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mercoledì 22 marzo 2017

LA FINE DI SALVINI di Piemme

[ 22 marzo ]

«Un consiglio quindi a certi amici "sovranisti" che sperano tanto che Matteo Salvini li imbarchi per farli entrare (in discesa) nel prossimo Parlamento: "Lasciate ogni speranza, voi ch'entrate". Ben altri saranno i suoi compagni... di merende, ovvero i soliti rottami politici berlusconiani».

Non abbiamo mai fatto mistero che a noi Matteo Salvini non piace. Va a suo merito che sia contro l'euro (a favore dell'Unione però, come M5S e certi altri amici di sinistra, e senza dire che occorre uscire dal neoliberismo), ma se andate sui siti dell'universo salviniano, compresa al sua pagina Facebook, è un autentica valanga di pregiudizi razzisti e sicuritari. La stragrande maggioranza dei messaggi è contro immigrati stupratori, zingari scassinatori, quindi inni a favore di chi ha sparato addosso ai delinquenti facendosi giustizia da sé.
Per dire che non è il No euro che ci dice quale sia la visione del mondo e la natura della Lega salviniana ma tutto il resto, ovvero un miscuglio di xenofobia e neoliberismo —del resto è Armando Siri il vero suggeritore di Salvini. E dato che parliamo di Armando Siri si sappia che lui è un acceso sostenitore dell'alleanza tra la Lega salviniana con Berlusconi e Forza Italia.

Alleanza che sembrava morta e che invece adesso, visto che le elezioni anticipate non ci saranno, e vista la legge elettorale (con la soglia del 40% per prendere il premio e governare), sembra rinascere dalle sue ceneri. Siri sarà contento, come saranno contenti Umberto Bossi, Maroni, Toti e la grande maggioranza dei notabili e dei parlamentari padanisti i quali, com'è noto, non sono affatto "salviniani", e non hanno mai gradiro che si sia "montato la testa" costituendo un suo personale movimento politico, "Noi con Salvini", con tanto di tesseramento parallelo a quello della Lega.

Che tiri aria di una rinascita del blocco di centro-destra tra Forza Italia (e frattaglie varie), Lega Nord e Fratelli d'Italia ce lo confermano un po' tutti gli analisti politici, tra cui quelli che spesso ci azzeccano (solo perché le dritte dai diversi cenacoli politici).

Danno per certa l'alleanza di centro destra (da vedere se nella forma di un listone unico o di una federazione come preferirebbe Salvini) Ugo Magri su La Stampa del 15 marzo e quindi Marcello Sorgi il 21 marzo —"Primi segnali di fumo distensivi nel centro destra"—, il quale parla senza peli sulla lingua di "cambio di strategia di Salvini". Giustamente Sorgi ci dice che le prossime elezioni amministrative potrebbero essere il banco di prova delle politiche del 2018.

Un consiglio quindi a certi amici "sovranisti" che sperano tanto che Matteo Salvini li imbarchi per farli entrare (in discesa) nel prossimo Parlamento: "Lasciate ogni speranza, voi ch'entrate". Ben altri saranno i suoi compagni... di merende, ovvero i soliti rottami politici berlusconiani.



martedì 9 agosto 2016

LEGA NORD: AVANTI CON LA NATO!

[ 9 agosto]

Due leghe al prezzo di una...

Matteo Salvini si è esposto molto condannando (giustamente) le sanzioni NATO-UE contro la Russia. Egli ha anzi espresso più volte (con tanto di viaggio a Mosca) il suo apprezzamento per Putin e la sua politica.

Scopriamo poi che il gruppo parlamentare della Lega Nord ha appena presentato una mozione in cui si inneggia alla NATO in quanto "perno della nostra sicurezza". Il tutto negli stessi giorni in cui Renzi partecipa alla guerra imperialista in Libia...


«Molti si sono spesso chiesti quale fosse la posizione della Lega Nord di Matteo Salvini sulla Nato. 

