mercoledì 31 ottobre 2018

ALLARMI SON FASSSISTI!!!! di M. Micaela Bartolucci

[ 31 ottobre 2018 ]             

OVVERO CREATURE MITOLOGICHE E DOVE TROVARLE

Uno spettro si aggira per l’Italia è lo spettro del fascismo. Dal 31 maggio le visioni si sono moltiplicate; dovunque, sia sui social media che sui giornali, rimbalzano le notizie di avvistamenti ed i commenti terrorizzati di chi si è trovato di fronte al mostro ideologico, da cinque mesi non si parla d’altro…

Le menti brillanti e lungimiranti del neo-liberalismo, unite in un unico coro con le magnifiche teste “pensanti” di buona parte de Lasinistra terremotata, risucchiata dalla rivolta “populista” del 4 marzo, stanno armando una nuova crociata ideologica: "tutti uniti contro il fascismo che avanza!"

Ormai vedono fascismo ovunque: ogni parola, atto, opera ed omissione del leader del Carroccio e per metonimia, del governo giallo-verde, fa urlare al fascismo.

Beata ignoranza!

E’ si, di questo si tratta: ignoranza crassa, assoluta incapacità di analisi, semplificazione banale e semplicistica banalizzazione, mancanza totale di un metro di giudizio, di capacità di lettura, di comprensione ed interpretazione della realtà ma anche della storia.

Avrei voglia di dare una testata a chiunque usi a sproposito il termine fascista!

Trattasi di poveri ignoranti mentecatti, peggio ancora, il raschiamento del barile della sub retorica più becera, proctoglossi e seguaci del potere neo-liberale che sfrutta la loro magnifica insipienza per usarla propagandisticamente.

Il coro dei compagnucci della parrocchietta è vasto e composito. Da un punto di vista politico va da Pap, alla diaspora del PRC, dal PD, o quel che ne resta, alle dis-organizzazioni dell’estrema sinistra extraparlamentare, centri a/sociali compresi — nun ce famo manca’ gnente!!.

Ma non è tutto, signore e signori, la cassa di risonanza è ancor più prestigiosa! La quasi totalità dei “liberi” giornali, da La Repubblica al Corriere della sera, i grandi pensatori dell’era post-moderna, Cacciari et similia, i personaggi del mondo dello spettacolo, ma anche statisti eminenti quali Moscovici e Juncker, rappresentanti di Nostra Signora dell’Ipocrisia, ovvero il Moloch UE, sono tutti estremamente spaventati da questo governo, piccola bottega degli orrori, che sta preparando l’avvento di una nuova era fascista!

Non mi addentrerò in un’analisi politica e sociale di questo governo, che chiunque non soffra di analfabetismo funzionale di ritorno o di andata, può leggere su questo blog.


Mi soffermo solo su un dato di fatto chiaro come il sole, evidente a chiunque abbia studiato la storia, mastichi un po’ di teoria politica e non si accontenti di seguire i belati mugugnosi e beoti del gregge dei ben pensanti politicamente a-corretti: la Lega non è fascista! Questo governo non è fascista. Monsieur de La Palice sarebbe orgoglioso di questa affermazione che invece per altre, sopra citate, geniali personalità risulta eleusina.
 
Insistere con questa similitudine priva di qualsiasi supporto storico-politico è scempiaggine, cacca/pipi da bimbi della materna, pura sub cultura figlia di questa semplicistica atemperie meta-culturale popolata di nanetti ormai persi nel labirinto di una propaganda di inesistente profilo ideologico.

Semplificando, affinché sia omnicomprensibile: chiunque continui a parlare di fascio-leghismo e penta-svastiche non ha capito un cazzo e spara a raffica con una mitragliatrice caricata a minchiate.

Ci sarebbe un unico antidoto per fermare questo pestilenza: studiare le origini e la storia del fascismo, pensare altrimenti rispetto alla massa amorfa dell’orda neo-iberale, cercare di interpretare ciò che accade, politicamente e socialmente, togliendosi il paraocchi del preconcetto e del pregiudizio cialtronesco pre-confezionato.

Citando Gramsci “Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso con un suo speciale tirocinio” (Quaderni del carcere) eppure è un sacrificio necessario se si vuole parlare di politica e non farlo scioccamente perché “L’illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva. La storia insegna ma non ha scolari” (cit. A. Gramsci “Italia e Spagna”, in L’Ordine Nuovo)

CHE CI DICE L'ELOGIO SALVINIANO DI BOLSONARO di Piemme

[ 31 ottobre 2018 ]

Fabrizio Marchi su l'interferenza dice l'essenziale del neopresidente del Brasile Jair Bolsonaro:
«Bolsonaro è la sintesi del peggio che possa esistere al mondo. Ammiratore di Hitler per sua stessa ammissione, nostalgico delle feroci dittature militari (sponsorizzate e armate dagli USA) che per quasi mezzo secolo hanno letteralmente insanguinato l’intero continente latinoamericano, ultra filosionista (in una delle sue primissime dichiarazioni ha annunciato la decisione di chiudere l’ambasciata palestinese), ultraliberista in politica economica, omofobo, integralista religioso (più per opportunismo che per fede…), seguace fanatico delle sette evangeliche che dagli Stati Uniti stanno da tempo colonizzando l’America Latina, filo americano, antisocialista e anti comunista viscerale, appoggiato da Trump, Bannon, e naturalmente da Netanyahu e da tutta la destra e l’estrema destra sud e nord americana, israeliana ed europea, Bolsonaro è il simbolo della “riscossa” reazionaria in America Latina».
Non dice, Marchi, le immense responsabilità che un quindicennio di governi del PT lulista hanno avuto nel causare la vittoria di questo energumeno — politiche liberiste che hanno accresciuto a dismisura le già enormi diseguaglianze sociali, una gestione nepotistica e corruttiva del potere.


Ma non è questo adesso il punto; condividiamo del pezzo del Marchi il ribrezzo per lo sconcio e sguaiato appoggio che Salvini ha promesso a  Bolsonaro.

Con l'esaltazione di Bolsonaro Matteo Salvini ha compiuto un'altro passo o strappo per attestare la sua Lega nel campo della destra reazionaria —alla faccia di certi amici che ce la menano col discorso che sarebbe finita la "dicotomia sinistra-destra": la verità è che più la sinistra si imputridisce e s'inabissa nel campo liberale, più le destre avanzano, per di più secernendo le pulsioni più antidemocratiche.

