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mercoledì 12 dicembre 2018

UTILI IDIOTI di Carlo Formenti

[ 12 dicembre 2018 ] 


In un lungo articolo (The Left Case against Open Borders) apparso sulla rivista American Affairs, Angela Nagle (giornalista, saggista e collaboratrice di Jacobin) riflette sull’amnesia che ha colpito le sinistre radicali angloamericane (ma il discorso vale anche per le nostre) in merito alle posizioni storiche del movimento operaio sul fenomeno delle migrazioni. Qui di seguito ne traduco liberamente alcuni stralci, aggiungendo alcune considerazioni finali.
Carlo Formenti


* * * 

A proposito del Muro di Berlino Ronald Reagan affermava che qualsiasi ostacolo alla mobilità delle persone è una minaccia per l’intera umanità. Da allora le barriere alla circolazione dei capitali e della forza lavoro sono crollate in tutto il mondo, si è annunciata la fine della storia, e decenni di globalizzazione egemonizzata dagli Stati Uniti si sono susseguiti.

Reagan e i suoi eredi di destra e sinistra hanno usato la stessa retorica trionfalista per scavare la fossa ai sindacati, deregolamentare la finanza, promuovere l’outsourcing e affrancare i mercati dal peso degli interessi nazionali.

Da sinistra hanno lottato contro questa visione movimenti come i No global e Occupy Wall Street ma, non disponendo di potere contrattuale, non hanno ottenuto alcunché. Oggi i movimenti più visibili contro la globalizzazione sono quelli che assumono la retorica anti migranti, come Trump e altri populismi. La sinistra, dal canto suo, non sa fare altro che reagire a tutto ciò che Trump dice e fa.

Il discorso no border, un tempo appannaggio esclusivo di liberisti e anarcocapitalisti, è divenuto mainstream, dal momento che nessun partito di sinistra è capace di fare proposte concrete per una società senza confini, limitandosi a copiare gli argomenti liberisti, senza chiedersi quali sono le conseguenze di flussi migratori illimitati su sanità pubblica, educazione, posti di lavoro. ecc.

Durante le primarie democratiche del 2016, a un giornalista che gli chiedeva se fosse a favore della politica no border, Bernie Sanders replicò di ritenerla appannaggio della destra liberista, il che gli procurò l’accusa di avere le stesse idee di Trump (accusa che si è beccato anche Corbyn, a conferma che la madre degli idioti è sempre incinta, nota mia).

L’adozione della politica no border da parte della sinistra è una novità assoluta, dato che a sostenerla era sempre stata la destra, per le stesse ragioni per cui si oppone alla limitazione dei movimenti di capitale.


In assenza di un potente movimento operaio, la sinistra è rimasta “radicale” nella sfera della cultura e delle libertà individuali, ma non sa offrire di meglio che impotenti lagnanze in tema di diritti sociali.
Così i benpensanti di sinistra divengono utili idioti al servizio del big business.

La globalizzazione genera un circolo vizioso: le politiche liberiste distruggono l’economia di intere regioni del mondo da cui provengono le migrazioni di massa, ciò che, da un lato, impoverisce ulteriormente il potenziale dei Paesi di origine, dall’altro deprime i salari dei lavoratori dei Paesi di destinazione (…)

La prima causa delle migrazioni dal Messico agli Usa sono stati gli effetti dell’accordo NAFTA di libero scambio il quale obbligava i contadini messicani a competere con l’agricoltura americana (…) il Messico ha perso migliaia di allevamenti suini e coltivazioni di granoturco e, quando il prezzo del caffè è sceso sotto il costo di produzione, il NAFTA ha impedito interventi statali per salvare i coltivatori. Dal 2002 i salari messicani hanno perso il 22% malgrado la produttività del lavoro sia aumentata del 45%.

Oggi il Messico è uno dei maggiori esportatori di lavoratori altamente qualificati per cui la sua economia soffre anche di un persistente deficit di lavoro qualificato. Analogamente ci sono più medici etiopi che lavorano a Chicago che in tutta l’Etiopia (un Paese di 80 milioni di persone).

Per tacere del fatto che l’Occidente incassa dall’Africa molti più soldi in interessi sul debito di quelli che invia in “aiuti” in quel continente…

Gli argomenti della Nagle non abbisognano di ulteriori commenti, mi limito ad aggiungere poche parole sul perché giudico l’accusa di utili idioti che la giornalista rivolge alle sinistre fin troppo tenera. Dietro il “buonismo” (roba da Dame di San Vincenzo più che da militanti politici) su cui si fonda la visione no border, si nasconde la totale incapacità di riconoscere e combattere le cause di quell’immondo, ulteriore saccheggio che l’Occidente imperialista commette a danno dei popoli periferici e semiperiferici, espropriandoli delle migliori risorse umane.

Perché non si parla della necessità di estinguere il debito di quei Paesi e di trasferire loro (gratuitamente e non a interessi da strozzinaggio!) capitali, tecnologie e infrastrutture, piuttosto che di accoglierne indiscriminatamente le masse in fuga dalla miseria, aggravando ulteriormente le condizioni delle classi popolari occidentali colpite dalla crisi e alimentando guerre fra poveri?

Non sarà perché: 1) chi esalta il no border appartiene a strati di classe che non ne pagano il prezzo sulla propria pelle; 2) quegli stessi strati di classe non accetterebbero mai di vedersi ridurre reddito, status e privilegi come conseguenza degli effetti collaterali di massicci trasferimenti di risorse al Sud.
Insomma: non solo utili idioti, anche piccolo medio borghesi che preferiscono assistere cristianamente i singoli migranti, piuttosto che allargare i cordoni della borsa per sostenerne i Paesi di provenienza.

* Fonte: RINASCITA!

sabato 17 novembre 2018

ILARIA BIFARINI: I COLONI DELL'AUSTERITY

[ 17 novembre 2018 ]



Dalla pagina Facebook di Futuro Collettivo la diretta streaming dell'evento a partire dalle ore 17:00

Della relazione causale tra globalizzazione, rapina imperialistica, libero scambio e flussi migratori ne parlavamo qualche giorno fa — FUGA IN EUROPA.

E' questo il tema del libro dell'economista Ilaria Bifarini, I COLONI DELL'AUSTERITY che verrà presentato oggi a Foligno, presente l'autrice.

Cosa spinge gli attuali flussi migratori di massa provenienti dall'Africa subsahariana? Cosa lega il futuro dell'Europa a quello del Continente Nero? La crisi perenne e la terzomondizzazione dell'Occidente cui stiamo assistendo sono dei processi irreversibili? A queste e altre domande risponde l'autrice, attraverso un'analisi delle politiche economiche neoliberiste che proprio in Africa hanno trovato il loro laboratorio di sperimentazione. Il libro ripercorre la storia economica postcoloniale, passando per la crisi del debito dei paesi del Terzo Mondo, l'omicidio del rivoluzionario africano Thomas Sankara e l'applicazione di politiche orientato al libero scambio, alle liberalizzazioni e alle misure di austerity. Una storia poco conosciuta, legata a doppio filo al futuro dell'Europa e alla progressiva conquista del continente africano da parte della Cina. E' il nuovo colonialismo globale, che per imporre il proprio dominio ha smesso di far leva sul capitale e sul lavoro e usa lo strumento del debito, nel Terzo Mondo come nel Primo. 

Dopo aver analizzato la storia economica dell'Africa neocoloniale e le dinamiche demografiche che porteranno nei prossimi anni a un raddoppio della popolazione del continente, il libro mette a nudo le contraddizioni e i fallimenti del modello neoliberista, più volte riconosciute dalle stesse organizzazioni internazionali che ne sono le principali fautrici. Cambiare rotta e intraprendere un modello di sviluppo più equo e sostenibile non è solo la via per un futuro migliore, ma un'esigenza ormai ineludibile per l'intera umanità.

lunedì 24 settembre 2018

L'IMMIGRAZIONE E LE DUE SINISTRE: IL CASO DI FRANCE INSOUMISE

[ 24 settembre 2018 ]

Leggiamo sempre quanto scrive il compagno Alessandro Visalli sul suo blog Nella fertilità cresce il tempo. L'ultimo suo pezzo — Scontri in France Insoumisse sull’immigrazione: Kuzmanovic e Autain — cè degno di nota perché ci informa sul dibattito (e la lotta) interna a France Insoumise
Il pomo della discordia? 
L'immigrazione, ovvero, come diciamo noi l'anarco-immigrazione o immigrazione all'ingrosso. Nel tempo abbiamo segnalato le posizioni anti-no-borders di Bernie Sanders, di Jeremy Corbin,  dello stesso J.L. Melenchon e, per ultimo, di Sahra Wagenknecht
Il dissidio interno a France Insoumise segnala un cambiamento di posizione di Melenchon. Non ne siamo stupiti. Un segnale che Melenchon era giunto agli inizi di luglio, quando ebbe a dire in Tv che il governo giallo-verde era "fascista". Una davvero rozza scivolata. Un cambiamento di profilo politico che Melenchon ha confermato il 7 settembre scorso a Marsiglia quando ha incontrato Macron — Macron: “abbiamo un confronto politico con Mélenchon, ma non è mio nemico", e Mélenchon "certo!". Ci torneremo su quel che è emerso da quella amichevole chiacchierata...
Segnaliamo lo scontro in France Insoumise anche nel quadro delle grandi manovre a sinistra in vista delle elezioni europee. Le cosiddette "sinistre radicali" europee saranno in grado di fare un listone unitario? 
Per questo anche è degno di nota l'articolo di Visalli. Egli ritiene che la questione migratoria segni la linea di demarcazione simbolica tra due sinistre, quella pro-liberale e quella anti-liberale; quella che mette la libertà prima dell'eguaglianza e quella che, al contrario, sostiene che, nelle condizioni date, prima viene l'eguaglianza e per questo non sia né accettabile né fattibile la cosiddetta "accoglienza" per tutti.