In rete si trovano le teorie più disparate frutto di alcune osservazioni dell'eccentrico segretario, poi smentite il giorno dopo dal comportamento dello stesso e del suo partito, oppure convegni alla presenza di esponenti molto critici dell'Alleanza Atlantica.

La risposta definitiva sulla posizione del partito sulla Nato arriva con la presentazione della mozione della Lega Nord durante la discussione generale di politica estera richiesta dal Movimento 5 Stelle mercoledì 3 agosto.

Nel documento presentato a prima firma Pini si legge, come impegno preciso richiesto al governo, testuale: "a ribadire che gli Stati Uniti e l'Alleanza Atlantica rimangono il perno della nostra politica di sicurezza".

Come se il servilismo del governo di Renzi e Gentiloni non fosse già abbastanza, la Lega chiede che il governo ribadisca che il "perno" della nostra sicurezza siano gli Stati Uniti e la Nato. 

In che modo? Le basi per i bombardamenti in Libia bastano al partito di Salvini o vuole di più? La Nato (e quindi gli Stati Uniti) hanno imposto, da ultimo, all'Italia la criminale guerra di Libia del 2011 e le sanzioni alla Russia, che a parole la Lega combatte, dopo il colpo di stato in Ucraina del febbraio 2014. 
Da allora sono stati compromessi importanti interessi strategici e il nostro paese, per l'avventurismo Usa, è un posto molto meno sicuro. 
Per la Lega Nord tutto questo non solo è il "perno", ma vuole che venga anche "ribadito".

mercoledì 11 novembre 2015

SALVINI A BOLOGNA: leghisti ruspanti e pseudoantagonisti di Diego Fusaro

[ 11 novembre ]

In fondo, v’era da aspettarselo. È un copione che si ripete da anni, sempre uguale a se stesso: l’ideale arma di distrazione di massaper ottundere programmaticamente le coscienze e dirottare l’attenzione su contraddizioni estinte, di modo che mai si possano vedere quelle che insanguinano il presente.

La piazza di Bologna, ove si erano dati convegno salviniani e altri esponenti dell’armata Brancaleone di una destra che si stenta a capire in cosa si identifichi se non nel mercato, è degenerata nell’ennesimo, patetico teatrino dello scontro in ritardo trafascisti e antifascisti: e questo – non è superfluo notarlo – a settant’anni dalla fine del fascismo reale.

E così, ancora una volta, si è creata l’impressione generalizzata che il pericolo primo e primissimo sia, in questo Paese, il fascismo mussoliniano e non la dittatura dei mercati e il classismo capitalistico, il folle dogma della crescita senza limiti e le derive oligarchico-finanziarie dell’Unione Europea, la disoccupazione e l’assalto del neocapitalismo al lavoro; non il Ttip e il gruppoBilderberg, ma sempre e solo l’eterno nemico fascista, l’alibi ideale per lottare contro nemici morti e sepolti e non dire nulla su quelli in carne e ossa.
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Insomma, l’ennesima carnevalata, giusto per evitare di parlare di questioni serie. E il circo mediatico rilancia con entusiasmo, giubilante all’idea di chiacchierare dell’inutile. Chiacchiera, curiosità, equivoco: ecco il segreto della società di massa e della democratica non-libertà. Parlare di tutto senza comprendere nulla; su tutto equivocare, destare la curiosità sulle sciocchezze più macroscopiche, di modo che l’attenzione mai cada, casualmente, su questioni di rilievo. Et voilà, il gioco è fatto.

La piazza di Bologna ce ne ha dato un tragico esempio. Da una parte,salviniani ruspanti (è il caso di dirlo!) che brillano per coerenza: parlano di sovranità nazionale, loro che del tricolore volevano servirsi a mo’ di carta igienica; dicono pubblicamente che occorre uscire dall’euro, e poi rassicurano privatamente gli imprenditori circa la loro volontà di mantenere il sistema euro. Vogliono, da veri ruspanti, usare la ruspa contro i deboli e mai – chissà perché… – verso i poteri forti e i signori della finanza.

