[ 5 febbraio 2019 ]
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Il silenzio dei giuristi.
Riflessioni su alcune
tesi congressuali di Magistratura Democratica
Lo spunto per questo articolo mi è venuta da un “social”. Un contatto,
sovranista, aveva pubblicato il link del sito di Magistratura Democratica, per
mostrare come tanti dei problemi attribuiti alla giustizia in Italia avessero
origine in quella corrente giudiziaria e in quelle posizioni. Il motivo
scatenante era probabilmente la notizia, ampiamente diffusa, e di non poco
conto, che i tre giudici del Tribunale dei ministri che contro le indicazioni
del Pubblico ministero di Catania, avevano deciso di procedere contro Matteo
Salvini per il presunto “sequestro” dei migranti della nave Diciotti, erano
iscritti a Magistratura Democratica.
E, in effetti, il sito di quella
corrente della magistratura era pieno di articoli e di argomenti che
giustificavano il rivolgersi delle critiche verso la giustizia a questa
corrente dei magistrati. Dal tema del prossimo congresso, che si svolgerà a
marzo, “Il giudice nell’epoca dei populismi”, con tanto di vignetta di Vauro
con giudice che mette la toga ad un naufrago, allo sgombero del Cara, all’attualità
dell’antifascismo, alle preoccupazioni per il caso Battisti, alla critica al
decreto sicurezza e contro l’estensione della legittima difesa, ai minori
stranieri non accompagnati, alla sicurezza dei carcerati, all’”ospite straniero”
e tutti gli argomenti che costituiscono la vulgata dell’identità del giudice
“di sinistra”.
Io, in effetti, mi sono chiesto per anni, nel corso degli eventi che hanno
segnato gli ultimi decenni della storia italiana, che fine avessero fatto i
giudici di Magistratura Democratica. Che fine avessero fatto quando il Pm Di
Pietro e il pool di Milano istituiva quel processo farsa chiamato Mani Pulite,
dove i giudici di Milano raccoglievano fatti corruttivi e concussivi di alcune
centinaia di esponenti politici, raccogliendoli presso di sé con la tecnica
dell’avocazione in ragione della loro primazia nella conduzione del processo di
Tangentopoli, in modo tale da includere gli uni e da escludere gli altri,
invocando per alcuni il principio del “non sapeva” e per altri il principio del
“non poteva non sapere”; quando si sottraevano alla ispezione ministeriale
inviata dal ministro Castelli con la surreale spiegazione di non avere un
archivio dei loro procedimenti; quando non avevano niente da dire sugli undici
mesi in carcere senza un interrogatorio di Lorenzo Necci, poi liberato e
vittima di un incidente sospetto, subito seguito dal furto dei suoi documenti
nella sua abitazione. Quando non avevano niente da dire sulla svolta
maggioritaria del sistema elettorale nel 1994; quando non avevano niente da
dire sulla persecuzione giudiziaria di Berlusconi; quando non avevano niente da
dire sulle strane procedure di alcune procure che, in attesa
dell’autorizzazione a procedere verso qualche parlamentare o ministro,
producevano fughe di documenti processuali con la complicità di qualche organo
di stampa; oppure, pubblicavano intercettazioni non autorizzate su qualche
politico con la scusa che il sorvegliato era l’interlocutore al telefono;
quando, oggi, non hanno niente da
dire sulle pesantissime censure operate dalle proprietà dei social media nei
confronti di esponenti cattolici o non liberal-progressisti, come se Facebook o
altri social media fossero degli organi di stampa privati e non dei servizi di
pubblico interesse; quando non hanno niente da dire se il ministro Orlando istituisce
un organo di controllo dei social media formato da 150 associazioni conformi
alla sua visione del mondo; quando i magistrati compiono interpretazioni
creative della legge riguardo alla fecondazione eterologa, al riconoscimento
dei figli nati dalla “gravidanza per altri”…(!!!) o pubblici ufficiali
disattendono la legge sulla concessione della residenza; quando la magistratura
realizza una plateale difformità nel giudizio riguardo all’uso dei fondi
pubblici fra Margherita e Lega nord; quando il Global Compact prevede di punire
opinioni critiche rispetto all’immigrazione, alla faccia dell’articolo 21 della
nostra Costituzione; e in tanti altri casi che la memoria collettiva potrebbe
richiamare.