*  *  *

Scontri in France Insoumisse sull’immigrazione: 
Kuzmanovic contro Autain
di ALESSANDRO VISALLI

Ci si avvicina alle elezioni europee, in Francia c’è una soglia di sbarramento al 5% che in questo momento sono sicuri di superare solo Macron (oltre 20%), Le Pen (altro 20%), France Insoumisse (da 12 a 14%) e i gollisti (al 14%). Le altre forze socialiste e comuniste, ed i verdi, sono vicino o sotto la soglia, quindi rischiano. In questo quadro France Insoumisse sta cercando di aprire le sue liste[1], lasciando disponibili quindici posti per la sinistra socialista di Emanuel Maurel ed al movimento di Chenènement. Come valuta qualche osservatore, si tratta di un tentativo di allargare anche alle classi medie (‘riflessive’) che erano state lasciante sullo sfondo nel precedente posizionamento su periferie e classi popolari.
Una spia di questo movimento è l’aspro scontro che ha visto coinvolto il Responsabile esteri all’inizio di settembre a partire da due articoli su Obs. Djordje Kuzmanovic ha scritto un articolo di appoggio alla svolta della Wagenknecht e la deputata Clémentine Autain lo ha duramente attaccato. Il risultato è che Mélenchon ha preso le distanze.

Leggiamo questi articoli.

Il primo articolo sostiene che “Il discorso di Sahra Wagenknecht è di salute pubblica”; il rappresentante di Insoumisse, che a luglio era presente ad un incontro a Roma, insieme ad un deputato tedesco molto vicino alla Wagenknecht, con il gruppo di Fassina e con Senso Comune[2], inizia con una narrativa molto familiare, attaccando con tutta evidenza Mitterrand[3], sostiene che trenta anni fa la socialdemocrazia ha deliberatamente scelto di costruire un’Unione Europea liberale, rinunciando a difendere le classi lavoratrici. Quindi si è schiacciata sulle posizioni della destra liberale, dalla quale però doveva differenziarsi elettoralmente. Allora si è concentrata su questioni che non sono specificamente ‘di sinistra’, ma liberali-radicali: femminismo, diritti LGBT, migranti.
Si tratta, riconosce, di questioni importanti che “non dovrebbero essere liquidate”, ma che allo stesso tempo “non possono essere separate dal cuore della lotta di sinistra: la difesa delle classi popolari e la lotta contro il capitale”.

Djordje Kuzmanovic


La sinistra si è invece accomodata in una sorta di “buona coscienza” che, in particolare sull’immigrazione di fatto “impedisce una concreta riflessione su come rallentare o addirittura fermare i flussi migratori”, che invece e probabilmente aumenterebbero per effetto dei cambiamenti climatici.
Sostenere che bisogna “accogliere tutti” è letto da Kuzmanovic come una posizione ingenua e controproducente quando il centro dell’attenzione deve essere andare contro le politiche ultraliberali, ad esempio, dice, “denunciando gli accordi di partenariato economico (APE) con i paesi africani. Accordi che distruggono i mercati dei paesi economicamente più deboli e creano miseria su larga scala, aumentando i candidati all’emigrazione”.

Il cambiamento di linea che indica il Responsabile esteri è causato, a suo dire, dalle emergenze che negli ultimi cinque anni si sono accumulate, le disuguaglianze in aumento e l’esplosione demografica. Il problema, però, non sono i migranti in sé, ma “la distruzione economica che spinge milioni di persone fuori dei loro paesi di nascita”.

Il giornalista a questo punto ricorda che alcuni sottolineano come le attuali politiche di aiuto in realtà rendano più mobili le persone[4]. In effetti è vero, si tratta di politiche che provocano una tendenza alla riconversione dell’economia africana tradizionale in economia rivolta all’esportazione di prodotti di base, e attraverso le catene logistiche e relazionali che si creano, incoraggia di fatto le persone sradicate a spostarsi[5]. Il paradigma proposto da Insoumisse è quindi diverso: lo chiama “protezionismo solidale”. Una linea simile al vecchio movimento Burkinabe di Thomas Sankara[6]: proteggere i paesi africani e le loro economie, impedendo che siano schiacciati dalle multinazionali e del debito, in una logica internazionalista di uguaglianza e rispetto per le nazioni. Lo spirito dei vecchi paesi non allineati e di Bandung, quello che nel suo ultimo discorso avrebbe voluto partisse da Addis Abeba[7].

Ma continua in modo molto opportuno che questo concetto si riproduce anche entro i confini europei, dove i paesi orientali, Romania, Bulgaria, ma anche Grecia, Portogallo ed Italia, vedono partenze di massa dei loro giovani più formati. Si tratta di un fenomeno di dumping sociale che interessa direttamente l’Europa e solo in misura minore i paesi dell’Africa sub-sahariana. Ma un processo che si estende ad anello: “i lavoratori polacchi non subiscono l’arrivo di lavoratori africani, ma ucraini”.

Venendo sul piano elettorale il problema non è tanto quindi di recuperare i voti che stanno andando a destra (Front National in Francia e Afd in Germania, o la Lega in Italia), ma la gran parte delle categorie popolari che tende ad astenersi. Il rischio, dice, “se non ci riusciamo, è trovarci in una situazione simile all’Italia, dove le forze progressiste sono in frantumi e la destra xenofoba è al potere”.

Qui cade la frase che dà il titolo: “il discorso che Sahra Wagenknecht ha fatto sulla questione della migrazione è di salute pubblica”.

Proseguendo si viene ad un punto cruciale: il sentimento di insicurezza culturale e di pericolo per la stabilità della propria forma di vita. Kuzmanovic ricorda che è stato candidato in un collegio del nord nel quale ci sono moltissimi immigrati (polacchi, italiani e marocchini) che “sono stati portati lì per fare i lavori più difficili”, ma nel quale il tasso di povertà è del 40% e la disoccupazione del 30%. In queste condizioni è naturale che ci sia un “sentimento di disintegrazione della propria cultura che è legato ad un regresso comunitario”. Una cosa che si spiega però con la crisi politica ed economica.

La tesi è semplice: “queste tensioni si ridurrebbero se fossimo in grado di combattere la precarietà. Condividendo la ricchezza prodotta che finisce prevalentemente nelle mani di pochi ultraricchi”.

All’obiezione, usuale, che connettere disoccupazione e migrazione porta vantaggi alla retorica dell’estrema destra, risponde in modo netto: “questa accusa è assurda”. Si tratta di una sinistra che ha dimenticato le tradizioni del movimento francese, i discorsi di Jaurès sul “socialismo doganale”, ad esempio. Se la sinistra parla come il mondo degli affari, di fatto avendo la stessa posizione degli industriali la cosa non può che essere un problema. Qui arriva uno dei punti che ha fatto scandalo: “quello che stiamo dicendo non è nuovo, è un’analisi puramente marxista: il capitale crea un esercito di riserva”. Si tratta di un meccanismo semplice, se si pagano male lavoratori privi di documenti c’è una pressione al ribasso dei salari[8].

L’argomento che sarebbe una tesi di destra per l’esponente di Insoumisse è “il risultato di una grave confusione tra gli ideali dell’illuminismo, che sostengono la libertà di movimento delle persone e delle idee, e cui siamo ovviamente legati, e il regime imposto dalla globalizzazione del capitalismo. Se potesse uscire dalla sua tomba sono convinto che Rousseau non sosterrebbe lo spostamento di masse di contadini da un paese all’altro. La libertà di movimento si scontra con un principio di realtà: cosa possono fare le masse di migranti climatici che partono da zone soggette a stress idrico, quando diventano migranti economici che arrivano in zone dove non c'è lavoro?”

Ciò non significa aprire la “caccia ai migranti”, ma, al contrario, “attaccare coloro che assumono i lavoratori illegali” e contemporaneamente avviare una massiccia regolarizzazione dei migranti irregolari, in modo da costringere i datori di lavoro a pagare salari decenti su un piano di parità con la legge. Quindi bisogna porre fine al dumping sociale intra-europeo. Sono i datori di lavoro che massimizzano i profitti sfruttando la miseria del mondo. Come avevo scritto in questo post, si tratta dell’integrazione trainata e governata dal mercato, e quindi intrisa di concorrenza di tutti contro tutti, ad essere il problema.

Naturalmente le poche decine di migliaia di persone che meritano lo status di rifugiato, che fuggono dalla guerra, come dicono le Convenzioni di Ginevra del 1957, 1962, vanno accolti. Così come non si può lasciare nessuno morire nel mediterraneo.
Ma se non hanno diritto allo status di rifugiato vanno “rimandate nel loro paese, e rapidamente”.

Invece chi è già qui va anche aiutato a ricongiungersi con la sua famiglia, “sarebbe inumano altrimenti”, ma “ciò che conta è assicurare una vita dignitosa per tutti e fornire i mezzi per assicurare un'integrazione riuscita, specialmente nella scuola repubblicana, ma sarebbe necessario interrompere la rottura dell'educazione nazionale”.

Alla domanda sulla difficoltà di distinguere tra “migranti” e “rifugiati”, un altro dei punti di attacco dell’ideologia “no border”, l’esponente di Insoumisse risponde che in effetti si tratta di una distinzione difficile, cosa che farà scoppiare il sistema.

In sostanza “l’ordine neoliberista globale ci sta conducendo direttamente al muro”.

Lo stesso giorno esce anche la posizione di Clémentine Autain, alla quale sono fatte le stesse domande. Alla fine della “buona coscienza” auspicata dalla Wagenknecht, risponde in modo vigoroso riaffermando la ricerca di congiunzione tra discorsi, azioni e principi etici connessi con “l’orizzonte emancipatorio”. L’ideale che anima la posizione è descritto come “umanista e internazionalista” e quindi indica la strada di “sopportare lo stigma” e riaffermare contro lo spirito popolare che lo straniero non è il capro espiatorio.

