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domenica 18 gennaio 2015

ERRARE È UMANO, CHARLIE È DIABOLICO (e se mi è concesso: viva il Papa!) di Piemme

18 gennaio

Lo confesso, ho un'opinione positiva di Papa Francesco, anzitutto per le sue critiche frontali al neoliberismo, che spesso, per profondità e radicalità, fanno vergognare gran parte della sinistra. Dirò di più, mi convince l'opinione del filosofo Emanuele Severino, che ha dichiarato che questo Papa va al di là di un generico antiliberismo, che ha una visione anticapitalista.


Mentre era in viaggio per le Filippine un giornalista chiede a Papa Bergoglio:
«Santità, ieri mattina durante la messa ha parlato della libertà religiosa come diritto umano fondamentale. Ma, nel rispetto delle diverse religioni, fino a che punto si può andare nella libertà di espressione, che è anche quella un diritto umano fondamentale?»
Bergoglio ha fornito un'articolata risposta [1]:
Ma è stata l'affermazione finale quella che ha fatto scalpore, che ha infastidito il coro politicamente corretto "Siamo tutti Charlie":

«E vero che non si può reagire violentemente, ma se il dottor Gasbarri, che è un amico, dice una parolaccia contro la mia mamma, lo aspetta un pugno! Ma è normale! Non si può provocare. Non si può insultare la fede degli altri. Non si può prendere in giro la fede». [QUI la registrazione]
Questa "sorprendente" presa di posizione ha fatto infuriare non solo gli islamofobi conclamati ma pure l'armata bipartisan destra-sinistra dei custodi dell'Occidente, anzitutto la fanteria tardo-illuminista. Ed ha fatto persistere nell'errore anche diversi nostri amici.


Avevo ad esempio segnalato (di striscio) il 12 gennaio scorso la sbandata del blog MAINSTREAM. Ieri il blog torna sull'argomento con un intervento di Fabrizio Tringali il cui titolo è tutto un programma: Il papa hooligan. Ecco quanto ad esempio scrive Tringali riferendosi all'affermazione di Bergoglio di cui sopra:
«Questa affermazione, che contiene un'incredibile contraddizione (non si può reagire violentemente, ma è normale dare un pugno a chi provoca), giustifica ogni tipo di violenza contro chiunque si consideri reo di "provocazione". (...) Qualcuno spieghi a Papa Hooligan che in un paese civile si possono compiere atti che qualcuno può considerare provocatori, come prendere in giro le religioni. Ma non si può mai reagire violentemente alle provocazioni. Semmai, se lo si ritiene opportuno, ci si può rivolgere alle istituzioni di giustizia, perché in un paese civile le controversie, anche quelle relative alle presunte offese, non si risolvono con la violenza, ma nei luoghi preposti, come le aule dei tribunali».
Qui Tringali vorrebbe farci ingoiare due rospi in un boccone solo. Passi la perorazione di un pacifismo fondamentalista quanto imbelle e metafisico —il Nostro fa la parte di quello che è più cristiano del Papa: non si dovrebbero mai sferrare cazzotti ma porgere sempre l'altra guancia. 
Non possiamo invece ingoiare il secondo rospo: "In un paese civile le controversie si risolvono nelle istituzioni di giustizia". Siamo basiti. Ma in quale lontana galassia vive Tringali? Di quale "giustizia" parla? Di quale paese civile parla? Di quale civiltà ciancia? Che dobbiamo ricordargli su quanti fiumi di sangue galleggia la sua amata "civiltà occidentale"? Ci limitiamo a fargli presente che nei tribunali (e lo sanno anche i giudici) non si applica la "giustizia", bensì le leggi promulgate dagli Stati. Non sono forse questi Stati al servizio anzitutto delle classi dominanti? Non sono forse le leggi pensate e promulgate a favore dei potenti?

Scivolato sul piano inclinato del moralistico imperativo categorico kantiano al Nostro gli scappa un'affermazione gravissima:
«Per sua Fortuna Papa Hooligan non è francese. Di fronte ad una tale difesa della violenza contro le provocazioni, chissà cosa gli avrebbero fatto, nel paese dove si arresta un comico (provocatore) per apologia di terrorismo».
Se è di una gravità estrema sorvolare bellamente sull'arresto in stile fascista del comico francese Dieudonné —è questa Tringali la "giustizia" a cui ti riferisci? E' forse "civile" un paese in cui si arresta un comico per avere espresso un'opinione? Forse che ammanettare ingiustamente un uomo è più civile di dargli un cazzotto?—, è come minimo inquietante alludere pelosamente al fatto che in Francia il Papa potrebbe finire anche lui in galera come Dieudonné. 

Se prima eravamo basiti ora siamo sconcertati!

