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lunedì 14 settembre 2015

FATEVI DUE RISATE (Toni Negri: io sto con Ttsipras)

[14 settembre]

Che Toni Negri [nella foto] avesse sposato la globalizzazione, ed infine la costruzione di questa Unione europea lo sapevamo. Per lui ogni processo che conduca all'abolizione degli stati-nazione, fosse anche opera del demonio, è cosa buona e giusta. Ma che giungesse fino a sostenere l'umiliante capitolazione di Tsipras... questo francamente non se lo aspettavano nemmeno i quattro gatti che ancora gli vanno dietro.

Toni Negri, l'ex leader di Potere Operaio: 

"Diamo fiducia a Tsipras perché non diventi un Renzi"


Intervista di Angela Mauro, 12 settembre 2015

«Toni Negri ha sostenuto la scommessa di Tsipras dall’inizio. E non lo molla, a una settimana dalla nuova tornata elettorale in Grecia. Il sì di Tsipras al memorandum di luglio è ciò che “qualunque politico deve fare se si trova davanti ad alternative impossibili. E l’alternativa impossibile è quella tra euro e dracma. Non c’è un piano B”, spiega a sorpresa l’82enne ex leader di Potere Operaio, che incontriamo alla scuola politica del suo collettivo ‘Euronomade’, in un vecchio capannone industriale di ‘Officine zero’, ex fabbrica dei vagoni di Trenitalia occupata e riconvertita in laboratorio di ‘riciclo e riuso’ a Roma est. “Bisogna dare a Tsipras fiducia perché non diventi un Renzi, un social-democratico allo sfascio”. Yanis Varoufakis? “Intelligente ma avventuriero”. Piuttosto, si guardi a Podemos, suggerisce, a “Jeremy Corbyn”, la nuova speranza di sinistra del Labouringlese. A Tsipras e alla sinistra in ogni Stato serve una “coalizione europea”, dice Negri, con la passione politica di un ventenne, deciso nel giudizio anche su fenomeni italiani come il M5s: “Incanala il sospetto e la paura. Farà la fine dell’Uomo qualunque nel ’48…”». 

È ancora possibile? Tsipras non ha fallito con la firma del memorandum a luglio?
Io credo che il giudizio su Tsipras si potrà dare solo nel tempo. Dipende da come andrà il dibattito e lo sviluppo politico negli altri paesi d’Europa e dalla sua capacità di gestire la sconfitta di luglio in maniera favorevole. La capacità di propulsione che Tsipras e Syriza aveva determinato sul movimento europeo in generale è stata bloccata. Però ‘Oxi’ è stato un momento fondamentale e di importanza storica: è la dimostrazione della possibilità di reagire contro l’Europa neoliberale.

Qui alla scuola politica di Euronomade, Juan Carlo Monedero, ideologo di Podemos, sostiene che il referendum di luglio è stato un errore per Tsipras. È d’accordo?
Monedero dice che il referendum non si doveva fare. Secondo me l’errore di quelli che dicono che non si doveva fare è che prendono per buona l’idea che il referendum sia stato un’offesa alla Merkel e che abbia prodotto quindi un irrigidimento. Non è vero, l’irrigidimento c’era già contro qualunque successo di Syriza, un irrigidimento costruito come deterrente nei confronti di qualsiasi altra forza che in Europa volesse rompere. Per fortuna che c’è stato Oxi perché ha lasciato nella storia europea una capacità di dire no.

Com’è che quel no si è trasformato in sì a metà luglio? 
Non so. Non vivo in Grecia e non posso intervenire nel dibattito greco. È una domanda cui non posso rispondere. Ma sono convinto che la trasformazione del no in sì sia una cosa che qualsiasi politico deve fare quando si trova di fronte ad alternative impossibili. E l’alternativa impossibile era euro e dracma. Io non sono assolutamente convinto che un piano B sia onestamente pensabile. Un piano B, sul quale oggi si è formata un'altra alleanza (dei dissidenti di Syriza, ndr.), si sta formando è qualcosa di intellettualmente deficitario. Nessuno ci mostra che cosa possa essere una crisi finanziaria condotta in termini di pura resistenza di un piccolo Stato nei confronti di quella che è la potenza verbale del denaro, delle banche e della centralizzazione politica europea del potere finanziario. Questa conversione del no in sì, dal punto di vista di Tsipras, è stato un faticosissimo sforzo per riuscire a dare una soluzione. Dal punto di vista della gente, credo siano stati più saggi dei politici. La grande maggioranza della popolazione greca ha accettato questo sì. La stessa maggioranza dell’Oxi ha comunque accettato il sì. L’alternativa cos’era? Un’alleanza con Putin o con gli israeliani. Mi sembra una via assolutamente irrealistica.

Che giudizio dà sull’ex ministro Yanis Varoufakis?
Ho letto il suo discorso all’università estiva della sinistra socialista francese. Un testo letterario molto bello ma il tipo di alleanze che Varoufakis sviluppa oggi è estremamente ambiguo, può affascinare settori socialisti completamente incapaci di muoversi su una radicalità del tipo che lui stesso propone. E’ una tematica che affascina i ‘rosso-neri’ (estremisti un po’ di sinistra, un po’ di destra, ndr.) e che quindi è estremamente pericolosa sul piano delle libertà oltre che sul piano economico. Insomma, Varoufakis mi sembra un Žižek (Slavoj Žižek, filosofo marxista sloveno, ndr.) della politica e cioè uno estremamente intelligente e avventuriero.

Che funziona sui media.
Ma non perché sia mediatico, bensì perché permette ai padroni di aprire tematiche di comando. È come quelli che dicono che lo sfruttamento ormai ha raggiunto l’anima e non c’è nulla da fare: questo è un discorso che in parte è giusto e in parte è fascista. Perché le possibilità di resistenza ci sono e fantasticare su un piano B è altrettanto pericoloso e sbagliato.