Poi però il Marchi giunge a questa conclusione:
«Sbandiera la sua amicizia [di Salvini, ndr] con Putin ma di fatto è parte organica dell’“Internazionale nera e liberista” guidata appunto da Trump, Bannon e Netanyahu».
Ecco come, nella comprensibile foga polemica, si passa dalla ragione al torto. Tre errori, a me sembra, in due righe.
(1) E' sbagliato dedurre da un tweet che Salvini stia portando la Lega nella “Internazionale nera e liberista guidata da Trump, Bannon e Netanyahu". Lo so che sembra banale rispondere che "le cose sono molto più complesse" ma... le cose sono effettivamente più complesse. E' quantomeno prematuro sostenere che Salvini sia un finto filo-russo e un vero filo-americano. Chi vivrà vedrà.
(2) Tanto più perché non esiste una "internazionale", ovvero un blocco omogeneo e strategico tra Trump, Bannon e Netanyahu. Bannon non è fantoccio di Trump e Netanyahu gioca in Medio oriente la sua partita geopolitica, essa collima per molti aspetti con le mosse di Trump, ma è una convergenza di fase, non un matrimonio strategico. 
(3) E ove ci sia questo blocco perché aggettivarlo come "internazionale nera"? Il solito errore di certa sinistra quello di semplificare e ridurre a caricature e mere duplicazioni processi storici complessi, spazzando quindi via le loro peculiarità (di notte tutte le vacche sono... nere e ... fasciste, liberiste, non fa differenza). 

Occorre combattere la reazione che monta prepotente nel mondo ma per farlo occorre ben inquadrare e mettere a fuoco questo nemico per scoprirne i punti deboli, per anticipare le sue mosse, per colpirlo nel modo giusto.

Non mi risulta che coloro che affermano che questi populismi di destra avanzanti siano fascisti punto, si stiano preparando a passare alla clandestinità o all'esilio (dove? in Russia?), la qual cosa sarebbe, visto lo stato in cui versa la sinistra rivoluzionaria, la sola cosa sensata. 

Ps
Occorre poi stare molto attenti a tutto questo "gridare al lupo! al lupo!". Sempre più diventa un pretesto per una posizione indifferentista davanti alla insubordinazione del governo giallo-verde verso l'oligarchia eurocratica ed i suoi diktat. Come dire: "che ce ne può fregare della sovranità nazionale e di rompere la gabbia europea se poi avremo il fascismo in Italia?". Un indifferentismo che a ben vedere implica considerare la gabbia eurista il "male minore". Mi sbaglio?

martedì 30 ottobre 2018

NO AL "DECRETO SICUREZZA" Comitato centrale di P101

[ 30 ottobre 2018 ]



Il 4 ottobre, emanato dalla Presidenza della Repubblica, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il Decreto Legge, n.113, meglio noto come “Decreto Salvini”, recante “Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”.

*  *  *
NO AL DECRETO SICUREZZA

Comunicato n. 13 del Comitato centrale di Programma 101




La logica di fondo sottesa al Decreto (senza considerare la forma scelta della “decretazione d’urgenza”, ovvero l’atto di forza dell’Esecutivo verso il Parlamento) non è solo quella dell’inasprimento dei dispositivi giuridici e delle pene, anzitutto per i reati sociali, ma quella di consegnare allo Stato ulteriori poteri repressivi, rafforzando così il suo carattere di “Stato di Polizia”. Esasperando il criterio della “minaccia terroristica internazionale alla sicurezza nazionale”, ampliando le cosiddette “condotte atte a sovvertire l’ordinamento dello Stato” o che procurano “rilevante allarme sociale”, viene sferrato un nuovo colpo ai movimenti sociali di protesta e lotta, come ai diritti di libertà del cittadino e della persona, quindi allo Stato di diritto.


Più precisamente:

(1)            Permettendo alle polizie municipali l’accesso al CED (Centro Elaborazione
 Dati del Dipartimento di pubblica sicurezza) e consentendo loro l’utilizzo di armi ad impulso elettrico, le si trasforma de facto se non de jure, in corpi di polizia aggiuntivi —si tenga conto che l’Italia, coi suoi 467 agenti ogni 10mila abitanti è già adesso il terzo Stato al mondo più militarizzato.

(2)            Sempre a motivo della “prevenzione nella lotta al terrorismo” si prevede l’estensione del cosiddetto “DASPO urbano”, che altro non è se non una forma sui generis di esilio interno, una facoltà che per di più spetta alla questure e non per decisione della magistratura.

(3)            A motivo del contrasto della criminalità organizzata vengono attribuiti ai prefetti, oltre alle enormi prerogative che già detengono, ulteriori strumenti di controllo e vigilanza sulle amministrazioni comunali e provinciali.

(4)             L’Art. 25 del Decreto, recante “Disposizioni in materia di blocco stradale” inasprisce le sanzioni penali per chi “ostruisce o ingombra la libera circolazione su strada ordinaria e ferrata”. Si tratta di un inaccettabile attacco ad una delle ordinarie forme di protesta sociale utilizzate dalle classi subalterne.

(5)            L’Art. 32. modifica l’articolo 633 del Codice penale rendendo aggravato il “reato di invasione di terreni e fabbricati”, così da giustificare fino a 4 anni di reclusione la pena per “promotori ed organizzatori”. Grazie all’aggravante si vorrebbe quindi modificare l’Art. 266 C.p. potenziando “le opzioni giudiziarie —intercettazioni ecc. — nei confronti delle menti delle occupazioni abusive. Bersaglio sono i promotori ed i partecipanti alle occupazioni degli alloggi sfitti, delle scuole, delle fabbriche, i movimenti ambientalisti, accomunati qui alla criminalità organizzata. Anche si tratta di una aggressione a manifestazioni usuali di lotta e autodifesa utilizzate dai movimenti sociali.

(6)            Il Decreto introduce quindi “disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione”.

Rende anzitutto più difficoltosi e stringenti i procedimenti ed i criteri per la concessione della cittadinanza  (oggi normati dalla già severa legge  n.91 del 1992), precludendone l’acquisizione a decine di migliaia di stranieri residenti nella repubblica italiana che ne avrebbero invece pieno diritto — nel primo semestre del 2018 il numero dei dinieghi ha già raggiunto il 60% del totale. La ratio iuris sottesa alla revoca introduce un principio gravissimo, quello per cui “Appare ragionevole che le medesime valutazioni che portano al diniego della concessione della cittadinanza siano poste a fondamento della previsione della revoca” medesima. Il che equivale a sancire l’esistenza di cittadini di seria A e B.

(7)            S’introduce l’istituto della revoca della cittadinanza italiana già concessa “a cittadini stranieri pericolosi e che rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale” allargando indebitamente la fattispecie di illeciti penali sufficienti a revocarla.