Berlusconi risolve in modo semplicistico la questione: “ I giudici comunisti…”;
ma io, che da quella definizione non mi sono ancora dissociato, e non ho
tuttora seri motivi per dissociarmi, provo un certo disagio quando la mia
identità politica viene associata a questi politicanti del diritto, a questi
soggetti che hanno deciso di far strame dello stato di diritto in Italia.
Eppure l’attribuzione di Berlusconi non è infondata. Chi ha l’età per ricordare
sa bene che Magistratura Democratica non è nata in modo estemporaneo, né come
corrente del Pci o dei suoi eredi politici; ma come una corrente di
orientamento marxista all’interno della magistratura. I maggiori esponenti di
magistratura democratica fra gli anni ’70 e ’80 (credo di ricordare Ferrajoli,
Bevere, Canosa, Marrone fra gli altri) erano oltre che magistrati o studiosi
del diritto anche militanti politici a tutto tondo, che la loro militanza fosse
sancita da una appartenenza di partito oppure no. E il loro ruolo era stato
importante nella lotta contro i licenziamenti politici, nella tutela
dell’ambiente e in molte altre battaglie di rilevante significato popolare.
Tuttavia, la corrente di Magistratura Democratica ha vissuto sicuramente molte
vicissitudini, travagli e cambiamenti negli anni successivi a quella epoca.
Per capire come si posiziona oggi Magistratura Democratica nello scenario
presente, credo che sia decisivo considerare la posizione che ha assunto
all’interno dello scontro globale oggi in atto, quello fra globalismo guidato
dalla finanza e resistenze nazionali e sovranitarie. In tal senso, considero
fondamentale per la comprensione il documento per il congresso del “Gruppo
Europa”, approvato al XIX congresso di Magistratura Democratica, tenutosi a
Roma fra il 31 gennaio e il 3 febbraio del 2013, di cui qui si può leggere il
testo integrale
Presento il testo accompagnato da commenti brevi, contrassegnati dalle
parentesi quadre e in colore azzurro, e da commenti più lunghi, sempre in azzurro.
* * *
XIX CONGRESSO DI MAGISTRATURA DEMOCRATICA: QUALE GIUSTIZIA AL TEMPO DELLA CRISI
Come cambiano diritti, poteri e giurisdizione
Roma, 31 gennaio/3 febbraio 2013
DOCUMENTO PER IL CONGRESSO DEL GRUPPO EUROPA
a cura di Valeria Piccone, Papi Bronzini e Giovanni Diotallevi
Le due fasi della riforme istituzionali dell’Unione europea
Il complesso e certamente non lineare percorso di revisione istituzionale in Europa può essere distinto in due fasi: la prima, segnata da una progettualità ambiziosa e da una linea di continuità con gli elementi evolutivi del processo di integrazione europea, ma costantemente frenata o da dissensi tra gli stati e dalla loro indisponibilità a cedere maggiori porzioni di sovranità o da inattese frenate dovute alle resistenze popolari ed alle difficoltà di coinvolgere l’opinione pubblica continentale; la seconda, connotata da spinte improvvise dettate dall’emergenza e dominata dai tentativi di superare ostacoli giuridici ed istituzionali ad una gestione immediata ed efficace della crisi, senza però un disegno unitario e prospettico sulle mete da raggiungere.
Il primo itinerario di mutamenti istituzionali, iniziato proprio al volgere del millennio con la decisione del Consiglio europeo di Colonia di nominare una Convenzione per la redazione di una Carta dei diritti fondamentali, prosegue poi con la redazione ad opera di una seconda Convenzione di un “ Trattato- costituzione”, respinto nel 2005 nei due referendum popolari in Francia ed il Olanda, e si conclude con la ratifica e poi l’entrata in vigore il I dicembre 2009 del Trattato di Lisbona che, pur non utilizzando il termine “ Costituzione”, recepisce tutte le principali e più significative migliorie che la seconda Convenzione aveva previsto.
Si muove, infatti, dall’importante promozione del ruolo del Parlamento europeo con la sanzione della codecisione come regola ordinaria di approvazione della legislazione Ue, alla soppressione della divisione in “pilastri” dell’ordinamento, alla conferita obbligatorietà della Carta dei diritti e alla previsione dell’adesione dell’Ue alla Cedu, nonché all’istituzione di due nuovi organi che si volevano rappresentativi di istanze unitarie e comuni come la Presidenza Ue e il Responsabile per la politica estera, sino ad arrivare ad un significativo incremento della partecipazione democratica mediante la previsione della possibilità di lanciare una ICE ( iniziativa del cittadino europeo), cioè una raccolta di firme su scala continentale per proporre un’azione legislativa alla Commissione (una sorta di referendum propositivo, sconosciuto in genere negli stessi ordinamenti interni).
