che attuarono il colpo di stato militare imbellettarono quell'accordo con la Ue, dicendo che sarebbe stato più facile ottenere visti, ecc. Dovremmo disdire immediatamente il contratto di libero scambio e ricostruire i legami economici con la Russia e l'intera regione, al fine di rispettare il nostro interesse nazionale.
La rivolta popolare nelle regioni Orientali era diretta anche contro quell'accordo ingiusto. Se la ribellione avesse vinto, se l'interesse nazionale non fosse stato tradito, la guerra civile avrebbe potuto essere evitata. L'Ucraina avrebbe potuto sviluppare le sue forze economiche in modo dinamico, come un ponte tra l'Europa e l'Asia.

D. Cosa pensi dell'attuale governo guidato da Poroshenko?
R. E un governo criminale, colpevole dell'intero spettro dei crimini contro l'umanità. Al fine di raggiungere i loro obiettivi Poroshenko e il suo team stanno distruggendo le istituzioni statali fondamentali. Essi promuovono e alimentano l'estremismo. Potrei portare molti esempi .

D. L'accordo di Minsk è la strada verso la risoluzione dei conflitti?
R. L'attuazione dell'accordo di Minsk è solo una possibilità per raggiungere la pace. Siamo in costante contatto con i nostri amici nel Donbass, che non è sotto il controllo di Kiev. Vi è infatti la possibilità di riportare la regione in Ucraina se è concessa l'autonomia federale. Ma per questo dovrà esserci la piena attuazione dell'accordo di MIn sk. Una legge di amnistia deve essere approvata, assieme a quella per lo status speciale per il Donbass. Abbiamo bisogno di una missione di monitoraggio internazionale. Dobbiamo combattere ogni provocazione che alimenta la divisione tra le nazioni,i gruppi linguistici ed etnici. Dve essere ripristinato  sistema giuridico, che deve tornare in linea con la costituzione. Se devono punire i mass media e i loro proprietari che hanno spinto per il conflitto. Passo dopo passo dovremo ricostruire uno Stato in cui tutti si riconoscano.

D. Che ruolo ha giocato la UE in questo conflitto?
R. E' stata la stessa Unione europea che ha portato il nostro Paese in questa tragedia. L'Unione europea firmò un piano di pace con i presidente Yanukovich che promisero di rispettare. Invece, mentre questo accordo era in vigore, lo hanno spinto a dimettersi dopo un anno e mezzo. Il giorno successivo la Germania e la Francia sostenevano e legittimavano le forze di estrema destra. Se era un cattivo accordo, perché lo firmarono? Se invece era un buon accordo, perché non hanno attuato?
Se cerchiamo di ricostruire il nostro paese e stabilire la pace come possiamo fidarci di Germania e Francia nel ruolo di mediatori? In ogni caso la UE porta la piena responsabilità per il conflitto —per non parlare degli Stati Uniti.

D. Ci puoi spiegare qual'è progetto del tuo partito, l'Unione delle forze di sinistra?
R. Cerchiamo di formare un'alleanza di forze di sinistra che sono ora totalmente sparpagliate. Il regime ucraino è in procinto di smantellare le ultime tracce dello stato sociale. Tutte le forze politiche che lottano per la giustizia sociale vengono represse. Questo è il senso della cosiddetta legge sulla de-comunistizzazione, legge per cui anche il Partito comunista è stato messo al bando. Né i socialisti né i socialdemocratici riescono ad agire pubblicamente. L'Unione delle forze di sinistra vuole offrire una piattaforma legale per la sinistra che vuole proteggere le restanti conquiste sociali. Son con noi persone di spsicco del partito comunista, membri del partito socialista e della Organizzazione Controllo Civile — una ONG che si è trasformata in una formazione politica.

D. Cosa puoi dirci circa la repressione che hai subito?
R. Le mie possibilità di esprimermi sono molto limitate. Quando sono stato aggredito fisicamente durante una conferenza stampa la scorsa primavera a Zaporozhe molti canali televisivi filmarono l'accaduto. Quindi vi è abbondanza di prove. Ho interpellato il ministro degli interni, la presidenza, il servizio segreto, affinché fosse avviato un procedimento penale. In un messaggio privato del Ministro Avakov ministro c'era una risposta chiara: ogni pubblico ufficiale che lo avesse fatto sarebbe stato licenziato. La magistratura, tuttavia, ha deciso di aprire un' indagine, ma Avakov ha semplicemente deriso tale decisione. Non è successo niente finora. Qualsiasi attività pubblica dal nostro partito è attaccata dai paramilitari Azov e nessuna autorità può muovere un dito contro di loro.