Adesso quali armi ha Tsipras, ammesso che vinca le elezioni?
Ha le armi legate alla possibilità di creare una nuova crisi, per esempio. Se gli impongono di privatizzare gli aeroporti, può dire: allora nazionalizzo i porti. Gli impongono di cambiare il regime dei contratti nazionali di lavoro? Allora magari può rispondere con un reddito di cittadinanza. Tutto il problema è a questo punto stare a vedere e io ipotizzo una risposta positiva. Bisogna dare a Tsipras fiducia perché non diventi un Renzi, un social-democratico allo sfascio.

C’è chi legge le sue ultime mosse come il tentativo di trasformare Syriza in un ‘partito della Nazione’, più moderato. La convince questa analisi?
Se è vero, allora bisogna dire che l’Ue è più potente anche ideologicamente di tutto il resto. Se è vero, resta comunque il fatto di un Oxi che ha dato coraggio a tanti altri di muoversi su quel terreno. Un fatto politico, un fatto storicamente irreversibile. Quell’Oxi è un simbolo di resistenza altrettanto importante quanto la foto del bambino morto sulla spiaggia. Quell’Oxi dice alla gente: è possibile. Se poi il suo attore si rivela una marionetta, sarà doloroso ma quell’Oxi resta. La Merkel e il Consiglio Ue si sono mossi con l’obiettivo di evitare che si ripeta, per dare un segno che non era possibile ripetere l’Oxi. Noi sottovalutiamo l’importanza dell’Oxi mentre i governi europei l’hanno immediatamente percepita. Quello che ora ci vogliono mettere in testa è che dire no è impossibile. Oxi è stato invece possibile. Quindi secondo me è una grossa sottovalutazione politica quella di dire che Oxi non ha significato nulla. Anzi ha avuto un significato enorme tant’e vero che il capitalismo europeo ha reagito in maniera feroce. 

La sinistra italiana è piena di tifosi di Tsipras. Ma quali lezioni possono tradurre in realtà per non fare gli ultrà con i governi altrui?
Quello che stiamo facendo adesso, qui alla scuola politica, è l’unica strada per presentare a livello europeo un’alternativa nella quale c’è Syriza, ma anche i compagni che sono usciti da Syriza, Podemos e i compagni che sono attorno a Podemos, altre forze europee che si muovono in questo senso, dalla Linke ai democratici scozzesi o quelli che sostengono la candidatura di Corbyn alle primarie del Labour. Tutto questo si può fare attraverso la costruzione di una coalizione che tocchi non tanto le vecchie forze del movimento operaio ma altre forze sociali e quindi sindacali che possono permettere di costruire il nuovo. Quello che è estremamente importante nell’Oxi e nella politica fatta da Syriza prima della scadenza fatale cui è arrivata, è stata indubbiamente questa capacità di costruire un rapporto tra un’esperienza politica specifica e un’esperienza sociale estremamente allargata di mutualismo di imprenditorialità sociale di classe. Nella crisi in Grecia si era costruito non dico un’economia alternativa ma una sorta di servizio pubblico alternativo ed è esattamente quello che è avvenuto anche in Spagna. In Italia noi abbiamo un guaio: che l’iniziativa non può essere presa semplicemente dal livello politico ma deve confrontarsi con una storia di centri sociali e di movimento operaio estremamente complessa. Si tratta di portare questa storia e costruire una coalizione che abbia nella testa e nel cuore l’egemonia che merita di avere. Se avvenisse una cosa di questo genere in Italia sarebbe veramente esplosiva all’interno del tessuto politico italiano e sarebbe estremamente importante sul livello europeo. 

Ma in Italia il sentimento di indignazione viene già incanalato dal M5s. Cosa che non succede in Grecia e Spagna.
Più che indignazione, il Movimento 5 stelle incanala il sospetto, la paura. Il Movimento 5 stelle è un movimento essenzialmente negativo che si appoggia a quella che poi è una specie di mito esoterico di soluzione magica. Il Movimento 5 stelle non ha programma, non ha radici sociali in settori di classe e non rappresenta strati lavorativi, gioca solamente sul piano comunicativo. Sono tutti elementi che vanno assunti come interni alla problematica dell’oggi, ma sono tutti problemi che i cinquestelle hanno risolto in maniera impropria, non direi neppure negativa ma impropria. Sono persone che finiranno esattamente come è finito l’Uomo qualunque nel ’48.

Dunque, anche in Italia è possibile che nasca una coalizione sociale che si ponga anche il problema della rappresentanza istituzionale, come Podemos insomma. 
La presa del potere è fondamentale sempre per quanto riguarda i lavoratori, i poveri e tutte le classi subordinate. Oggi la coalizione non può che essere prima di tutto sociale attraverso la ripresa delle lotte in fabbrica e società.

Obiettivo: “dissacrare il concetto di partito, ridurlo a quello che deve essere, non un fine ma un mezzo”, cito dal suo intervento.
Questa è condizione essenziale. D’altra parte credo che i partiti tradizionali siano completamente bruciati nella volgare omologazione.

Anche il Pd di Renzi?
Ma si… anzi soprattutto».


* Fonte: huffingtonpost

sabato 9 agosto 2014

LA GLOBALIZZAZIONE SMENTISCE LE "PROFEZIE" DI MARX? di Moreno Pasquinelli

9 agosto. 
SVILUPPO CAPITALISTICO E CLASSI SOCIALI.

Con quanta (insostenibile) leggerezza il pensiero unico liberista ha pensato di sbarazzarsi dello "spettro" di Marx!  
Essi sono convinti che l'implosione del movimento comunista dipenda anzitutto dalla fallacia delle previsioni di Marx, considerate vaticini senza basi scientifiche, profezie filosofiche campate per aria. 
Le cose stanno veramente così? E' proprio vero che la globalizzazione avrebbe smentito le principali previsioni marxiane? O non è forse vero il contrario? 
Proviamo a verificarlo, prendendo in considerazione, come amano tanto gli "scienziati" di Sua Maestà Il Capitale, i fatti, i dati empirici, e quindi rileggendo quanto Marx scrisse nel Manifesto del Partito Comunista del 1848.