(8)            Il Decreto interviene quindi nel controverso campo dello Status di Rifugiato e del Diritto d’asilo. Va segnalato che siccome il dettato costituzionale sul diritto d’asilo non è mai stato normato da una legge organica che ne stabilisca le condizioni, proprio questo vuoto legislativo il Decreto presume di riempire. Fermi restando il reato d’immigrazione illegale e l’obbligo di protezione internazionale, viene abrogato “il permesso di soggiorno per motivi umanitari”, criterio generico e indeterminato che ha consentito il rilascio del permesso a migranti che non ne avevano effettivo diritto [1]. S’introduce perciò una tipizzazione dei casi in cui la Repubblica è tenuta alla tutela. Nei casi in cui i richiedenti non soddisfino gli specifici requisiti richiesti, viene loro negato protezione internazionale e permesso di soggiorno. Viene infine ampliato indebitamente il ventaglio dei reati che sono ostativi alla concessione della protezione ne comportano la revoca. E’ poi  inammissibile che in caso di sola condanna penale in primo grado, si possa non solo sospendere il procedimento per la concessione della protezione, ma addirittura procedere all’espulsione della persona straniera già in possesso del permesso di soggiorno. Qui c’è una violazione palese della presunzione di non colpevolezza, quindi dell’Art. 27 della Costituzione che afferma che “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Allo scopo di assicurare il rimpatrio degli stranieri che non possiedono titolo per soggiornare viene addirittura prolungata da 90 a 180 giorni la durata massima del trattenimento nei Centri di permanenza per il rimpatrio.

Vista la ratio sicuritaria del Decreto, viste le disposizione normative che da essa discendono, esso va respinto. Ci auguriamo che il Parlamento lo bocci o, in subordine, lo modifichi radicalmente, cancellando i capitoli e gli articoli che inaspriscono i dispostivi repressivi lesivi del legittimo antagonismo sociale, dei diritti civili e democratici dei cittadini e della persona, quindi dello stesso Stato di diritto. La battaglia non dev’esere limitata al Parlamento. P101 s’impegnerà, senza per questo confondersi con il “partito dello spread” ed i suoi addentellati, in un’attività di sensibilizzazione e mobilitazione unitaria della cittadinanza.


Comitato Centrale di Programma 101

29 ottobre 2018

NOTA
 
[1] Il diritto di asilo è tra i "diritti fondamentali dell’uomo" riconosciuti dalla nostra Costituzione. L’articolo 10, terzo comma, della Costituzione prevede, infatti, che lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.
L’istituto del diritto di asilo non coincide con quello del riconoscimento dello status di rifugiato, per il quale non è sufficiente che nel Paese di origine siano generalmente conculcate le libertà fondamentali, ma il singolo richiedente deve aver subito, o avere il fondato timore di poter subire, specifici atti di persecuzione.
Il dettato costituzionale sul diritto di asilo non è stato attuato, mancando ancora una legge organica che ne stabilisca le condizioni di esercizio, anche se la giurisprudenza ha stabilito la possibilità di riconoscere il diritto di asilo allo straniero anche in assenza di una disciplina apposita[1] <http://www.camera.it/cartellecomuni/leg14/RapportoAttivitaCommissioni/testi/01/01_cap09_sch06.htm#_ftn1> .
Il riconoscimento del rifugiato è, invece, entrato nel nostro ordinamento con l’adesione alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951[2] <http://www.camera.it/cartellecomuni/leg14/RapportoAttivitaCommissioni/testi/01/01_cap09_sch06.htm#_ftn2> , che definisce lo status di rifugiato, e alla Convenzione di Dublino del 15 giugno 1990, sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri della Comunità europea[3] <http://www.camera.it/cartellecomuni/leg14/RapportoAttivitaCommissioni/testi/01/01_cap09_sch06.htm#_ftn3> .
Sul piano del diritto interno rileva il decreto-legge n. 416 del 1989[4] <http://www.camera.it/cartellecomuni/leg14/RapportoAttivitaCommissioni/testi/01/01_cap09_sch06.htm#_ftn4>  (la cosiddetta “legge Martelli”) che disciplina le modalità per il riconoscimento dello status di rifugiato (ma non anche del diritto di asilo).
La L. 189/2002[5] <http://www.camera.it/cartellecomuni/leg14/RapportoAttivitaCommissioni/testi/01/01_cap09_sch06.htm#_ftn5>  – oltre a intervenire sulla disciplina generale dell’immigrazione, attraverso una revisione del testo unico del 1998[6] <http://www.camera.it/cartellecomuni/leg14/RapportoAttivitaCommissioni/testi/01/01_cap09_sch06.htm#_ftn6>  – ha integrato le disposizioni sul diritto di asilo contenute nella legge Martelli.
 

  

LA FEBBRE DEL DEBITO AI MASSIMI STORICI di Marcello Minenna

[ 30 ottobre 2018]