Dall’altra parte della barricata, pseudoantagonisti che pensano – ci sono o ci fanno? – che il fascismo mussoliniano sia alle porte, e non si accorgono che il manganello oggi ha cambiato forma ed è quello della violenza economica e del precariato, dei tagli lineari ai salari e delle sacre leggi neodarwiniane della competitività neoliberista. Di questo secondo manganello, ovviamente, non dicono nulla, presi come sono dai fantasmi del passato e dall’“antifascismo archeologico” (la formula, insuperabile, è di Pasolini). E non si accorgono che l’antifascismo, sacrosanto ai tempi di Gramsci, diventa oggi uno strumento al servizio del neoliberismo e del suo costante dirottamento delle armi della critica verso contraddizioni estinte.
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E intanto il potere trionfa, incredulo di vedere tanta confusione sotto il cielo: mentre fascisti e antifascisti si accapigliano, mentre salviniani ruspanti e pseudoantagonisti fumati si insultano, il sistema delle banche e della finanza, del capitale e dei signori del neoliberismo si sfrega le mani.

Ancora una volta, le loro azioni (“riforme”, “ristrutturazioni”, e mille altre formulette neo-orwelliane) passano inosservate: gli offesi sonoindisponibili, presi come sono a suonarsele tra loro. Non hanno tempo per organizzarsi contro chi sta caricando il cannone, perché sono assorbiti a prendersi a sassate tra loro. Proprio come i capponi di Renzo nei Promessi sposi, sono intenti a beccarsi a vicenda mentre vengono portati verso la pentola della mondializzazione capitalistica.

mercoledì 4 marzo 2015

IL NAZIONAL-LIBERISMO DELLA LEGA di Lorenzo Dorato*

[ 4 marzo ]

Da alcuni mesi la Lega nord di Matteo Salvini ha acquisito sempre maggiore spazio mediatico anche a seguito di una evidente crescente benevolenza del sistema informativo che ha sovraesposto tale personaggio e il suo partito di fronte alle telecamere. Non è certo la prima volta che la Lega acquisisce nella sua ormai quasi trentennale storia di partito politico sulla scena nazionale uno spazio politico-elettorale e mediatico di spicco. Tuttavia, la Lega del 2015 non è la stessa del 1994, né del 2001 o del 2008. E’ un partito a vocazione sempre meno localistica e più nazionale, da “destra nazionale” in salsa lepenista. E’ inoltre una forza politica sempre più orientata ad una critica dell’austerità europea in nome di una necessità di ritorno alle sovranità nazionali. Insomma si presenta (come immagine elettorale) come forza politica di opposizione al paradigma dell’austerità della troika.

Ma che tipo di opposizione? Per quali fini? Con quale programma?

Per comprendere questo punto non ci si può di certo fermare agli aspetti superficiali dell’ideologia leghista (xenofobia, rozzezza culturale), pure drammaticamente pericolosi, ma occorre analizzare la natura profonda degli aspetti ideologici e del conglomerato di interessi rappresentato da un partito come la Lega, per alcuni aspetti sempre più riconducibile alla natura delle destre cosiddette (maldestramente) populiste, nella loro versione contemporanea, diffusesi a macchia d’olio in molti paesi europei in particolare negli ultimi 15 anni. Forze politiche accomunate da una critica selettiva dei meccanismi più dissolutivi del capitalismo, non certo in nome di una messa in discussione del capitalismo stesso e dello sfruttamento dell’uomo e del lavoro, ma a favore di una rigida riproposizione dell’ordine gerarchico economico della società in forme differenti. Una concezione che occulta le contrapposizioni di classe in nome di un superiore interesse nazionale e che prevede un uso attivo dello Stato per il disciplinamento della forza lavoro, l’imposizione di bassi salari e a corollario, nelle versioni più “sociali”, parziali forme di Stato sociale e di garanzia di livelli di occupazione e di controllo statale del capitalismo privato. Una linea politica che storicamente, anche nelle sue applicazioni concrete di governo (eclatante il caso del fascismo italiano) ha alternativamente adottato un approccio più liberista o più dirigista alla politica economica, nel comune e costante intento di preservare gli interessi della classe sociale dominante.