Diverse sono le tesi "profetiche" di Marx, tra le altre quella che concerne il rapporto indissolubile tra capitale e lavoro salariato, ovvero come, alla crescita del capitale deve corrispondere un'aumento dell'esercito proletario. Lo faremo svelando gli ultimi dati sulle classi sociali a livello mondiale.
Tabella n. 1. La curva del Pil mondiale. Dati Fmi.


MARX AVEVA PREVISTO LA GLOBALIZZAZIONE?

Prima di arrivare al punto è necessario smentire quei detrattori che vorrebbero far credere che Marx, in quanto irriducibile anticapitalista, avesse sottovalutato, se non addirittura escluso, le capacità espansive del modo capitalistico di produzione.

Ben al contrario Marx, e ciò mentre il capitalismo  predominava solo in Inghilterra, aveva non solo sottolineato il dinamismo congenito del capitale ma previsto che il suo destino era, quello sì inesorabile, di colonizzare il resto del mondo, e lo avrebbe potuto fare, appunto, in virtù della sua capacità di sviluppare incessantemente i metodi di produzione, quindi le sue forze produttive con l'uso sistematico delle scoperte scientifiche e tecniche:
«La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. (...) Il bisogno di uno smercio sempre più esteso per i suoi prodotti sospinge la borghesia a percorrere tutto il globo terrestre. Dappertutto deve annidarsi, dappertutto deve costruire le sue basi, dappertutto deve creare relazioni».
Tabella n.2. Il commercio mondiale
Il riconoscimento del ruolo "rivoluzionario" della borghesia non indusse tuttavia Marx a fare l'apologia del capitalismo. Ben al contrario! Marx colse l'aspetto disumanizzante dello sviluppo capitalistico, che il progresso economico poteva nutrirsi solo con maggiore sfruttamento e alienazione della classe dei lavoratori salariati:
«... la borghesia non ha lasciato fra uomo e uomo altri vincolo che il nudo interesse, il freddo "pagamento in contanti". Ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell'esaltazione devota, dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio prova di scrupoli. In una parola: ha messo lo sfruttamento aperto, spudorata, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d'illusioni religiose e politiche».
Si giudichi ora, alla luce della più recente evoluzione del sistema capitalistico, ovvero con l'avvento del neoliberismo, se la diagnosi marxiana non si sia rivelata esatta. La cosiddetta "epoca d'oro" keynesiana, segnata (ma solo in Occidente) dal sostanziale miglioramento condizioni di vita delle classi proletarie (strappato al costo di molti anni di durissime lotte sindacali e politiche) si è rivelata nulla di più che una parentesi. Piegato il movimento dei lavoratori, dissoltosi lo spauracchio del "socialismo reale", il capitalismo è tornato ad ubbidire ai suoi nativi e più feroci istinti.

E proprio alla luce dell'involuzione dei sistemi politici, prendendo in considerazione ogni singolo paese capitalistico, si provi a negare che Marx avesse avuto ragione nel caratterizzare governi e stati come comitati d'affari della borghesia:
«...la borghesia, infine, dopo la creazione della grande industria e del mercato mondiale, si è conquistata il dominio politico esclusivo nello Stato rappresentativo moderno. Il potere statale moderno non è che un comitato che amministra gli affari comuni di tutta la classe borghese».
LE CRISI CAPITALISTICHE

Quel che Marx mise poi in rilievo era una caratteristica essenziale del capitalismo, quella di causare crisi economiche periodiche (oggi le chiamiamo "recessioni") che, da parziali tendevano a diventare generali e devastanti. Negli anni della cosiddetta "maturità", quando si dedicherà a scrivere la monumentale opera che andrà sotto il nome de Il capitale, Marx indagherà per lungo e per largo il fenomeno delle crisi. Affermerà che queste crisi non giungono a caso, ma sono il risultato di contraddizioni intrinseche al sistema capitalistico stesso. Provai a riassumere quanto Marx scrisse sulle crisi ne Il capitale in questo articolo.
Già nel Manifesto tuttavia la sua analisi è sostanziale:
«Nelle crisi commerciali viene regolarmente distrutta non solo una gran parte dei prodotti ottenuti, ma addirittura gran parte delle forze produttive già create. Nelle crisi scoppia un'epidemia sociale che in tutte le epoche anteriori sarebbe apparsa un assurdo: l'epidemia della sovrapproduzione. La società si trova all'improvviso ricondotta a uno stato di momentanea barbarie: sembra che una carestia, una guerra generale di sterminio le abbiano tagliato tutti i mezzi di sussistenza; l'industria, il commercio sembrano distrutti. E perché? Perché la società possiede troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio».
Sembra o no una descrizione fedele di quanto il nostro paese e tutto l'Occidente stanno attraversando dopo il collasso finanziario del 2008-09?  Marx indica poi con altrettanta precisione come il capitale tenti di venir fuori dalle sue crisi periodiche:
«Con quale mezzo la borghesia supera le crisi? Da un lato, con la distruzione coatta di una massa di forze produttive; dall'altro, con la conquista di nuovi mercati e con lo sfruttamento più intenso dei vecchi. Dunque, con quali mezzi? Mediante la preparazione di crisi più generali e più violente e la diminuzione dei mezzi per prevenire le crisi».
Il capitalismo, quindi, non si arrende alle sue crisi periodiche, non abbandona il campo, ricorre a tutte le sue risorse per superarle. Marx ammette quindi che il capitalismo può riuscire a riavviare un ciclo virtuoso di accumulazione (oggi la chiamano "crescita"), ma solo dopo avere causato catastrofi economiche e sociali. Sostiene tuttavia che dopo il nuovo ciclo espansivo la crisi successiva sarà ancor più grave della precedente. Non si sostiene forse, negli stessi ambienti borghesi, che la crisi attuale è una "depressione", e che è forse più grave di quella del 1929?
Tabella n. 3 The businnees cìycle


Secondo alcuni analisti, a cui non si può certo imputare simpatie anticapitaliste, questa crisi potrebbe smentire il modello che va sotto il nome di "ciclo del businness", l'idea che dopo ogni recessione/depressione ci sia necessariamente un'espansione. Siamo forse entrati nella fase del declino dell'Occidente imperialistico? 