Clémentine Autain


Al discorso pragmatico di Kuzmanovic oppone un punto di vista espressamente identitario:

“Ogni volta che facciamo promesse al popolo sulla base del discorso dell'estrema destra, penso che stiamo perdendo la nostra anima e l’immagine. Dopo tutto, non siamo una setta, ma un collettivo vivente, quindi ovviamente abbiamo dei dibattiti fondamentali sull'apertura dei confini o sulle condizioni di accesso alla nazionalità ma non dobbiamo perdere il filo di ciò che ci anima, specialmente in quando il Mediterraneo si trasforma in un cimitero”.
Quindi sulla posizione della Wagenknecht afferma di non “voler suggerire” che ci sia un nesso tra disoccupazione e immigrazione. E di non voler raggiungere un nuovo elettorato se il prezzo è di prendere i temi dell’avversario politico, qui cade un tipico argomento “in genere l’originale è preferito alla copia”. Mentre l’estrema destra lavora sul risentimento e sulla costruzione del nemico, sostiene la Autain bisogna opporre una speranza basata sui diritti e le libertà.

Abbastanza sorprendentemente, però, per come ha condotto fin qui l’intervista continua:

“Sono d'accordo con Sahra Wagenknecht sulla descrizione del fenomeno che Marx chiamava ‘l'esercito di riserva’. Ma per evitare la concorrenza, bisogna operare per non abbassare i salari e le condizioni di lavoro. Alcuni potrebbero avere interesse a partecipare alle elezioni europee nel campo dell'identità. Dobbiamo invece metterlo su quello dell'uguaglianza. La costruzione europea e oggi la coppia Merkel-Macron hanno alimentato la competizione di tutti contro tutti. Sta a noi promuovere il legame e la solidarietà”.
In sostanza allinea una posizione identitaria di sinistra liberal (orientata a far prevalere la libertà sull’uguaglianza, che richiede meccanismi autoritaritativi e redistributivi che non possono essere immediatamente allargati a tutti) con una conclusione che indirizza all’uguaglianza. Un obiettivo privo degli strumenti per essere perseguito.

Alla fine, ad esempio, propone di allargare i criteri del diritto di asilo e di “sbattere i pugni sul tavolo” perché il peso sia ripartito in Europa, senza rimandare nessuno, né fuggito dalla guerra, né dalla miseria (o dai cambiamenti climatici che ne sono causa).

Alla domanda circa l’allontanarsi della sinistra dalle classi lavoratrici, con cui aveva cominciato Kuzmanovic, il deputato risponde con una posizione intermedia, da un lato ci sono gruppi come “Terra Nova” che propone di allontanarsi dal mondo del lavoro per concentrarsi sulla società, i giovani, le donne, gli immigrati (una classica posizione anni novanta[9]), dall’altra personalità come Christophe Guilluy propongono di tornare ad una agenda lavorista. A parere della Autain tutte e due le visioni sono vicoli ciechi, le questioni identitarie sono intrecciate a quelle sociali. Oggi la figura simbolica non è più l’operaio o il minatore, ma i cassieri dei supermercati, i lavoratori edili in nero, i giovani di McDo.

Kuzmanovic e la Autain hanno esattamente la stessa età, sono entrambi nati nel 1973, il primo è un ex militare, laureato in scienze politiche e geopolitica, che si è presentato nel collegio di Lens, dove la Le Pen fece il 58% e si presenta come candidato ‘patriottico’ che rivendica un ‘populismo di sinistra’. Seguendo l’eredità di Jaures, e talvolta citando l’eredità di Trotsky, Guevara o dell’Ira[10] il suo punto di battaglia è il Fronte Nazionale in un territorio devastato dalla chiusura di miniere, fabbriche e da delocalizzazioni. Sostiene la necessità di uscire dalla Nato ed è fortemente anti USA, nel 2009 si schiera contro l’intervento in Libia e dal 2013 è nell’Ufficio Nazionale del Partito, Responsabile esteri e difesa.
Clémentine Autain, invece è un membro di Ensemble!, che è un movimento femminista ed ecologista alleato con ilFront de Gauche è stata eletta a Parigi, e poi a Sevran nell’Ile-de-France, è co-segretarie della Copernic Foundation. Figlia di un’attrice e di un cantante e nipote di un ex deputato socialista, ed ex sindaco, sotto Mitterrand. Viene eletta nel 2017 alla Seine-Saint-Denis nell’11° distretto (si potrebbe dire semi-periferico, nella conurbazione di Parigi.

Insomma, sono molto diversi, rappresentano plasticamente le diverse sinistre.

Come detto all’inizio la France Insoumisse sta cercando un posizionamento nel quadro competitivo aperto dalle elezioni europee che la vede quarta forza, stretta tra Macron ed i Gollisti (due forze establishment) e il Fronte Nazionale, con piccole forze sulla soglia di poter andare da sole intorno a sé. Per crescere di qualche punto, e qualificarsi come candidato al possibile ballottaggio nel 2022, potrebbe avere quindi senso cercare di non rompere con l’elettorato che la Autain, per biografia, classe sociale, e area elettorale rappresenta ottimamente.

Probabilmente per questo risulterebbe (si veda questo articolo di Liberation) che Mèlenchon avrebbe sconfessato pubblicamente un militante che ha con sé da dieci anni per uscire da quella che il giornale chiama “la trappola”: fare dell’immigrazione il tema portante delle elezioni che arrivano.

Anche Le Monde ha un resoconto simile: “è inutile avere espressioni che infastidiscono i nostri amici. È sempre bene avere una buona coscienza umanistica. L'accoglienza, la generosità sono buoni valori”, ha sostenuto Alexis Corbière per conto di Mèlenchon. La linea di attacco a Macron deve, piuttosto, essere i Trattati europei e la politica ecologica.

Ma alla fine quale è la divergenza?

Tutti e due ammettono che l’arrivo di molti immigrati può influenzare la dinamica salariale, ma uno, che parla con i ceti popolari, ne vuole parlare, l’altra, che si candida vicino Parigi, pensa che sia pericoloso perché può far perdere l’identità alla sinistra (si può vedere così, il primo deve riconquistare persone che non votano, la seconda deve conservare un voto residuale). Uno guarda alla crescita ed alla riconquista dei voti e del potere perduto, l’altra alla conservazione di insediamenti sociali (ai quali appartiene) sotto pressione.
L’insieme del discorso di Sahra Wagenknecht è letto come necessario per la protezione della nazione, e la lotta contro i privilegi (di “salute pubblica” ha un particolare sapore per un francese), da Kuzmanovic, mentre la posizione “umanitaria e internazionalista” della Autain, che non vuole “perdere il filo di ciò che ci anima” la porta ad abbozzare un contraddittorio discorso su libertà e uguaglianza, che fa leva su legame sociale e solidarietà senza darsi gli strumenti per ottenerli.

La proposta del primo è di rallentare o fermare i flussi di immigrati non aventi i requisiti per essere qualificati come rifugiati (anche se al termine ammette la difficoltà di fare la distinzione nella pratica), denunciare lo sfruttamento francese dell’Africa, e lasciare che si organizzi da sé (ricorda, appunto Sankara), allargare lo stesso concetto in Europa, combattere la precarietà per riguadagnare coesione sociale. E, soprattutto, regolarizzare chi già c’è e combattere spietatamente coloro che assumono lavoratori illegali o li pagano poco. Porre fine al duping sociale intra ed extra europeo.

La proposta della seconda è di accogliere tutti, ma ottenere la solidarietà degli altri paesi. In modo molto indicativo afferma di “non voler suggerire” che ci sia un nesso tra disoccupazione e immigrazione (cita qualche controesempio sommario), anche se poi dice di essere d’accordo con la descrizione di “esercito di riserva”.

Circa la constituency cui guardare, Kuzmanovic vede decisamente i ceti popolari, la cui riconquista, nelle attuali condizioni di disastro sociale sbarrerebbe la strada alla destra ed insieme riaprirebbe la partita del potere che ora giocano solo altri.
La deputata parigina spera di tenere insieme il residuo di constituency degli anni novanta-zero (giovani, donne, immigrati, minoranze culturali) con un lavoratore ormai disperso e disgregato di cui fa un elenco sommario.

Kuzmanovic fa un discorso pratico, con un obiettivo politico di avanzamento in terreni oggi abbandonati e che rischia di andare al punto, anche al prezzo di allargare il discorso e di rischiare qualche passaggio difficile.

La Autain fa un discorso identitario, con l’obiettivo di conservare ciò che la sinistra ha ancora, i ceti medi istruiti e che sono pieni di buoni sentimenti (potendoseli permettere), ma l’insieme delle contraddizioni e gli interdetti (ciò che non “vuole” dire) la lascia in pratica senza discorso.

Un’immagine degli attuali dilemmi della sinistra, tra “nuvole verbali” (Marx) e scelte difficili.