La Lega Nord si presenta come un confuso coacervo di interessi, prospettive ed ideologie. Da forza politica secessionista ed antiunitaria, schiettamente liberista, orientata a cavalcare una protesta antifiscale facendo leva su ceti medi e piccola imprenditoria in crisi, negli ultimissimi anni si è configurata come punto forte di un blocco sociale trasversale esplicitamente interclassista il cui nocciolo duro è la piccola impresa del nord Italia travolta dalla crisi capitalistica e dai meccanismi distruttivi della concorrenza internazionale e i lavoratori dipendenti del settore privato devastati da anni di politiche antisociali, da un fisco pesante ed iniquo (che colpisce le fasce più deboli della popolazione) e dal difficile processo di integrazione della manodopera immigrata usata a fini disgregativi come scintilla ideologica di deflagrazione delle contraddizioni sociali dentro la classe subalterna.

La Lega, negli ultimi anni, ha accentuato ideologicamente il suo carattere di destra “sociale” smussando anche i tratti più antinazionali ed enfatizzando l’attenzione ad alcuni temi sociali, quali la difesa del sistema pensionistico o una critica dei processi di privatizzazione su larga scala. Tutto questo però non deve ingannare, poiché la natura del partito, anche mettendo da parte gli elementi culturali di contorno, come le venature culturali razzistiche, rimane agli antipodi rispetto dalla difesa degli interessi popolari e del tutto conforme alla concezione di un capitalismo liberista, magari meno esposto alla concorrenza internazionale, ma pur sempre in un quadro di scarso attivismo dello Stato e forte assecondamento dei meccanismi di mercato e dunque degli interessi della classe dominante.

Riprova eclatante di ciò è la proposta di istituzione di una flat tax esposta da Salvini a Dicembre in occasione di un congresso del partito con la presenza di economisti di tenace fede liberista come Borghi e di un economista statunitense Alvin Rabushka,, ex-consigliere di Ronald Reagan. La proposta in poche parole è quella di istituire un’aliquota fiscale unica all’interno dell’Irpef (imposta sul reddito delle persone fisiche), che è invece attualmente informata a criteri di progressività garantiti dalla presenza di più scaglioni di aliquote (cinque per l’esattezza da un minimo del 23% ad un massimo del 43%). In pratica oggi chi guadagna di più è chiamato a contribuire alle spese pubbliche non solo pagando più tasse in termini assoluti, ma anche in proporzione al proprio reddito: al crescere del reddito cresce anche l’aliquota fiscale, cioè la quota di reddito che va alle tasse, secondo il principio della progressività delle imposte. Il sistema tributario italiano, come i suoi omologhi europei, nel corso degli ultimi 30 anni è già stato profondamente segnato da una drastica perdita di progressività delle imposte (progressività che toccò il suo massimo ai tempi della storica riforma che istituì l’Irpef nel 1974).

L’aliquota unica (flat tax in gergo anglosassone) sarebbe il punto di arrivo estremo di tale processo evolutivo, perché consentirebbe ai redditi più alti di sottrarsi alla progressività dell’imposta: meno tasse per i più ricchi, con l’idea che loro stiano già contribuendo al benessere collettivo…arricchendosi! E’ il sogno liberista di chi crede che il mercato distribuisca equamente le risorse con il suo agire spontaneo, sulla base dell’idea che ciascuno ha ciò che si merita, che i più poveri se sono tali se lo sono meritato. Cavallo di battaglia di Reagan negli USA, della Thatcher nel Regno Unito e della scuola economica di Chicago e neo-austriaca, la flat tax è dipinta dai suoi sostenitori come la soluzione più efficiente per massimizzare gli incentivi al lavoro e l’efficienza dell’homo economicus. Se si ritiene invece la distribuzione del reddito un elemento legato a fattori sociali ben più profondi del semplice merito individuale, di carattere oggettivo, legati sia alla divisione in classi che alle dinamiche concorrenziali spietate del mercato (non certo premianti necessariamente il più abile e meritevole), si vedrà nella redistribuzione un fattore di recupero di equità distributiva in un sistema strutturalmente non equo, e nella progressività delle imposte verrà individuato un validissimo strumento di attuazione di tale necessaria redistribuzione.