CLASSI SOCIALI E GLOBALIZZAZIONE

Uno dei punti cardinali dell'analisi marxiana è che non può esserci sviluppo capitalistico senza un aumento delle file dei lavoratori salariati. 

«Nella stessa proporzione in cui si sviluppa la borghesia, cioè il capitale, si sviluppa il proletariato, la classe degli operai moderni, che vivono solo fintantoché trovano lavoro, e che trovano lavoro fintantoché il loro lavoro aumenta il capitale. (...) La condizione più importante per l'esistenza e per il dominio della classe borghese è l'accumularsi della ricchezza nelle mani dei privati, la formazione e la moltiplicazione del capitale; condizione del capitale è il lavoro salariato».
Tabella n.3.  dati: ILO e Cia Book. Elaborazione nostra (clicca per ingr.)

L'ultimo trentennio di globalizzazione capitalista ha invalidato o convalidato l'analisi di Marx?
I dati empirici (vedi la Tabella n.3) dimostrano che aveva visto giusto. La tabella mostra che i lavoratori salariati sono più di due miliardi. Ma sono numeri per difetto, poiché la tabella non prende in considerazione centinaia di milioni di salariati, spesso minori, che vengono sfruttati ma non sono registrati come forza-lavoro. Qui da noi si direbbe che "lavorano a nero". Si tenga poi conto che centinaia di milioni di addetti all'agricoltura sono anch'essi dei salariati. Lo stesso numero dei proletari senza lavoro è evidentemente calcolato per difetto. Anche ove fosse giusto gli stessi dati del Fondo Monetario indicano che la crisi scoppiata nel 2008 ha fatto aumentare la disoccupazione mondiale — nel 2005 le statistiche parlavano di 192 milioni di disoccupati. Sottolineiamo che Marx includeva i disoccupati, ovvero lo "esercito industriale di riserva", nella classi proletaria e non, come a torto si ritiene, nel "sottoproletariato". Mai come adesso la classe proletaria è stata così numerosa.

Su questo punto centrale del discorso marxiano, sul fatto che non ci sarebbe potuto essere sviluppo del capitale senza crescita delle file proletarie, sin dagli inizi degli anni '80, l'attacco dei pensatori borghesi è stato spietato, virulento. 
Da più di un trentennio una schiera di intellettuali non hanno fatto altro che insistere sulle magnifiche sorti e progressive del capitalismo, che il capitalismo non solo aveva messo il turbo ed era destinato a non conoscere più crisi di sorta, ma che si era incaricato di far scomparire il lavoro salariato. 
Tutti quelli che non erano capitalisti sarebbero diventati dei felici piccolo borghesi. Il tedioso lavoro di fabbrica sarebbe stato rimpiazzato dall'automazione generale.
Pensatori come Jeremy Rifkin avevano addirittura affermato che il capitalismo stesso stava liberando l'umanità dal fardello del lavoro. Anche a sinistra simile sciocchezze avevano trovato vasta eco. 

Tabella n.4. Composizione sociale mondiale per settori produttivi (clicca per ingrandire)
Qualcuno ricorderà la sicumera con cui i Negri e il suo clan brindavano alla fine delle legge del valore e dell'avvento del lavoro immateriale e cognitivo? Prima ancora che la critica, sono stati i fatti ad incaricarsi del fallimento di queste idee, fasulle prima ancora che occidentalo-centriche.

La tabella n. 4 è alquanto istruttiva e non lascia adito a dubbi che Marx avesse avuto ragione. Nell'arco di tempo che va dal 2000 al 2013 gli addetti all'industria sono cresciuti di 238 milioni, quelli ai servizi di 400 milioni —da segnalare che nel frattempo nella Cina post-maoista, dopo il 1980, i salariati pressoché raddoppiati.)
La tabella mette poi in evidenza l'evoluzione diseguale, tra paesi occidentali (imperialistici o tardo-capitalisti) e quelli di recente industrializzazione: nei servizi l'aumento degli addetti è stato omogeneo, mentre nell'industria nei primi c'è stato un calo e nei secondi vistosi aumenti. Quando si dice: il capitale va sempre a caccia di profitti per valorizzarsi....

Ora ci si risponderà che Marx, nel Manifesto, aveva parallelamente previsto che allo sviluppo e all'espansione del capitalismo sarebbe corrisposta la decrescita costante dei salari e la "pauperizzazione generale. Se questa "profezia" sia sia realizzata o meno,  e vedremo che si va realizzando, sarà compito di un prossimo intervento.

sabato 10 maggio 2014

DEGLOBALIZZAZIONE di Aldo Giannuli

10 maggio. La globalizzazione neo liberista ha spiccato il volo nei primi anni novanta fra gioiosi inni alle sue sorti magnifiche e progressive come attestavano i non dimenticati libri di Francis Fukuyama sulla fine della storia e di Toni Negri sull’Impero. Si prometteva la fine della nazioni e dello Stato nazione, rottame del passato, di conseguenza dell’ordine westfalico sostituito da una governance mondiale fortemente integrata che avrebbe abolito il “fuori” e trasformato ogni crisi locale in un caso di “insorgenza” da curare con “interventi di polizia internazionale”.

Si prometteva uno sviluppo mondiale, che avrebbe riscattato i paesi arretrati, ed il benessere generalizzato attraverso la “democratizzazione della finanza” assistita da nuovi strumenti matematici che avrebbero posto fine alle grandi crisi. Sarebbe sorto un mondo “piatto” e simmetrico.

Ogni promessa colpiva un suo particolare target: il benessere generalizzato e lo sviluppo attraeva i paesi arretrati, la “democratizzazione della finanza” i precari delle società metropolitane, la promessa di una governance mondiale in grado di mediare i conflitti seduceva i fautori dell’internazionalismo ecc.

Poi le cose sono andate molto diversamente: la governance mondiale si è ridotta ad un concerto molto instabile fra vecchi imperi e potenze emergenti, i conflitti non sono affatto diminuiti e le operazioni di polizia internazionale non hanno dato i risultati voluti, vecchie asimmetrie si sono attenuate o scomparse, ma solo per essere sostituite da nuove. Soprattutto, il sogni di una finanza sempre espansiva ed al sicuro da grandi crisi è stato impietosamente spazzato via da una crisi che è già la peggiore dopo quella del 1929 e non accenna a passare.