D. Come, in simili condizioni, pensate di partecipare alle elezioni?

R. Io, davvero, non lo so. Le persone sono terrorizzate al momento. La forza fisica è usata contro di noi. Mia moglie è sotto costante terrorismo psicologico da telefonate ed e-mail. Dati tutti questi problemi che non sappiamo se potremo assumerci questa responsabilità.

sabato 3 settembre 2016

III. FORUM NO EURO: LA DELEGAZIONE UCRAINA

[ 3 settembre ]

Confermata la partecipazione della delegazione Ucraina al III. Forum no euro internazionale di Chianciano Terme del 16-18 settembre.
I compagni ucraini (di due di loro, causa delle persecuzioni politiche, non possiamo fornire i nomi) ci spiegheranno la grave situazione in Ucraina e le responsabilità della Ue. 

Siccome gli argomenti socio-economici delle élite a favore del regime eurista vanno evaporando, i sinistri liberisti si rifugiano nel discorso che l'Unione europea avrebbe... assicurato la pace. Ci vine in mente lo sventramento della Jugosvia..

Non solo il libero-scambismo continua a infliggere povertà in Africa e nelle periferie capitaliste nel loro complesso, vengono alimentati sanguinosi conflitti, tra questi quello in Ucraina, che attesta quanto sia falsa la pretesa pacifista degli europeisti. 

L'UE intende forzare l'Ucraina in un accordo di libero scambio neoliberista in gran parte tagliando i suoi vitali legami economici con la Russia. L'accettazione di questo diktat da parte delle forze ucraine filo-Ue ha permesso al blocco nazionalista di prendere il potere. Siccome la stragrande maggioranza della popolazione sud-orientale dell'Ucraina non voleva essere governata da forze anti-russe di destra, è emersa una vasta rivolta popolare che il regime di Kiev ha provato a schiacciare con la forza militare. Nel Donbass, il vecchio cuore industriale sovietico, il governo è nelle mani delle forze popolari antimperialiste.
Una soluzione pacifica potrebbe essere molto semplice e l'accordo di Minsk la indica: autonomia per il Donbass. Quello che non prevede è la democrazia per il sud-est ucraino, come le regioni di Odessa e Charkow, che a maggioranza si oppongono all'aggressivo nazionalismo ucraino. Ma Kiev non rispetta quello che ha firmato e sogna la rivincita militare. 
Sotto la pressione degli Stati Uniti la UE mantiene il suo appoggio al regime di Kiev, quindi, non solo alimenta la guerra civile in Ucraina, ma anche uno scontro pericoloso con la Russia. In realtà la UE usa Kiev come uno strumento contro Mosca - altro che  "soggetto di pace"!

lunedì 1 febbraio 2016

EURASIA? SE MOLTI NEOFASCISTI SONO FILO-RUSSI di Georgy Stefanov

[ 1 febbraio ]

Nella foto miliziani ucraini neo-nazisti. Notare la bandiera della NATO accanto alla runa nazista ed alla svastica...

Neo-fascisti filo-ucraini...

I comunisti russi dissero che la rivolta di Euromaidan fu totalmente egemonizzata dai neo-fascisti dell’estrema destra ucraina, ultras da stadio della Dinamo Kiev, ma anche di altri soccer club ucraini e dai militanti del Tridente neobanderista, poi proprio nel corso dell’insurrezione connotatosi come Pravy Sektor. Un giudizio sproporzionato, visto che la spinta di Euromaidan ha portato al potere cricche oligarchiche neoliberiste (della medesima natura di quelle che spadroneggiano a Mosca) sostenute da Usa, NATO e Unione europea.

Con l’uscita di scena del carismatico leader D. Yarosh, Pravy Sektor ha di recente perso il pezzo da novanta, ma continua la sua battaglia banderista, ora con l'obbiettivo della conquista della Crimea.
D. Yarosh si auto-rappresenta ora come un nazionalista ucraino moderato, che anela ad un ruolo di punta sulla scena politica ucraina quale possibile alternativa credibile al campo politico ucraino che vuole l’ingresso nella UE e nella Nato, rispetto a cui Yarosh sembra ancora critico.