La Lega nord facendosi promotrice di una proposta ultra-liberista di tal genere, di distruzione di un basilare principio di equità distributiva, ci mostra il suo vero volto di forza antisociale. Mostra bene quale sia la sostanza di questa tipologia di “alternativa” alle spaventose politiche di austerità promosse dalla classe dirigente europea e nazionale negli ultimi anni: un’”alternativa” antipopolare all’incubo antipopolare dell’austerità disegnato dalle forze politiche egemoni di centro-destra e centro-sinistra.

La contrapposizione tra l’austerità europea, frutto maturo del neo-liberismo economico nella sua versione più estrema e socialmente criminale e la critica nazional-liberista dell’austerità è, una falsa contrapposizione che rischia di proporre uno scenario politico inquietante dove a scontrarsi sono due modi differenti di promuovere sfruttamento, disuguaglianza e miseria. L’antieuropeismo e la contrapposizione alle politiche di austerità della Lega nord e dei suoi accoliti neo-fascisti rappresentati da Casa Pound, non coglie certo la radice delle contraddizioni sociali, non discute i presupposti ultimi della disuguaglianza sociale, non propone vie di uscita ai danni imposti dal capitalismo. Non dimentichiamoci peraltro che la Lega nord è stata ed è tutt’ora fautrice di quelle politiche di divisione e lacerazione materiale e culturale che hanno spaccato il nostro paese accentuando divisioni e disuguaglianze territoriali. Il federalismo fiscale, punto di arrivo ideale del regionalismo egoistico leghista è un altro pezzo forte delle politiche economiche neo-liberiste.

Dalla parte opposta, è del tutto risibile la critica alla xenofobia e al populismo leghista o ancor peggio al suo “irresponsabile euroscetticismo”, da parte di forze politiche (interne al mondo culturale del cosiddetto centro-sinistra) e di personaggi ammantati di progressismo e custodi delle chiavi della presunta democrazia e dello Stato di diritto. Tali critiche provengono dai paladini più fanatici delle politiche liberiste e ultra-classiste che stanno stritolando da anni le società europee. Gli stessi paladini della democrazia che in Italia sostengono il massacro sociale dei ceti subalterni, in Europa la devastazione sociale del popolo greco, spagnolo, portoghese e in generale dei paesi ad economia più fragile e che a livello internazionale appoggiano oggi apertamente i nazisti ucraini e tagliagole in Libia e Siria per favorire l’imperialismo occidentale. Nessuna lezione di democrazia, dunque, da chi difende la macelleria sociale e la guerra.

Nessuno spazio, allo stesso modo, per le false alternative nazional-liberiste, anti-popolari che altro non propongono che varianti di una stessa macelleria. Contro queste false alternative occorre coltivare una prospettiva antifascista che, superando concezioni puramente retoriche e simboliche, sia capace di entrare nelle contraddizioni concrete del capitalismo attuale nell’epoca della gestione delle politiche di austerità europee. E’ necessario cogliere i tratti peculiari di quelle formazioni politiche e di quelle culture che, sfruttando l’assenza di forze di opposizione radicate sul territorio, tentano di appropriarsi della scena sociale egemonizzando il consenso tra le classi popolari prostrate dalle misure antisociali varate dai governi di turno. Smascherare il ruolo strumentale e la specularità di queste formazioni al progetto di macelleria sociale condotto in questi anni deve essere la priorità di chiunque voglia dare vita ad un’alternativa credibile all’austerità, allo sfruttamento e alla decadenza civile che stanno vivendo l’Italia e l’Europa.