[Va precisato che, al di là dell’entusiasmo di Magistratura Democratica, l’ ICE non è affatto un referendum propositivo, ma una proposta di legge di iniziativa popolare, simile a quella dell’ordinamento italiano, con l’aggravante che non deve essere promossa da partiti o da associazioni (a Bruxelles amano la spontaneità), e che dell’iniziativa di legge popolare ha lo stesso destino]
Viene, tuttavia, solo marginalmente
toccata dalla Riforma la parte più complessa dell’ordinamento europeo
riguardante l’euro, il coordinamento delle politiche economiche e sociali, in
una parola, la governance economica, nella convinzione
o, forse, nella azzardata scommessa che il quadro legale varato a Maastricht ed
ad Amsterdam sia sufficiente per realizzare gli ambiziosi programmi della
Agenda di Lisbona e che il consolidamento ottenuto degli organi sovranazionali
(Parlamento, Commissione e Corte di giustizia) sia comunque idoneo a conferire
un carattere unitario ed efficiente anche per una moneta ed ad una Banca “senza
stato”.
[Aggiungiamo qui un primo commento. Se considerassimo questa distinzione di due fasi come un tentativo di storicizzare la costruzione europea dovremmo definirla “di pura fantasia”. Sul piano reale, degli avvenimenti storici, dobbiamo individuare una prima fase progressiva, o keinesiana, che va dai trattati di Roma (1957) alla creazione dello Sme nel ‘’79, una fase “padronale”, che va dal 1979 al ’99, in cui si affermano le tesi monetariste in coincidenza di analoghe svolte negli Usa e nel Regno Unito, ma in cui i singoli paesi mantengono la possibilità di svalutare la propria moneta nazionale), e una fase, quella successiva al ’99, che io chiamerei nazi-tecnocratica, in cui la moneta unica e la libera circolazione dei capitali si affiancano alla completa assenza di strumenti di solidarietà fra paesi. In termini più soft, Stefano Fassina e molti altri paragonano questa fase a quella ottocentesca del Gold Standard, una volta fatta l’importante specificazione che i capitali non avevano nell’ ‘800 la stessa fluidità di oggi, e quindi il vincolo che la libera circolazione dei capitali esercita sulle politiche economiche nazionali è estremamente più forte.
Il discorso di magistratura Democratica va dunque inteso così: “Assunto come positivo il processo di creazione di un super stato europeo, riconosciamo una fase, quella che va dalla carta dei Diritti di Nizza del 2000 fino al Trattato di Lisbona del 2009, in cui si manifestano elementi giuridici e istituzionali suscettibili di un loro possibile uso democratico, e la fase successiva in cui questi elementi sembrano vanificarsi”]
L’euforia sull’essere l’Unione uscita
dal guado istituzionale con le nuove regole del Trattato di Lisbona è però
durata pochi mesi. […]
Sul piano generale l’Unione nel suo
complesso è sembrata nel 2008 e 2009 sopportare molto meglio rispetto
agli USA l’impatto della crisi economica internazionale grazie al suo sistema
di welfare ed al modello sociale europeo inteso come
linea di convergenza delle esperienze nazionali più virtuose contraddistinto (
per dirla con le note parole del Premio Nobel per l’Economia Paul Krugman
nell’articolo “Salvare l’Europa”) da tutele nel contratto incentrate sul
divieto del licenziamento ingiustificato e da tutele del mercato che culminano
nel diritto ad un reddito minimo a garanzia della dignità della persona (e che
quindi contribuiscono sinergicamente a conferire una certa sicurezza ai
soggetti anche in caso di turbolenza economica).