NOTE

[1] - Del resto è un movimento con al centro un partito, ma non esaurito in esso
[2] - Ovviamente prima di avviare l’iniziativa di Patria e Costituzione.
[3] - https://tempofertile.blogspot.com/2018/01/francois-mitterrand-e-le-svolte-degli.html
[4] - Una tesi sostenuta anche da Samir Amin, si veda, ad esempio “Lo sviluppo ineguale” 1973, “Oltre la mondializzazione”, 1999, “Per un mondo multipolare”, 2006, “La crisi”, 2009.
[5] - Si può vedere anche https://tempofertile.blogspot.com/2017/08/note-circa-leconomia-politica.html
[6]- Che viene ucciso in un colpo di stato tre mesi dopo aver pronunciato questo discorso contro il debito coloniale:https://youmedia.fanpage.it/video/al/WPCvk-SwgAVuR2bw
[7] - ...
allora, cari fratelli, col sostegno di tutti
potremo fare la pace a casa nostra
potremo anche usare le sue immense potenzialità
per sviluppare l'Africa, perché il nostro suolo
e il nostro sottosuolo sono ricchi
abbiamo abbastanza braccia e un mercato immenso
da nord a sud, da est a ovest
abbiamo abbastanza capacità intellettuali per creare
o almeno prendere la tecnologia e la scienza
in ogni luogo dove si trovano.
Signor presidente: facciamo in modo da realizzare
questo fronte unito di Addis Abeba contro il debito
facciamo in modo che a partire da Addis Abeba
decidiamo di limitare la corsa agli armamenti
tra paesi deboli e poveri
i manganelli e i coltellaci che compriamo sono inutili
Facciamo in modo che il mercato africano
sia il mercato degli africani
Produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa
Produciamo quello di cui abbiamo bisogno
e consumiamo quello che produciamo invece di importarlo
Il Burkina Faso è venuto qui ad esporvi la cotonnade
prodotto in Burkina Faso, tessuta in Burkina Faso
cucita in Burkina Faso per vestire i burkinabè
vorrei semplicemente dire
che dobbiamo accettare di vivere africano
è il solo modo di vivere liberi e degni
La ringrazio signor presidente
La patria o la morte, vinceremo!
[8] - si veda qui https://tempofertile.blogspot.com/2018/09/immigrazione-e-questione-sociale.html
[9] - Negli anni ottanta inoltrati e novanta il riflusso nel privato e le sconfitte della classe operaia, con l’indebolimento decisivo dei sindacati, sconfitti in simboliche battaglie in Inghilterra, in USA e anche in Italia alla Fiat, portarono una parte della cultura di sinistra a cercare altre strade. In questi anni intellettuali influenti come Jurgen Habermas, “Teoria dell’Agire Comunicativo”, 1981, Antony Giddens “Identità e società moderna”, 1991, “Oltre la destra e la sinistra”, 1994, “La terza via”, 1998, ma anche Ronald Inglehart “La società postmoderna”, 1996, sostengono che nella società postmoderna e frammentata si debba considerare risolto il problema fondamentale della sopravvivenza e quindi anche la lotta di classe, in favore di una ‘politica della vita’, incentrata sull’espansione dei diritti individuali e di autoespressione.
[10] -Come le faccia andare insieme sarebbe interessante capirlo.

mercoledì 5 settembre 2018

IMMIGRAZIONE: BRAVA SARA!

[ 5 settembre 2018 ]

Sul CORRIERE DELLA SERA del 3 settembre c'era un'intervista a Sahra Wagenknecht [nella foto], esponente dell'ala sinistra della Die Linke. Tutti ne parlano da quando ha annunciato la nascita di Aufstehen! (In Piedi!).
Ne riportiamo il pezzo in cui risponde sulla questione dell'immigrazione. Come noi, in polemica con la sinistra globalista e no border, respinge tutte le idiozie sulla "società meticcia". Immigrazione solo se sostenibile.


*  *  *


D. Lei si è opposta alla legge sull’immigrazione.


R. «Dobbiamo distinguere tra diritto all’asilo e migrazione economica Il diritto all’asilo va difeso. Il diritto all’asilo va difeso. Per l’immigrazione economica la questione è più complicata. Il dibattito sull’aprire i confini è una carta da giocare per chi vuole forza lavoro istruita a buon mercato – cioè per le grandi imprese. Non è un caso che le associazioni industriali cantino l’inno dell’immigrazione. Nessuno crede davvero che lo facciano per motivi umanitari. Si tratta di spietati interessi economici. Ma non può essere – e di sicuro non è una politica di sinistra – che i Paesi ricchi non formino abbastanza tecnici specializzati e invece li sottraggano ai Paesi poveri attraverso l’immigrazione. Così vengono a mancare nelle nazioni di origine e non possono migliorare la situazione economica e sociale lì. La discussione sui migranti economici però non riguarda i rifugiati in fuga dalle persecuzioni che temono per la loro vita».

martedì 14 agosto 2018

AIUTIAMOLI A CASA LORO di Fabio De Masi

[ 14 agosto 2018 ]

Fabio De Masi [nella foto] è una personalità di spicco della Linke tedesca nonché uno dei promotori, insieme a Oskar Lafontaine e Sahra Wagenknecht, del nuovo raggruppamento politico "Austehen!" — ne parlavamo giorni addietro — il cui obiettivo è contrastare l'ascesa di AfD cercando di recuperare terreno sui temi sociali cari agli ex-elettori di sinistra passati ad AfD. In una recentissima intervista a Deutschlandfunk non ha paura di dire quello che anche nella sinistra tedesca sono in molti a pensare: "aiutiamoli a casa loro!".

DLF: Sahra Wagenknecht ha scritto che dopo le elezioni politiche si è ampliata la crisi di fiducia fra i politici e il loro elettorato e addirittura le elezioni sarebbero diventate una farsa e i diritti democratici inconsistenti. Herr De Masi, la Linke prende parte al tentativo di screditare la democrazia e lo stato di diritto? Non è puro populismo?

Fabio de Masi: no, piuttosto è vero che una larga maggioranza della popolazione vuole affitti abbordabili, cure ad un prezzo accessibile, è contro la povertà in vecchiaia, a favore di una tassazione equa, contro le missioni estere della Bundeswehr ma che questa maggioranza di persone non ha una maggioranza in Parlamento. E questo la sinistra da sola non puo' cambiarlo.

DLF: se gli elettori scelgono diversamente e non danno il loro voto alla Linke, non è forse questa la democrazia?

De Masi: il problema è che molte persone si stanno allontanando dalla democrazia perché non si aspettano piu' nulla dai partiti. Cioè non vanno piu' nemmeno a votare oppure vengono raggiunte dai demagoghi di AfD. E noi lo possiamo capire dal fatto che ad esempio subito dopo l'arrivo di Martin Schulz, nei sondaggi della SPD c'è stato un rapido picco ma poi tutti questi elettori sono di nuovo scomparsi. Anche loro non sono andati a sinistra. E cioè, sono state evidentemente risvegliate aspettative che poi subito dopo sono andate deluse quando si sono accorti che davanti a loro non c'era alcun cambiamento.


DLF: lei mette in discussione il risultato delle elezioni democratiche quindi...

De Masi: no, non metto in discussione il risultato delle elezioni democratiche, piuttosto, lo abbiamo sperimentato in America con il movimento intorno a Bernie Sanders, lo abbiamo vissuto con gli sviluppi del Labour party in Gran Bretagna e Jeremy Corbin: se fai un'offerta convincente, ci sono ancora migliaia di persone pronte ad entusiasmarsi per la politica. Nel complesso stiamo dando un grande contributo alla democrazia. Quello che Frau Baerbock (Verdi) afferma non è importante, e non è nemmeno decisivo quello che dice Herr Stegner (SPD) su Aufstehen! Cio' che importa è cosa ne pensano i tassisti, gli infermieri o i lavoratori interinali che incontriamo ogni giorno e che ci parlano di questo movimento. In 3 giorni abbiamo avuto piu' ingressi in questo nuovo movimento di quanti sono tutti gli iscritti ad AfD. Questo è un buon segnale per la democrazia.

DLF: ora lei sostiene che non è importante quello che Annalena Baerbock dice. Tuttavia mi piacerebbe citarla. Ha detto che la Linke dovrebbe prima chiarire se intende rinunciare ai suoi toni nazionalisti. La Linke lo vuole?

De Masi: non so cosa intenda esattamente Frau Baerbock con cio'. Io vedo invece che abbiamo una politica europea, ad esempio, che con il taglio dei salari e delle pensioni in tutta Europa ha distrutto la coesione sociale e che la politica economica tedesca nei confronti dei greci ad esempio è stata un disastro. Questo è ciò che io chiamo una forma di nazionalismo. Anche i leader dei Verdi per inciso hanno preso parte a queste decisioni sulle politiche europee. Quando però diciamo che non vogliamo pensioni da fame in Germania, o che vogliamo ad esempio che ci sia un determinato numero di infermieri negli ospedali, come accade negli altri paesi europei, questo non è nazionalismo, ma si tratta solo di difendere lo stato sociale e la democrazia. E con questa terminologia da combattimento non riesco proprio a fare nulla, e mi sembra anche un po' ridicola. Ad esempio chi conosce la storia della mia famiglia, come nipote di un combattente della resistenza italiana, saprà che non devo nessuna giustificazione a Frau Baerbock (...)

DLF: ci sono alcune dichiarazioni, ad esempio di Sahra Wagenknecht, in cui l'attentato di Ansbach viene messo in collegamento con la politica dei rifugiati della Cancelliera, dichiarazioni che hanno suscitato anche le critiche del suo stesso partito. Non si tratta di qualcosa campato in aria...

De Masi: Frau Wagenknecht ritiene, come anche i socialdemocratici e i Verdi che attualmente si stanno unendo al nostro movimento che al centro della nostra politica dobbiamo mettere le vere cause che spingono le persone a fuggire e cioè le armi tedesche che vengono esportate in tutte le aree di tensione del mondo oppure le politiche commerciali inique. Non è certo una buona cosa quando le persone sono costrette ad abbandonare i loro rapporti sociali e la loro patria. E non è affatto giusto che alle persone che si trovano qui da noi dobbiamo garantire una buona integrazione. Bisogna anche dire che quando le persone arrivano da noi dobbiamo mettere mano al portafoglio per investire nelle scuole e negli ospedali, e questo Frau Merkel non l'ha fatto. Il risultato è che sono rimaste senza prospettive e che sono sorti dei ghetti in quanto non è stato possibile finanziare l'integrazione e fare tutti gli investimenti di cui avevamo bisogno in Germania. Tutto questo non è giusto.

