28 marzo. Di seguito la trascrizione dell'intervento che Emiliano Brancaccio fece l'11 gennaio scorso in occasione del convegno Oltre l'euro. La sinistra, la crisi l'alternativa.
«Io vorrei partire da una riflessione sulla quale si sono soffermati diversi eminenti intellettuali in questi mesi. Mi riferisco, in primo luogo, all’ipotesi di un voto al Fronte Nazionale in Francia.
Ecco, questa ipotesi è sbagliata: non si può sdoganare il voto a una forza politica di questo tipo pur di far saltare la baracca dell’Euro.
Uno dei motivi per cui ritengo sia sbagliata quella proposta politica, che seduce molti intellettuali in Francia e altrove, è che la difesa dei diritti civili, dei diritti di libertà, deve essere per noi irrinunciabile.
Qualsiasi arretramento su questo fronte sarebbe una sconfitta per le istanze di progresso che dovremmo incarnare. Anzi, noi dovremmo combattere qualsiasi istanza reazionaria e di destra proprio per sottrarre ai liberali il falso monopolio sui diritti civili, perché soltanto la critica alle politiche liberali e liberiste può portare a uno sviluppo reale dei diritti individuali. Chi oggi combatte contro l’assetto dell’Unione Monetaria Europea, e dell’Unione Europea, deve farlo con lo scopo di appropriarsi della categoria della “modernità”, senza farsi sedurre da posizionamenti favorevoli alle istanze di destra reazionarie.
Al tempo stesso, però, credo che non si debbano tenere le distanze dai movimenti di protesta, quali essi siano. C’è stata, per esempio, una polemica intorno alla partecipazione o meno al movimento dei “Forconi”. Io credo che si debba intercettare e partecipare a quel movimento. Ovviamente bisogna saperlo fare, avendo idee chiare, perché in questi nuovi scenari di protesta la concorrenza politica è tra forze antagoniste, si concorre gomito a gomito con i neofascisti. In quei contesti o si ha la forza di egemonizzare o si è egemonizzati e si tracolla. Non ci sono terze opzioni.
Alla luce di queste osservazioni, visto che le sfide sono piuttosto alte, in questi pochi minuti vorrei potervi chiamare “Compagne e Compagni”. Non so se l’amico Mosler si sentirà a suo agio in questa definizione, ma io spero di sì. Perché, vedete, la parola “compagni” se ben declinata, se viene aggiornata e modernizzata, è una definizione ecumenica ed è una definizione moderna, non è settaria. Compagni si definivano non soltanto i comunisti, ma i socialisti, i socialdemocratici, perfino i radicali!!! E i cattolici di base dicevano “Fratelli e Compagni”.
Ma non è soltanto una questione di storia. L’espressione “compagni” io credo che ci proietti anche nel futuro. Questa è un’espressione moderna e chiarisce a tutti noi che la libera espressione dell’individualità sociale avviene solo attraverso la politica di un collettivo. La liberazione individuale può essere solo il frutto di un’azione collettiva organizzata. Questo è un punto politico importante, anche perché chiarisce che se si vuole davvero intercettare il corso degli eventi storici occorre costruire grandi collettivi organizzati. Occorre, cioè, un grande sforzo di aggregazione di massa intorno a una politica condivisa.
Questo significa che bisogna avere anche il senso delle proporzioni. Io vi vedo in tanti lì stasera e questo è un bel risultato, ma dobbiamo però anche prendere coscienza del fatto che questa è una fase di piccoli gruppi, piccoli gruppi che crescono. E in quest’ottica sarebbe bene evitare protagonismi inutili che, in fin dei conti, sono il retaggio di un’ideologia individualista che è distruttiva per qualsiasi progetto politico, perché l’impresa è colossale e nessuno da solo potrà farcela. Il grande lavoro che deve essere fatto è quello su una definizione di una politica condivisa sull’individuazione di una piattaforma politica che sia aggregante e di successo. Io credo, quindi, che si debba evitare come la peste il protagonismo delle persone, la lotta tra singole individualità, la pulsione che un tempo si sarebbe definita come “gruppettara”.