Tuttavia l’illusione è durata poco:
la crisi si è ben presto manifestata nel vecchio continente come una crisi del
debito sovrano generata anche dalla mancata predisposizione di una rete di
solidarietà e di protezione dei paesi in situazione di difficoltà . L’attacco
speculativo all’euro si è alimentato da un lato delle gravissime
disfunzioni istituzionali politiche e sociali di alcuni paesi -dalle menzogne
della Grecia sullo stato dei propri conti, alla bolla speculativa spagnola,
agli enormi sprechi connessi a corruzione ed evasione fiscale generalizzata
dell’Italia, alle estrosità finanziarie delle banche irlandesi — […!] dall’altro
delle carenze regolative nella costruzione monetaria dell’euro il cui organo
direttivo, la BCE, non gode delle prerogative che hanno le altre Banche
centrali [quali dovrebbero essere…? Il fatto che non acquisti direttamente i
titoli emessi dagli stati è un incidente di percorso, una dimenticanza…? ] ed
il cui statuto limita l’azione al controllo della sola stabilità dei
prezzi.
Da quel momento si sono avuti
una serie di tentativi di rattoppare l’originaria carenza di elementi di
coesione e solidarietà interna tra i paesi aderenti alla moneta unica e di
promuovere tra mille difficoltà, ripensamenti e ostacoli, anche di ordine
costituzionale, un primo nucleo di un governo economico per lo meno nella eurozone,
capace di irradiare politiche economiche e fiscali (nonché sociali, almeno
riguardo ad alcuni trattamenti “minimi” di base, secondo le aspirazioni del
Trattato di Amsterdam) convergenti ed unitarie.
[come l’ Esm e il Fiscal Compact “rattoppino la carenza di elementi di coesione e solidarietà” è una bella astrazione, ma “almeno paghino una bella indennità di disoccupazione..!” dicono a MD ]
L’esplodere della crisi dell’euro e le ricadute sul diritto dell’Unione
Dall’esplodere della caso Grecia l’Unione ha adottato svariati strumenti di diritto europeo ed internazionale come il six pack e il two pack ( con il Patto euro-plus del Marzo del 2011) una revisione semplificata del Trattato ( l’art. 136 del TFUE, onde consentire ai paesi dell’euro di varare misure per rafforzare la moneta unica)
[già…]
e da ultimo ben due Trattati internazionali come il Fiscal compact e il Trattato sull’ESM (sottoscritto da soli 25 paesi esclusi la Gran Bretagna e la Repubblica ceca) , introducendo nuovi organismi inediti ( come il Board dell’ESM composto dai Governatori delle Banche centrali) e regole d’emergenza.
Si sono così delineate importanti fratture sia nel diritto dell’Unione che nella stessa geometria del processo di integrazione. E’ emersa ancor più radicalmente che nel passato l’indisponibilità britannica [ perfida Albione…!] a far compiere all’Unione significativi passi in avanti rispetto al quadro di Lisbona, rendendo inevitabile il ricorso al diritto internazionale per evitare l’immobilismo e con esso la resa all’assalto dei mercati.
Tuttavia, più in generale, la crisi improvvisa ed imprevista dell’euro ha mostrato una profonda divisione di interessi tra paesi che hanno la moneta unica (che è divenuta ben presto il baricentro di tutti gli sforzi degli organi comunitari) e che coloro che ne sono al di fuori ( anche se non hanno abdicato all’intenzione di entrarvi come la Polonia): i primi sono avvinti in un comune destino che, spinto paradassalmente dalla speculazione, li conduce, in molti casi obtorto collo, verso una più stretta integrazione, i secondi diventano sempre più estranei all’agenda delle istituzioni Ue. Inoltre si è a questa aggiunta un’altra divisione piuttosto netta tra paesi del nord, solidi economicamente e che godono ancora di robusti sistemi di tutela sociale incentrate sulle cosidette politiche attive per il lavoro e su tassi di indebitamento sotto controllo ed un sud-europa in estrema difficoltà in termini di competitività economica, di solidità di bilancio ed anche di “ tenuta” dei sistemi sociali molto sperequati, inefficienti e poco inclusivi.
La risposta a tale divario è stata ricercata selettivamente [ perché secondo MD data la struttura istituzionale della Ue e dell’ Eurozona si sarebbero potute fare delle scelte keinesiane…] nelle politiche di austerity e di risanamento, non affiancate però da strumenti di sorta ( se non il classico Fondo sociale) per aiutare la crescita economica e lo sviluppo e la tenuta dei livelli occupazionali.