Il debito globale ha raggiunto un nuovo picco, salendo a 260 trilioni di $ (260.000 miliardi) nel secondo trimestre del 2018. Il rapporto globale tra debito e prodotto interno lordo (PIL) ha superato il 320%. Del totale, il 61% (160 trilioni) è debito privato del settore non finanziario mentre solo il 23% è rappresentato dal tanto vituperato debito pubblico.
Gli USA hanno emesso oltre il 30% del debito pubblico in circolazione, con una decisa accelerazione negli ultimi 2 anni di gestione Trump seguiti da Giappone e Cina e, a distanza, dai Paesi dell'Eurozona. Il valore riportato dalle agenzie pubbliche cinesi va preso con le molle per via dei ripetuti casi di falsificazione delle statistiche, anche da parte di funzionari governativi. È verosimile dunque che non solo il debito pubblico del Dragone ma anche quello delle sue corporations, già il più alto al mondo, sia parecchio superiore alle stime ufficiali.
Ovviamente vale la regola generale per cui il debito, sia pubblico che privato, tende a crescere nel tempo insieme alle dimensioni dell'economia, a meno di improvvisi default. Dunque l'elevata dimensione del debito complessivo non può fornire informazioni sulla sua sostenibilità. Né è possibile inferire che un debito complessivo basso sia segno di stabilità finanziaria; anzi è più verosimile che implichi una completa mancanza di fiducia da parte dei mercati tale da escludere qualsiasi prestito, come è stato nel caso dell'Argentina nei 5 anni successivi al default del 2002. 
Pertanto è opportuno valutare le dimensioni relative del debito rispetto al PIL.
DEBITO GLOBALE 
Percentuale rispetto al Pil 2017 (Fonte: Bank for international settlements)
La situazione in questo caso si ribalta: il Lussemburgo finisce al primo posto con un debito totale pari al 434% del PIL, quasi tutto composto da debito corporate. A distanza appare il debito del Giappone con il 373% ed un peso preponderante della componente pubblica (216%). L'alta incidenza sia del debito pubblico che di quello privato pone Francia, Spagna e Regno Unito ai primi posti della classifica mentre l'Italia appare solo al 9° posto, con un rapporto debito totale/PIL ben bilanciato al 265% per via del basso debito delle famiglie e delle imprese che compensa l'alto debito pubblico.
Ma anche un rapporto debito/PIL basso non è sintomo di virtù o salute economica. Al fondo della classifica spiccano i casi paradossali di Argentina e Turchia. Nonostante entrambi i Paesi abbiano debiti sotto controllo (inesistente il debito privato argentino e quello pubblico turco, al 2,5% del PIL) stanno rischiando comunque di perdere l'accesso ai mercati per via di una crisi valutaria e di bilancia dei pagamenti. In un paradosso apparente, i tassi di interesse a breve termine sono al 70% nell'Argentina a basso debito e stabilmente negativi nel Giappone del debito monstre.
Fare riferimento al solo dato del debito pubblico, magari rispetto a soglie arbitrarie, per emettere sentenze sullo stato di un‘economia è sempre una cattiva pratica che porta a conclusioni erronee. I criteri che il mercato utilizza per valutare la solvibilità del debito sono multipli: la percentuale di debito detenuto da investitori esteri/nazionali, il fatto che il debito sia emesso sotto la legge nazionale/estera, la crescita dell'economia, la ricchezza finanziaria dei cittadini, l'efficienza della raccolta fiscale, la sovranità monetaria etc. Nel caso del Giappone ad esempio, il 90% del debito è nelle mani della banca centrale, dei fondi pensione e banche domestiche ed è controbilanciato quasi perfettamente da un'elevata ricchezza finanziaria delle istituzioni pubbliche. È quasi impossibile immaginare una crisi di fiducia sulla solvibilità del governo.
Allo stesso modo, il fatto che i Paesi dell'Eurozona non possano gestire la leva monetaria in maniera autonoma rende de facto tutto il debito pubblico come se fosse assoggettato a legge estera, e cioè enormemente più complesso da gestire. Inoltre questo debito è in media per oltre il 70% detenuto da investitori esteri, più reattivi nel negoziare sui mercati secondari e nell'alimentare fenomeni di vendita generalizzata.
Peraltro le statistiche ufficiali non considerano il tema scottante del c.d. “debito implicito”, rappresentato dal valore attuale degli impegni finanziari presi dai governi in tema di pensioni e salute. In generale questi debiti futuri non appaiono nella contabilità nazionale per fondati motivi legati alla difficoltà di stima di costi che sono spalmati su orizzonti temporali lunghissimi; se si dovesse tenere conto di questi oneri occulti il debito USA ad esempio quintuplicherebbe ad oltre 100.000 miliardi. Sorte peggiore toccherebbe a Spagna, Lussemburgo ed Irlanda che vedrebbero salire il proprio debito di oltre 10 volte, fino ad oltre il 1.000% del PIL nel caso irlandese. L'Italia invece dal punto di vista del debito implicito - a legislazione vigente - risulta il Paese europeo più virtuoso.
A livello globale è più che altro il debito corporate a preoccupare gli operatori sui mercati. Un settore privato molto indebitato è vulnerabile a tassi di interesse più elevati, dopo anni di tassi artificialmente bassi che hanno favorito l'espansione dei prestiti e la riduzione del capitale di rischio delle imprese tramite il riacquisto di azioni proprie. L'instabilità intrinseca del funding attraverso il debito rispetto alla raccolta di capitale azionario suggerisce che il prossimo rallentamento della crescita potrebbe ribaltarsi in modo insolitamente forte sulla spesa per investimenti delle imprese. In Italia è già successo durante la recessione del 2008-2009: ogni punto percentuale di discesa nella crescita del credito ha provocato una contrazione degli investimenti di 4 punti nelle imprese più dipendenti dal credito bancario e di 2 punti in quelle finanziariamente più indipendenti. Un disastro da non ripetere.
Fonte: IL SOLE 24 ORE del 29 ottobre 2018

lunedì 29 ottobre 2018

ROTTA DI COLLISIONE intervista a Leonardo Mazzei

[ 29 ottobre 2018 ]

Il rifiuto italiano di piegarsi ai diktat della Commissione europea e lo scontro che ne deriva è una delle questioni più dibattute in Germania. Il sito tedesco  Makroskop ha rivolto a Leonardo Mazzei [nella foto] alcune domande.
Qui sotto l'intervista.





*  *  *


D. La commissione europea ha rifiutato il budget italiano definendolo una 
“deviazione senza precedenti” dai patti. Perché questa durezza?


R. La "deviazione senza precedenti" è un'esagerazione evidente. Negli ultimi quarant'anni solo 4 volte il rapporto deficit/pil è stato più basso del 2,4% previsto dal governo per il 2019. Anche nei due anni della massima austerità (governo Monti) questo rapporto fu al 3%. La posizione della Commissione europea, che oggi è arrivata a bocciare il Documento programmatico di bilancio italiano, si spiega solo politicamente. Si vuole colpire in maniera dura un governo che, pur senza attuare una netta svolta verso politiche espansive (come sarebbe stato invece necessario), ha deciso però un'inversione di tendenza rispetto alle politiche austeritarie.


D. La risposta italiana sembra ferma. È inevitabile una escalation?


R. La maggioranza di governo non può permettersi una retromarcia. Sarebbe un disastro politico. Essa sta cercando di realizzare dei risultati concreti - pensioni, reddito delle fasce più povere, fisco - senza arrivare allo scontro frontale con l'UE. Ma questa ricerca di un compromesso non è stata accolta a Bruxelles, anzi. L'escalation sembra dunque l'ipotesi più probabile.


D. Rimane comunque uno spazio per un compromesso? Conte ha detto che forse posticiperanno alcune spese. Un cambio di alcuni decimali non sembra decisivo.