DLF: e lei in questo modo non sta mettendo gli interessi dei rifugiati contro quelli della popolazione tedesca nativa?

De Masi: no al contrario, perché sia i rifugiati sia le persone che già vivono qui sono interessate ad avere buone scuole, buone università e buoni ospedali. E coloro che fanno in modo che da noi ad esempio i rifugiati vengano sfruttati per un basso salario e li usano mettendoli contro gli altri dipendenti, si stanno servendo dei rifugiati. Questo è il motivo per cui ad esempio la Confederazione delle industrie tedesche (BDI) ha chiesto che certi livelli di salario minimo non si applichino ai rifugiati. Queste sono le persone che avvelenano il clima politico, non sono i profughi o chi si preoccupa per il loro salario.

DLF: Herr de Masi, Sara Wagenknecht afferma di voler unire il campo della sinistra. Nei fatti però sta facendo il contrario, da quanto si può osservare o almeno interpretare, poiché come pre-condizione pretende che la SPD modifichi il suo corso politico, ad esempio rimetta in discussione l'Agenda 2010. Non si tratta proprio dell'opposto di una guida congiunta?

De Masi: la questione è: cos'è il campo della sinistra? Se fai una politica come l'Agenda 2010 che ci ha portato al lavoro interinale, ai contratti a tempo determinato senza causale, ad Hartz IV, alla distruzione della riforma delle pensioni, allora non fai piu' parte della sinistra. Altrimenti concetti come "sinistra" o "destra" sono completamente privi di senso. Ed è per questo che molte migliaia di socialdemocratici che non sono d'accordo con il corso di Olaf Scholz o Andrea Nahles ora hanno la possibilità di impegnarsi in un nuovo movimento insieme ai militanti della Linke e dei Verdi dove non si tratta di eleggere un segretario nel retro di una Kneipe, ma di un movimento in cui ci si impegna su dei temi. Perché i partiti non sono fini a se stessi. E noi vogliano convincere tutte le persone che ritengono di avere qualcosa in comune. Questo tuttavia non esclude che sull'Europa o sulla politica dei rifugiati nel dettaglio ci possano anche essere delle opinioni diverse. C'è bisogno di un elevato livello di tolleranza interna. Ma siamo d'accordo sul fatto che questi temi sociali dovranno essere rimessi al centro della politica, perciò non mi interessa se il progetto si adatta alle aspettative del signor Scholz. Fintanto che va bene all'artigiano, all'infermiera, al tassista, e questi mostrano le reazioni che abbiamo visto, io sono molto felice.

domenica 5 agosto 2018

LA FOLLIA "NO BORDER - NO NATION" di Oskar Lafontaine

[ 5 agosto 2018 ]

Della serie: non tutta la sinistra e' sinistrata


Più volte abbiamo parlato di Oskar Lafontaine, storico leader della sinistra tedesca, anzitutto delle sue implacabili critiche all'euro. Avemmo modo di incontrarlo a Parigi nel gennaio 2016, in quell'occasione c'erano anche Stefano Fassina e Emiliano Brancaccio.
Lafontaine è in minoranza nel suo partito (Die Linke) non solo per essere partigiano del "Piano B", ma anche per opporsi alla follia "no border"...

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Oskar Lafontaine insieme alla moglie Sahra Wagenknecht e ad altre personalità di spicco sta cercando di costruire un nuovo raggruppamento politico in grado di superare i tradizionali confini della Linke e della sinistra tedesca. Dalla sua pagina FB il leader storico della socialdemocrazia tedesca questa volta se la prende con l'assurda ideologia dei "no-border-no-nation" e risponde per le rime a chi lo accusa di essere un nazionalista di sinistra. Dal suo profilo FB, un ottimo Oskar Lafontaine.

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C'era da aspettarselo: c'è un nuovo raggruppamento politico che sta ottenendo risonanza e molti già ne parlano male. Gli oppositori cercano di diffamarlo definendolo "nazionalismo di sinistra". Ma in un tale contesto parlare di "nazionalismo di sinistra" sarebbe come parlare di "cattolicesimo musulmano". Sinistra e nazionalismo non possono stare insieme visto che il movimento dei lavoratori cantava: "popoli ascoltate i segnali" e non "popolo ascolta i segnali" (Internazionale).

E alla fine di ogni congresso di partito cantavano: "Brüder zur Sonne zur Freiheit“ e non "Deutsche zur Sonne zur Freiheit“.

Il modo piu' semplice è guardare dentro l'ideologia "no-border-no-nation", perché chiunque si ponga la questione di come poter costruire uno stato sociale capirà immediatamente quanto questa ideologia sia lontana dalla realtà. E i seguaci di questo pensiero, di conseguenza, vedono nello stato sociale un'aberrazione nazionalistica.

Il non-senso del "nazionalismo di sinistra" trova molti sostenitori fra chi ritiene che esprimere solidarietà verso i rifugiati significhi mantenere le frontiere aperte per tutti e garantire benefici sociali a tutti quelli che arrivano. Questo equivoco diventa piu' chiaro quando si guarda al sistema sanitario. Nei paesi anglosassoni spesso la metà dei dottori e degli infermieri arriva dai paesi in via di sviluppo. In Germania, con un certo orgoglio, si fa riferimento al fatto che qui da noi sono stati accolti migliaia di medici dalla Siria e dalla Grecia. Almeno a questo punto i seguaci dell'ideologia dei "confini aperti per tutti" dovrebbero iniziare a capire che stanno sostenendo qualcosa di irrealistico e completamente antisociale. In Siria e in Grecia, dove questi medici sarebbero molto piu' necessari che da noi, il sistema sanitario è al collasso. L'alsaziano Albert Schweitzer andò fino a Lambaréné in Gabon per fondare un ospedale e aiutare le persone malate senza assistenza sanitaria. Oggi la solidarietà viene capovolta.

Ancora negli anni '70 del secolo scorso i paesi industrializzati formavano gratuitamente persone provenienti dai paesi in via di sviluppo, i quali avevano poi l'obbligo di tornare nel loro paese una volta completato il periodo di formazione. Oggi invece un'ampia comunità neoliberista e bipartisan vorrebbe andare a reclutare lavoratori specializzati e rendere in questo modo ancora piu' poveri i paesi in via di sviluppo.

Internazionalismo significa dare asilo alle persone politicamente perseguitate, aiutare i rifugiati di guerra e permettere ai poveri di questo mondo una vita migliore, grazie agli investimenti realizzati dai paesi industrializzati in quelli in via di sviluppo con l'obiettivo appunto di migliorare la vita delle persone, invece di continuare a depredarle.

Quanto sia ormai avanzata la confusione concettuale lo si vede anche dal fatto che coloro che chiedono di spendere miliardi di euro nei campi profughi e nelle zone in cui si muore di fame vengono considerati dei nazionalisti di sinistra. Mentre coloro che vorrebbero andare a reclutare nei paesi piu' poveri la forza lavoro piu' istruita e quindi rendere omaggio al "nazionalismo occupazionale" tedesco si danno una pacca sulla spalla e si considerano erroneamente degli internazionalisti.

Bisognerebbe gridare: "Nazionalisti dell'occupazione di tutto il mondo, pensateci!"

domenica 22 luglio 2018

CONTRO L'IPOCRISIA UMANITARIA di R. Massari e Fred Kuwornu

[ 22 luglio 2018 ]

Sulla tragedia (voluta) dei migranti stiamo subendo un massiccio e devastante bombardamento di retorica umanitaria .
Volentieri pubblichiamo quanto scrivono Roberto Massari e Fred Kuwornu a denuncia della perfida divisione dei compiti tra mafie criminali, Ong, governanti africani corrotti, mass media e governi imperialisti.


L'ipocrisia umanitaria aiuta la rete criminale internazionale 
che organizza gli imbarchi dei migranti