[per la cronaca il Fondo Sociale Europeo che la Ue versa all’ Italia per il periodo 2014-2020 consiste in 10,17 miliardi di euro, rispetto agli oltre 100 che l’ Italia versa alla Ue nello stesso periodo. Un bell’aiuto, non c’è che dire…]
L’abbandono della cornice del diritto dell’Unione attraverso la necessitata porta stretta del diritto internazionale ha portato sostanzialmente alla sterilizzazione delle prerogative del Parlamento europeo su materie oggi nevralgiche che assegnano – soprattutto per i paesi dell’eurozona –poteri penetranti di controllo sui bilanci nazionali ed anche sulle connesse politiche economiche interne in primis al Consiglio ed alla Commissione: il già previsto potere di coordinamento, prima con il varo del cosiddetto “ semestre europeo” poi con il Fiscal compact ha visto un deciso irrobustimento nel quadro delle politiche di salvaguardia dell’euro e di aiuti ai paesi in difficoltà all’insegna del rigore di bilancio e del rispetto delle indicazioni sovranazionali che assumono carattere sempre più perentori.
Quale paese a rischio di default potrebbe oggi permettersi di ignorare quelle Raccomandazioni annuali (in vista dei Piani nazionali di riforma) che sino al 2009 sembravano avere carattere meramente indicativo e comunque venivano interpretate all’insegna della massima elasticità , visto che dal loro rispetto può dipendere il suo salvataggio? I nuovi meccanismi costruiti attorno alla vigilanza dei bilanci nazionali e nella gestione di nuovi organi di gestione della crisi dal “Fondosalvastati” all’ESM ruotano attorno ad una nuova centralità intergovernativa ed, al suo interno, sul pluspotere di diritto (come nelle quote del Board dell’ESM) e di fatto detenuto da Francia e Germania, [menomale se ne sono accorti] mentre talvolta si utilizzano strumentalmente, pur in un contesto formalmente di diritto internazionale, gli altri organi dell’Unione più connotati in senso sovranazionale come il Parlamento europeo ( chiamato a collaborare con quelli nazionali per conferire efficacia alle misure disposte nei confronti di paesi in difficoltà) , alla Commissione, cui spetta un ruolo quasi da “gendarme dei conti pubblici”, alla Corte di giustizia cui si chiede di verificare i piani di rientro dal deficit dei singoli paesi.
Come ha scritto Jürgen Habermas a proposito del Fiscal compact, per la prima volta nel processo di integrazione rilevanti cessioni di sovranità dagli Stati all’Unione non sono stati accompagnati da un incremento del potere di partecipazione e controllo dei cittadini europei, visto che l’organo a mandato universale deputato ad esprimere tale potere è stato in sostanza esautorato dai nuovi meccanismi della governance della eurozona.
Le occasioni “ costituenti” della crisi: verso un salto federale?
Ma sarebbe un gravissimo errore vedere solo questo lato della vicenda: sotto l’incedere della crisi l’Europa si è comunque mossa, evitando la catastrofe, scegliendo strade inedite (anche a causa dell’incompletezza del disegno istituzionale terminato con Lisbona), ha creato nuovi organi e nuovi meccanismi sia pure con legami troppo deboli con il diritto comunitario, non si è arresa al diktat della Gran Bretagna di ridimensionare l’Unione ad uno spazio di libero mercato. Gli Stati che hanno seguito il nuovo sentiero dell’integrazione sono stati gettati in un orizzonte di tipo nuovo, verso una comune governance sia sul fronte fiscale, che delle politiche economiche che sociali.
E’ ormai tramontata per sempre l’idea che, rimanendo nell’euro, i Paesi possano fare da soli, sabotare la disciplina sovranazionale, ignorare i piani comuni: questi possono e debbono essere certamente cambiati, resi più equi e solidaristici, [già, come…?...] ma il pensiero sovranista in questo momento è null’altro che un pensiero della catastrofe, della resa alla speculazione, del ritorno regressivo ad un costituzionalismo in “ paese solo”….
[Questa del “costituzionalismo in un paese solo” è una frase molto rivelatrice. In primo luogo, è sorprendente che una associazione di magistrati che ha fatto della tutela delle garanzie e dei diritti del singolo il baricentro della sua funzione dica “Beh, in fondo cosa sono le Costituzioni dei singoli paesi…” (!!!) In realtà, il significato da attribuire a questa frase è il seguente: essendo stati i giuristi europeisti sconfitti dai giuristi sovranisti sul tema della compatibilità fra Costituzione e Trattati europei (con speciale riferimento, fra gli altri, agli interventi di Luciano Barra Caracciolo), Magistratura “ Democratica” (scusate per le virgolette, ma qualche volta ci vogliono) tenta di aggirare l’ostacolo dicendo “Beh, in fondo, le singole Costituzioni…] (!!!)