Ma, al tempo stesso, credo che si debba promuovere con tutte le forze il protagonismo delle idee, la dialettica delle tesi in campo. Una dialettica anche dura, durissima, delle tesi perché bisogna realmente capire quali di esse siano realmente in grado di intercettare il corso degli eventi e, soprattutto, con quali effetti.
Io provo, quindi, a formulare una domanda, una domanda che sto cercando di porre da un po’ di tempo, sperando di essere compreso nelle mie istanze e nei miei scopi e spero, soprattutto, di poterli condividere con tutti voi. La domanda è: “esiste un rischio di una gestione gattopardesca della crisi dell’euro?”. La mia risposta è “Sì”. Esiste, cioè, il rischio che si cerchi a un certo punto di cambiare tutto, al limite perfino la moneta unica, per non cambiare in fondo niente? Per mantenere, cioè, ancora quella visione antistatuale, liberista e liberoscambista delle politiche economiche? Io dico che questo pericolo esiste e, poiché penso che uno degli scopi di fondo di iniziative politiche come la vostra debba essere quello di fare delle istanze del lavoro una categoria di interesse generale, io spero che di fronte al rischio di gestione gattopardesca della crisi noi si combatta insieme.
Come si può scongiurare questo rischio? Io credo in primo luogo chiarendo, almeno tra noi, che qualunque soluzione che anche soltanto ammicchi alla possibilità di affidarsi, in un modo o nell’altro, al libero gioco delle forze del mercato, inteso sia come movimento dei prezzi che dei cambi, è una soluzione gattopardesca, e in fin dei conti liberista, che dev’essere combattuta sul terreno dei fatti e deve essere respinta. Più in generale occorre contrastare il rischio di una gestione gattopardesca della crisi chiarendo che qualsiasi tentativo di distinguere tra Unione Monetaria Europea e Unione Europea, cioè qualsiasi tentativo di gettare via la moneta unica tenendo tuttavia in piedi il Mercato Unico Europeo, è un’opzione sbagliata che non tiene conto del fatto che la storia sta muovendosi rapida, che si rimescola, e quindi che persino parole indicibili fino a qualche tempo fa come “Protezionismo”, come “intervento pubblico nell’economia” e, concedetemelo, perfino come “Socialismo”, possono tornare in gioco.
Del resto, per chiarirci che la Storia si muove, e che può muoversi sia in un senso da alcuni auspicato che in un senso da alcuni aborrito, chi l’avrebbe mai detto appena pochi anni fa che ad Atene, tempio millenario della democrazia, che sarebbero imperversate delle strutture paramilitari di tipo neonazista? Chi l’avrebbe mai detto? La Storia muove, in un senso o nell’altro. Dipende anche da noi».
Al tempo stesso, però, credo che non si debbano tenere le distanze dai movimenti di protesta, quali essi siano. C’è stata, per esempio, una polemica intorno alla partecipazione o meno al movimento dei “Forconi”. Io credo che si debba intercettare e partecipare a quel movimento. Ovviamente bisogna saperlo fare, avendo idee chiare, perché in questi nuovi scenari di protesta la concorrenza politica è tra forze antagoniste, si concorre gomito a gomito con i neofascisti. In quei contesti o si ha la forza di egemonizzare o si è egemonizzati e si tracolla. Non ci sono terze opzioni.
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Emiliano Brancaccio |
Alla luce di queste osservazioni, visto che le sfide sono piuttosto alte, in questi pochi minuti vorrei potervi chiamare “Compagne e Compagni”. Non so se l’amico Mosler si sentirà a suo agio in questa definizione, ma io spero di sì. Perché, vedete, la parola “compagni” se ben declinata, se viene aggiornata e modernizzata, è una definizione ecumenica ed è una definizione moderna, non è settaria. Compagni si definivano non soltanto i comunisti, ma i socialisti, i socialdemocratici, perfino i radicali!!! E i cattolici di base dicevano “Fratelli e Compagni”.