I comunisti occidentali, da parte loro,  dipingono i neo-fascisti ucraini come fantocci e braccio armato dell’intelligence statunitense. Questo è solo in parte vero, per non dire quasi per nulla vero. Certo, all'inizio della rivolta di Maidan, i neonazisti si erano illusi di potere godere del pieno appoggio delle potenze imperialiste occidentali e della NATO. 
Il Congresso americano ha poi, in almeno due casi, condannato come estremamente pericolosi per lo sviluppo della democrazia in Ucraina gruppi della Destra radicale come Pravy Sektor e il Battaglione Azov, poi inquadrato nella Guardia nazionale Ucraina, ed ha ha assolutamente proibito la vendita di armi ai militanti di questi gruppi.

L’Interpol ha messo al bando i nomi dei leader della rivolta fascista di Kiev, cosa che, a ben vedere, non è mai stata fatta con i leader della Resistenza del Donbass.

Ciò non toglie che se Pravy Sektor ed Azov continuano ad avere un forte seguito tra la gioventù neobanderista ucraina, ciò si deve soprattutto al fatto che son disposti a fare il “lavoro sporco” per un settore dei servizi segreti ucraini (SBU), quello alle dirette dipendenze di Anton Gerashchenko ministro degli interni della giunta di Kiev, resosi protagonista nello scorso ottobre di una sparata che ha suscitato il clamore mondiale, in quanto diceva di sostenere, contro i russi, anche lo Stato Islamico.

Alle dirette dipendenze di questo ministero operava (o opera?) lo strano raggruppamento “Ombre” di Anton Gladky, resosi protagonista di una millantata operazione militare contro un generale russo[1], ma quasi sicuramente responsabile dell’omicidio del comandante antifascista Mozgovoj.

Nell’autentica guerra per bande che caratterizza la Giunta di Kiev, solo con forzature si può insomma identificare nell’Azov un reparto militare filo-americano. Certamente, lo può essere indirettamente nella logica di guerra fredda che sembra di nuovo aprirsi tra Mosca e Usa.

Diversi militanti neo-fascisti di Pravy Sektor sono stati arrestati in seguito a pesanti scontri con le forze dell’ordine ucraine (con vittime nelle file di queste ultime), in seguito alle rivolte di questi ultimi dell’agosto e del settembre 2015.

Azov, essendo inquadrato nella Guardia nazionale, si è invece ritagliato uno spazio di autonomia strategica; questo non ha impedito comunque al suo leader Andriy Biletsky, di dichiarare la sua chiara appartenenza alla corrente del nazifascismo europeo, come si evince anche dal manifesto programmatico[2] e dalla runa nazista usata come simbolo del gruppo.

Volontari affluiscono verso Azov non solo da tutta europa —i croati fanno la parte del leone, ma non mancano nutrite schiere di francesi, spagnoli, svedesi, polacchi, lituani, lettoni e estoni, qualche italiano…— ma soprattutto dalla Russia, dove non è possibile stabilire, conoscere numero ed identità dei volontari neo-fascisti russi andati a combattere coi loro camerati ucraini. A parte la famosa storia di due ex ufficiali dell’intelligence di Mosca, che hanno disertato dopo l’inizio della Resistenza del Donbass a causa delle loro simpatie filonaziste, si può conoscere la storia di questi volontari solo dopo la loro morte.
Già a decine sono caduti.
Significativa la storia di Sergiy Grek, volontario russo in Azov, morto dopo l’esplosione di una mina, che è stato riconosciuto per il tatuaggio con il volto di Mussolini che aveva sul collo. Rispondendo ad interviste di giornalisti internazionali, questi volontari russi si proclamano apertamente nazisti, descrivono la Russia odierna come una nazione vittima di materialismo e miraggi di occidental-comunismo ed in mano a invisibili e sognate oligarchie capitaliste ebraiche.