…del tutto inefficace ed escludente, rovinoso per i più deboli posto che i più ricchi e potenti certamente non rimarrebbero mai imbrigliati nelle follie di governi populisti che mirano al default.
[ovvero, esporterebbero i capitali, ma non esistono le clausole di salvaguardia…? E non possono essere modificate…? ]
Occorre quindi praticare davvero le occasioni costituenti della crisi.- come ha scritto Barbara Spinelli [toh…?...] - fare di essa un bivio necessario, una presa di coscienza autocritica del sistema Europa, moneta compresa.
Oggi finalmente è entrato in agenda il tema dell’Europa politica e costituzionale, che non è più appannaggio di élites culturali essendo visibile la sua intima connessione con il benessere dei cittadini europei e l’effettività dei loro diritti fondamentali non più tutelabili negli asfittici confini nazionali:
[effettivamente, lo volevo dire io: non vi pare che le economie della Svizzera, della Corea del Sud, e di tutti i paesi mondiali che non hanno l’ Euro siano, come dire: un po’ asfittiche…? (!!!)]
quali passi possono pragmaticamente essere compiuti per avvinarci il più possibile a questa meta recuperando o rettificando quanto si è costruito in questi due anni vissuti pericolosamente, dai primi elementi di un controllo sulla Banche europee alla cooperazione rafforzata sulla Tobin tax europea, all’interpretazione adeguatrice che dello Statuto della BCE di fatto ci ha offerto il suo Governatore? […]
Grandi questioni si aprono per la sfera pubblica europea, in primis quella dell’eurozone e, fra questi:
a) come possono i Trattati internazionali essere fatti rientrare nell’alveo del diritto dell’Unione (con la piena operatività della Carta dei diritti), considerando anche il veto perdurante della Gran Bretagna ed in questo quadro che ruolo assegnare al Parlamento europeo;
b)come può completarsi la costruzione di un governo economico, che dal piano fiscale a quello bancario si estenda alle politiche economiche e sociali;
[già, come fare…?]
c) come si può corredare gli impulsi unitari sul piano finanziario e bancario con interventi che aiutino lo sviluppo e l’innovazione del “ sistema Europa” attraverso piani ad hoc sostenuti economicamente dall’Unione (project bond, eurobond, Union bond…)
[la Germania è sicuramente molto interessata alla questione…]
d) quale strada, per introdurre davvero standard minimi di trattamento sociale in modo che le politiche di risanamento dei bilanci pubblici interni non si traducano, come spesso sta accadendo, in riduzione di tutele sociali e nella compressione del welfare europeo.
[ovvero: le politiche austeritarie imposte ai paesi europei comportano deindustrializzazione e disoccupazione, ma almeno una indennità di disoccupazione uguale per tutti…! (e magari poi sono contrari al reddito di cittadinanza introdotto dal governo giallo-verde…)]
Il primo report della Commissione europea sul raggiungimento degli obiettivi sociali della Strategia 20-20 segnala in tutti i paesi iniziative di tale natura che stanno portando all’incremento (anche di notevole entità in alcuni Stati) di coloro che sono a rischio di povertà.
[ma che combinazione…]
Non può pensarsi ad un governo economico d’Europa senza che questa svolta e “ cambio di passo” faccia al tempo stesso cessare il pericolo di social dumping , evitabile solo conferendo certezza ed esigibilità sovranazionale a tutti i diritti socio-economici protetti dalla Carta dei diritti .
Se si intende salvaguardare il modello sociale europeo occorre accettare il piano costruttivo di una sua reale definizione a livello sovranazionale, il che vuol dire superare il particolarismo che ha sempre segnato le esperienze nazionali in questo settore.
[…]
La questione della carta dei Diritti di Nizza
In ultima analisi Magistratura Democratica aderiva al progetto europeista intorno all’anno 2000, cioè proprio all’inizio della sua fase più antipopolare e autoritaria. Lo faceva ipotizzando che la Carta dei Diritti di Nizza, e il suo successivo recepimento da parte del Trattato di Lisbona, che le assegnava lo stesso rango dei trattati europei, consegnassero ai magistrati un nuovo ruolo nella difesa dei diritti individuali e sociali, ruolo che evidentemente, nella loro visione, avrebbe potuto compensare l’annullamento degli strumenti nazionali di politica economica che la moneta unica, la libera circolazione dei capitali e le regole fiscali europee congiuntamente operavano.
