IN QUESTO SITO un diario fotogiornalistico che, alla mano di magnifiche immagini, illustra quella che in Europa è indubbiamente la più valida, forte, giusta e nobile lotta di massa del nuovo millennio, quella dei Gilet Gialli, ora al 60° appuntamento.
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mercoledì 29 gennaio 2020
FRANCIA, IL ROSSO E' DIVENTATO GIALLO di Fulvio Grimaldi
IN QUESTO SITO un diario fotogiornalistico che, alla mano di magnifiche immagini, illustra quella che in Europa è indubbiamente la più valida, forte, giusta e nobile lotta di massa del nuovo millennio, quella dei Gilet Gialli, ora al 60° appuntamento.
mercoledì 15 gennaio 2020
FRANCIA: PERCHÉ QUI DA NOI NO di Riccardo Achilli

Perché in Francia un intero popolo protesta da settimane in forma radicale e da noi è sorto un movimento filo-sistemico e narcotico come quello delle Sardine? Perché da loro ci sono i gilets jaunes e da noi no? Credo valga la pena di interrogarsi a fondo su tale dilemma, evitando posizioni facilone, del tipo “quanto sono ganzi i francesi e quanto siamo bischeri noi”.
Senza voler avere la pretesa di una
lunedì 2 dicembre 2019
DOSSIER: PERCHÉ DIFENDERE IL CONTANTE di Liberiamo l'Italia
[ martedì 3 novembre 2019 ]
In vista della manifestazione sotto il Parlamento di venerdì prossimo 6 dicembre dalle ore 15:30 consegnamo ai lettori il Dossier "Perché difendere il contante" di LIBERIAMO L'ITALIA curato da Vadim Bottoni. Uno strumento a disposizione dei cittadini che svela le vere ragioni per cui si vuole favorire l'uso della moneta elettronica.
Alla manifestazione interverranno tra gli altri: Nino Galloni, Tiziana Alterio, Guido Grossi, Vadim Bottoni, Daniela Di Marco, Francesco Neri, Fabio Frati, Giancarlo D’Andrea, Moreno Pasquinelli...
* * *
L’attacco governativo e mediatico all’uso del contante, con misure che inizieremo a vedere
nel decreto fiscale 2020, rende necessaria una seria analisi sulle vere ragioni dell’imposizione relativa all’uso della moneta elettronica. Con il seguente documento, strutturato in termini di domande e risposte, prende avvio la campagna in difesa del contante da parte di “Liberiamo l’Italia”, nell’ambito della quale, e contro il MES, ci troveremo sotto il Parlamento, venerdì 6 dicembre, dalle ore 15:30
nel decreto fiscale 2020, rende necessaria una seria analisi sulle vere ragioni dell’imposizione relativa all’uso della moneta elettronica. Con il seguente documento, strutturato in termini di domande e risposte, prende avvio la campagna in difesa del contante da parte di “Liberiamo l’Italia”, nell’ambito della quale, e contro il MES, ci troveremo sotto il Parlamento, venerdì 6 dicembre, dalle ore 15:30
Il dossier è a cura di Vadim Bottoni, mettiamo a disposizione di tutti due versioni dello stesso per la circolazione via web e smatphone o per la stampa:
1. In cosa consiste la lotta al contante di cui si sente molto parlare ultimamente, in quali misure si concretizza e quali sono gli effetti economici?
Per contante intendiamo le banconote cartacee e le monete metalliche, che è la forma assunta dalla moneta legale. La lotta al contante è caratterizzata dall’attuazione di misure volte a limitarne progressivamente l’uso, così come previsto nel decreto fiscale 2020. Tali misure vanno dalle limitazioni all’uso di banconote previste nei pagamenti alle sanzioni per mancata accettazione di pagamenti con carta di debito o di credito, il tutto per ottenere una minore circolazione di contanti. Questa riduzione deve poi essere compensata da un aumento di strumenti alternativi offerti da intermediari autorizzati come le banche, ad esempio i bonifici e i bancomat, che per semplicità chiamiamo moneta elettronica.
Le finalità dichiarate di chi persegue questa operazione sono quelle di dover sostituire una moneta che circola in modo anonimo con una controllabile, in modo da poter meglio contrastare fenomeni illeciti quali l’evasione fiscale, il riciclaggio, fino al terrorismo. Se così fosse si capirebbe a fatica perché in paesi come la Germania e l’Austria non vi siano limitazioni all’uso di banconote, ma prima di affrontare questi temi vediamo il primo e rilevante effetto di questa operazione, ovvero cosa accade se nelle tasche dei cittadini viene sostituito il contante, quindi la moneta legale, con la moneta elettronica:
banalmente accade che la circolazione monetaria che prima era gratuita per i cittadini ora presenta un costo. Vediamo in che senso.
banalmente accade che la circolazione monetaria che prima era gratuita per i cittadini ora presenta un costo. Vediamo in che senso.
Le banconote cartacee vengono emesse dalle Banche centrali e poi iniziano a circolare di mano in mano senza costi per nessuno nei vari passaggi. La moneta elettronica invece è un servizio offerto dalle banche e circola con dei costi in un sistema di pagamento privato. Per ogni passaggio, ad esempio a mezzo bonifico o di carta di pagamento, vengono versate delle commissioni alle banche e istituti emittenti da parte di cittadini ed esercenti, sui quali gravano anche i costi di installazione e dei canoni per i terminali necessari al processo.
Nella condizione attuale di difficoltà in cui versano le imprese e di necessità per un rilancio dei consumi vista la bassa crescita, questi costi aggiuntivi sui passaggi di denaro e quindi sui consumi avrebbero un effetto recessivo oltre ad alimentare i livelli di esasperazione di chi vede caricarsi sulle spalle gli ennesimi costi per gestire attività sempre più a rischio di chiusura.
2. Se si abbassassero questi costi non si potrebbero superare i problemi più rilevanti?
Si stanno valutando sistemi di deduzioni e detrazioni fiscali, nel senso che i costi sostenuti per le commissioni si recuperano parzialmente in un secondo momento pagando meno tasse.
Però, a parità di commissioni bancarie applicate, del mancato introito per l’erario dovuto allo sgravio se ne farà carico la fiscalità generale, ovvero ci saranno tasse pagate da tutti noi che dovranno sostenere il costo delle commissioni bancarie.
Visto che l’operatività delle banche non può esimersi dalle entrate delle commissioni, la parte dei costi tolti al diretto interessato si scaricherebbe su tutti i contribuenti e quindi su tutti noi.
Ma facciamo una ulteriore ipotesi francamente inverosimile, ovvero che per consentire il processo di eliminazione del contante si acconsentisse miracolosamente ad azzerare le commissioni. Questo inizialmente ammorbidirebbe le resistenze alla eliminazione del contante favorendone l’obiettivo che però, una volta raggiunto, determinerebbe
l’instaurazione di una sorta di monopolio privato del sistema di pagamento, quello bancario. Così se iniziassero da quel momento a salire esponenzialmente i costi delle transazioni le persone non avrebbero più l’alternativa del contante e quindi sarebbero costrette a caricarsi di quei costi non appena venisse effettuato un pagamento. Una vota eliminato il contante il potere di far aumentare i costi delle transazioni diverrebbe così praticamente arbitrario.
l’instaurazione di una sorta di monopolio privato del sistema di pagamento, quello bancario. Così se iniziassero da quel momento a salire esponenzialmente i costi delle transazioni le persone non avrebbero più l’alternativa del contante e quindi sarebbero costrette a caricarsi di quei costi non appena venisse effettuato un pagamento. Una vota eliminato il contante il potere di far aumentare i costi delle transazioni diverrebbe così praticamente arbitrario.
3. Per rifuggire da questi costi allora tante persone terrebbero i soldi al sicuro sotto forma di depositi limitando la circolazione, o no?
Sui soldi al “sicuro” meglio non soffermarsi vista la corrente normativa del bail-in per la quale il salvataggio di un istituto finanziario sull’orlo del fallimento ricadrebbe su obbligazionisti e correntisti. A parte ciò, l’eliminazione del contante inciderebbe negativamente anche sulla possibilità di preservare il valore dei nostri risparmi in banca. Infatti i tassi d’interesse attuali sono prossimi allo zero e probabilmente resteranno tali per lungo tempo come effetto della bassa crescita. L’esistenza del contante però è un argine allo sconfinamento in territorio negativo dei tassi d’interesse, ovvero è un argine all’ipotesi che se oggi ho cento euro in banca domani potrei averne meno senza averli toccati. Pensiamo al seguente scenario. Poniamo che il costo per tenere 100 euro affittando una cassetta di sicurezza o depositandoli in banca fosse lo stesso. Ragionando al netto di questo costo, se tenessi la banconota ferma e al sicuro nella cassetta non troveri cancellato il numero 100, che è il suo valore nominale, e non vedrei riscritto un nuovo numero più basso. Se invece la tenessi sotto forma di deposito bancario e vi fossero i cosiddetti tassi di interesse negativi, dopo un certo tempo visualizzando il conto vedrei che il valore 100 è diminuito.