Il leader di Azov, non a caso, da buon propagandista, in vari suoi discorsi, saluta i “camerati russi detenuti o perseguitati da un regime russofobo di occupazione sionista” (riferimento a Putin, ndr.). Se per Yarosh (Rivoluzione nazionale ucraina) l’Euromaidan è servito a ritagliarsi un consistente spazio di autonomia militare con Azov ed a liquidare la corrente filo-russa del Partito delle Regioni, l’Euromaidan per i neo-fascisti è stato un successo solo parziale.
Come si sa, i comunisti filo-russi in Ucraina, macchiatisi di un acritico sostegno al passato regime corrotto, sono stati praticamente messi al bando e non hanno più spazi di manovra.
La loro sconfitta è stata totale.
clicca per ingrandire

... e neo-fascisti filo-russi

La grande maggioranza dei movimenti a vario titolo neo-fascisti è invece schierata, accanto ad altri partiti di destra, dall'altra parte della barricata, ovvero dalla parte delle Repubbliche del Donbass.

Degno di nota il tentativo dell’ideologo di Rodina (Madrepatria), Yuriy Lyubomirskiy, che ha fondato il Movimento nazional-conservatore mondiale

L'idea-mito di  Lyubomirskiy è l'Eurasia, di conseguenza l'obbiettivo politico è raccogliere, in un'internazionale euroasiatista, non solo neo-fascisti e nazisti, ma tutte le destre anti-americane e filo-russe.

L'orizzonte euroasiatista conta infatti seguaci in numerosi paesi europei. 

Il quadro si è chiarificato dopo il

Forum per i valori tradizionali (marzo 2015 S. Pietroburgo  —vedi foto sotto) promosso da Dmitriy Rogozin, esponente di punta di Rodina e sembra vicinissimo a Putin.

Moltissime forze europee neo-fasciste hanno espresso senza esitazioni il proprio sostegno alla Resistenza del Donbass". Del resto non è un mistero che in Donbass combattono contro gli ucraini le milizie Vilking o Rusich, che non nascondono, dietro il mito dell'Eurasia, le loro radici ideali nazionaliste grandi-russe e neo-fasciste.

Per l’Italia erano in Russia, in missione a fianco del Donbass, esponenti di Millennium, della Lega Nord e di Forza Nuova; Nuova Destra per la Romania; per la Grecia naturalmente Alba Dorata; per la Germania il Partito Nazionaldemocratico e Pegida; per la Gran Bretagna il National Party.

Il rapporto tra il Cremlino e il Front National francese è ormai stabile e organico, così come quello con Jobbik dell’estrema destra ungherese

L’estrema destra cetnica serba è tutta con il Donbass. In Polonia c'è il filorusso Kongres Novej Pravicy. di Michal Marusik.

In Austria il FPÖ non nasconde le sue simpatie per Putin. Stesso vale in Gran Bretagna per l'UKIP. In Belgio per il Flamish Interes. In Lituania per il Partito dell'ordine e della Giustizia di Rolandas Paksas.

Rodina, nonostante il Forum di marzo 2015 abbia deluso le aspettative, ha continuato sulla strada del sostegno all’estrema destra europea che sostiene il Donbass.

Il Movimento nazional-conservatore mondiale —che conta seguaci anche in Usa, in Cile, in Cina ed in Mongolia—, non poteva essere diversamente, sostiene apertamente l’intervento russo in Siria, lì dove l'eurasiatismo precipita in manifesta islamofobia. 


* Traduzione a cura della redazione

NOTE



[1] http://fakty.ictv.ua/ru/index/read-news/id/1540078
[2] http://rozum.info/news/2015-06-11-399

lunedì 31 agosto 2015

L'ULTIMA GUARDIA ROSSA di Max Bonelli*

[31 agosto ]

Nella foto Aleksey Mozgovoy, comandante della Brigata Prizrak (Fantasma), assassinato nel tardo pomeriggio del 23 maggio scorso tra Alchevsk e Lugansk.