R. In teoria un compromesso è sempre possibile. Praticamente, però, lo ritengo piuttosto difficile. Aggiustare i conti in progress è del tutto irrealistico. Se la Legge di bilancio dovesse passare così come sembra che verrà proposta (il testo non è stato ancora trasmesso al parlamento), non vedo come si potrebbero modificare le norme su pensioni e Reddito di cittadinanza dopo la loro approvazione. Certo, si potrebbe sempre agire sul fisco, ad esempio aumentando l'IVA, ma per i Cinque Stelle, ed ancora di più per la Lega, questo è un autentico tabù.
La disoccupazione nella Ue: dal blu (bassa) al rosso (altissima)

D. Non potrebbe darsi che la posizione italiana sia un bluff tipo Tsipras per arrivare ad un compromesso?

R. Ci sono sicuramente forze nel governo che lavorano in questo senso. Non solo la componente che fa riferimento a Mattarella, ma pure settori dei due partiti di maggioranza. Si tratta però di correnti ad oggi minoritarie. La vera posta in gioco non sono ovviamente i decimali del deficit, ma chi comanda in Italia: il governo che ha la maggioranza dei voti e dei seggi parlamentari, o la Commissione europea attraverso i suoi diktat? Il tema vero è quello della sovranità. E' per questo che reputo difficile una fine "a la Tsipras". In questo contesto un eventuale compromesso avrebbe comunque una natura assai temporanea.

D. C’è qualche segnale che il governo minacci l’annullamento del fiscal compact?

R. Segnali formali no. Ma è chiaro che in gioco è proprio questo. Del resto tutti sanno che il fiscal compact, così com'è, è semplicemente inapplicabile.


D. Tanti dicono che il gabinetto Conte non sia preparato per un conflitto 
duro. Che ne pensa?


R. Beh, certo non è questo un governo bolscevico! Tante sono le debolezze, oggettive e soggettive. Quelle soggettive derivano dalla natura stessa delle forze populiste, dalle loro contraddizioni interne, per M5S da una discreta inesperienza. Quelle oggettive dipendono dal fatto che le forze sistemiche asservite all'UE controllano ancora decisivi baluardi del potere: la Presidenza della repubblica, la Banca d'Italia, il ministero dell'Economia, la quasi totalità dell'apparato tecnocratico (ministeri e non solo), la grande stampa al gran completo. Un problema dell'attuale compagine governativa è che vi sono al suo interno troppe illusioni, sia sulla possibile crescita economica, che sull'esito delle prossime elezioni europee. Illusioni che portano ad una certa sottovalutazione degli effetti concreti della guerra dichiarata da Bruxelles. Reggere lo scontro in questo quadro sembra impossibile. Ma c'è un'arma che finora non è stata utilizzata, quella della mobilitazione popolare. Se lo scontro andrà avanti esso non potrà essere giocato solo nei palazzi del potere. Se così fosse la sconfitta sarebbe certa.

D. L’arma finale della UE è la BCE e il suo controllo della liquidità. Il 

governo saprà rispondere?


R. Non siamo al governo e non possiamo avere certezze su questo. E' chiaro che se dovessimo arrivare a quel punto, la prima risposta sarebbe quella - per sua natura temporanea, ma indispensabile - dell'emissione di una moneta parallela a circolazione interna. Proposte in questo senso ne circolano diverse, tra queste quella dei Mini-Bot cara agli economisti della Lega. Dopo averne parlato in abbondanza al momento della formazione del governo, sul punto c'è adesso un silenzio irreale: il terrore dello spread tiene ormai le bocche cucite. Ma tutti sanno come stanno le cose, e nel governo non mancano di certo le competenze su questo. Si tratta solo di vedere se vi sarà il coraggio politico di avviare quella che sarebbe l'ultima fase della vita dell'euro, almeno in Italia.

D. Come funziona l'indipendenza della Banca Italia dal governo? Chi nomina i suoi membri?

R. Come noto, il principio dell'"indipendenza" delle banche centrali è un cardine dell'ideologia e della politica neoliberista. In Italia questo principio si è affermato nel 1981, quando si è realizzato il cosiddetto "divorzio" tra Banca d'Italia e Tesoro. E' stato quello l'inizio del boom del debito pubblico, messo in quel modo nelle mani dei mercati finanziari globali. Oggi lo statuto della Bce dice chiaramente che le banche centrali nazionali dell'Eurozona "non possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai governi degli stati membri né da qualsiasi altro organismo". Il Consiglio superiore della Banca d'Italia (13 membri) viene eletto dai possessori delle quote di partecipazione detenute da banche ed assicurazioni aventi sede nel Paese. Questo Consiglio esprime un parere sulla nomina del governatore, che viene poi nominato dal Presidente della repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri.

D. Il terrore dello spread potrebbe rovesciare il sostegno politico popolare 

del governo?


R. L'arma dello spread è potente. Lo è soprattutto per l'uso che ne fanno i media. Sottovalutarla sarebbe un grave errore. In definitiva è questo l'unico strumento in mano alle èlite capace di incrinare il sostegno popolare al governo. Tuttavia, quando si annuncia quotidianamente il disastro, e questo non arriva, la verità sull'uso politico dello spread - come fu largamente nel 2011 - comincia a farsi strada. Ma non c'è da illudersi. Se a Bruxelles e Francoforte si deciderà di spingere sullo spread, solo decisioni rapide e decise potranno mantenere compatto il blocco sociale che sostiene il governo.




D. Quale forma tecnico-legale potrebbe assumere una uscita dall'Euro? Quali passi formali saranno necessari? Mattarella può bloccarla?


R. Sugli aspetti tecnico-legali il discorso sarebbe davvero lungo. Ma è chiaro che se la Bce toglie liquidità, se le banche entrano in crisi a causa del deprezzamento dei titoli di stato e delle norme dell'Unione bancaria, si entra in uno stato d'emergenza. Teoricamente l'uscita dall'euro potrebbe essere concordata con l'insieme dell'Eurozona, praticamente è ben difficile che ciò avvenga. Nell'emergenza nessuno potrà impedire all'Italia di adottare le misure necessarie per mettere in sicurezza la propria economia, tra queste la moneta parallela e la nazionalizzazione del sistema bancario. Tutte cose inaccettabili per l'UE. A quel punto non resterebbe che formalizzare l'uscita dall'euro. In quanto a Mattarella, è vero che potrebbe decidere di non firmare questi atti, ma questo aprirebbe un conflitto di potere con il parlamento pressoché irrisolvibile. Al momento decisivo - come si è visto nella crisi di fine maggio sulla formazione del governo - qualcuno dovrà mollare, stavolta però senza la possibilità di alcun compromesso.