L’immutabilità del valore scritto sulla banconota, invece, equipara la moneta cartacea a una obbligazione a tasso zero, il cui possesso garantisce il risparmiatore proprio dai tassi negativi.
L’importanza dell’esistenza del contante per preservare i risparmi appare così evidente, perché finché c’è la possibilità di prelevare e conservare i contanti altrove i tassi d’interesse bancari rimarranno prossimi allo zero, mentre senza il contante non vi sarebbe una alternativa sicura rispetto ai depositi bancari e quindi i risparmi sarebbero intrappolati nei depositi ed esposti all’erosione nel tempo.
Riassumendo, dovrebbe a questo punto essere chiaro che senza l’esistenza del contante se la moneta circola paga un costo, se sta ferma paga un altro costo.
4. Certo che così non si scappa! C’è la possibilità di superare le banconote cartacee senza incorrere in tutti questi problemi?
Per realizzare un sistema dei pagamenti elettronico senza incorrere in questi problemi basterebbe partire dalla consapevolezza che la moneta, cartacea o elettronica che sia, è un bene pubblico e quindi deve essere gestito tramite banche pubbliche in cui aprire gratuitamente dei conti correnti e sviluppare così un circuito dei pagamenti interno. In questo caso il servizio dovrebbe essere reso gratuitamente. La banca pubblica non dovrebbe fare profitti ma tutelare il risparmio. A chi affermasse la necessità assoluta di realizzare un sistema di pagamenti totalmente elettronico, perché visto come trasparente e controllabile, occorrerebbe obiettare che solo a condizione di un sistema di pagamento pubblico ciò sarebbe pensabile, in assenza del quale il contante svolge tutt’ora una funzione di difesa dei livelli di attività economica e della tutela dei risparmi. Quindi prima si crea un sistema di pagamento pubblico, poi si può ragionare sulla funzione del contante. Il prima e il dopo in politica fanno tutta la differenza del mondo.
Invece stiamo assistendo a un processo esattamente inverso, in cui il drastico ridimensionamento del contante è divenuto obiettivo prioritario nell’agenda politica attuale. La forzatura del processo di marginalizzazione del contante a favore della moneta elettronica risulta evidente in tutta una serie di misure presenti nella manovra finanziaria 2020. Nella manovra i bonus fiscali risultano a rischio se si usa il contante, infatti su 51 bonus fiscali (tra detrazioni e deduzioni) inseriti in 1,3 milioni di dichiarazioni dei redditi presentate quest’anno, dieci non ammettono il cash mentre per altre 23 usare la moneta di carta è di fatto impossibile.
5. Ma se c’è una urgenza che richiede di anticipare i tempi? Va bene l’aspetto economico ma qui i media ci avvertono che è in gioco la nostra sicurezza, bisogna sconfiggere il terrorismo, possiamo aspettare?
Premesso che i tempi per realizzare un sistema di pagamento pubblico, coinvolgendo soggetti già esistenti come le banche pubbliche e Banco posta, sarebbero ben inferiori rispetto a quelli necessari per una ordinata eliminazione del contante, vediamo però nel merito l’aspetto della sicurezza partendo da quello avvertito in modo più forte, la lotta al terrorismo.
Una questione così delicata richiede innanzitutto l’individuazione di uno studio accreditato in materia. Facciamo allora riferimento alla Relazione al Parlamento Europeo e al Consiglio sulle restrizioni ai pagamenti in contanti, prodotto dalla Commissione Europea nel 2018, che ha esaminato il tema sulla base della principale analisi in materia di limitazione ai pagamenti in contante: “Study on an EU initiative for a restriction on payments in cash”.
Questo studio ha evidenziato, tra le altre cose, che le restrizioni ai pagamenti in contanti non darebbero un contributo tangibile al contrasto del finanziamento al terrorismo.
Il motivo riguarda i costi degli attentati terroristici che oggi sono molto spesso bassi, così i limiti al trasferimento di contante inciderebbero ben poco sulla capacità di realizzare tali attentati. Ma ancor più di questo motivo la Commissione sottolinea un aspetto di assoluta evidenza per chi abbia un minimo di buon senso, quello che chi ha deciso di commettere un reato associato a sanzioni pesantissime, come quello di un attentato, non si curerebbe minimamente delle sanzioni associabili ai limiti di trasferimento di contante.
Il motivo riguarda i costi degli attentati terroristici che oggi sono molto spesso bassi, così i limiti al trasferimento di contante inciderebbero ben poco sulla capacità di realizzare tali attentati. Ma ancor più di questo motivo la Commissione sottolinea un aspetto di assoluta evidenza per chi abbia un minimo di buon senso, quello che chi ha deciso di commettere un reato associato a sanzioni pesantissime, come quello di un attentato, non si curerebbe minimamente delle sanzioni associabili ai limiti di trasferimento di contante.
6. Se sostituiamo il contante con la moneta elettronica non abbiamo più trasparenza e quindi maggiori possibilità di intercettare i trasferimenti illeciti di denaro?
Non proprio, in quanto la moneta elettronica può addirittura facilitare i trasferimenti illeciti di denaro perché è strumento più veloce ed agile per aggirare i canali ufficiali e più sorvegliati.
Basta seguire le cronache per vedere come la classica “valigia di contanti” può essere meglio individuata e quindi sequestrata. Questo è tanto più vero da quando il consiglio direttivo della BCE ha deciso di interrompere la produzione delle banconote da 500 euro che erano le maggiori indiziate per le attività illegali, decisione avversata dai tedeschi la cui banca centrale ha ottenuto una proroga nel periodo di emissione. Il fatto da considerare è che oggi la politica dell’Eurosistema è neutrale rispetto ai diversi mezzi di pagamento e viene lasciata ai consumatori la scelta in funzione della convenienza.
7. Sono veramente efficaci i limiti all’uso del contante per combattere l’evasione fiscale?
Sulla base dello studio citato prima utilizzato dalla Commissione europea viene rilevato che le restrizioni ai pagamenti in contanti non incidono particolarmente sulle frodi fiscali, perché quelle davvero rilevanti non sono perpetrate tramite l’uso di contanti, ma
attraverso strutture giuridiche complesse e operazioni transnazionali che coinvolgono più Stati.
attraverso strutture giuridiche complesse e operazioni transnazionali che coinvolgono più Stati.
I casi in cui la frode ed evasione fiscale sono basate sui contanti sono molto meno significative innanzitutto perché riguardano bassi importi e proprio perché riguardano generalmente operazioni di basso importo normalmente le stesse non rientrerebbero nei limiti fissati.
Oggi la Guardia di Finanza ci avvisa che in cima alle operazioni di evasione fiscale non ci sono le operazioni in contanti, ma alte operazioni di triangolazioni finalizzate alla creazione di società fittizie, o anche dette cartiere, il cui compito è produrre fatture false per delle operazioni inesistenti. I pagamenti delle fatture sono ovviamente effettuati tramite bonifici, pertanto la frode fiscale e la maxi evasione sono perpetrate soprattutto attraverso l’uso del bonifico.
Quanto detto sembra coerente anche con l’analisi dell’Ufficio studi della CGIA nel 2015 in merito agli effetti della limitazione sull’uso del contante nel nostro Paese. Secondo l’analisi c’è bassissima correlazione tra la soglia limite all’uso di cartamoneta imposta per legge e il rapporto tra la base imponibile Iva non dichiarata e il Pil, ovvero con l’evasione fiscale. La conclusione è quindi che non si rileva una stretta correlazione tra l’uso della carta moneta e l’evasione fiscale.
8. In quale dimensione, nazionale o internazionale, deve concretizzarsi il contrasto all’evasione fiscale e alle attività illecite in generale e su quale evoluzione di strumenti queste si basano?
La Guardia di Finanza ci avverte che le aree prioritarie di intervento, ovvero quelle che necessitano di ulteriore rafforzamento della lotta all’evasione e all’elusione fiscale, riguardano i fenomeni di rilievo internazionale. Le strategie di contrasto all’evasione fiscale sono sempre più orientate alla crescente interazione dei mercati.
Questo fenomeno ha progressivamente ampliato il divario tra dimensione economica globalizzata e sovranità impositiva degli stati che è nazionale. Questa asimmetria viene sfruttata dalla criminalità per creare imprese multinazionali ed utilizzare i paradisi fiscali determinando una riduzione di tutela, in virtù della ridotta efficacia delle misure adottate a livello domestico sulle dinamiche del mercato globale.