Sono alla fine della seconda tappa del mio viaggio di solidarietà al popolo del Donbass. Sto per lasciare Alcyesk, uno degli ultimi parchi archeologici industriali che possono mostrare ai cultori delle sue teorie la base sociale su cui si poggiava il marxismo. Città con un enorme impianto metallurgico che produce profilati di acciaio per i più svariati scopi. Sotto l’URSS, venivano da queste fabbriche le pareti di acciaio dei sottomarini nucleari.
Le sirene continuano a suonare alle 7 ed alle 16 come allora per scandire la vita; solo da qualche mese la sera, quando il buio è già denso, si sono aggiunti i sordi tuoni che ricordano agli abitanti che siamo in zona di ATO (operazione antiterrorismo), come chiamano gli ucraini questa zona a nordest di Debaltzevo, l’importante nodo ferroviario, teatro della loro ultima cocente sconfitta.
Qui, in questa cittadina dall’aria pungente dove l’anidride solforosa si mescola all’ossigeno in percentuali da far impazzire gli apparati di rivelazione d’inquinamento ambientale, ha sede la brigata Prizrak, una delle peggiori spine nel fianco dell’operazione ATO. Quando sono arrivato qui, ero reduce dalla presentazione del mio libro Antimaidan a Donetsk e da una visita al fronte in una delle zone più calde di Donetsk.
Mi ero abituato alle due facce della grande città zona di guerra: sotto i bombardamenti di notte e efficiente centro produttivo e commerciale di giorno. Ma almeno nelle ore diurne era difficile intravedere i segni della guerra. Qui ad Alcyesk, invece, la brigata ha quasi soppiantato (almeno dal punto di vista ideale) le tradizioni metalmeccaniche della cittadina e tanti lavoratori hanno lasciato il loro posto di lavoro per offrirsi volontari fin dalle prime fasi del conflitto.
All’epoca la brigata non veniva denominata Prizrak ma semplicemente “gli uomini di Mozgovoj”. Lui era il loro capo indiscusso, un artista, un intellettuale che aveva lasciato l’arte per diventare condottiero di quella che allora era una grossa banda partigiana che cercava di allergire dall’esterno la pressione su Slaviansk da parte degli Ucraini.
Ora di lui nella brigata rimangono tanti ricordi: quello più visibile è una specie di altare all’entrata del comando centrale con la sua foto e quella di altre sei persone trucidate in un agguato di stampo mafioso appena fuori Alcyesk, in una sera di primavera, lo scorso 23 maggio.
Mozgovoj non era comunista, ma voleva uno stato dove le risorse generali appartenessero al popolo: miniere, acqua, elettricità ed i proventi delle imprese statali dovevano ritornare al popolo sotto forma di scuole, servizi sociali. Ma non era un nemico dell’attività privata. Il piccolo, medio borghese doveva avere spazio di crescita economica nei limiti di una centralizazione delle risorse naturali. Ragionamenti semplici, quasi elementari, che farebbero storcere il naso per eccesso di semplificazione a più di qualche esperto di economia, ma che qui avevano fatto breccia tra i minatori ed i metalmeccanici.
Gli arruolamenti con il perdurare della guerra sono aumentati in maniera spontanea. Gli ultimi di una società che ha visto il passaggio improvviso dal socialismo reale al capitalismo selvaggio, hanno preso l’AK ed incominciato a combattere con entusiasmo i reparti neonazisti ucraini. Questa componente politica all’interno della brigata si è estremizzata nella figura del “Battaglione 404”, un battaglione interamente comunista con tanto di commissario politico. Dovevo condividere con loro qualche giorno al fronte per interviste ma purtroppo, dopo due giorni passati ad Alcyesk ad aspettare che si materializzasse la possibilità di arrivare al villaggio che tengono sulla linea di fronte, ho compreso che le loro difficoltà logistiche sono concrete ed ho preferito continuare per Lugansk dove il ministero della cultura mi attende per una presentazione del mio libro.
Riesco comunque nella prima serata a fare una chiaccherata con uno degli italiani che combatte nella 404 . Un uomo sui trenta a cui diamo il nome di Vladimiro e che viene dal centro Italia. Comunista come tutti nel battaglione, è ormai un veterano; si è fatto la Debaltzevo e mi conferma che la ”voce” che il battaglione sia andato all’attacco con un caricatore in arma ed un altro di riserva, cioè con sessanta colpi, corrisponde alla realtà. Il resto lo racimolavano strada facendo tra il disastro dell’esercito ucraino, che si conferma nei fatti il miglior fornitore di logistica ai reggimenti delle due repubbliche. Adesso tengono posizione a Donetsky Staniza, un piccolo villaggio di cosacchi, sulla linea del fronte. Le condizioni di vita sono spartane: una stuoia di gomma ed un sacco a pelo come materasso ed il tetto scricchiolante di qualche isba bombardata.
La situazione logistica non è migliorata di molto e non svelo un segreto militare: lo sanno tutti, compresi gli Ucraini, che le tensioni tra i capi della Repubblica di Lugansk e la Prizrak in generale ed in particolare con questo battaglione di volontari si pagano con un supporto logistico ridotto al lumicino.
I turni sulle posizioni sono questi: 4 ore di sorveglianza, 4 ore di riposo, due giorni lontano dal fronte dopo un mese di servizio. Ed anche se razionalmente da ex ufficiale capisco che tenere il fronte così è da incoscienti, non posso fare a meno di nutrire simpatia per questi coraggiosi. Tanto coraggio meritebbe più di una versione 2015 della guardia rossa che difese la rivoluzione bolscevica. A Vladimiro parlo di quello che a mio avviso meriterebbe l’investimento di queste belle energie morali di cui lui ed i suoi compagni italiani sono dotati: gli parlo di sovranismo, di superare il concetto di destra e sinistra che ha diviso il nostro paese in due trincee, vanificando le energie della ”meglio gioventù”. La maggior parte del resto della serata sono io a portare argomentazioni, esempi storici per provare a mettere un seme di una rivoluzione sovranista che deve far risorgere il nostro paese da una schiavitù a stelle strisce lobotomizzante.
Mi guarda pensieroso, attento; a volte prova a trovare argomentazioni che mettono in fallo i miei ragionamenti. So che staccarsi da un sentiero centrato su certezze di bandiere politiche non è semplice, non voglio forzare nessuno, semplicemente indurre a riflessioni. Mi congeda con un visto stanco: vuole andare a dormire presto, la sua vacanza di due giorni è finita.