di Roberto Massari

Premetto che mi riconosco pienamente nel recente articolo di Roberto Savio («Immigrazione, molti miti e poca realtà») in cui si mostrano le cifre reali del processo immigratorio, si elencano i vantaggi che derivano all’economia dai flussi migratori (anche se si sottovalutano i danni che tali flussi provocano ai Paesi di provenienza) e mi dichiaro favorevole alla massima accoglienza di tali flussi purché compiuta in maniera umana, legalmente programmata e secondo tradizioni e valori della civiltà laica occidentale (ciioè illuministica).
Nel testo che segue non si parla quindi del fenomeno dell’immigrazione o degli «sbarchi» in quanto tali. Si parla del traffico internazionale di esseri umani e quindi del crimine contro ogni principio di umanità rappresentato dagli «imbarchi», punto terminale di una rete criminale internazionale. Questa è sempre esistita, ma si è rafforzata negli ultimi anni per ragioni che non sono sempre chiare avendo essa delle connivenze negli apparati statali dell’Italia e della Libia, in primo luogo, ma anche di Turchia, Spagna ecc., oltre ai paesi di provenienza.
Per queste ragioni desidero dare la massima visibilità alla lettera che segue, di Fred Kuwornu,  regista italiano di origini ghanesi, che dice con franchezza ciò che io penso da molto tempo e che le cifre dimostrano in maniera inoppugnabile: vale a dire che tutta questa storia umanitaria degli imbarchi/sbarchi è gestita da mafie nazionali e internazionali come traffico di esseri umani, una vera e propria «tratta» del XXI secolo. Essa cominciò sfruttando l'emotività pisicologica provocata dai primi naufràgi di gommoni (e forte è il sospetto che essi fossero provocati ad arte) e proseguì come incentivo a un esodo di massa dall'Africa e dall'Asia, violando tutte le norme della civiltà, del rispetto della persona umana, della salvaguardia della vita, creando traffici di prostituzione e nuovo schiavismo, e danneggiando anche la condizione economica dei paesi di provenienza.
Ben presto le «carrette della morte» furono sostituite da navi delle Ong (superpagate per svolgere il trasporto fino a destinazione) e il traffico di esseri umani potè svolgersi più o meno indisturbato per alcuni anni.
La verità è che le Ong (finché è stato concesso loro), le associazioni umanitarie impegnate a favorire gli sbarchi (in realtà… gli imbarchi), i settori della marina coinvolti, faccendieri vari e aziende locali particolarmente interessate agli sbarchi stavano perpetrando o fornendo copertura a uno dei più grandi crimini dell'epoca attuale .
Se esiste il dramma degli sbarchi e se ci sono migliaia di persone morte nelle acque del Mediterraneo è perché esiste il traffico degli imbarchi, gestito da associazioni criminali che fino ad oggi hanno potuto compiere il loro sporco lavoro indisturbate. Anzi, agli inizi, quando erano costrette a usare proprie imbarcazioni, queste venivano loro gentilmente restituite perché potessero continuare la tratta.
So di essere colpevolmente in ritardo, perché da tempo era arrivato l’obbligo morale di gridare forte che tutti coloro che favoriscono in un modo o in un altro il commercio degli imbarchi sono complici più o meno preterintenzionali di questa rete criminale. Essa parte da paesi lontani come il Bangladesh (che è il secondo gruppo etnico per quantità di profughi in questa tratta camuffata da richiesta di asilo politico e proprio il Bangladesh sta a dimostrare che l'asilo politico non c'entra niente, è solo un pretesto), passa per l'Africa centrale e arriva alle sponde del Mediterraneo.
Che queste cose le dica un intellettuale di origini ghanesi (e quindi africane) può forse aprire delle brecce nel cervello della presunta area «progressista» che con le sue campagne umanitarie sugli sbarchi non si rende conto di favorire gli imbarchi, col loro triste seguito di morti o di gommoni fatti affondare appositamente per suscitare la reazione umanitaria dei media. Questo non significa che non si debbano accogliere tutti coloro che riescono ad arrivare sulle coste italiane: ciò è fuori discussione. Ma significa che se non si vuole essere moralmente corresponsabili delle morti per annegamento e del traffico criminale che si svolge prima e dopo gli sbarchi, si deve impedire che avvengano gli imbarchi, si deve cioè intervenire duramente e prima di subito nei luoghi in cui ha origine la tratta. Ma per farlo non c'è altra via che la distruzione fisica delle imprese criminali che gestiscono il traffico.
Misure timide e parziali possono per ora tamponare qualche situazione, come ha dichiarato Massud Abdel Samat (capo dei guardiacoste libici e dipendente dal comando di Tripoli):
«Il nuovo governo italiano ha fatto bene a fermare le Ong, che nei fatti erano funzionali alla tratta. Per i trafficanti e le organizzazioni criminali che prosperano sulla vendita di esseri umani è crisi nera. Una crisi tanto grave che stanno spostando le loro attività in Tunisia e Marocco» (Corriere della Sera del 15/7/2018, p. 3)
Ovviamente questo militare libico non è tenuto a sapere che il governo italiano attuale, diretto dalla Lega e in second’ordine dai 5 Stelle, è animato da spirito razzistico e xenofobo nella sua opposizione agli sbarchi, ma è anche vero che per la prima volta si sentono sui media, da ambienti governativi italiani, parole come «trafficanti» e simili che in precedenza (governi PD) erano tabù (mentre erano da tempo moneta corrente in altri paesi europei). Aggiungo che il governo attuale non dice nulla sulla politica dei rimpatri. Questa è non solo cinica barbarie (visti, al di là di altre considerazioni, anche i sacrifici finanziari e rischi della vita che hanno corso queste povere vittime del traffico di esseri umani), ma non si dice al contribuente che il costo medio unitario per ogni rimpatrio si aggira intorno ai diecimila euro (incluso il ritorno in prima classe in aereo dei due agenti di scorta previsti per ogni povero diavolo rimpatriato). 

Riguardo alle Ong bisogna prendere atto che esse hanno collaborato e vorrebbero continuare a collaborare con i criminali del traffico umano. Il loro compito era di andare a prelevare i migranti sui gommoni appena usciti dalle acque territoriali libiche, farli salire sulle navi (ultrafinanziate), condurli nei porti italiani e farsi belli con la balla «di averli salvati». Senza di loro il traffico avrebbe avuto problemi a proseguire, sia perché i gommoni rischiavano di non arrivare tutti sino alle coste italiane (stiamo parlando di decine di migliaia di esseri umani), sia perché altri paesi non li volevano (tranne la Turchia dove però i migranti arrivavano e arrivano via terra allo scopo di rimpinguare le casse del governo dittatoriale di Erdogan che riceve miliardi dalla UE), sia perché la marina militare italiana aveva pur sempre delle norme da rispettare.
I gommoni affondati di recente, guardacaso appena Salvini ha chiuso i porti alle Ong, erano in un certo senso «previsti» da parte dei negrieri-trafficanti che hanno usato gommoni obsoleti e a rischio facile di affondamento. (La notizia data per certa l’scovata tra le righe del Corriere della Sera). Questi criminali sanno benissimo l'effetto psicologico che ha sull’opinione pubblica la morte dei migranti in mare: del resto cominciò proprio così questa tratta vergognosa, forse la più grande vergogna in atto in questo momento nel mondo: cominciò con l'affondamento più o meno programmato di alcuni gommoni. Il fatto commosse comprensibilmente l'opinione pubblica (complici i giornali, i media, i governi Pd), suscitò reazioni emotive tutt’altro che razonali e così cominciò questo traffico inaudito di cui il capitalismo dovrà vergognarsi un giorno di averlo permesso e incoraggiato. E con lui tutta la processione umanitaristica.

Per centinaia di milioni di persone, il sogno di abbandonare l'Asia e l'Africa per raggiungere l'Europa è antico quanto il colonialismo che ha impoverito questi continenti. Ma non è antico, anzi è recentissima, la costruzione di una rete internazionale che dietro il versamento di cifre altissime per la povera gente che le paga, e a rischio della vita sui barconi, riesce a far entrare masse di migranti in Europa, senza passare per le dogane, gli aeroporti e senza documentazione. Agli inizi venivano chiesti dalle mafie del traffico almeno 1.000 euro a persona (cioè una cifra mostruosa per i poveri d’Asia e d’Africa), ma ora queste cifre sono in aumento (per il traffico dalla Grecia si parla di quasi 3000 euro) oltre alle estorsioni prima dell’imbarco di cui parla anche Fred Kuwornu. E chi dopo l'arrivo in Libia (dopo settimane o mesi di sofferenze) non le può pagare o non può pagare i supplementi richiesti, nell'impossibilità di tornare indietro può vedersi ridotto allo stato di schiavitù nei campi profughi libici e in altri lager gestiti da bande criminali e funzionari statali corrotti. La prostituzione femminile è spesso l'ultima possibilità che rimane per pagare le cifre richieste dai negrieri. E comunque è sempre la prostituzione che attende molte di queste donne una volta «sbarcate» sulle coste italiane, quando vengono riprese in ostaggio da altre reti criminali legate alle stesse reti che le hanno trasportate.
La differenza con il sogno del passato di emigrare in Europa e la possibilità di realizzarlo concretamente è stata data a un certo punto dalla prassi di accettare gli immigrati purché arrivassero via mare, su barconi e altri mezzi di fortuna e non tramite permessi consolari, aerei charter ecc. È stata una mossa (non saprei dire fino a che punto voluta dal governo italiano di Renzi) che ha fatto credere a centinaia di milioni di persone che quella dello sbarco marittimo (camuffato da richiesta di asilo politico) fosse finalmente la porta spalancata a chiunque per entrare in Europa. È stata cioè una speranza rinfocolata artificialmente, quasi un invito a mettersi in cammino (dal Bangladesh, dal Medio Oriente, dall'Africa centrale ecc.) procurandosi con qualsiasi mezzo i 1.000 euro da pagare alle bande criminali e disposti ad affrontare i rischi del viaggio.

Con l'intervento delle Ong quei rischi si sono ridotti al minimo e quindi anche l'afflusso è cresciuto a dismisura. In questo senso le Ong sono state complici «tecniche» della nuova tratta. E comunque ogni viaggio se lo facevano pagare profumatamente (si parla di almeno 240.000 euro a viaggio, ma ovviamente è difficile avere certezza sulle cifre, costi accessori, tangenti ecc.). Spero però che nessuno creda più alla buona fede di queste «agenzie di trasporti» che nulla hanno a che vedere con lo spirito originario delle Ong che in alcuni casi e in alcuni paesi ancora permane.

Sulle illusioni di tanta povera gente hanno speculato le bande criminali e la filiera addetta al trasporto marittimo. Il tutto perché la nostra «civiltà» italiana ed europea non consente che chi è desideroso di immigrare in Europa lo faccia con un volo charter da meno di 100 euro a testa, sbarcando legalmente e civilmente all’aeroporto di Fiumicino. No, la bestiale ricerca di denaro, di lavoratori o lavoratrici da supersfruttare col lavoro nero, di nuova manovalanza da reclutare a traffici di ogni genere, fa sì che l'entrata possa avvenire solo pagando le bande criminali, solo rischiando la vita, solo consegnandosi ad altre bande criminali attive in Italia e in Europa. Questa differenza i benpensanti nostrani sembrano non capirla, ma io la ripeto: perché non si entra gratis e legalmente da Fiumicino, invece che pagando le mafie e illegalmente dal mare?