La massima attenzione in materia dovrebbe essere orientata alle criptovalute, strumenti digitali impiegati per effettuare acquisti e vendite tramite la crittografia, che stanno consentendo la creazione nel web di paradisi fiscali virtuali. La Dna, direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, ha recentemente lanciato un allarme senza precedenti sulle criptovalute. Mentre, come visto, i grandi giri di affari loschi non possono avvalersi significativamente dei contanti per la lentezza delle operazioni e l’esposizione ai sequestri, trovano nelle criptovalute uno strumento digitale velocissimo e agile nell’aggirare i vincoli, che al contempo fornisce un sostanziale anonimato nelle transazioni. La Dna rileva grandi difficoltà investigative per identificare gli indagati, acquisire le movimentazioni di valuta virtuale e soprattutto l’impossibilità di sequestrare le valute virtuali. Insomma le organizzazioni criminali si internazionalizzano e digitalizzano abbandonando il fardello del contante e l’attenzione dell’opinione pubblica viene indirizzata verso tutt’altro.
9. La questione delle criptovalute complica il quadro, ma al di là di queste non ci sono accordi internazionali per i quali i bonifici nei paradisi fiscali sono soggetti a elevata tassazione? Questo non scoraggerebbe la connessa attività di evasione e riciclaggio?
Rimanendo all’interno dei paesi dell’UE facciamo il seguente esempio. Per il diritto tributario italiano se una società è costituita in Italia essa ha l’oggetto principale della sua attività in Italia, mentre in Olanda è sufficiente l’atto notarile di costituzione (ovvero che vi abbia sede) a prescindere che la società abbia l’attività operativa in Olanda o in un altro paese. Pertanto da qualsiasi parte del mondo una società può costituire la propria sede in Olanda. Detto questo, occorre considerare che grazie al suo passato colonialista l’Olanda può oggi fungere da via d’uscita (gateway) verso i paradisi fiscali per i Paesi Ue. Infatti se generalmente un bonifico che parte da uno degli altri paesi UE va, ad esempio, verso il paradiso fiscale delle British Virgin Islands viene tassato al 30%. Ma se il bonifico parte dall’Olanda ed è diretto verso uno dei Paesi ex possedimenti coloniali olandesi, questa tassazione non si applica. Pertanto a prescindere da dove svolge l’attività una società transnazionale che si costituisce in Olanda può sfruttare questo ponte a tassazione azzerata. Non stupisce che l’incredibile cifra di 15 trilioni di dollari (non scriviamo per esteso il numero per problemi di spazio) di fondi “fantasma” accumulati dalle multinazionali negli ultimi vent’anni per limitare al minimo le tasse, sono collocati per la metà nelle sole Olanda e Lussemburgo quindi nel cuore dell’UE, ma invece ci dicono che il problema è il contante per la colazione al bar.
10. Se è vero che attraverso le tecnologie informatiche tutti questi miliardi viaggiano indisturbati per non pagare le tasse dove si svolge l’attività, in che misura i limiti ai pagamenti in contanti inciderebbero sul riciclaggio di denaro e sull’economia sommersa?
Sempre in base al citato studio utilizzato dalla Commissione europea i pagamenti a mezzo di contante non incidono significativamente, infatti constatiamo che il riciclaggio avviene spesso tramite l’acquisto di beni di valore elevato, per cui sarebbe più utile vagliare delle misure che prevedono un obbligo di raccolta dati e dichiarazioni in capo ai rivenditori. Come dimostrano le evidenze investigativei riciclatori e gli stessi evasori professionali non usano il contante, procedendo sostanzialmente in due modi: o occultano del tutto i propri redditi, oppure pagano false fatture con bonifici e assegni non trasferibili.
Ad esempio, per i malavitosi, riciclatori ed evasori fiscali è più facile fare un bel bonifico a fronte di una fattura falsa, canalizzata per il tramite una impresa all’estero.
In merito alla questione del rapporto tra contante ed economia sommersa, ovvero se vi sia stato negli ultimi anni un ampliamento delle transazioni che hanno luogo nell’economia sommersa o illegale tale da contribuire all’incremento delle banconote, occorre rifarsi alle evidenze disponibili.
Così, pur nella difficoltà di misurare quelle transazioni, l’evidenza disponibile indica che negli anni più recenti a fronte di un aumento di domanda di contante non vi sia stata una espansione dell’economia sommersa e illegale.
La domanda di circolante è cresciuta in corrispondenza di tensioni finanziarie e incertezza economica. D’altronde secondo Keynes la spinta a domandare moneta per trattenerla come riserva di ricchezza è un barometro del nostro grado di sfiducia nel futuro.
11. Non si potrebbe allora sostituire la cartamoneta classica con il cosiddetto contante digitale, ovvero i bitcoin? Non coniugheremmo così il rispetto della privacy proprio del contante con la modernità tecnologica della moneta elettronica?
Il bitcoin è la più nota criptovaluta, i cui effetti ambigui in termini di sicurezza sono stati trattati in precedenza. Uno degli aspetti spesso evidenziati è che l’architettura del bitcoin non richiede la necessità di passare attraverso il sistema bancario perché consentirebbe il trasferimento di moneta elettronica direttamente tra utenti. D’altro canto non trae valore da una copertura di riserve e differisce dalla moneta legale (tipicamente sotto forma di banconote) che ha un valore conferito dall’autorità dello Stato. I bitcoin traggono valore dal fatto che sono programmati per essere scarsi, e questo li rende più simili all’oro digitale che a una moneta digitale, e l’incredibile volatilità del loro valore conferma la tesi che siano utilizzati con finalità speculative. Il fatto che non possano assumere in alcun modo un ruolo sostitutivo del contante nella funzione di mezzo di pagamento è dato da un ulteriore motivo evidenziato da un recente studio messo a punto dall’università di Cambridge: il sistema utilizzato per emettere bitcoin oggi, tramite la potenza di calcolo di tantissimi computer sparsi in tutto il mondo, richiede una quantità di energia elettrica addirittura superiore ai consumi elettrici dell’intera Svizzera. Per una singola transazione il bitcoin richiede tanta energia quanto almeno un appartamento in una settimana, pertanto una estensione dell’utilizzo dei bitcoin che dovesse coprire le innumerevoli, ed ecologiche, transazioni effettuate tramite contante sarebbe semplicemente impensabile.
La descrizione dei limiti di questo contante digitale rafforza la tesi per cui il contante è attualmente il vero baluardo a difesa della privacy. Infatti l’obbligo all’uso della moneta elettronica implica la tracciabilità minuziosa e sistematica di ogni transazione economica compiuta dal singolo cittadino. Anzitutto da parte dello Stato, ma anche delle banche e dei loro fornitori di servizi internet — che già ora posseggono e conservano (per sei anni in base alle direttive europee adottate dal governo Gentiloni) ogni possibile informazione sulla vita, le abitudini e le preferenze dei cittadini.
Si tratta quindi di un altro passo verso uno Stato di polizia tributaria, di un rafforzamento di un regime di “sorveglianza di massa”. Ogni cittadino verrà spiato e la sua privacy violata, senza che ciò sia motivato dall’autorità giudiziaria, quindi in aperto contrasto con l’articolo 13 della Costituzione.
Si tratta quindi di un altro passo verso uno Stato di polizia tributaria, di un rafforzamento di un regime di “sorveglianza di massa”. Ogni cittadino verrà spiato e la sua privacy violata, senza che ciò sia motivato dall’autorità giudiziaria, quindi in aperto contrasto con l’articolo 13 della Costituzione.
12. A questo punto c’è da chiedersi se la lotta al contante è effettivamente dovuta a tutte queste ragioni, o riguarda un aspetto sistemico dell’economia e delle politiche economiche. E’ possibile ciò?
A livello accademico iniziano a levarsi nuove e ulteriori critiche ai modelli keynesiani, poiché in questi il ruolo del contante non viene messo alla berlina. Queste tesi stanno incominciando ad interessare le Banche centrali perché hanno ricadute sulla politica monetaria e quindi sulla loro operatività.
Il modello operativo della politica monetaria è, in estrema sintesi, il seguente. Se, come registriamo oggi, la crescita è in declino allora bisogna stimolare gli investimenti per far riprendere la crescita. Secondo il suddetto modello gli investimenti si stimolano abbassando il tasso d’interesse. Ma se a forza di abbassare si arriva al punto che bisognerebbe scendere sotto lo zero, ovvero attuare tassi negativi? Fino a che esiste il contante tassi significativamente negativi non possono essere applicati perché, come già visto, le persone per salvare i propri risparmi dalla diminuzione di valore li
preleverebbero dai depositi e li terrebbero sotto forma di contante. Grazie all’esistenza del contante i tassi d’interesse non possono divenire significativamente negativi, così i risparmi possono essere meglio preservati e l’instabilità finanziaria, connessa a una accelerazione dei tassi negativi, arginata.
preleverebbero dai depositi e li terrebbero sotto forma di contante. Grazie all’esistenza del contante i tassi d’interesse non possono divenire significativamente negativi, così i risparmi possono essere meglio preservati e l’instabilità finanziaria, connessa a una accelerazione dei tassi negativi, arginata.