* Fonte: Appello al Popolo
** Max Bonelli milita nelle file di Associazione per la Riconquista della Sovranità (ARS)

martedì 9 giugno 2015

OGGI A SALERNO: "il più grande successo dell'euro"

[ 9 giugno ]

Oggi 9 giugno, alle ore 20, presso il circolo "Mumble Rumble" di via Loria,35 (Pastena, di fronte Scuola media Monterisi) Sinistra NO Euro e MPL (Movimento Popolare di Liberazione) organizzano la proiezione del film-documentario "Il più grande successo dell'euro:la Grecia", girato lo scorso anno da una troupe di cineasti italiani indipendenti (Gruppo 101 Dalmata, regia di Matteo Nigro e Francesca Cangiotti) in collaborazione con alcuni cittadini ellenici.

Il film documenta in modo realistico e impietoso l'effettiva situazione economica e sociale della Grecia,ridotta allo stremo dalle politiche di austerità della BCE e dell'Unione Europea ed alterna alle interviste degli autoctoni analisi e spiegazioni di alcuni economisti che illustrano con semplicità e rigore le cause della crisi greca e demistificano il meccanismo indotto del debito che sta strangolando (ove non intervengano drastiche decisioni politiche da parte dell'attuale Governo ellenico) l'economia e la vita del Paese mediterraneo. 

Nel corso della serata sarà presentato anche il sito del Comitato antifascista russo-ucraino di Salerno "Ombre russe: per la libertà del Donbass". 

L'ingresso è libero fino ad esaurimento posti. Si prega di leggere e diffondere il presente comunicato coi rispettivi allegati,anche via Facebook. 

martedì 28 aprile 2015

LA RUSSIA E LA GEOPOLITICA AMERICANA

La NATO (clicca per ingrandire)
[28 aprile]

Questa sera alcuni di noi si ritroveranno, a Roma, all'incontro sul conflitto in Ucraina, promosso dal Coordinamento della sinistra contro l'euro. Un'occasione per mettere a fuoco l'importanza strategica di quel conflitto, gli interessi delle parti in gioco, e cercare di capirne i possibili, minacciosi sviluppi.

Per capire quali sono la geopolitica e il principale timore degli Stati Uniti d'America, ci aiuta George Friedman [nella foto a destra], consigliere politico del Dipartimento di Stato, fondatore di uno dei più importanti think tank nordamericani, lo Stratfor


“L’estremismo islamico è realmente la maggiore minaccia negli USA? Sparirà da solo oppure crescerà ancora?

George Friedman ha così risposto:

«E’ un problema per gli Stati Uniti, ma non vi è minaccia alcuna ai danni della nostra esistenza, occorre che ci interessiamo alla cosa ma nella giusta proporzione. Abbiamo ben altri interessi all’estero, il principale interesse per gli USA, per via del quale abbiamo combattuto le guerre, Prima e Seconda Guerra Mondiale e quella fredda, consiste nella relazione fra Germania e Russia; perché se si uniscono sono l’unica potenza che possa minacciarci e il principale interesse è che ciò non succeda.