Invece di lamentarsi indignati ogni volta che un tentativo di sbarco si conclude tragicamente, invece di pensare ipocritamente solo al dramma degli sbarchi, si cominci a pensare al traffico degli imbarchi e si risponda alla mia domanda (che tra l’altro la gente comune già si pone da tempo, ovviamente senza ricevere risposte dalla nomenklatura politica). Ponendosi quella domanda, si comincerà a capire la natura mostruosa del crimine rappresentato dal traffico di esseri umani e dalla rete degli imbarchi.
La ex pseudosinistra, divenuta nel frattempo semplice massa d'opinione progressista, è totalmente in malafede col suo piagnisteo su chi muore durante i viaggi organizzati dai trafficanti di esseri umani. Non avendo più ideali di emancipazione sociale in cui credere, si affida al buonismo umanitario che, come spesso è accaduto nella storia dell'umanità (dalle riserve con vaccinazione antivaiolo per i nativi americani all'odierno traffico assistito di esseri umani) serve solo a nascondere il senso di colpa individuale e collettivo nei confronti di Paesi che sono stati rovinati proprio dalle politiche colonialistiche, prima, e imperialistiche, poi, di quegli stessi Stati dei quali ora si vorrebbe diventare sudditi.

La mia posizione, se fossi ministro degli Interni in un governo anticapitalistico, sarebbe di organizzare delle task-force che, con o senza permesso dei libici, vadano ad aspettare i trafficanti appena fuori delle acque territoriali e li ammazzino uno per uno, salvando e portando in Italia gli immigrati che stanno sui barconi.  Lo sterminio dei trafficanti è indispensabile per impedire loro che ricostruiscano la rete o spostino altrove il traffico. E la loro eliminazione, fatta in acque internazionali non creerebbe grandi problemi giuridici. E comunque, a mali estremi estremi rimedi: uccidendo qualche centinaio di trafficanti si salverebbero decine di migliaia di vite umane e si porrebbe termine al sogno artificialmente indotto di poter raggiungere l'Europa «clandestinamente» via mare e dietro pagamento di tangenti alle mafie di vario genere.

Dei trafficanti risparmierei la vita solo a quelli disposti a indicare i nomi che compongono la filiera del traffico, dalla manovalanza fino ai vertici (quelli che la organizzano e ci hanno già guadagnato negli anni miliardi di euro).  Il traffico finirebbe nel giro di poche ore e si dimostrerebbe per quello che è: una tratta di esseri umani organizzata internazionalmente con complicità negli apparati statali di vari paesi africani e asiatici oltre che dell'Italia, e col sostegno «morale» degli utili idioti .

Quindi prego di dare la massima circolazione alla lettera di Fred Kuwormu, perché il suo contenuto non potrebbe essere più giusto e più utile per frenare la complicità «umanitaria» del mondo «progressista» con i trafficanti di esseri umani. 




*  *  *

IL TRAFFICO DI ESSERI UMANI 
(in risposta ad uno dei tanti articoli sull'immigrazione)
di Fred Kuwornu*
 

Il traffico di esseri umani nel mondo frutta 150 miliardi di dollari alle mafie, di cui 100 miliardi vengono dalla tratta degli africani. Ogni donna trafficata frutta alla mafia nigeriana 60 mila euro. Trafficandone 100mila in Italia, la mafia muove un giro di 600 milioni di euro all'anno. Nessun africano verrebbe di sua volontà, se sapesse la verità su cosa lo attende in Europa.
Non mi infilo nell'eterna guerra civile italiana basata su fazioni e non contenuti, ma da afrodiscendente italiano e immigrato ora negli Stati Uniti credo sia arrivato il momento di parlare e trattare l'immigrazione, o meglio la mobilità, come un problema e fenomeno strutturale che ha vari livelli e non come uno strumento per fare politica o da trascinarsi come i figli contesi di due genitori che li usano per il loro divorzio come arma di ricatto.
Secondo stime dell'ONU ogni anno sono trafficati milioni di esseri umani con una stima di guadagno delle mafie di 150 miliardi di dollari di fatturato ripeto 150 MILIARDI (le allego la news di AlJaazera non de Il Giornale o i lFatto Quotidiano). Io non so se lei ha mai vissuto o lavorato nell'Africa vera e che Africani conosce in Italia, o se da giornalista si informa su testate anche non italiane, ma il traffico di esseri umani con annessi accessori vari ( bambini, organi, prostituzione ) non è un fenomeno che riguarda solo l'Italietta dei porti si o porti no ma è un fenomeno globale che fattura alle mafie africane, asiatiche e messicane 150 e ripeto 150 Miliardi di dollari all'anno.


Questi soldi poi non vengono certo redistribuiti alla popolazione povera di questi paesi ma usati per soggiogarla ancora di più con angherie di ogni genere, destabilizzarne i già precari equilibri politici, reinvestirli in droga e armi.


Si è mai chiesto perché, a parità di condizioni di povertà e credenza che l'Europa sia una bengodi, quelli che arrivano da Mozambico, Angola, Kenya sono pochissimi, o quelli che arrivano dal Ghana (il Ghana che è il mio Paese d'origine ha un PIL del 7% e una situazione di assenza di guerre e persecuzioni) provano a venire? Perché esiste una cosa chiamata Mafia Nigeriana che pubblicizza nei villaggi che per 300 euro in 4 settimane è possibile venire in Italia e da lì se vogliono andare in altri Paesi Europei. Salvo poi fregarli appena salgono su un furgone aumentandogli all'improvviso la fee di altri 1000$, la quale aumenta di nuovo quando arrivano in Libia, dove gliene chiedono altri 1000$ per la traversata finale. Il tutto non in 4 settimane come promettono, ma con un tempo di attesa medio di un anno.
In tutto questo ci aggiungo minori che vengono affidati a donne che non sono le loro veri madri e che poi spariranno una volta sistemate le cose in Europa e di centinaia di donne che saranno invece dirottare a fare le prostitute, ognuna delle quale vale 60mila euro d'incasso per la mafia stessa. Solo trafficandone 100.000 verso l'Italia la mafia nigeriana muove un giro di affari di 600 milioni di euro all'anno.


A questo si somma quello che perde l'Africa: risorse giovani. Ho conosciuto ghanesi che hanno venduto il taxi o le proprie piccole mandrie per venire in Europa e ritrovarsi su una strada a elemosinare o a guadagnare 3 euro all'ora se gli va bene, trattati come bestie, e che non riescono neanche a mettere ovviamente da parte un capitale come era nei loro progetti. E anche se desiderano tornare non lo faranno mai per la vergogna perché non saprebbero cosa dire al villaggio, non saprebbero come giustificare quei soldi spesi per arrivare in Europa, anzi alimentano altre partenze facendosi selfies su facebook che tutto va bene per non dire la verità, per vergogna, e quindi altri giovani (diciottenni, non scolarizzati) cercano di venire qui perché pensano che sia facile arricchirsi.


Che senso ha sostenere che questo traffico di schiavi e questa truffa criminale della mafia nigeriana, come quelle asiatiche in Asia, deve continuare?


A chi fa bene? Non fa bene al continente africano, non fa bene al singolo africano arrivato qui perchè al 90 per cento entra in clandestinità e comunque non troverà mai un lavoro dignitoso, non fa bene all'Italia, che non ha le risorse economiche e culturali per gestire e sostanzialmente mantenere tante persone che non possano contribuire, specialmente in un Paese dove il 40% dei coetanei di questi giovani africani è già senza un lavoro, e non fa bene neanche all'immagine che l'europeo ha dell'africano perché lo vede sempre come una vittima, un povero, un soggetto debole.


Questo da africano, ma anche essere umano, è l'atteggiamento più razzista che ci sia, oltre che colonialista, perché non aiuta nessuno se non le mafie e chi lavora in buona o malafede in tutto questo indotto legato alla prima assistenza. Con 5 mila dollari è più facile aprire una piccola attività in molti Paesi dell'Africa che venire qui a mendicare, e se solo fosse veramente chiaro e divulgato questo concetto il 90 per cento delle persone non partirebbe più probabilmente neanche in aereo per l'Italia.


Specialmente chi ha forse la quinta elementare e 20 anni. Non è lo stesso tipo d'immigrazione di 30 anni fa dove molti erano anche 30enni, alcuni laureati, ma molti con diploma superiore e comunque trovavano lavori nelle fabbriche e in situazioni dignitose.
Non conosco la situazione delle ONG che si occupano dell'assistenza marittima, ma conosco benissismo quelle che operano in Africa e la maggioranza sono solo un sistema parassitario. Per i maggiori pensatori Africani e veri leader politici una delle prime cose da fare è proprio cacciare dall'Africa tutte le ONG perché seppure il personale che ci lavora è in buonafede, i giovani volontari, il sistema ONG serve a controllare e destabilizzare l'Africa da sempre, oltre che creare sudditanza all'assistenza, senza contare il giro finanziario di donazioni e sprechi fatti dalle ONG per mantenere dirigenti sfruttando l'immagine del povero bambino africano.


Basta con questo modo di pensare controproducente, razzista e ignorante. Sarebbe curioso vedere qualcuna di queste ONG fare iniziative a Scampia mettendo nelle pubblicità le foto di qualche bambino napoletano.


Siamo stanchi di questa strumentalizzazione che fate su questo tema per i vostri motivi ideologici o le vostre battaglie di fascisti o antifascisti sulla pelle di un continente di cui conoscete poco o che avete romanticizzato e idealizzato e che usate per mettere a posto la vostra coscienza o lenire i sensi di colpa del vostro status privilegiato. E' ora di fare analisi serie e porre in campo soluzioni concrete vincenti, non di avvelenare i pozzi di un partito o dell'altro, perché chiunque vinca perde l'Africa.