Mai come oggi è necessario affermare con chiarezza e senza equivoci una radicale opposizione all’austerità, all’Unione europea e ai suoi trattati neo-liberisti, alle politiche economiche antipopolari, alle false alternative interne al paradigma dominante, ai neofascismi in tutte le loro forme contemporanee più o meno subdole, meri strumenti di dominio delcapitalismo.In una parola un’opposizione al capitalismo come modo di produzione antisociale applicato in tutte le sue forme con la copertura di qualsivoglia patina ideologica di facciata.

* Fonte: Coniare Rivolta

lunedì 2 marzo 2015

IL SALVINISMO E LA FASCISTIZZAZIONE DELLA LEGA di Moreno Pasquinelli

[ 2 marzo ]

Dopo esserci occupati della Grecia, oggi torniamo a bomba sulle vicende italiane. Il fatto saliente è la manifestazione della Lega salviniana svoltasi sabato a Piazza del Popolo. 

[Nella foto lo Stato maggiore leghista sul palco di P.zza del Popolo: Salvini, Bossi, Calderoli, Maroni e Zaia]

Doveva essere una prova di forza, la dimostrazione dell'avvenuto sfondamento a Sud della Lega Nord lepenizzata. La "prova di forza", data la piazza semivuota, si è risolta in un sostanziale flop. Né abbiamo assistito, data la massiccia presenza del neofascismo romano, ad una conferma della cosiddetta "lepenizzazione" — la Marine le Pen si è tolta dai piedi da tempo i gruppuscoli nostalgici nazi-fascisti. 

Cosa dunque si è manifestato in Piazza del Popolo?
IL PROCESSO, PER ORA SOLO INCIPIENTE, DI FASCISTIZZAZIONE DELLA LEGA NORD.

In quanto incipiente, non è scritto che esso giunga alla sua finalistica conclusione o, mutatis mutandis, a sfociare in un vero e proprio movimento fascista. Nessun fenomeno storico è infatti né automaticamente replicabile, né irreversibile. Non accade nella storia quel che avviene nel mondo naturale, per cui un uovo di struzzo, se maturano tutte le condizioni esterne ed interne, non può che dare vita ad uno struzzo. 
Non più di diecimila persone a Piazza del Popolo

Parafrasando la celebre dottrina delle quattro cause di Aristotele, anche ammesso che di un fenomeno politico-sociale siano date la causa materiale (la materia sociale di cui la cosa è fatta) e quella efficiente (la forza motrice che mette in moto la cosa), non è detto che sia già predeterminata la forma che assumerà, né tantomeno prestabilito il suo scopo finalefine che per lo stagirita costituiva l'essenza stessa della cosa.

Parlando del fascismo mussoliniano, non era affatto scontato che, date le premesse, esso sarebbe finito per diventare il regime reazionario di dittatura capitalistica che poi diventò. Lo diventò per una serie di circostanze storiche straordinarie. Lo divenne, infine, per l'insipienza suicida della sinistra proletaria di allora. Come scrisse Ernst Nolte: il fascismo italiano fu il risultato della sconfitta del movimento rivoluzionario, e non, viceversa, la sconfitta causata dalla vittoria del fascismo.

Oggi non c'è alcuna minaccia rivoluzionaria al sistema capitalistico. Non fosse che per questo il fascismo non potrebbe ripresentarsi nelle forme aggressive e squadristiche di allora. Né il paese esce da una guerra totale che militarizzò la vita sociale e che forgiò nelle trincee una generazione di giovani disposti a tutto.

Tuttavia  la crisi sistemica in cui si dimena oggi il capitalismo odierno non sgretola solo la pace sociale tra le classi, mina le fondamenta stesse della democrazia liberale. Da questa crisi storica e generale, o il sistema saprà uscirne ristrutturandosi profondamente o cadrà.
La "prova di forza" dei neofascisti di Casa Pound: non più di duemila...