Se questo è vero, viene spontanea una domanda: ma Magistratura Democratica, crede veramente, intende veramente farsi interprete della Carta dei Diritti di Nizza…? Perché se così non fosse, si rivelerebbe che il richiamo a tale Carta è solo strumentale alla rivendicazione di un ruolo di maggiore protagonismo dei magistrati rispetto alle legislazioni nazionali; si rivelerebbe cioè come una aspirazione di casta.
Guardiamo dunque alla Carta dei Diritti Fondamentali della Ue, che a partire dall’ articolo 6 del Trattato dell’ Unione Europea rivisto a Lisbona, è pienamente parte dei trattati europei.
All’ articolo 2 si proclama il “diritto alla vita”per ogni individuo. E’ compatibile questa affermazione con la pratica dell’ eutanasia estesa anche ai sani con le cliniche della morte svizzere (che sono fuori dell’ Unione Europea, ma alle quali ricorrono cittadini dell’ Unione Europea) oppure all’affermazione olandese del diritto a “considerare conclusa la propria esperienza vitale”, perciò, ancora, a praticare l’eutanasia sui sani? E’ compatibile tale pratica con l’art. 25 sui diritti degli anziani ad una vita dignitosa e indipendente? E’ compatibile con l’art. 34 sulla sicurezza sociale e abitativa? Quando mai Magistratura Democratica ha iniziato una lotta contro queste aberrazioni…? E cosa ha detto Magistratura Democratica sulla questione dell’aborto “a nascita parziale”, con la quale, per difendere la libera scelta della donna, si pone fine dopo il 6° mese alla vita del bambino (o del feto, a vostra discrezione) che se “abortito” per via cesarea avrebbe una vita autonoma…?
All’articolo 3 si proclama il diritto all’integrità fisica e psichica, il divieto di pratiche eugenetiche e di fare del corpo umano o delle sue parti fonte di lucro. E’ compatibile questo con gli interventi ormonali sui bambini volti a rinviare lo sviluppo puberale al fine di consentire il cambio di sesso? Il divieto di pratiche eugenetiche riguarda o non riguarda la selezione degli embrioni per l’inseminazione artificiale? Il divieto di fare di parti del corpo umano una fonte di lucro vale anche per organizzazioni come Planned Parenthood? Non ho sentito i giuristi di Magistratura Democratica festeggiare per la fine delle sovvenzioni statali a Planned Parenthood decisa da Trump. Il divieto di fare del corpo umano una fonte di lucro vale anche per la pratica della c.d. “gestazione per altri”, e anche quando chi vi ricorre è un personaggio dello spettacolo o un ex-parlamentare, o quei casi si devono considerare esenti? Eppure notizie di stampa li indicano come estremamente lucrosi…
E fra i diritti del bambino affermati all’art. 24, non rientra quello di vivere con i propri genitori naturali…? E il “preminente diritto del bambino” viene tutelato anche nella “gestazione per altri”…? E il diritto alla proprietà (art. 17) vale anche per i depositi dei cittadini cancellati dalle regole europee sul bail-in…?
Sono tutte domande alle quali magistratura Democratica non potrebbe rispondere.
In conclusione
Magistratura Democratica aderiva al progetto di costruzione europea proprio nella sua fase più reazionaria e antipopolare. Lo faceva con la dichiarata intenzione di usare gli spazi aperti dalla Carta dei Diritti Fondamentali della Ue e dal suo inserimento nei Trattati come leva di un autonomo intervento “progressivo” del magistrato rispetto alle legislazioni nazionali. Ma questo richiamo alla “Carta dei Diritti” era puramente strumentale, in quanto l’ideologia dominante in MD non è quella del diritto “progressivo” (mi scuseranno i giuristi per queste definizioni senz’altro improprie) ma quella del diritto “evolutivo”, ovvero dell’adeguamento della giurisprudenza alle mutevoli pretese dei mercati, e oggi dunque, alle pressanti esigenze del capitalismo su base transnazionale.
L’adesione ideologica alla Ue e l’ideologia del diritto “evolutivo” ne fanno oggi in Italia un efficace strumento di ordine della globalizzazione capitalistica.