D. Come funziona in Italia l’asta dei titoli di stato?

R. Per le aste esistono diverse modalità. Ma per le scadenze superiori all'anno (essenzialmente Btp) vige il sistema dell'"asta marginale". E' un sistema che favorisce gli acquirenti, dove il prezzo (e dunque il tasso di interesse) viene fissato di fatto dall'ultimo acquirente, quello che fa l'offerta più svantaggiosa per lo Stato. E' un sistema assurdo, che consente alle banche di accordarsi tra loro, diverso da quello in vigore in altri paesi europei (tra cui la Germania), ma che ci viene imposto dalle norme (europee e nazionali) che impediscono alla Banca d'Italia di monetizzare il debito, fungendo così da "acquirente di ultima istanza".

D. Uscire dall'Euro e rimanere nella UE sarebbe possibile?

R. Giuridicamente sì, politicamente non se vedrebbe il senso. Tanto più dopo una rottura che incrinerebbe praticamente tutte le certezze sul futuro dell'Unione. Questo non esclude affatto che nuove forme di collaborazione tra gli Stati europei possano e debbano essere trovate in futuro. Ma ogni cosa ha il suo tempo.


D. Ha sempre parlato di un governo tripartito. Quale forma politica potrebbe prendere una uscita considerando che il terzo partito sta anche nei partiti della coalizione?


R. Qui entriamo ovviamente nel regno dell'ignoto. In generale non è questo il governo più adatto a gestire la rottura. E certo non si vede come la sua componente "mattarelliana" e filo-euro possa rimanere al suo posto giunti al momento decisivo. E' tuttavia ben noto - per restare all'attualità si pensi alla Brexit - come i processi storici possano spesso svolgersi in maniera contraddittoria, talvolta perfino a dispetto delle capacità e delle volontà degli attori che ne sono protagonisti. Noi crediamo alla necessità di un nuovo Cln (Comitato di liberazione nazionale), come quello che guidò politicamente la resistenza al nazifascismo. Un'alleanza, sia pure temporanea, che unisca tutte le forze democratiche convinte della necessità di una nuova resistenza (stavolta all'UE), che porti alla liberazione del nostro Paese dalla dittatura dell'euro e del suo sistema.


D. E la Sinistra Patriottica? Ha un ruolo in questo processo?


R. Purtroppo noi agiamo in un quadro dove il grosso delle forze di sinistra ha rinunciato al tema della sovranità nazionale. Il campo è stato così lasciato ad un populismo di destra (la Lega) e ad uno fondamentalmente di sinistra (M5S), ma spesso confuso nei suoi obiettivi. Fortunatamente, nell'ultimo periodo, il tema del patriottismo democratico, contrapposto al nazionalismo sciovinista, comincia a farsi strada in alcuni ambienti di sinistra. Ma è ancora poco ed i tempi sono stretti. Il rafforzamento della Sinistra Patriottica, il suo deciso posizionamento nel campo populista, è tuttavia l'unica strada per far sì che il processo di rottura con l'UE abbia un segno democratico, popolare e fortemente orientato alla difesa degli interessi delle classi popolari. L'alleanza populista al governo non è d'acciaio, è permeabile alle spinte dal basso; il blocco sociale che la sostiene è il nostro: semplificando, quello di chi ha pagato maggiormente la crisi. E' possibile dunque intervenirvi ed avere un ruolo non marginale. Le difficoltà sono tante, ma non c'è altra strada per una sinistra consapevole della posta in gioco.

NO TAP, SENZA SE E SENZA MA!

[ 29 ottobre 2018 ]

Il movimento No Tap continua a protestare in Salento contro la costruzione del gasdotto trans-adriatico e chiede le dimissioni dei politici del M5s. "Questa terra non è in vendita", si legge su manifesti e striscioni portati dagli attivisti sul lungomare di San Foca di Melendugno (Lecce) per manifestare contro la decisione del governo. Alcuni dei presenti hanno bruciato le proprie tessere elettorali e le foto dei parlamentari del M5s eletti in Salento, tra cui quella della Lezzi, diventata ministro per il Sud anche grazie ai voti dei cittadini pugliesi.

Protesta legittima contro questa "grande opera" inutile e costosa, promossa da multinazionali in affari con un regime corrotto, che rischia di creare danni al turismo rovinando le campagne e le coste salentine (per non parlare dei danni enormi del connesso tracciato del gasdotto SNAM appenninico già in costruzione) e che perpetuerà la nostra dipendenza dai combustibili fossili.

Protesta legittima, quindi, non solo motivata dall'opposizione di "trinariciuti  ecologisti". Savini l'ha messa così:
«Se l'energia costa meno per famiglie e imprese è solo una buona notizia. Quindi quello che serve a fare pagare meno gli italiani va avanti. La TAP si farà».

Il problema è che questa seconda giustificazione, quella che tira in ballo "l'interesse nazionale" non sta in piedi. In poche parole è falsa. Per almeno quattro ragioni più una. Vediamole.

1. Contrariamente a quanto certa stampa russofoba scrive, l’Italia vanta già un’offerta abbondante e ben diversificata – il nostro paese, infatti, importa GNL e gas dalla Russia, dal Nordafrica e dal Mare del Nord.

2. Inoltre, in una prospettiva europea, "10 mld mc sono un volume marginale che non scalfirà la quota di mercato di Gazprom. Nonostante la crisi ucraina, la Russia ha infatti incrementato le proprie esportazioni di gas verso l’UE negli ultimi due anni (raggiungendo i 179 mld mc nel 2016, oltre il 30% dei consumi).

3. I sostenitori del TAP dicono che grazie ad esso gli italiani pagheranno di meno il gas. In verità l’impatto di TAP sui prezzi del gas sarà alquanto limitato. Salvo evoluzioni inattese, il livello dei prezzi hub in Europa continuerà infatti ad essere determinato dalla competizione tra volumi flessibili di gas russo disponibili in contratti di lungo termine (che sono stimati tra i 30 e i 50 mld m3) e import di GNL. In altre parole, per dare un’idea dei volumi in gioco, oscillazioni di import dalla Russia determinate da variazioni della domanda e dei prezzi possono essere tre, quattro, cinque volte maggiori rispetto all’intero import azero, che rimarrà dunque price taker. [1]

4. "Inoltre, il costo stimato per portare gas azero in Europa attraverso il SGC è di 7-8 doll./MBtu, ossia il doppio del costo marginale sostenuto dalla Russia (3,5-4 doll./MBtu). Questo raffronto conferma un dato già ampiamente noto, ossia che la diversificazione degli approvvigionamenti è costosa. In ogni caso, il progetto andrà avanti perché i membri del consorzio si sono assicurati contratti di compravendita dalla durata di venticinque anni". [2]

Quindi, anche volendo seguire la logica della real politik, o dell'interesse nazionale, il TAP è un'opera che va bloccata.