Sarebbe bello un reportage di Edo State in qualche villaggio per capire a che livello di furbizia, cattiveria, fantasia criminale sono arrivati e scoprirete che forse solo trasportare e illudere un giovane analfabeta di vent'annni e la sua famiglia è il minimo che questa potentissima e sottostimata organizzazione criminale fa ogni giorno, sfruttando la disperazione e ignoranza delle gente di cui alcuni disposti a tutto, persino a vendere un figlio appena nato per 100 dollari.


Se questo verrà tollerato ancora i rischi non saranno solo per l'Italia, ma anche per i Paesi Africani dove oltre al problema di dittatori si aggiungerà quello di Narcos del livello della Colombia di Escobar o del Messico di El Chapo con ancora più morti e sottosviluppo di quello che già c'è.


* regista italiano di origini 


domenica 1 luglio 2018

L'IMMIGRAZIONE, SALVINI E IL POPOLO DI SINISTRA di Ugo Boghetta

[ 1 luglio 2018 ]

A Bologna è scoppiato il caso Arci Benassi, un luogo storico della sinistra, a seguito di un programma mandato in onda da La7 nel quale alcuni soci esprimevano considerazioni positive sulle posizioni assunte in questi giorni da Salvini.
Apriti cielo! Imbarazzo totale. Immediatamente è partito, non il dibattito, ma il processo con il corollario di epiteti: fascisti, razzisti ed altro.

Che cosa hanno detto di tanto sconvolgente i malcapitati avventori? Ecco di seguito alcuni frasi: “Salvini fa bene a smuovere le acque. L'immigrazione va regolarizzata. La nave? Almeno ora tocca anche agli altri”, “Credevo alla sinistra quando c'era il PCI, non voto più da tempo”, “Io voto PD ma Salvini prospera perché la sinistra ha lasciato troppo andare. E lui fa bene a farsi sentire con l'Europa. Finalmente uno che ci prova; ma la schedatura dei Rom è sbagliata”, “Salvini dice prima gli italiani. Voto PD ma il partito deve pensare a chi tra noi non ha lavoro, è esodato, ha una pensione da fame”. Come si vede sono frasi che esprimono un sentire popolare e confermano i motivi che hanno portato al governo gialloverde e alla crisi delle cosiddette sinistre. Solo qualche giorno dopo i fatti, al ballottaggio di Imola, un altro baluardo del PD è caduto passando ai 5S. Tutto ciò conferma quanto accaduto in precedenza in altri paesi: Brexit, Francia, Trump.

Nulla di nuovo dunque. Come non nuova è l'incapacità delle cosiddette sinistre di capire che le classi popolari, e non solo, chiedono PROTEZIONE contro la globalizzazione e le sue istituzioni. Non capire la richiesta sicurezza significa non capire la questione sociale.

Certo, ciò è difficile quando una gran parte della cosiddetta sinistra è direttamente colpevole. E quando l'altra, quella radicale, ne condivide la filosofia generale non comprendendo che gli esiti negativi sono l'inevitabile conseguenza dell’attacco condotto contro gli stati nazionali (attacco spesso condiviso da molto anarchismo della gauche) a favore della libera circolazione di capitali, merci e persone. La connessione fra il giustificato sentire popolare e Salvini avviene in questa frattura tra sinistra, il ruolo dello stato e classi subalterne.

Il leader leghista, peraltro, non può e non vuole risolvere i problemi, ma intende usarli: gli consentono una campagna elettorale permanente e gratuita. Per molto tempo ha posto le questioni in termini effettivamente xenofobi ma da quando è al governo ha accentuato un linguaggio che cerca di cogliere un più vasto senso comune: bisogna bloccare il traffico criminale di schiavi, bisogna alzare la voce con gli altri paesi europei che non fanno nulla, bisogna far sì che i bambini Rom vadano a scuola… .

Anche per Salvini i nodi verranno al pettine. Alla lunga non basterà una miniriforma della Fornero o del Jobs act per mantenere il consenso. Il tallone d'Achille è una politica economica che non può funzionare: arricchire i già ricchi per arricchire tutti. Il disagio e l'incertezza rimarranno. Allora il capro espiatorio migrante sarà sempre utile. Del resto appellarsi per la risoluzione dei problemi ad un Unione per questo governo è un paradosso, un'ipocrisa o una tattica. Di vincolante l'Unione ha solo l'euro!

Questo però ci aiuta a capire ciò che dovevamo capire da tempo. Senza disinnescare la questione delle migrazioni sarà sempre difficile indirizzare lo scontro verso i nemici principali: il finanzcapitalismo, la logica del profitto, le multinazionali, l'Unione Europea. L’accoglienza senza limiti e regole è benzina sul fuoco. L'Europa andrà sempre più a destra. Mentre l’Italia, secondo il sentire comune di molta sinistra, di fronte alle ondate migratorie dovrebbe semplicemente aprire tutti gli accessi! In questo modo le porte sarebbero aperte, sì, ma a Orban o peggio.

Ovviamente le soluzioni non sono facili. Nessuno ha la bacchetta magica. Ma la questione andrebbe almeno impostata in modo corretto. Il divario economico fra Africa subsahariana ed altre zone permarrà. È vero che si prevede una riduzione delle differenze economiche, ma anche una moltiplicazione per due o per tre della popolazione. In questo quadro, tolto il 7% circa che ottiene lo status di rifugiato, gli altri migranti sono di altra natura: migranti economici, si dice. In realtà la dizione non è precisa. Sono migranti “politici”.

In Africa, chi ha 4000 euro e oltre di disponibilità per affrontare il viaggio non è un povero. È membro di un ceto medio, in larga parte urbanizzato e scolarizzato, che si sente bloccato nella progressione sociale a causa della ripartizione verso l'alto della ricchezza attuata da élite autoritarie e spesso serve degli interessi occidentali: vedi tutti i paesi che aderiscono al CFA, la moneta unica subordinata alla Banca di Francia. La soluzione scelta è quella dell'emigrazione. Siamo passati dall'esercito di riserva ai popoli di riserva. Vedi anche alla voce delocalizzazioni.

Ma questa migrazione, in Europa, impatta con un ceto medio e classi popolari che sono “in discesa” quanto a status e condizione. Lo scontro è invitabile, e se la situazione degli uni e degli altri non cambierà, esso diverrà endemico e si alzerà di livello. L'etnicizzazione del conflitto e della società sarà inevitabile e il conflitto rimarrà fra e nel popolo. Sarà un disastro. Peraltro, i migranti, solo in parte diventeranno lavoratori: molti ingrosseranno le fila della piccola borghesia, altri saranno sottoproletariato.

Va compreso che ogni società ha un suo limite di accoglienza. Ed è tanto più basso quanto più bassa è la condizione sociale delle classi popolari e della maggioranza dei cittadini. Anche l'unità di classe ha un livello in cui può essere perseguita ed un altro dove c'è lo scontro. Se si vuole invertire la rotta, e consentire anche una capacità di accoglienza superiore ed un'unità di classe e di popolo, è dunque necessario regolarizzare, controllare i flussi: anzi concordare i flussi. A questo proposito appare davvero stravagante che chi si riempie la bocca di sovranità popolare non ne tenga in nessun conto in questo caso. Se uno bussa alla mia porta io posso accoglierlo temporaneamente, per sempre, ma anche dire di no: non per odio, ma perché devo commisurare l’accoglienza alla mia condizione ed alla possibilità di un inserimento dignitoso. Per questo, a differenza di Salvini che lavora per mantenere sacche crescenti di utile clandestinità, si devono assicurare le condizioni sociali e politiche per una progressiva piena regolarizzazione di chi si stabilizza in Italia.

Inoltre i migranti si consegnano ad una filiera criminale, concorrendo a produrre una vera e propria economia della migrazione in Libia, Niger, Mali. Un'economia che deve essere sempre alimentata. Siamo anche al paradosso che chi paga il viaggio finisce nei lager. Non può stupire che i migranti, dopo tante sofferenze, vengano anche usati per le trattative con i governi dell'altra sponda o per regolare ed affrontare questioni interne agli stati dell'Unione. Si mette anche a dura prova il diritto internazionale che impone giustamente di salvare la gente in mare. Ma queste leggi sono state varate (sembra a partire dalla vicenda del Titanic) per salvare le persone da naufragi causali: collisioni, incendi, tempeste. Qui ci troviamo dinnanzi a naufragi programmati e continuati. Detto e ripetuto che tutti devono essere salvati, la questione non è umanitaria ma tutta politica.

Ma se è evidente che la soluzione sta all'origine dei flussi, andrebbe tuttavia subito cancellata la frase: “aiutiamoli a casa loro”. È davvero una frase meschina che nasconde intenti meschini. I migranti, infatti, vengono utilizzati per una nuova fase di colonizzazione e controllo delle ricchezze. Prima e dopo gli aiuti infatti arrivano sempre i militari. Anzi, di militari occidentali in Africa, in Medio Oriente, ed in altre zone ce ne sono già davvero troppi.

Se il primo cambiamento sociale, politico, democratico, egualitario deve dunque avvenire in Africa, questo non può essere che essere compiuto dagli africani stessi. Nessuno può liberare nessun altro. Vogliamo altre guerre umanitarie, altre esportazioni di democrazia?! Il continente, per altro, ha una lunga storia di lotte di liberazione e per il socialismo. Lotte spesso fallite proprio per gli interessi e gli interventi dei paesi occidentali. L'internazionalismo di cui spesso si straparla, dunque, non si identifica certo con l'accoglienza ma con la lotta di liberazione e per il socialismo, in occidente come nel resto del mondo.

Il nemico è comune: la globalizzazione liberista, il modello finanzcapitalista, le multinazionali, e i poteri che le rappresentano in modi diversi in Italia, in Europa, e nelle varie realtà dell’Africa e del mondo. 


* Fonte : Socialismo 2017

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