Quello attuale è un mondo segnato da asimmetrie diverse e più aspre di quelle passate, con ragioni di conflitto più insidiose, profondamente instabile nel quale si avverte chiaramente il rischio di uno sbocco caotico e ingovernabile.

Ed ora siamo ad una crisi di rigetto della globalizzazione che ha assunto forme assai diverse e per questo non viene riconosciuta (o lo è molto a fatica) come fenomeno unitario.

La sensazione è quella di un “nuovo disordine mondiale” che assomma fenomeni assai diversi fra loro: ricolte urbane e guerriglie rurali, crisi finanziarie e crisi dell’economia reale, instabilità politica e reazioni culturali. E proprio sulle reazioni culturali vorremmo soffermarci.

Con grande sicumera, l’Occidente ha intrapreso la via della globalizzazione come processo di assimilazione a sé del resto del mondo. La “grande Europa” (quella che, oltre che all’Europa propriamente detta, comprende anche le Americhe e l’Oceania, continenti cristiani e dove si parlano lingue europee) ha pensato di poter parlare al Mondo senza ascoltare, di poter insegnare la via della modernità e del progresso e che gli altri dovessero limitarsi a copiare il perfetto modello della “Grande Europa”. Ci sono stati due grandi monumenti intellettuali a questa insipienza eurocentrica: “La fine della storia e l’ultimo uomo” di Francis Fukuyama e “L’Impero” di Toni Negri. Già Samuel Huntington fu più accorto e comprese subito che, per gli altri, “modernizzazione” non faceva rima con “Occidentalizzazione” ed abbozzò una strategia che, pur sempre funzionale al dominio americano, aveva però il pregio di un maggiore realismo.

Oggi siamo di fronte ad una rivolta contro la globalizzazione neo liberista che assume forme diversissime fra loro ma che, alla base, esprime lo stesso rigetto nei confronti di questo progetto di appiattimento universale:

-le proteste nelle metropoli capitalistiche, o nelle loro immediate periferie, (da Ows ad Atene, dagli indignados alla rivolta elettorale “populista” che si avvicina, dal malessere dei ceti medi alle rivolte degli immigrati) contestano l’ipercapitalismo finanziario che è il motore di questo progetto

-le rivolte arabe ed il parallelo fenomeno fondamentalista descrivono una dialettica diversa ma comunque di resistenza all’invasività del modello occidentale

-i massacri di cristiani segnalano l’odio verso quella religione che è vista come propria dell’occidente e della sua volontà di annientare le altre culture

-la violenta campagna anti gay in Russia, in Africa in alcuni paesi asiatici, proprio nel momento in cui in occidente si parla di matrimoni gay ecc sembra una aperta rivolta contro un modello culturale che va molto al di là della specifica questione gay

-l’evoluzione aggressiva della politica estera cinese che manifesta una crescente insofferenza verso il predominio occidentale negli organismi internazionali

-persino nella singola vicenda dei marò italiani in India è difficile non scorgere un certo livore antieuropeo.

La “grande Europa” (o meglio, l’asse euro-americano) non è più in grado di dettare legge al mondo, ma non lo ha ancora capito. Intanto monta una rivolta dai mille volti che presto potrebbe diventare una tempesta senza precedenti.

* Fonte: Aldo Giannuli

sabato 25 gennaio 2014

TONI NEGRI PERDE IL PELO, NON IL VIZIO di L.U.P.O.

25 gennaio. E' stato proprio il PRC, in vista delle elezioni europee, a proporre una lista transnazionale unitaria della sinistra con il greco Alexis Tsipras (leader di Syriza) come candidato presidente. Sarebbe una lista degli europeisti di sinistra, quelli a cui non vanno giù le politiche austeritarie e liberiste imposte dalle oligarchie europee, ma che rifiutano di andare alla radice, la moneta unica, e che quindi rifiutano ogni discorso sulla necessità rompere l'Unione e tornare alla sovranità nazionale.
A fine dicembre segnalavamo che pezzi da novanta della "borghesia progressista" come Barbara Spinelli e Flores D'Arcais sono saltati sul carro Syriza. Ora è la volta di Toni Negri.

«Toni Negri, con l’articolo scritto con Sandro Mezzadra Rompere l’incanto neoliberale: Europa, terreno di lotta,  ha deciso di sostenere un'eventuale lista Tsipras anche italiana. Negri giudica irreversibile il processo di integrazione europea e concepibili solo su tale terreno le lotte per rompere l’incanto liberista e fondare una nuova ipotesi (una volta diceva potere) costituente.

Il suo schema rimane sempre lo stesso: dove il comando capitalista ed i suoi nuovi processi di accumulazione si ritengono più avanzati lì devono necessariamente darsi le fasi più avanzate dello scontro di classe e la formazione del soggetto più avanzato del conflitto. 

Lo sosteneva anche dopo le ristrutturazioni che portarono allo smantellamento della concentrazione fordista ed al modello della fabbrica diffusa (operaio sociale); lo diceva rispetto ai processi di globalizzazione (moltitudini biopolitiche); lo diceva nel passaggio tra prima e seconda repubblica, immaginando chissà quali spazi costituenti si potessero aprire al protagonismo dei movimenti (disobbedienti od obbedientemente allineati col centrosinistra); e lo ripete oggi riguardo all’Unione Europea —almeno nell’art. si parla di nuova composizione sociale dei lavoratori e dei poveri, rimanendo nella definizione di classe più sul concreto.

In tutti i casi precedenti hanno vinto lo scontro di classe i capitalisti e tutto lascia credere che anche questa volta, se lo spazio sarà quello europeo che si pontifica, saranno i poteri eurocratici ad affermarsi definitivamente e non il portato costituente dei movimenti di lotta per diritti, reddito e welfare. E questo non tanto perché diffidiamo delle previsioni di Negri ma perché abbiamo sempre ritenuto che non nelle sue forme più avanzate ma in quelle più arretrate si danno le contraddizioni più acute, quelle che possono aprire processi rivoluzionari. O meglio le une e le altre sono modelli diversi di un organico sistema di accumulazione, che però assicura sfruttamento con un minimo di redistribuzione nei modelli avanzati e supersfruttamento nei modelli arretrati. 