Gli Usa hanno un interesse fondamentale, ora controllano tutti gli Oceani del mondo, nessuna potenza si è mai nemmeno avvicinata a farlo è grazie a questo che noi possiamo invadere dei popoli ma non possiamo essere invasi, è una cosa bellissima. Tenere saldo il controllo dei mari e dello spazio è la base della nostra potenza il modo migliore per sconfiggere una flotta nemica è impedire che sia mai costruita.

Il modo in cui i britannici sono riusciti a garantirsi che nessuna potenza europea potesse costruirsi una flotta consiste nel far in modo che gli europei se lo impedissero a vicenda. La linea politica che raccomanderei è quella adottata da Ronald Reagan nei confronti di Iran e Iraq: finanziò entrambi gli schieramenti facendo si che si combattessero fra di loro e non combattessero contro di noi. Era una cosa certamente cinica, non morale, ma ha funzionato e questo è il punto.

Gli Stati Uniti non possono invadere l’Eurasia. Non appena il primo soldato mette il suo piede sul terreno, scatta la superiorità numerica: noi siamo totalmente in inferiorità numerica. Possiamo anche sconfiggere un esercito ma non occupare l’Iraq. L’idea che 130 mila uomini possano occupare un Paese di 25 milioni di persone, beh, il rapporto fra la polizia di New York e il numero dei cittadini è maggiore di quello dello schieramento in Iraq, non abbiamo la possibilità di prendercela con loro, ma abbiamo la capacità di dare appoggio a numerose potenze rivali affinché si scontrino fra di loro: appoggio politico, appoggio economico, appoggio militare, consulenti e in extremis possiamo fare ciò che abbiamo fatto in Giappone, in Vietnam, in Iraq ed in Afganistan: attacchi che invalidano.



L’attacco che invalida non ha l’obiettivo di sgominare il nemico, ha lo scopo di destabilizzarlo. E’ quanto abbiamo fatto in ognuna di quelle guerre. In Afganistan, per esempio, abbiamo destabilizzato al-Qa’ida. Il problema che abbiamo avuto poiché siamo giovani e stupidi, è che una volta che li abbiamo destabilizzati, invece di dire ottimo lavoro e tornare a casa, ci siamo detti: “beh è stato facile. Perché non ci costruiamo una bella democrazia?” Questo è stato il momento in cui ha fatto il suo ingresso la stupidità.

Dunque la risposta è: gli USA non possono intervenire costantemente in tutta l’Eurasia, devono intervenire selettivamente, e solo con ex-trema ratio, non può essere la prima mossa quella di inviare l’esercito Americano. Quando inviamo i soldati americani dobbiamo intendere pienamente in cosa consti la nostra missione, limitarci ad essa e non consentire che prendano piede fantasie politiche di nessun tipo. Per fortuna questa cosa, stavolta l’abbiamo imparata.

Ci vuole un certo tempo affinché i bimbi apprendano la lezione. Ma io penso che lei che mi ha posto la domanda abbia pienamente ragione: in quanto Impero, non possiamo comportarci così, La Gran Bretagna non ha occupato l’India, ma ha individuato una serie di stati indiani e li ha istigati l’uno contro l’altro e ha inquadrato degli ufficiali britannici in un esercito indiano.

I Romani non inviarono enormi eserciti ma piazzarono dei re, ne crearono parecchi di re i quali erano assoggettati all’imperatore, è questi re erano responsabili del mantenimento della pace, ad esempio uno di questi responsabili era Ponzio Pilato. Gli imperi che sono controllati in modo diretto, imperi come quello nazista, crollano. Nessuno ha così tanto potere.

Comunque, il nostro problema non è nemmeno questo, noi dobbiamo ancora ammettere concretamente che abbiamo un impero. Dunque, non siamo ancora al punto in cui non pensiamo che possiamo rincasare e che il lavoro sia già fatto, perciò siamo solo nella prima fase.

La questione sul tavolo dei russi è: Si creerà una zona cuscinetto, o una zona neutra? O l’Occidente penetrerà così in profondità nell’Ucraina che si troverà a 100 Km da Stalingrado e a meno di 500 Km da Mosca? Per la Russia la situazione ucraina è una minaccia alla sua stessa esistenza, e i Russi non possono lasciar fare. La domanda che si pongono gli USA, nel caso che la Russia si impadronisca dell’Ucraina, il punto è: “Si fermeranno lì?”»

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