Posto che si è arrivati alla necessità di tassi negativi proprio perché lo schema di politica monetaria non ha funzionato, e non ha funzionato in quanto si può anche offrire liquidità senza applicare interessi ma se le prospettive di profitto sono fosche i privati non accettano comunque i rischi dell’investimento, rimane allora aperto il punto che riteniamo centrale: come riavviare gli investimenti e quindi la crescita? La risposta è attraverso la politica fiscale, avviando un piano di investimenti pubblici che garantisca un incremento di occupazione e maggiori livelli di attività, quindi una ripresa della crescita.
Arrivati a questo punto abbiamo davanti solo due soluzioni, non ulteriormente procrastinabili, con conseguenza socio-economiche opposte:
o si elimina il denaro contante adottando tassi d’interesse negativi, così che la politica monetaria delle Banche centrali riacquisti margine d’azione con tutte le conseguenze negative viste finora per le classi medie e popolari, come aumento dei costi economici, riduzione dei risparmi e instabilità finanziaria;
o, senza bisogno di eliminare il denaro contante, entra in gioco lo Stato attraverso investimenti pubblici con rilancio dell’occupazione.
Chi alle condizioni attuali promuove l’eliminazione del contante rischia seriamente di affossare la possibilità di rilanciare oggi il progetto di un modello socio-economico basato sulla centralità del ruolo dello Stato nell’economia, di ostacolare l’istituzione di un sistema di pagamenti pubblico in cui canalizzare il credito, nonché impedire la salvaguardia le fasce popolari da una pesante misura regressiva.
Per tutte queste ragioni oggi noi di Liberiamo l’Italia riteniamo prioritaria la lotta in difesa del contante.
a cura di Vadim Bottoni
sabato 15 dicembre 2018
PORTOGALLO: IL GOVERNO È DI SINISTRA, LA RIVOLTA È POPOLARE
[ 15 dicembre 2018 ]
Com'è noto in Portogallo c'è un governo..."di sinistra" presieduto dal socialista Antonio Costa. Il governo è sostenuto dall'esterno anche dal Partito comunista portoghese e dalla "sinistra radicale" raggruppata nel Bloco de Esquerda.
Ebbene il governo portoghese viene considerato dalle sinistre radicali europee come un bell'esempio di come si possa restare nell'Unione europea senza applicare l'austerità. Al contempo il governo portoghese ha raccolto l'encomio di Bruxelles e degli euro-liberisti d'ogni risma. Un esempio? L'Espresso che mesi addietro titolava "Portogallo, così governa una buona sinistra. Cinque anni fa era quasi al default. Oggi cresce a ritmi record. Con un esecutivo socialista e comunista. Liberale in economia, ma con una politica sociale".
Un miracolo o una bufala?
La seconda che hai detto!
Non si spiegherebbe altrimenti come mai, malgrado il governo in sella dal 2015 abbia beneficiato della generale ripresa economica, da mesi il paese è attraversato da forti movimenti di sciopero dei lavoratori e da numerose proteste popolari.
Insegnanti, ferrovieri, infermieri, giudici, vigili del fuoco o guardie carcerarie chiedono aumenti salariali, diritti, la fine di quella che potremmo chiamare "austerità a bassa intensità". Gli infermieri, ad esempio, sono in sciopero intermittente da nove mesi e han fatto dodici giorni di stop completo dall'inizio del 2018.
In pratica i lavoratori non si accontentano delle poche briciole del governo, mentre la "crescita" ha favorito, oltre alle multinazionali straniere, una piccola minoranza di già ricchi.
In questo clima sta nascendo in questi giorni in Portogallo un movimento simile a quello dei Gilet Gialli francesi: VAMOS PARAR PORTUGAL EM FORMA DE PROTESTO, anch'esso nato su Facebook da un gruppo di cittadini.
Anche in questo caso si chiede lo stop all'aumento dei combustibili, delle tasse (IVA compresa), della fine dei privilegi per le grandi imprese e la difesa delle più piccole. [vedi immagine a destra]
Vedremo nei prossimi giorni se questa protesta, che da voce anzitutto alla piccola e media borghesia, prenderà il largo e se si unirà al movimento di scioperi dei lavoratori salariati.
Ad ogni modo una cosa si può dire con certezza: il cosiddetto "miracolo portoghese" della "buona sinistra" si va sgonfiando velocemente.
Com'è noto in Portogallo c'è un governo..."di sinistra" presieduto dal socialista Antonio Costa. Il governo è sostenuto dall'esterno anche dal Partito comunista portoghese e dalla "sinistra radicale" raggruppata nel Bloco de Esquerda.
Ebbene il governo portoghese viene considerato dalle sinistre radicali europee come un bell'esempio di come si possa restare nell'Unione europea senza applicare l'austerità. Al contempo il governo portoghese ha raccolto l'encomio di Bruxelles e degli euro-liberisti d'ogni risma. Un esempio? L'Espresso che mesi addietro titolava "Portogallo, così governa una buona sinistra. Cinque anni fa era quasi al default. Oggi cresce a ritmi record. Con un esecutivo socialista e comunista. Liberale in economia, ma con una politica sociale".
Un miracolo o una bufala?
La seconda che hai detto!
Non si spiegherebbe altrimenti come mai, malgrado il governo in sella dal 2015 abbia beneficiato della generale ripresa economica, da mesi il paese è attraversato da forti movimenti di sciopero dei lavoratori e da numerose proteste popolari.
Insegnanti, ferrovieri, infermieri, giudici, vigili del fuoco o guardie carcerarie chiedono aumenti salariali, diritti, la fine di quella che potremmo chiamare "austerità a bassa intensità". Gli infermieri, ad esempio, sono in sciopero intermittente da nove mesi e han fatto dodici giorni di stop completo dall'inizio del 2018.
In pratica i lavoratori non si accontentano delle poche briciole del governo, mentre la "crescita" ha favorito, oltre alle multinazionali straniere, una piccola minoranza di già ricchi.
In questo clima sta nascendo in questi giorni in Portogallo un movimento simile a quello dei Gilet Gialli francesi: VAMOS PARAR PORTUGAL EM FORMA DE PROTESTO, anch'esso nato su Facebook da un gruppo di cittadini.
Anche in questo caso si chiede lo stop all'aumento dei combustibili, delle tasse (IVA compresa), della fine dei privilegi per le grandi imprese e la difesa delle più piccole. [vedi immagine a destra]
Vedremo nei prossimi giorni se questa protesta, che da voce anzitutto alla piccola e media borghesia, prenderà il largo e se si unirà al movimento di scioperi dei lavoratori salariati.
Ad ogni modo una cosa si può dire con certezza: il cosiddetto "miracolo portoghese" della "buona sinistra" si va sgonfiando velocemente.
martedì 2 febbraio 2016
FRANCIA: TOGLIERE LO STATO D'EMERGENZA!
[ 2 febbraio ]
Il fascismo non viene mai all'improvviso. Non s'afferma dal giorno alla notte. La crisi economica e la disoccupazione di massa sono le condizioni della sua avanzata, ma esso può diventare dominante solo perché le classi dominanti e i loro partiti "democratici" gli spianano la strada.
Il fascismo non viene mai all'improvviso. Non s'afferma dal giorno alla notte. La crisi economica e la disoccupazione di massa sono le condizioni della sua avanzata, ma esso può diventare dominante solo perché le classi dominanti e i loro partiti "democratici" gli spianano la strada.
Come? Appunto iniziando essi a seppellire la democrazia sotto un cumulo di provvedimenti liberticidi e polizieschi. Così accadde negli anni '20 e '30: né Mussolini né Hitler avrebbero potuto vincere se prima i dominanti non avessero loro aperto il varco con modifiche istituzionali di segno reazionario e illiberale.
Questo è ciò che accade in Francia oggi, con la dichiarazione dello Stato d'emergenza. Hollande il "socialista" —noi abbiamo precisato "social-fascista"— non solo vuole prolungare lo Stato d'emergenza, ma cambiare la Costituzione affinché all'Esecutivo (quindi alle forze di polizia) siano attribuiti di default potere eccezionali, con tanto di ritiro della cittadinanza ai sospetti eversori dell'ordine costituito. Come dire: «che bisogno c'è di votare la Le Pen? Ci siamo noi "socialisti" a fare oggi quello che lei farebbe domani».
Salutiamo quindi le prime serie proteste francesi contro lo Stato d'emergenza.
«Sabato 30 gennaio migliaia di manifestanti, guidati dai militanti del Nouveau Parti Anticapitaliste (NPA), hanno marciato sotto la pioggia per le strade della capitale francese per dire basta allo stato di emergenza. Sfidando i divieti del presidente Hollande il cammino del corteo, da Place de la République a Palais-Royal, è stato accompagnato dallo slogan “stato d’emergenza, stato di polizia”.
L’invito a protestare contro le misure restrittive e antidemocratiche adottate dal governo è stato lanciato, oltre che dal NPA, da diversi collettivi che raggruppano al loro interno associazioni, organizzazioni di difesa dei diritti umani e sindacati (tra i quali la CGT e l’Unione dei Magistrati). Parallelamente si sono svolte più di 70 manifestazioni ‘sorelle’ in giro per tutta la Francia a sostegno del corteo parigino.