5. Lo è, secondo noi, anche dal punto di vista geopolitico. La TAP, scegliendo come fornitore l'Azerbaigian (paese filo occidentale, quindi ostile a Russia e Iran) nacque infatti come alternativa al gasdotto South Stream, che avrebbe in effetti rafforzato la posizione predominante della Russia come fornitore energetico per l'Europa del Sud.  



NOTE

[1] Price taker è chi, in economia, non ha possibilità di fissare o influire sul prezzo di un bene o servizio che egli produce o acquista, a causa della presenza di condizioni di mercato che rendono impossibile o irrilevante qualsiasi strategia per tentare di fissare o modificare il prezzo stabilito da altri.
Questa situazione si verifica qualora il price taker sia un operatore di mercato di piccole dimensioni, che controlla una quota di mercato (come venditore ma anche come acquirente) molto piccola perché il mercato è frammentato e diviso tra un gran numero di operatori, ognuno dei quali è nelle stesse condizioni di price taker, o per la presenza di una o più operatori di grandi dimensioni che controllano una quota rilevante di mercato.
In questi casi il compratore non ha il potere contrattuale per ottenere diminuzioni del prezzo di acquisto, mentre il venditore non ha il potere di alzare il prezzo perché perderebbe la clientela.

domenica 28 ottobre 2018

L'ILLUSIONE DI SALVINI

[ 28 ottobre 2018 ]

Aspettando Godot...

Di Maio ma soprattutto Matteo Salvini confidano che le prossime elezioni europee del maggio 2019 saranno una sorta di redde rationem, con una grande vittoria dei... "sovranisti". Così ci sarà una "nuova Europa" basata su nuovi trattati. 
Sarà vero? Noi ne dubitiamo assai, come ne dubitano i principali istituti demoscopici di ricerca.
Ammesso e non concesso che i "sovranisti" ottengano la maggioranza a Strasburgo è una doppia illusione che essi possano trovare un accordo comune strategico per "riformare" l'Unione. Non lo troveranno nemmeno tattico. Altro che dissensi sulla gestione dei flussi migratori! In ballo c'è molto, molto di più, come ci spiega questo articolo su IL SOLE 24 ORE.

*  *  *


PARADOSSI SOVRANISTI
L’estrema destra tedesca boccia il governo Lega-M5S: manovra folle a spese della Germania



di Alberto Magnani

«Manovra folle. Perché dobbiamo pagare noi per gli italiani?». Ad attaccare così il governo Lega-Cinque stelle non è una qualsiasi «burocrate di Bruxelles». Ma Alice Weidel, leader del partito di ultradestra tedesco Alternative für Deutschland: una delle tante sigle del populismo Ue che dovrebbe sostenere l’esecutivo gialloverde, soprattutto nei suoi conflitti con l’apparato comunitario. In un doppio post su Twitter e Facebook, Weidel non ha usato mezzi termini per stroncare «l’orrendo indebitamento italiano. Sono pazzi, questi romani!».
Weidel denuncia il fatto che «sarà la Germania a pagare» per le misure italiane, entrando nel merito della proposta di legge di bilancio («Come si può vendere il concetto che 500mila italiani andranno in pensione, ma che ci saranno anche un reddito di cittadinanza e una flat tax?»). Lo schiaffo più vigoroso, però, è riservato proprio a Salvini: «Quando la Ue ha bocciato la manovra -scrive - il ministro degli Interni Salvini ha borbottato: “Nessuno prenderà un euro dalle tasche degli italiani”. A quanto pare sorvola sul fatto che l’Italia sarebbe finita insolvente senza la flebo dell'Unione europea». D’altronde, la voce di Weidel non è isolata fra le file dei cosiddetti sovranisti. Anzi. Il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, applaudito dalla Lega per i suoi toni sull’immigrazione, aveva già chiesto a Bruxelles di respingere la proposta di budget italiana. «La Commissione europea deve respingere la manovra italiana - aveva scritto su Twitter - Non siamo disposti a pagare i debiti degli altri Stati».
Il doppio fuoco “amico” su Salvini nasce da una contraddizione in termini allo stesso blocco politico. Gli interessi dei partiti nazionalisti sono destinati, per loro natura, a collidere fra loro, creando frizioni che vanno dal rispetto dei parametri europei alla gestione dei migranti. Non si è mai arrivati a fratture clamorose, anche perché l'intesa non si è evoluta oltre a qualche bilaterale (come quelli fra Italia, Austria e Germania sui migranti) e all'endorsement d'ordinanza peruna fondazione, The Movement, nata dall'ex stratega di Trump Steve Bannon. A giudicare dagli ultimi sviluppi, però, ci sono tutti i presupposti per qualche crepa nel muro che vorrebbe dividere a metà il Vecchio Continente. 
Tutti i «conflitti di interesse» fra i nazionalisti europei 
L'incompatibilità fra nazionalisti, ovvia a livello teorico, si cala nella pratica quando le forze che difendono «l'interesse del paese» si trovano di fronte all'interesse degli altri governi. «Questo è l'abc della logica politica: i nazionalisti non possono andare d'accordo con altri nazionalisti - dice Nadia Urbinati, politologa alla Columbia University di New York - Magari a livello teorico, ma poi ognuno bada ai suoi interessi». Le dissonanze si manifestano soprattutto quando si parla di gestione dei flussi migratori interni e politiche di bilancio, segnando uno scarto fondamentale fra i populisti del sud Europa (di fatto solo l'Italia) e l'asse che va da Germania e Austria ai cosiddetti paesi di Visegrad, in testa l'Ungheria di Viktor Orbán.
Sul fronte della questione migratoria, i governi sovranisti come l'Austria o l'Ungheria di Orban non hanno mai offerto alcuna forma di solidarietà all'Italia, rifiutando l'impegno di prendere in carico i richiedenti asilo in eccesso nel nostro paese e contestando l'istituzione di un meccanismo di quote per loro ridistribuzione. Roma ha dato man forte al blocco di Visegrad nell'affondare la riforma del regolamento di Dublino, senza ottenere particolari ritorni e infliggendosi un autogol a livello procedurale: un aggiornamento del trattato avrebbe consentito di superare il principio del «paese di primo sbarco», il criterio che impone a paesi come Italia, Grecia e Spagna di assumere la responsabilità di chi arriva sulle proprie coste. La stessa Austria non ha esitato a minacciare la chiusura del Brenneroper respingere i flussi “secondari” (interni all'Europa) in movimento dall'Italia. Herst Seehofer, il primo ministro bavarese che ha cercato di spingere a destra la Csu, ha prima flirtato con il governo italiano e poi ribadito la contrarietà più netta a qualsiasi prea in carico di migranti.
Sul fronte del bilancio, però, emerge una frattura anche più evidente. La ricetta del «sovranismo» può declinarsi in maniera molto diversa quando si tirano in ballo i parametri di Maastricht, i capisaldi della contabilità comunitaria (tetto del 3% sul deficit e del 60% sul debito pubblico). Mentre l'Italia rischia il rigetto della sua manovra a causa di un deficit al 2,4% , gli “alleati” sovranisti sposano la linea di Bruxelles. Vienna ha annunciato l'azzeramento del deficit entro il 2019 e non ha mai sposato i toni apertamente euroscettici che dovrebbero caratterizzare l’asse dei «patrioti» in vista del voto di maggio. Per ragioni che vanno dall’opportunità politica agli interessi, appunto, domestici. «In fondo Kurz è abile a intercettare l’aria che tira: dopo aver vinto con toni nazionalisti, ora torna a essere pro-Europa. Lo stesso non si può dire di Salvini - dice Günther Pallaver, politologo in cattedra all’Università di Innsbruck - E poi deve rispondere alle pulsioni dei vari presidenti dei lander (le regioni, ndr), molto forti in Austria. Loro non ne vogliono sapere di avere problemi con l’Europa. Quindi la Lega non fa per loro».
Del resto, neppure i paesi dell'asse orientale (dall'Ungheria alla Polonia) hanno mai fatto cenno di voler forzare la soglia del disavanzo pubblico. Anzi, lo stesso Orbán ha esibito in più occasioni le sue credenziali di affidabilità: negli otto anni del suo mandato, dal 2010 ad oggi, il deficit si è più che dimezzato (dal 5% al 2%), mentre il debito pubblico è sceso di quasi sei punti percentuali (dall'80,5% al 73,6% del 2017). Numeri che svelano una differenza di fondo nell'atteggiamento verso l'Europa: i paesi di Visegrad sono beneficiari netti di fondi europei, con un bilancio in positivo di circa 16 miliardi tra finanziamenti versati e ricevuti a Bruxelles. Non a caso, Orban ha appena espresso il suo endorsement nei riguardi di un candidato estraneo alle logiche delle nuove forze populiste: Manfred Weber, possibile spitzenkandidat del Partito popolare alle europee. In fondo è lo stesso Ppe che accoglie fra le sue file larga parte dei cosiddetti populisti, a partire da Fidesz di Viktor Orbán. Ci sono solo due assenti, per ora: Lega e Cinque stelle.