Ma non è soltanto una questione di storia. L’espressione “compagni” io credo che ci proietti anche nel futuro. Questa è un’espressione moderna e chiarisce a tutti noi che la libera espressione dell’individualità sociale avviene solo attraverso la politica di un collettivo. La liberazione individuale può essere solo il frutto di un’azione collettiva organizzata. Questo è un punto politico importante, anche perché chiarisce che se si vuole davvero intercettare il corso degli eventi storici occorre costruire grandi collettivi organizzati. Occorre, cioè, un grande sforzo di aggregazione di massa intorno a una politica condivisa.
Questo significa che bisogna avere anche il senso delle proporzioni. Io vi vedo in tanti lì stasera e questo è un bel risultato, ma dobbiamo però anche prendere coscienza del fatto che questa è una fase di piccoli gruppi, piccoli gruppi che crescono. E in quest’ottica sarebbe bene evitare protagonismi inutili che, in fin dei conti, sono il retaggio di un’ideologia individualista che è distruttiva per qualsiasi progetto politico, perché l’impresa è colossale e nessuno da solo potrà farcela. Il grande lavoro che deve essere fatto è quello su una definizione di una politica condivisa sull’individuazione di una piattaforma politica che sia aggregante e di successo. Io credo, quindi, che si debba evitare come la peste il protagonismo delle persone, la lotta tra singole individualità, la pulsione che un tempo si sarebbe definita come “gruppettara”.
Ma, al tempo stesso, credo che si debba promuovere con tutte le forze il protagonismo delle idee, la dialettica delle tesi in campo. Una dialettica anche dura, durissima, delle tesi perché bisogna realmente capire quali di esse siano realmente in grado di intercettare il corso degli eventi e, soprattutto, con quali effetti.
Io provo, quindi, a formulare una domanda, una domanda che sto cercando di porre da un po’ di tempo, sperando di essere compreso nelle mie istanze e nei miei scopi e spero, soprattutto, di poterli condividere con tutti voi. La domanda è: “esiste un rischio di una gestione gattopardesca della crisi dell’euro?”. La mia risposta è “Sì”. Esiste, cioè, il rischio che si cerchi a un certo punto di cambiare tutto, al limite perfino la moneta unica, per non cambiare in fondo niente? Per mantenere, cioè, ancora quella visione antistatuale, liberista e liberoscambista delle politiche economiche? Io dico che questo pericolo esiste e, poiché penso che uno degli scopi di fondo di iniziative politiche come la vostra debba essere quello di fare delle istanze del lavoro una categoria di interesse generale, io spero che di fronte al rischio di gestione gattopardesca della crisi noi si combatta insieme.
Come si può scongiurare questo rischio? Io credo in primo luogo chiarendo, almeno tra noi, che qualunque soluzione che anche soltanto ammicchi alla possibilità di affidarsi, in un modo o nell’altro, al libero gioco delle forze del mercato, inteso sia come movimento dei prezzi che dei cambi, è una soluzione gattopardesca, e in fin dei conti liberista, che dev’essere combattuta sul terreno dei fatti e deve essere respinta. Più in generale occorre contrastare il rischio di una gestione gattopardesca della crisi chiarendo che qualsiasi tentativo di distinguere tra Unione Monetaria Europea e Unione Europea, cioè qualsiasi tentativo di gettare via la moneta unica tenendo tuttavia in piedi il Mercato Unico Europeo, è un’opzione sbagliata che non tiene conto del fatto che la storia sta muovendosi rapida, che si rimescola, e quindi che persino parole indicibili fino a qualche tempo fa come “Protezionismo”, come “intervento pubblico nell’economia” e, concedetemelo, perfino come “Socialismo”, possono tornare in gioco.
Del resto, per chiarirci che la Storia si muove, e che può muoversi sia in un senso da alcuni auspicato che in un senso da alcuni aborrito, chi l’avrebbe mai detto appena pochi anni fa che ad Atene, tempio millenario della democrazia, che sarebbero imperversate delle strutture paramilitari di tipo neonazista? Chi l’avrebbe mai detto? La Storia muove, in un senso o nell’altro. Dipende anche da noi».