Tra le le possibili forme di auto-ristrutturazione sistemica due ci sembrano quelle più probabili. La prima è quella che si dispieghi pienamente la tendenza oggi dominante, quella globalista e neoliberista. Da noi questo significa, nel quadro della definitiva germanizzazione dell'Europa, il declino del Paese come provincia tedesca, uno Stato minimo ridotto ad un simulacro, ad un mero  "guardiano notturno, quindi un regime politico censuale contraddistinto dall'esclusione delle grandi masse dal gioco politico.

La seconda è appunto quella della fascistizzazione sociale. Lo sgretolamento dell'Unione europea e della sua moneta unica, il rifiuto della germanizzazione, corrisponderebbero al crollo della democrazia liberale, al ruolo guida dello Stato nella vita sociale, al sopravvento di un regime dispotico e dittatoriale. 

Salvini nega che questo sia il suo fine ultimo. E possiamo anche credergli. Ma che tenga fede a questa sua intenzione non dipende solo da lui. Dipende appunto dalla circostanze storiche, e quelle future saranno forse tremende, che plasmeranno la nuova Lega decidendo così la sua futura evoluzione politica.

Come interpretare l'apertura ai rottami neofascisti, anzi, il vero e proprio patto con Casa Pound
Si tratta solo di un matrimonio incidentale, manifestazione di un opportunistico riposizionamento politico a destra della Lega Nord? Oppure siamo in presenza di un neofascismo allo stato larvale, ad una metamorfosi destinata a dischiudere un adulto organismo fascista?
Nell'accozzaglia salviniana anche il liberista Partito Italia Nuova

I prossimi anni ci daranno una risposta.

Se la crisi sistemica, con il suo precipitato di miseria sociale crescente si approfondisse; se le élite euriste dominanti proseguiranno sulla strada della germanizzazione neoliberista; se sulle ceneri delle attuali sinistre (quella sistemica e quella "radicale") non si farà largo un potente movimento popolare, democratico, sovranitario e rivoluzionario; lo spazio, adesso solo potenziale, per un un movimento reazionario di massa diventerà enorme. Diventerebbe molto probabile, a quel punto, la saldatura; che l'attuale ectoplasma salviniano funga da testa e da contenitore del movimento reazionario di massa.

Depone a questo favore, il brodo ideologico primordiale in cui va maturando l'incesto tra la morchia leghista e i rottami fascisti: il mix trinitario di sciovinismo nazionalista, xenofobia e tradizionalismo reazionario. 

Ci chiederete: ma non avete detto che la Lega ha un'anima liberista? Che la sua proposta di uscita dall'euro non scardina il sistema liberista (flat tax, taglio della spesa pubblica, ecc)? 

Lo abbiamo detto e lo ribadiamo. 
Sbaglia infatti chi ritiene che la fascistizzazione sia incompatibile con il neoliberismo. La forma storicamente più recente di questo possibile sodalizio fu il pinochettismo cileno. Un regime militare di dittatura fascistoide che si prestò ad essere il primo laborarorio latino-americano di neoliberismo dispiegato.
Simone Di Stefano (Casa Pound) sul palco di P.zza del Popolo

Resta che questo processo, oggi allo stato larvale, per giungere a compimento, non solo dipende da una serie di fattori sociali esterni, ma pure da fattori interni alla Lega, dalla sua epurazione degli elementi che han fatto di questo movimento politico una delle gambe del regime eurista di seconda Repubblica. Uno di questi elementi è il veronese Flavio Tosi, che si sta mettendo apertamente di traverso alla svolta salviniana. L'eventuale rottura sarebbe l'indice che la fascistizzazione della Lega è la tendenza principale. 

Ma rotture dovranno accadere anche al lato opposto, da parte degli stolti che, pur avendo un'anima democratica e antiliberista, hanno aiutato Salvini a farsi strada. Sapranno ricredersi prima che sia troppo tardi?

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