Solo tre giorni prima infatti il Consiglio di Stato aveva respinto l’appello della Ligue des droits de l’Homme (LDH) che chiedeva la revoca immediata dello stato di emergenza, mentre nei prossimi giorni il parlamento esaminerà un nuovo disegno di legge per estenderlo fino a maggio. Secondo gli organizzatori “è necessario e possibile che lo Stato protegga le persone di fronte al terrorismo senza pregiudicarne i diritti e le libertà. Rifiutiamo il controllo generalizzato della società, una società che potenzialmente scivola dalla presunzione di innocenza alla presunzione di colpevolezza”.
La lotta al terrorismo dunque come strumento per autorizzare ogni tipo di deriva autoritaria, creando ulteriori divisioni e paure tra la popolazione. In questa dinamica a farne le spese sono proprio le classi popolari che in questi anni sono state più colpite dalla crisi del sistema capitalista e dalla violenza delle politiche d’austerità imposte dallo stesso governo che in questi mesi prova a ridefinire l’organizzazione della società francese all’interno di un processo reazionario. “Inserire il ritiro della cittadinanza francese per i condannati per reati di terrorismo che siano in possesso di doppia nazionalità sta minando il principio di eguaglianza dei cittadini, sancito dall’articolo 2 della Costituzione, il pilastro della Repubblica”.
Sempre in nome della lotta al terrorismo si vorrebbe rendere permanente lo stato di emergenza così da poter essere in grado di criminalizzare e perseguire ogni movimento politico e sociale che si oppone alle disastrose politiche del governo che, dopo aver vietato il diritto di manifestare, radunarsi e in pratica di esprimersi, si appresta a mettere la mani sul codice del lavoro.
Gli organizzatori sono “molto preoccupati per la repressione e la stigmatizzazione di manifestanti e attivisti dei movimenti sociali, dei migranti, dei musulmani e degli abitanti dei quartieri popolari”, e questa mobilitazione rientra a tutti gli effetti nel quadro di denuncia degli abusi ai quali i cittadini possono essere sottoposti dall’inizio dello stato di emergenza. Nei fatti la maggior parte dei tremila interventi di polizia condotti fino ad ora, tra arresti e investigazioni ‘preventive’, hanno interessato attivisti politici e persone di fede islamica che spesso non apparivano tra i possibili sospettati.
In questo contesto le iniziative per rompere il silenzio diventano sempre più fondamentali per inviare un forte messaggio al presidente Hollande: la parte più consapevole e combattiva della società francese non è disposta a sacrificare la propria libertà in nome della ‘sicurezza’ e i propri diritti in nome del ‘profitto’».
* Fonte: Popoff quotidiano
«Sabato 30 gennaio migliaia di manifestanti, guidati dai militanti del Nouveau Parti Anticapitaliste (NPA), hanno marciato sotto la pioggia per le strade della capitale francese per dire basta allo stato di emergenza. Sfidando i divieti del presidente Hollande il cammino del corteo, da Place de la République a Palais-Royal, è stato accompagnato dallo slogan “stato d’emergenza, stato di polizia”.
L’invito a protestare contro le misure restrittive e antidemocratiche adottate dal governo è stato lanciato, oltre che dal NPA, da diversi collettivi che raggruppano al loro interno associazioni, organizzazioni di difesa dei diritti umani e sindacati (tra i quali la CGT e l’Unione dei Magistrati). Parallelamente si sono svolte più di 70 manifestazioni ‘sorelle’ in giro per tutta la Francia a sostegno del corteo parigino.
Solo tre giorni prima infatti il Consiglio di Stato aveva respinto l’appello della Ligue des droits de l’Homme (LDH) che chiedeva la revoca immediata dello stato di emergenza, mentre nei prossimi giorni il parlamento esaminerà un nuovo disegno di legge per estenderlo fino a maggio. Secondo gli organizzatori “è necessario e possibile che lo Stato protegga le persone di fronte al terrorismo senza pregiudicarne i diritti e le libertà. Rifiutiamo il controllo generalizzato della società, una società che potenzialmente scivola dalla presunzione di innocenza alla presunzione di colpevolezza”.
La lotta al terrorismo dunque come strumento per autorizzare ogni tipo di deriva autoritaria, creando ulteriori divisioni e paure tra la popolazione. In questa dinamica a farne le spese sono proprio le classi popolari che in questi anni sono state più colpite dalla crisi del sistema capitalista e dalla violenza delle politiche d’austerità imposte dallo stesso governo che in questi mesi prova a ridefinire l’organizzazione della società francese all’interno di un processo reazionario. “Inserire il ritiro della cittadinanza francese per i condannati per reati di terrorismo che siano in possesso di doppia nazionalità sta minando il principio di eguaglianza dei cittadini, sancito dall’articolo 2 della Costituzione, il pilastro della Repubblica”.
Sempre in nome della lotta al terrorismo si vorrebbe rendere permanente lo stato di emergenza così da poter essere in grado di criminalizzare e perseguire ogni movimento politico e sociale che si oppone alle disastrose politiche del governo che, dopo aver vietato il diritto di manifestare, radunarsi e in pratica di esprimersi, si appresta a mettere la mani sul codice del lavoro.
Gli organizzatori sono “molto preoccupati per la repressione e la stigmatizzazione di manifestanti e attivisti dei movimenti sociali, dei migranti, dei musulmani e degli abitanti dei quartieri popolari”, e questa mobilitazione rientra a tutti gli effetti nel quadro di denuncia degli abusi ai quali i cittadini possono essere sottoposti dall’inizio dello stato di emergenza. Nei fatti la maggior parte dei tremila interventi di polizia condotti fino ad ora, tra arresti e investigazioni ‘preventive’, hanno interessato attivisti politici e persone di fede islamica che spesso non apparivano tra i possibili sospettati.
In questo contesto le iniziative per rompere il silenzio diventano sempre più fondamentali per inviare un forte messaggio al presidente Hollande: la parte più consapevole e combattiva della società francese non è disposta a sacrificare la propria libertà in nome della ‘sicurezza’ e i propri diritti in nome del ‘profitto’».
* Fonte: Popoff quotidiano
lunedì 14 dicembre 2015
PROTESTA LEOPOLDA: CHI LASCIA SOLI I POVERI CRISTI?
Non erano in molti, ieri, a Firenze, i cittadini truffati dalle banche che si erano spontaneamente dati appuntamento alla Leopolda per far sentire la loro voce.
Ciò non ha tuttavia impedito alle forze di polizia di tenerli a debita distanza; le stucchevoli autocelebrazioni renziane non dovevano essere disturbate.
Lasciati soli, abbandonati.
Neanche i "grillini", si sono fatti vivi. Un segnale che la loro opposizione per bene è una specie di opposizione di Sua maestà. Ci si prepara al dopo-Renzi, e per rimpiazzarlo, meglio tenere il basso profilo. Si va al governo, infatti, solo in due maniere: ottenendo il semaforo verde di chi oggi comanda, anzitutto del mondo dei banchieri, o contro di loro, sull'onda della spinta delle classi popolari, che di quel mondo è la antitesi speculare. Vorremmo sbagliarci, ma questa assenza indica una scelta di campo. Che aprano gli occhi i tanti amici che ripongono ancora tanta cieca fiducia nel Movimento 5 Stelle.
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ieri a Firenze [foto Maurizio Fratta] |
E che dire della sinistra nelle sue variopinte declinazioni?
Assente, anche questa volta. La distanza tra queste sinistre e la realtà, dai corpi sociali maciullati dalla crisi sistemica è diventata siderale. Quello striscione "In terra rossa vi siete scavati la fossa" non è solo un monito, è l'intonazione di un de profundis.
Vi chiederete? E voi dove eravate?
Noi eravamo occupati dai lavori del Seminario programmatico annunciato da tempo —un resoconto per i nostri lettori è in arrivo— volto proprio a dar vita ad un nuovo movimento politico che riesca non solo a "rappresentare" il mondo dei poveri cristi lasciati a se stessi, ma a farne la forza motrice della sollevazione popolare che cova nelle viscere popolari.
Una sollevazione che solo consentirà di ricomporre le disiecta membra del popolo lavoratore e che oggi cammina su gambe ancora deboli, che vive di ancora flebili fiammelle di rivolta che non possiedono già la capacità di incendiare la prateria.
Non sappiamo chi farà da innesco all'esplosione sociale che si annuncia.
Ci sarà bisogno, per unificare i focolai di ribellione sociale, della funzione di indirizzo e di guida minoranze creative, quelle che una volta chiamavamo avanguardie politiche.
Senza una testa politica l'energia che la sollevazione sprigionerà, è destinata a esaurirsi come un fuoco di paglia o, peggio, a diventare il carburante per nuove avventure reazionarie.
Nessun dorma!
martedì 13 maggio 2014
IL 10 MAGGIO CALABRESE di Francesco Salistrari
Un'altra Calabria esiste. Un'altra politica esiste.