Ora la cristi strutturale ha colpito anche i modelli di accumulazione occidentali che stanno perdendo terreno rispetto agli emergenti fino a ieri arretrati ma le contraddizioni più grandi si danno , limitandoci allo spazio europeo, all’interno degli stati nazionali esautorati di molte prerogative e ridotti alla mezzogiornificazione; destinati a diventare aree di sottosviluppo del sistema integrato dell’euro, se riusciranno a mantenerlo così com’é. 

Per rompere l’incanto neoliberale e per attaccare gli attuali anelli deboli che possano far saltare la catena dell’euro non è quindi reazionario porre insieme alla difesa dei diritti sociali, dei diritti del lavoro, anche la difesa della sovranità nazionale, purché la si declini come sovranità popolare e come base di una nuova solidarietà tra quei popoli e paesi più duramente colpiti dalle politiche di austerity, che impongono processi di spoliazione e concentrazioni di capitali a scapito del Sud Europa ed a vantaggio di Germania e paesi nordeuropei. 

Per pensare ad una lotta che investa uniformemente lo spazio dell’Unione bisognerebbe immaginare che i conflitti esplodano con la medesima intensità e per le stesse cause in Germania come in Grecia e diano corso a simultanei ed auspicabili processi rivoluzionari. Ci sembra uno schema di scarsa attendibilità storica.


Piuttosto che arrampicarsi su presunte aperture socialdemocratiche della Merkel, o auspicare una prossima maggioranza socialista europea, magari con una costola di sinistra che sarebbe questa famosa lista pro Tsipras-Siryza, ripulita degli elementi antieuro (ci ricorda qualcosa di già visto in Italia con i governi Prodi ed il suicidio della sua sinistra) occorrerebbe, questo si, una lista sovrastatale, ma di forze che si pongano come fronte sovranista, antiliberista e pure comunista, intento a perseguire una nuovo campo di alleanze e di scambi privilegiati, non a partire dalla moneta ma da politiche sociali ed istituzionali ispirate a reale democrazia, uguaglianza solidale e sovranità popolare. 


Dal momento che questo non si darà per le prossime elezioni teniamoci almeno quelle posizioni antieuro democratiche-sovraniste-solidali che possono darsi sul terreno nazionale e possano contendere qualcosa a formazioni come quella di Le Pen le quali, se pure le sinistre radicali continueranno a scambiare la globalizzazione per l’Internazionale, rischiano di rimanere le sole a convogliare la crescente rabbia popolare verso l’Eurocrazia e le sue istituzioni.

Che nell'articolo di Negri e Mezzadra si finisca per attribuire al salario minimo introdotto in Germania un fattore di relativa stabilità capitalistica se esteso al resto dell’Unione dovrebbe far riflettere gli estensori sulle contraddizioni in cui si incappa quando si assume il "dentro e contro" anziché il "fuori e contro"; su quali risorse pensano che si potrebbe dedurre, se non proprio sul prelievo diretto di natura finanziaria e sulla messa a valore dei beni comuni? 


Certamente il ripiego delle lotte sul terreno nazionale non ci garantirebbe da derive nazionaliste reazionarie ed ancor più liberiste ma è comunque il terreno concreto su cui si daranno le lotte dei popoli più colpiti dalla crisi, dei loro settori sociali ridotti alla povertà, anche quando useranno simboli e modalità che non ci piacciono. Non tutti saranno assorbiti dalla mobilità del vagheggiato nuovo proletariato europeo; i più dovranno starsene a casa, rinchiusi nei loro espropriati confini.

L’interesse delle elezioni europee per noi sarà tale solo se andranno forze con l’intento dichiarato di far saltare l’Unione "irreversibile"; che sabotino da dentro il processo di integrazione e diano risalto e sostegno alle lotte nazionali. Se dovessero assumere tale profilo, strumentalmente, solo forze come il Front National, meglio il boicottaggio che dar credito all’ennesima lista di imbonitori di sinistra, utili solo a dar legittimità all’Europa delle banche, magari dell’unione bancaria ma certamente non dell’unione dei popoli di cui non si vede traccia da oltre un ventennio, se non nei loro sproloqui».


Fonte: A pugno chiuso

domenica 3 marzo 2013

«GRILLISMO»: Bifo risponde a Wu Ming, Toni Negri ai sinistrati

Domenica 3 marzo. C'è una sinistra mummificata, tetragona e settaria che pur di non ammettere la propria consunzione si scava la fossa e parla di "elezioni che sanciscono una svolta reazionaria", e definisce il Movimento 5 Stelle come fasistoide. La nostra opinione i nostri lettori la conoscono. Anche quelle molto importanti di Emiliano Brancaccio, di Giorgio Cremaschi, di Marino Badiale. Ne pubblichiamo altre due, non meno significative, quelle di Bifo e Toni Negri.
Dice Franco Bifo Berardi

«L’unione europea nacque come progetto di pace e di solidarietà sociale raccogliendo l’eredità della cultura socialista e internazionalista che si oppose al fascismo.

Negli anni ’90 le grandi centrali del capitalismo finanziario hanno deciso di distruggere il modello europeo, e dalla firma del Trattato di Maastricht in poi hanno scatenato un’aggressione neoliberista. Negli ultimi tre anni l’anti-Europa della BCE e della Deutsche Bank ha preso l’occasione della crisi finanziaria americana del 2008 per trasformare la diversità culturale interna al continente europeo (le culture protestanti gotiche e comunitarie, le culture cattoliche barocche e individualiste, le culture ortodosse spiritualiste e iconoclaste) in un fattore di disgregazione politica dell’unione europea, e soprattutto per piegare la resistenza del lavoro alla definitiva sottomissione al globalismo capitalista.