STIMATO MINISTRO PAOLO SAVONA...

[ 28 ottobre 2018 ]

Venerdì scorso, a Foligno, promossa da Nemetria [nella foto], si è svolta una conferenza sul tema "Etica ed economia". Presenti tra gli altri il ministro Paolo Savona — l'unico che si sia effettivamente attenuto al tema —, quindi il presidente della Confindustria Vincenzo Boccia ed infine il Presidente del parlamento europeo Antonio Tajani, che invece han fatto il tiro al bersaglio contro il governo, la sua Legge di bilancio e la sua "inammissibile sfida all'Unione europea".
Quii sotto il testo diffuso dalla sezione locale di Programma 101 e consegnato personalmente al Ministro.

*  *  *

Stimato Ministro Paolo Savona

malgrado ci divida da Lei la visione del mondo — ella è un liberaldemocratico che considera il capitalismo la migliore società possibile, noi per niente — le confessiamo la nostra stima. Di contro al veto di Mattarella sarebbe stato bene che diventasse Ministro dell’economia. Quel veto anticipava il “furore” (parole sue) di un’élite che, forte del sostegno dell’oligarchia eurocratica, cerca disperatamente di rovesciare il governo di cui fa parte.

Noi non pensiamo che la Legge di bilancio che Lei ha contribuito a scrivere sia la svolta radicale di cui il Paese ha bisogno per uscire dal marasma, ma essa rappresenta un’inversione di marcia rispetto alle crudeli politiche austeritarie venute avanti dal governo Monti in poi, con i guasti macroeconomici e le profonde ferite sociali che sappiamo. Per questo Bruxelles la respinge, minacciando addirittura, fatto senza precedenti, di sanzionare l’Italia ribelle. Si tratta di una pistola puntata sul governo, nella speranza che Roma si pieghi come fece Atene.

Lei, in accordo coi suoi colleghi di governo, ha ribadito che di fare marcia indietro non se ne parla nemmeno. Ben detto! Qui non è solo in gioco uno sforamento del deficit per dare ossigeno all’economia; qui è in gioco la sovranità nazionale e popolare, quindi la stessa democrazia. Ogni cedimento sarebbe una vittoria per le potenti forze del “vincolo esterno” che vogliono trasformarci in un Paese vassallo e dipendente.

Resistere dunque, anche a costo che si debba fare duri sacrifici. Sarebbero a buon fine, diversamente da quelli che facciamo da tempo per tenere in piedi quest’Unione matrigna con la sua moneta sciagurata. E se i poteri forti scateneranno l’inferno, e/o se ci piombasse addosso quello che Lei ha chiamato “cigno nero”, non bisogna esitare ad attivare il “piano B” dell’uscita.

Che sappiamo Lei ha ben chiaro in testa. Ci auguriamo che lo abbiano chiaro i due ragazzi dalla cui determinazione dipende il destino non solo del governo, ma del Paese. Il 3 ottobre di tre anni fa Lei affermò che “un Paese serio dispone di piani d’emergenza per ogni eventualità, anche quella della fine dell’euro”. Parole sacrosante che suscitano scandalo solo tra gli stolti o tra gli accoliti del “partito dello spread”.

Lei fa spesso appello alla “razionalità”, confidando che a Bruxelles, Berlino e Parigi, capiranno che sia inevitabile smantellare la moneta unica, riscrivere le regole dell’Unione e quelle che segue la Bce. E’ un’illusione. Il fatto è che qui sono in giogo interessi enormi, ad esempio quelli dell’industria tedesca o delle banche francesi, che verrebbero pregiudicati ove le regole su cui poggia l’Unione fossero cancellate. C’è quindi, eccome, una ratio nella loro protervia.

Ci auguriamo che contrariamente a quanto si augurano i suoi avversari, il “cigno nero” non piombi addosso all’Italia. Ma se accadrà, che il governo non esiti un solo istante a passare al “piano B”,  adottando le misure d’emergenza che saranno necessarie. Come dice una massima francese: à la guerre comme à la guerre!

MPL-P101
sezione di Foligno
26 ottobre 2018

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