La grande manifestazione regionale dei Comitati territoriali a Cosenza.
Lo ha dimostrato la magnifica manifestazione di ieri a Cosenza. Bella, pacifica, colorata, rumorosa e piena zeppa di contenuti. I contenuti di questa terra martoriata, i contenuti e le proposte dei territori, dei comitati che, uniti, hanno detto la loro non solo sui rifiuti, ma sulla possibilità, evidente, che un’altra strada e un’altra politica esistono.
Una manifestazione che va detto non ha trovato alcun appoggio nella politica partitica, se non da parte dei singoli o di rare eccezioni. La mobilitazione, l’organizzazione, la piattaforma rivendicativa, sono tutte da attribuire al lavoro indefesso, alla capacità e alla passione dei comitati territoriali, che senza aiuti, hanno portato in piazza migliaia di manifestanti in uno degli eventi politici più belli degli ultimi anni.

Ieri è cominciato un nuovo percorso per la Calabria. Il corteo dei manifestanti di ieri non si è fermato a Corso Mazzini, a Cosenza, ma idealmente continua e chiede, propone e denuncia. Continua e pretende ascolto. E nessuno, nessun politico, nessuna istituzione, nessuna azienda, nessun partito, da ieri, può far finta che questo cordone di uomini e donne non esistano, al contrario tutti dovranno fare i conti con loro.
Non è stata una manifestazione di protesta, ma di proposta. La proposta di una politica veramente nuova, concreta, sincera, sui rifiuti e non solo, che rilancia e urla forte che la popolazione dal basso e senza eterodirezione chiede dignità politica e sociale, chiede giustizia, chiede sviluppo, chiede serietà, chiede lo spazio che merita e che non ha mai avuto.
Decidiamo noi!
Non è solo lo slogan di una manifestazione, ma la prospettiva per un’intera Regione.
E da ieri, dopo la splendida manifestazione di questo maggio calabrese, questa prospettiva sociale e politica esiste ed è possente.
* Fonte: memorandum di uno smemorato
lunedì 25 novembre 2013
VERSO IL 9 DICEMBRE: CRONACA DELL'ASSEMBLEA DI VERONA di sollevazione
25 novembre. «L'Italia si ferma». Ieri a Verona l'assemblea dei coordinamento nazionale dei gruppi e movimenti che hanno indetto la mobilitazione del 9 dicembre. Un breve resoconto della delegazione del Mpl.
«Si svolta ieri, al palazzetto dello sport di Bovolone (VR), l'attesa assemblea nazionale organizzata dai promotori delle manifestazioni diffuse che avranno inizio alle ore 22 di domenica 8 dicembre. Ad attendere i convenuti, e a dare il senso della mobilitazione in corso (decine e decine di incontri si stanno svolgendo in questi giorni in tutta Italia), diversi trattori e camioncini imbandierati. Appesi un po' ovunque gli striscioni con lo slogan «9 DICEMBRE L'INIZIO DELLA FINE».
Quale sia la fine che viene invocata lo chiariscono senza ogni ombra di dubbio le decine di interventi che si sono succeduti dalle 10 alle 16,30: la fine di un regime che sta distruggendo l'economia del paese, mettendo sul lastrico milioni di famiglie. Tra queste, oltre a quelle di milioni di disoccupati, sottoccupati e precari, anche quelle di tanti lavoratori autonomi colpiti dalla crisi, dagli effetti della globalizzazione capitalistica e dalle politiche europee e governative.
Un settore, quello del lavoro autonomo, che ha iniziato ad organizzarsi e a lottare, come hanno dimostrato già due anni fa i Forconi siciliani [ il Movimento dei Forconi non c'entra nulla con Forza Nuova e si divise subito da Martino Morsello, Ndr]. E' questo il mondo che si è ritrovato nell'assemblea di ieri, un mondo che ha rotto definitivamente con le vecchie organizzazioni di categoria, spesso corrotte e sostanzialmente colluse con il regime.
Le 500 persone convenute a Bovolone - in prevalenza veneti, ma con la presenza di delegazioni di diverse altre regioni - hanno partecipato con calore a un'assemblea che molti dei presenti hanno vissuto come un vero punto di svolta. Avere alla presidenza i veneti della Life insieme ai Forconi siciliani di Mariano Ferro, con accanto i rappresentanti dei camionisti e degli agricoltori, ha dato il senso di quanto sta avvenendo. Un'unità semplicemente inimmaginabile fino a qualche tempo fa.
Senza dubbio, negli anni passati, molti dei presenti avevano dato il loro consenso alla Lega. Senza dubbio in tanti si erano riconosciuti nell'ideologia liberista che faceva del mitico nord-est il modello da imitare. Ma ne è passata di acqua sotto i ponti. Ne è passata veramente tanta... E ieri, un'assemblea fatta in larga parte di mini e micro-imprenditori, ma tutti con le mani callose, si è trovata a discutere di come avviare la rivolta, come bloccare l'Italia, come riprendere la sovranità monetaria, come riappropriarsi della democrazia, come difendere la Costituzione...
Un calore particolare ha accolto le parole di Mariano Ferro, dei Forconi, che ha detto che il 9 dicembre inizia una battaglia, che ci saranno molte battaglie prima di vincere la guerra, ma che occorre partire, dare la scossa ai tanti che ancora sono in attesa. Ferro ha messo anche in guardia dalle provocazioni e dai tentativi di infiltrazione che certo verranno messi in atto. Questi tentativi (pare che ieri un cronista della Rai, presente a Bovolone, abbia mostrato un volantino di "Alba Dorata") verranno immediatamente stroncati.
Le provocazioni, del resto, vanno di pari passo ai tentativi di intimidazione. Già ieri, nel piazzale antistante al palasport, uomini della Digos annotavano diligentemente tutti i numeri di targa delle macchine parcheggiate.
Tra i tanti interventi della giornata, da segnalare anche quello dell'economista Nino Galloni, che dopo aver ricordato la sciagurata scelta degli anni '80 di dare i titoli del debito pubblico in pasto agli appetiti speculativi dei mercati finanziari, ha dato diverse indicazioni su quel che occorrerebbe fare per uscire dalla catastrofe sociale in atto.
Nel nostro intervento, come Movimento Popolare di Liberazione, abbiamo portato il sostegno alla mobilitazione, richiamando la necessità di unire il lavoro salariato con quello autonomo, nella prospettiva di una sollevazione popolare che porti al rovesciamento del regime eurista, alla riconquista della sovranità popolare e democratica. Ma una sottolineatura l'abbiamo voluta fare sul tema dell'immigrazione. In risposta ad alcune affermazioni fatte nel corso dell'assemblea, e mettendo in guardia dai pericoli di divisione messi in atto dal sistema, abbiamo ricordato che gli immigrati sono le prime vittime della globalizzazione, e che il nostro nemico è a nord non a sud.
L'assemblea si è chiusa con il richiamo alla mobilitazione, intanto a quella delle prossime due settimane. Quattordici giorni di preparazione che vedranno tanti incontri, giorni nei quali certamente altre forze si aggiungeranno. Poi, con il dovuto anticipo, verranno date le indicazioni sui luoghi di concentramento nelle varie zone del paese. La scelta è quella di attuare presidi ovunque possibile, puntando sulla durata e sul coinvolgimento dei più ampi strati popolari.
Un'anziana signora ha detto che, essendo impossibilitata a partecipare ai presidi, darà comunque un proprio contributo, visto che: «qualche vaso di geranio potrò pure gettarlo anch'io».
«Si svolta ieri, al palazzetto dello sport di Bovolone (VR), l'attesa assemblea nazionale organizzata dai promotori delle manifestazioni diffuse che avranno inizio alle ore 22 di domenica 8 dicembre. Ad attendere i convenuti, e a dare il senso della mobilitazione in corso (decine e decine di incontri si stanno svolgendo in questi giorni in tutta Italia), diversi trattori e camioncini imbandierati. Appesi un po' ovunque gli striscioni con lo slogan «9 DICEMBRE L'INIZIO DELLA FINE».
Quale sia la fine che viene invocata lo chiariscono senza ogni ombra di dubbio le decine di interventi che si sono succeduti dalle 10 alle 16,30: la fine di un regime che sta distruggendo l'economia del paese, mettendo sul lastrico milioni di famiglie. Tra queste, oltre a quelle di milioni di disoccupati, sottoccupati e precari, anche quelle di tanti lavoratori autonomi colpiti dalla crisi, dagli effetti della globalizzazione capitalistica e dalle politiche europee e governative.
Un settore, quello del lavoro autonomo, che ha iniziato ad organizzarsi e a lottare, come hanno dimostrato già due anni fa i Forconi siciliani [ il Movimento dei Forconi non c'entra nulla con Forza Nuova e si divise subito da Martino Morsello, Ndr]. E' questo il mondo che si è ritrovato nell'assemblea di ieri, un mondo che ha rotto definitivamente con le vecchie organizzazioni di categoria, spesso corrotte e sostanzialmente colluse con il regime.