Riduzione drastica del salario, eliminazione del limite delle otto ore di lavoro quotidiano, precarizzazione del lavoro giovanile e rinvio della pensione per gli anziani, privatizzazione dei servizi. La popolazione europea deve pagare il debito accumulato dal sistema finanziario perché il debito funziona come un’arma puntata alla tempia dei lavoratori.
Franco Berardi "Bifo"

Cosa accadrà? Due cose possono accadere: o il movimento del lavoro riesce a fermare questa offensiva e riesce a mettere in moto un processo di ricostruzione sociale dell’Unione europea, o il prossimo decennio vedrà in molti luoghi d’Europa esplodere la guerra civile, il fascismo crescerà dovunque, e il lavoro sarà sottomesso a condizioni di sfruttamento ottocentesco.

Ma come fermare l’offensiva?

Le elezioni italiane sono una risposta che può evolversi in maniera positiva o in maniera catastrofica. Dipende dai progressisti, gli intellettuali e gli autonomi del continente, dipende da noi.

Il 75% dell’elettorato italiano ha detto no al progetto anti-europeo di Merkel Draghi Monti. 25% si sono astenuti, 25% hanno votato per il movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, 25% hanno votato per il partito della mafia e del fascismo, e per il più geniale truffatore della storia, Berlusconi, nemico giurato di Angela Merkel perché la mafia non può più accettare il predominio economico di Berlino.

Il movimento di Beppe Grillo è la novità di queste elezioni. Raccoglie soprattutto voti dai movimenti di sinistra e raccoglie anche voti anche dalla destra. Beppe Grillo – che ha una formazione autonoma antiautoritaria – ha detto più volte che il suo movimento intende sottrarre voti alla destra, e ci è riuscito.

Non credo che il movimento 5 stelle potrà governare l’Italia, non è questo il punto. La funzione importante e positiva che il movimento ha svolto è rendere il paese ingovernabile per gli antieuropei del partito Merkel-Draghi-Monti.

L’elettorato italiano ha detto: non pagheremo il debito. Insolvenza.

La governance finanziarista d’Europa è finita, anche se Berlusconi e Bersani si metteranno d’accordo per sopravvivere e continuare a impoverire il paese spostando risorse verso il sistema finanziario. Non durerà. Ma allora può cominciare il peggio.

La classe finanziaria tenterà di strangolare l’Italia come ha strangolato la Grecia. La crisi politica si farà convulsa e violenta. L’esito può essere spaventoso. Mafia e fascismo hanno mostrato di controllare il trenta per cento dell’elettorato italiano, e la sinistra non esiste più. La secessione del Nord si riproporrà anche se la lega è crollata.

Epperò invece può iniziare un processo di liberazione d’Europa dalla violenza del capitale finanziario, una ricostruzione d’Europa su basi sociali. Fuori dagli schemi novecenteschi può diffondersi dovunque un movimento di insolvenza organizzata e di autonomia produttiva. Un movimento di occupazione può trasformare le università in luoghi di ricerca concreta per soluzioni post-capitaliste. Le fabbriche che il capitale finanziario vuole distruggere vanno occupate e autogestite come si è fatto in Argentina dopo il 2001. Le piazze vanno occupate per farne luoghi di discussione permanente.

Il programma lo ha enunciato Beppe Grillo, ed è un programma molto ragionevole:

Salario di cittadinanza

Riduzione dell’orario di lavoro a 30 ore

Pensione a sessanta anni.

Restituzione alla scuola degli otto miliardi che il governo Berlusconi ha sottratto al sistema educativo.

Assunzione di tutti i lavoratori precari della scuola, della sanità e dei trasporti.

Nazionalizzazione delle banche che hanno favorito la speculazione ai danni della comunità.

Abolizione immediata del fiscal compact.

Il movimento cinque stelle ha impedito alla dittatura finanziaria di governare. Ora tocca al movimento della società. Avrà la società l’energia e l’intelligenza per gestire la propria vita con un movimento di occupazione generalizzato?

Se non avrà questa energia avremo meritato il disastro che ne seguirà.

Nota

Wu Ming 1
Leggo su Internazionale [Il Movimento 5 Stelle ha difeso il sistema. In. L'inetternazionale]che i Wu Ming si lamentano del fatto che il movimento di Beppe Grillo amministra l’assenza di movimento in Italia. Ragionamento bislacco davvero. Dal momento che la società italiana è incapace di muoversi allora debbono stare tutti fermi? Dal momento che gli amichetti di wu ming sono stanchi allora tutto deve restare ad attendere i tempi del loro risveglio? Fate movimento invece di lamentarvi perché qualcun altro lo fa al posto vostro, magari in maniera un po’ più rozza di come piacerebbe ai raffinati intellettuali.

[27 febbraio 2013. La sconfitta dell'anti-Europa liberista comincia in Italia. In: Micromega]


Dice Toni Negri:
Toni Negri

«E poi veniamo alla sinistra, nella sua disfatta. Anche qui avremo un lungo periodo di disfacimento, in senso propriamente organico, cioè finisce proprio in merda: finisce finalmente in merda il togliattismo, il berlinguerismo, che hanno vissuto per troppo tempo. C’è ancora la possibilità che da questa materia organica, da questa montagna di escrementi, esca qualcosa come Renzi, con la sua posa di uomo di centro-destra, ma di un centro-destra un po’ provinciale – ed è questo l’elemento che lo frega. Quindi ho l’impressione che ci sia anche da questo punto di vista un lungo periodo di instabilità, di rimescolamento di carte molto pesante.

E poi c’è il nuovo, cioè Grillo, che è quello che è, cioè la contraddizione in azione: rappresenta insieme – è chiaro, no? – i non garantiti e gli esclusi, e d’altra parte rappresenta i piccoli capitalisti in crisi, la piccola imprenditoria affamata ma che non per questo ha perso la sua volgarità e il suo atteggiamento ferocemente capitalistico. É un asse contradditorio che si terrà insieme per un po’ di tempo e terrà senz’altro aperta l’ingovernabilità ad un livello alto, perché poi è il livello che tocca la composizione di classe. Ed è questo il punto grosso insomma: che cosa si fa davanti a Grillo? È qui il problema: Viva Grillo! Abbasso Grillo! Grillo è il nuovo, è l’elemento di instabilità e a noi va bene: Viva l’instabilità! Viva l’ingovernabilità! Questo è l’elemento che mi sembra estremamente importante, si tratta proprio di insistere su questo. Viva l’instabilità! É nell’instabilità che si determineranno ricomposizioni di classe legate veramente a interessi e a volontà di esprimere quelli che sono interessi centrali, elementari, fondamentali nella nostra vita e nella lotta. E quindi bisogna a questo punto stanare Pope Gapon, stanare Grillo, stanare la sua ambiguità: stanarlo in che modo? Stanarlo sulle cose significa stanarlo sui temi del comune, stanarlo sui temi del reddito garantito, stanarlo sul tema della patrimoniale, stanarlo su quelli che sono i grandi problemi della struttura della rappresentanza, della legge elettorale, e così via». [26 febbraio 2013. La morte dl togliattismo e il pope Gapon In: Uninomade]

mercoledì 21 novembre 2012

«BENICOMUNISMO» LA SOLUZIONE?

Cosa sono i beni comuni? Come amministrarli? 

di Sergio Marotta*
 
La questione dei Beni comuni si va oramai imponendo come centrale, soprattutto con la crisi, che spinge il capitale, assetato di profitto, ad invadere ogni spazio sociale e a privatizzare ogni cosa. Tuttavia la questione è controversa. Per i sostenitori radicali del common (vedi la corrente di Toni Negri) o del "benicomunismo" (Piero Bernocchi) non solo la privatizzazione ma pure ogni forma statalizzazione o di pubblicizzazione è da rigettare.

sabato 5 maggio 2012

ETERONOMIA OPERAIA

Se Toni Negri ama l'euro


di Leonardo Mazzei*
L'Europa e l'euro sono messi davvero male se perfino Toni Negri deve scendere in campo per proclamarne l'intangibilità. Con un articolo apparso su Uninomade.orgElezioni francesi: anticipazioni per discutere dopo il secondo turno -  Negri ci consegna non solo e non tanto un'analisi assai discutibile del voto francese, quanto soprattutto il penoso approdo del suo pensiero politico.

lunedì 18 aprile 2011

DAVANTI ALL'ULTIMA DI TONI NEGRI

«Democrazia Comunista»

Sull'implicito recupero di Gramsci da parte di Toni Negri, vorremmo tornare. Nella sintesi che qui sotto presentiamo Negri avanza la formula della "democrazia comunista", come orizzonte che superi l'opposizione, tradizionalmente antagonista tra democrazia e comunismo. Democrazia più comunismo, alla luce di una certa ortodossia marxista, è infatti un ossimoro assoluto, una contraddizione in termini.

domenica 10 aprile 2011

CAPITALISMO PREDATORIO E DIFESA DEI BENI COMUNI

Toni Negri
«Al cuore del Negri-pensiero»

di Andrea Fumagalli e Stefano Lucarelli*

Qui sotto parte dell'introduzione al volume del francese André Orléan Dall'euforia al panico. Pensare la crisi finanziaria e altri saggi (Ombre Corte, Verona 2010). Dov'è l'interesse? Anzitutto in una condivisibile esposizione dei meccanismi che presiedono al vigente "capitalismo predatorio" o casinò, e quindi alle cause più intime della crisi di modello o sistemica che caratterizza il capitale. 
In secondo luogo nelle conclusioni, meno condivisibili, per cui, siccome il capitalismo predatorio avrebbe messo fuori gioco la marxiana legge del valore, la battaglia decisiva non sarebbe più quella per la proprietà sociale dei mezzi di produzione, quanto piuttosto quella "distributiva" e moltitudinaria per sottrarre i beni comuni alle logiche finanziarie del capitale predatorio. Siamo al cuore del Negri-pensiero, per cui il comunismo sarebbe già tra noi e alle moltitutidini non resterebbe che rimuovere l'ultimo diaframma rappresentato da un capitale ormai privo di ogni statuto ontologico o sostanziale.

martedì 25 gennaio 2011

EFFETTO COLLATERALE (III)

L'operaismo da Panzieri a Toni Negri

una critica marxista


di Maria Turchetto*

Nell'ambito dell'analisi critica delle posizioni riferibili alla teoria del «lavoro cognitivo» pubblichiamo questo articolo della Turchetto, che è, pur nella sua sintesi, la migliore ricostruzione critica dell'operaismo teorico.e come dalla sua crisi ne sia uscito Toni Negri.

sabato 22 gennaio 2011

EFFETTO COLLATERALE (II)


Altro che scomparsa del taylorismo, nella FIAT del futuro
l'operaio, da protesi della macchina, diventa macchina
egli stesso

World class manufacturing? Taylorismo rafforzato

A proposito di Negri e dei teorici del «lavoro cognitivo» o «immateriale»



(Seconda parte)
Leggi la Prima parte

di Stefano Cingolani*


Di seguito un articolo che spiega in breve in cosa consista il nuovo regime di fabbrica che entrerà in vigore non solo a Mirafiori e Pomigliano ma in tutti gli stabilimenti FIAT. L'apologia dell'autore rispetto al cambiamento (che tradisce appunto l'inganno ideologico innovazionistico) cozza con l'indagine, che spiega appunto che non solo non c'è alcun superamento del taylorismo bensì un taylorismo portato alle estreme conseguenze possibili. Altro che lavoro mentale o "cognitivo", altro che liberazione dall'alienazione e dalla ripetitività: l'operaio ridotto ad un automa, le sue mosse calcolate al millesimo, monitorate. Il «tutto viene controllato come sempre dai cronometristi, i “cronu” dei vecchi operai torinesi. Allora, stavano accanto ai montatori con l’orologio in mano; adesso sono davanti ai computer e guardano le tabelle che escono dai calcolatori. Sempre controllori rimangono, sempre avversari tecnici degli operai, ma la distanza riduce le tensioni». Sarebbero questi  "lavoratori cognitivi" la punta di lancia della lotta di liberazione? Suvvia!

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