Le 500 persone convenute a Bovolone - in prevalenza veneti, ma con la presenza di delegazioni di diverse altre regioni - hanno partecipato con calore a un'assemblea che molti dei presenti hanno vissuto come un vero punto di svolta. Avere alla presidenza i veneti della Life insieme ai Forconi siciliani di Mariano Ferro, con accanto i rappresentanti dei camionisti e degli agricoltori, ha dato il senso di quanto sta avvenendo. Un'unità semplicemente inimmaginabile fino a qualche tempo fa.
Senza dubbio, negli anni passati, molti dei presenti avevano dato il loro consenso alla Lega. Senza dubbio in tanti si erano riconosciuti nell'ideologia liberista che faceva del mitico nord-est il modello da imitare. Ma ne è passata di acqua sotto i ponti. Ne è passata veramente tanta... E ieri, un'assemblea fatta in larga parte di mini e micro-imprenditori, ma tutti con le mani callose, si è trovata a discutere di come avviare la rivolta, come bloccare l'Italia, come riprendere la sovranità monetaria, come riappropriarsi della democrazia, come difendere la Costituzione...
Un calore particolare ha accolto le parole di Mariano Ferro, dei Forconi, che ha detto che il 9 dicembre inizia una battaglia, che ci saranno molte battaglie prima di vincere la guerra, ma che occorre partire, dare la scossa ai tanti che ancora sono in attesa. Ferro ha messo anche in guardia dalle provocazioni e dai tentativi di infiltrazione che certo verranno messi in atto. Questi tentativi (pare che ieri un cronista della Rai, presente a Bovolone, abbia mostrato un volantino di "Alba Dorata") verranno immediatamente stroncati.
Le provocazioni, del resto, vanno di pari passo ai tentativi di intimidazione. Già ieri, nel piazzale antistante al palasport, uomini della Digos annotavano diligentemente tutti i numeri di targa delle macchine parcheggiate.
Tra i tanti interventi della giornata, da segnalare anche quello dell'economista Nino Galloni, che dopo aver ricordato la sciagurata scelta degli anni '80 di dare i titoli del debito pubblico in pasto agli appetiti speculativi dei mercati finanziari, ha dato diverse indicazioni su quel che occorrerebbe fare per uscire dalla catastrofe sociale in atto.
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L'appello ufficiale (clicca per ingrandire) |
Nel nostro intervento, come Movimento Popolare di Liberazione, abbiamo portato il sostegno alla mobilitazione, richiamando la necessità di unire il lavoro salariato con quello autonomo, nella prospettiva di una sollevazione popolare che porti al rovesciamento del regime eurista, alla riconquista della sovranità popolare e democratica. Ma una sottolineatura l'abbiamo voluta fare sul tema dell'immigrazione. In risposta ad alcune affermazioni fatte nel corso dell'assemblea, e mettendo in guardia dai pericoli di divisione messi in atto dal sistema, abbiamo ricordato che gli immigrati sono le prime vittime della globalizzazione, e che il nostro nemico è a nord non a sud.
L'assemblea si è chiusa con il richiamo alla mobilitazione, intanto a quella delle prossime due settimane. Quattordici giorni di preparazione che vedranno tanti incontri, giorni nei quali certamente altre forze si aggiungeranno. Poi, con il dovuto anticipo, verranno date le indicazioni sui luoghi di concentramento nelle varie zone del paese. La scelta è quella di attuare presidi ovunque possibile, puntando sulla durata e sul coinvolgimento dei più ampi strati popolari.
Un'anziana signora ha detto che, essendo impossibilitata a partecipare ai presidi, darà comunque un proprio contributo, visto che: «qualche vaso di geranio potrò pure gettarlo anch'io».
domenica 17 novembre 2013
9 DICEMBRE, SEGNALI DI RIVOLTA di Segreteria nazionale del Mpl
17 novembre. La sera dell'8 dicembre, dalla Sicilia al Veneto, avrà inizio una protesta, nella forma di presidi e blocchi stradali. La mobilitazione è stata indetta da una serie di associazioni di piccoli imprenditori, anzitutto dei settori agricolo e dell'autotrasporto. Tra loro il Movimento dei Forconi di Mariano Ferro.
Il tentativo dichiarato è quello di accendere una scintilla sociale per mobilitare i cittadini massacrati dalla crisi e delle politiche d'austerità.
Il pensiero corre subito alla rivolta dei "berretti rossi" che da giorni paralizza la Bretagna in Francia (vedi foto). Anche lì camionisti e agricoltori hanno scatenato la rivolta, a cui poi si sono affiancati altri settori sociali. Come in Bretagna anche la rete di organismi che scenderà per strada a partire dalla sera dell'8 dicembre non si limita a protestare contro le misure austeritarie, chiede di farla finita coi governi asserviti alle tecno-oligarchie europee e rivendica l'uscita dall'euro e la riconquista della sovranità democratica e popolare, tra cui quella sulla moneta.
I promotori della mobilitazione hanno diffuso un proclama, un manifesto (vedi qui accanto), in cui spiegano le ragioni delle protesta. Noi lo condividiamo ampiamente, per questo aderiamo alla loro lotta e faremo il possibile affinché sia un successo. Lasciare soli questi movimenti significherebbe aiutare il governo a sconfiggerli.
Come in Francia i promotori della mobilitazione precisano che non vogliono tra i piedi partiti e che rifiutano ogni strumentalizzazione. In Francia il Fronte Nazionale della Marine Le Pen sta tentando in ogni modo di mettere il cappello sulla protesta brettone. In Italia non c'è un partito come quello della Le Pen, esistono tuttavia piccoli gruppi fascisti, nonché singoli militanti di estrema destra, che stanno tentando di infiltrare il nascente movimento di protesta.
I promotori hanno detto a chiare lettere che respingono questi tentativi, insistendo che l'unco testo che li rappresenta è appunto il loro manifesto. Lo hanno fatto con la Conferenza stampa del 13 novembre scorso (vedi più sotto). Non c'erano nè Tv né giornali. Un segnale che dimostra certo la volontà del regime di silenziare la nascente protesta, ma che attesta anche quella che ci appare la principale debolezza de promotori, una preoccupante disorganizzazione.
Aiuteremo quindi questa mobilitazione, affinché sia un altro tassello verso la sollevazione popolare. Una sollevazione che non ci sembra sia alle porte, poiché l'avremo solo quando scenderanno in strada il grosso dei lavoratori salariati e i milioni di giovani proeltari precari. La pace sociale è nell'interesse dei parassiti sfruttatori al potere. Noi sosterremo ogni tentativo di spezzarla che sia in difesa del popolo lavoratore, dei principi democratici e d'eguaglianza sanciti dalla Costituzione, che rivendichi la riconquista della sovranità.
La Segreteria nazionale del Mpl
16 novembre 2013
Il tentativo dichiarato è quello di accendere una scintilla sociale per mobilitare i cittadini massacrati dalla crisi e delle politiche d'austerità.
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Il pensiero corre subito alla rivolta dei "berretti rossi" che da giorni paralizza la Bretagna in Francia (vedi foto). Anche lì camionisti e agricoltori hanno scatenato la rivolta, a cui poi si sono affiancati altri settori sociali. Come in Bretagna anche la rete di organismi che scenderà per strada a partire dalla sera dell'8 dicembre non si limita a protestare contro le misure austeritarie, chiede di farla finita coi governi asserviti alle tecno-oligarchie europee e rivendica l'uscita dall'euro e la riconquista della sovranità democratica e popolare, tra cui quella sulla moneta.
I promotori della mobilitazione hanno diffuso un proclama, un manifesto (vedi qui accanto), in cui spiegano le ragioni delle protesta. Noi lo condividiamo ampiamente, per questo aderiamo alla loro lotta e faremo il possibile affinché sia un successo. Lasciare soli questi movimenti significherebbe aiutare il governo a sconfiggerli.
Come in Francia i promotori della mobilitazione precisano che non vogliono tra i piedi partiti e che rifiutano ogni strumentalizzazione. In Francia il Fronte Nazionale della Marine Le Pen sta tentando in ogni modo di mettere il cappello sulla protesta brettone. In Italia non c'è un partito come quello della Le Pen, esistono tuttavia piccoli gruppi fascisti, nonché singoli militanti di estrema destra, che stanno tentando di infiltrare il nascente movimento di protesta.
I promotori hanno detto a chiare lettere che respingono questi tentativi, insistendo che l'unco testo che li rappresenta è appunto il loro manifesto. Lo hanno fatto con la Conferenza stampa del 13 novembre scorso (vedi più sotto). Non c'erano nè Tv né giornali. Un segnale che dimostra certo la volontà del regime di silenziare la nascente protesta, ma che attesta anche quella che ci appare la principale debolezza de promotori, una preoccupante disorganizzazione.
Aiuteremo quindi questa mobilitazione, affinché sia un altro tassello verso la sollevazione popolare. Una sollevazione che non ci sembra sia alle porte, poiché l'avremo solo quando scenderanno in strada il grosso dei lavoratori salariati e i milioni di giovani proeltari precari. La pace sociale è nell'interesse dei parassiti sfruttatori al potere. Noi sosterremo ogni tentativo di spezzarla che sia in difesa del popolo lavoratore, dei principi democratici e d'eguaglianza sanciti dalla Costituzione, che rivendichi la riconquista della sovranità.
La Segreteria nazionale del Mpl
16 novembre 2013
giovedì 7 marzo 2013
SICILIA: LA LOTTA CONTINUA di Daniela Di Marco
7 marzo. Sicilia. La situazione sociale è più drammatica di prima. Il movimento dei Forconi, ad un anno dalla grande rivolta del gennaio 2012, ritorna sulle strade. A mezzanotte del 10 marzo prossimo daranno vita a presidi di massa che potrebbero trasformarsi in veri e propri blocchi, come quelli dell'anno passato.
Il movimento dei Forconi:«Abbiamo sbagliato, la lotta è l'unica via»
di Daniela Di Marco
Se credevate che fossero spariti, vi siete sbagliati. Certo, hanno subito una battuta d'arresto dopo il tentativo elettorale in occasione delle regionali dello scorso ottobre —proprio quelle che segnarono la clamorosa vittoria dei Beppe Grillo e di M5S. Segnalo quanto scrivemmo a bilancio subito dopo: Un giudizio sulle elezioni siciliane.
I Forconi, dopo la rivolta del gennaio 2012, sulla scia del Movimento dei pastori sardi (coi quali sono sempre in strettissimo contatto) hanno tentato di trasformarsi in vero e proprio movimento politico, ponendosi come aggregatore di un più vasto fronte sociale —anche qui sull'esempio sardo della Consulta rivoluzionaria. E' in questa prospettiva che i Forconi si lanciarono nella prova elettorale dell'ottobre 2012 (ottennero un modesto 1,55% con punte significative, nelle loro roccaforti del 15-18%). Non solo noi ma pure il Movimento dei pastori sardi di Felice Floris misero in guardia Mariano Ferro dalla scelta di presentare liste.
Lasciatisi alle spalle la prova elettorale , passata la fase della riflessione, archiviati gli incontri con il nuovo presidente piddino della Regione Sicilia, Rosario Crocetta —cui i Forconi hanno avanzato le loro richieste— eccoli di nuovo imboccare la via della lotta e della protesta di massa.
L'essere passati dalla rivolta al "dialogo propositivo" con le istituzioni e le controparti non ha dato alcun frutto degno di questo nome. Adesso i Forconi dicono di aver sbagliato. Nel volantino che stanno diffondendo si legge:
E continua:
A partire da giorno 11, saranno nuovamente in strada, con quelli che chiamano "presidi di sensibilizzazione", che potrebbero trasformarsi in veri e propri blocchi come quelli del gennaio dell'anno passato. Anche in Calabria e Puglia partirà la stessa iniziativa, grazie alla rete di contatti che hanno saputo tessere. Il tentativo è dunque quello di mobilitare tutto il Mezzogiorno.
Legittime le richieste che vengono avanzate: condono della serit (l’equivalente siciliano di equitalia), che con i suoi tassi da usura, sta strozzando migliaia di famiglie, gettandole nel lastrico; accesso al credito dato che sempre più imprese chiudono e nessuna nuova nasce, perché non esiste quasi più la possibilità di ottenere un finanziamento; riduzione del prezzo del carburante; legge anti taroccamento per tutelare le produzioni agricole isolane e l’applicazione degli articoli 36 e 37 dello Statuto siciliano, che permetterebbero alla Regione Sicilia la piena attribuzione di tutte le entrate fiscali delle imprese che operano nell’isola, per poterle impiegare sul territorio.
Per quanto legittime, si tratta delle stesse richieste avanzate al governo Lombardo prima, al governo Crocetta poi, ignorate fino al momento non perché manchi la volontà, o ci sia corruzione o mafia. Il punto è che c’è la crisi. Il punto è che all’ordine del giorno ci sono altre prerogative, le richieste dei Forconi non sono compatibili con il Fiscal Compact, il pareggio di bilancio in costituzione, i diktat europei, l’austerity conseguente.
Ma protestare, manifestare il proprio malessere, urlare le proprie rivendicazioni, stare fra la gente, è sempre legittimo. I Forconi ci sono e si fanno sentire e noi, anche in questa occasione, siamo dalla loro parte.
Il movimento dei Forconi:«Abbiamo sbagliato, la lotta è l'unica via»
di Daniela Di Marco
Se credevate che fossero spariti, vi siete sbagliati. Certo, hanno subito una battuta d'arresto dopo il tentativo elettorale in occasione delle regionali dello scorso ottobre —proprio quelle che segnarono la clamorosa vittoria dei Beppe Grillo e di M5S. Segnalo quanto scrivemmo a bilancio subito dopo: Un giudizio sulle elezioni siciliane.
I Forconi, dopo la rivolta del gennaio 2012, sulla scia del Movimento dei pastori sardi (coi quali sono sempre in strettissimo contatto) hanno tentato di trasformarsi in vero e proprio movimento politico, ponendosi come aggregatore di un più vasto fronte sociale —anche qui sull'esempio sardo della Consulta rivoluzionaria. E' in questa prospettiva che i Forconi si lanciarono nella prova elettorale dell'ottobre 2012 (ottennero un modesto 1,55% con punte significative, nelle loro roccaforti del 15-18%). Non solo noi ma pure il Movimento dei pastori sardi di Felice Floris misero in guardia Mariano Ferro dalla scelta di presentare liste.
Lasciatisi alle spalle la prova elettorale , passata la fase della riflessione, archiviati gli incontri con il nuovo presidente piddino della Regione Sicilia, Rosario Crocetta —cui i Forconi hanno avanzato le loro richieste— eccoli di nuovo imboccare la via della lotta e della protesta di massa.
L'essere passati dalla rivolta al "dialogo propositivo" con le istituzioni e le controparti non ha dato alcun frutto degno di questo nome. Adesso i Forconi dicono di aver sbagliato. Nel volantino che stanno diffondendo si legge:
«Nel gennaio 2012, responsabilmente, ci siamo fermati, per sederci al tavolo e passare dalla protesta alla proposta. Siamo caduti nel tranello, ci siamo illusi e siamo stati persino insultati per questo. Abbiamo sbagliato»
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Il volantino dei Forconi (clicca per ingrandire) |
«L’undici di Marzo, uomini, donne, le madri ed i padri di quei giovani senza futuro, gli studenti, il trasporto, l’artigianato, il commercio, la pesca, l’agricoltura, tutti quelli che hanno perso il lavoro e la fiducia in questo paese ma che pretendono con forza dallo stato una prospettiva di sviluppo, ritornano sulle strade: Non se ne può più».La situazione è veramente drammatica, a causa di una povertà oramai endemica, aggravatasi molto con le misure draconiane del governo Monti. Anche in Sicilia onesti cittadini, spinti dalla disperazione, sono stati costretti al suicidio, l’ultimo un mese fa. I siciliani "Non sanno più a quale santo votarsi!"
A partire da giorno 11, saranno nuovamente in strada, con quelli che chiamano "presidi di sensibilizzazione", che potrebbero trasformarsi in veri e propri blocchi come quelli del gennaio dell'anno passato. Anche in Calabria e Puglia partirà la stessa iniziativa, grazie alla rete di contatti che hanno saputo tessere. Il tentativo è dunque quello di mobilitare tutto il Mezzogiorno.
Legittime le richieste che vengono avanzate: condono della serit (l’equivalente siciliano di equitalia), che con i suoi tassi da usura, sta strozzando migliaia di famiglie, gettandole nel lastrico; accesso al credito dato che sempre più imprese chiudono e nessuna nuova nasce, perché non esiste quasi più la possibilità di ottenere un finanziamento; riduzione del prezzo del carburante; legge anti taroccamento per tutelare le produzioni agricole isolane e l’applicazione degli articoli 36 e 37 dello Statuto siciliano, che permetterebbero alla Regione Sicilia la piena attribuzione di tutte le entrate fiscali delle imprese che operano nell’isola, per poterle impiegare sul territorio.
Per quanto legittime, si tratta delle stesse richieste avanzate al governo Lombardo prima, al governo Crocetta poi, ignorate fino al momento non perché manchi la volontà, o ci sia corruzione o mafia. Il punto è che c’è la crisi. Il punto è che all’ordine del giorno ci sono altre prerogative, le richieste dei Forconi non sono compatibili con il Fiscal Compact, il pareggio di bilancio in costituzione, i diktat europei, l’austerity conseguente.
Ma protestare, manifestare il proprio malessere, urlare le proprie rivendicazioni, stare fra la gente, è sempre legittimo. I Forconi ci sono e si fanno sentire e noi, anche in questa occasione, siamo dalla loro parte.
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