NOTE

[1] «Grazie della domanda, intelligente. Credo che tutti e due siano diritti umani fondamentali, la libertà religiosa e la libertà di espressione. Non si può nascondere una verità: ognuno ha il diritto di praticare la propria religione senza offendere, liberamente, e così dobbiamo fare tutti. Non si può offendere o fare la guerra o uccidere in nome della propria religione, cioè in nome di Dio.A noi quello che succede adesso ci stupisce, no?, ma pensiamo alla nostra storia: quante guerre di religione abbiamo avuto! Lei pensi alla notte di San Bartolomeo. Anche noi siamo stati peccatori su questo. Ma non si può uccidere in nome di Dio. È una aberrazione. Con libertà, senza offendere, ma senza imporre, senza uccidere…Parlava della libertà di espressione. Ognuno non solo ha la libertà, ha il diritto e anche l’obbligo di dire quello che pensa per aiutare il bene comune. L’obbligo! Se un deputato, un senatore non dice quella che pensa sia la vera strada, non collabora al bene comune. Abbiamo l’obbligo di parlare apertamente. Avere questa libertà, ma senza offendere».
Tutta l'intervista sul Corriere della Sera del 15 gennaio]

giovedì 15 gennaio 2015

DOPO CHARLIE HEBDO. La dissacrazione dei valori religiosi o della divinizzazione del Capitale di Diego Fusaro

15 gennaio 

«L’anti-islamismo e l'anti-cristianesimo conducono dritti dritti all’apologia del capitale. La Lega Nord ci è dentro fino al collo e rivela così la sua vera natura di partito organico al nuovo ordine mondiale neoliberale».

Premetto che fino a qualche giorno fa non conoscevo neppure nominalmente il comico Dieudonné, prima che venisse arrestato per apologia di terrorismo. Premetto anche che, ascoltandolo, non lo trovo neppure poi divertente, e nemmeno condivido larga parte delle cose che dice, con un’ironia che anzi trovo piuttosto volgare e crassa.
Ma non è questo il punto. Il punto sta invece altrove. La vicenda del comico Dieudonné, arrestato per apologia di terrorismo, la dice lunga sull’ipocrisia dell’ordine neoliberale e sulla sua libertà di espressione a corrente alternata. La libertà di espressione è difesa fintantoché esprime liberamente ciò che il nuovo ordine mondiale vuole che sia espresso: volgare presa in giro delle religioni, delegittimazione degli Stati sovrani, identificazione senza riserve tra Islam e terrorismo, ecc. Non appena si devia dal percorso preordinato, si è puniti con l’accusa di terrorismo, la nuova arma con cui si metteranno a tacere le voci fuori dal coro. L’apologia di terrorismo costituirà, da qui in avanti, la nuova frontiera del politicamente corretto e della sua criminale strategia di diffamazione, persecuzione e silenziamento di ogni prospettiva non allineata.
La tragicomica vicenda di Dieudonné è, allora, davvero istruttiva: ci insegna che nell’occidente capitalistico è possibile dileggiare liberamente Dio e/o Allah, ma non si possono toccare altre divinità, pena l’arresto. Il terrorismo si dice in molti modi, a quanto pare. E talvolta la caccia al terrorismo diventa essa stessa terrorismo. Se le parole conservano ancora un senso (ed è discutibile, in effetti, nel tempo dell’orwelliana “neolingua” gestita univocamente dai dominanti al solo scopo di rendere finanche impronunciabile la contraddizione), non mi è chiaro perché non siano qualificate come operazioni terroristiche le invasioni imperialistiche della Libia e dell’Iraq, dell’Afghanistan e della Serbia; o, ancora, le riforme del lavoro che rendono precaria la vita delle nuove generazioni, causando morti invisibili sul lavoro. Si sa: i dominanti gestiscono univocamente le grammatiche, inducendo gli oppressi stessi ad amare gli oppressori ed accanirsi, come nella caverna platonica, contro gli eventuali liberatori.
Mi domando, tuttavia, dove siano finiti coloro che scendevano in piazza, pochi giorni prima, con la matitina alla mano a manifestare in nome della libertà d’espressione: forse che tale libertà d’espressione vale solo per alcuni? O per certe idee? Libertà d’espressione, a rigore, vuol dire libertà di pensare e dire tutto, anche – supponiamo – le cose più sbagliate e più false: le quali debbono essere confutate sul piano delle idee, e non certo dell’uso terroristico della lotta al terrorismo. La quale lotta diventa facilmente – è chiaro come il sole – strumento di repressione di tutto ciò che si doscosta dal coro virtuoso, millimetricamente calibrato, del pensiero unico politicamente corretto. Il caso di Dieudonné ne è la prova lampante.
Non è forse il francese Voltaire ad aver insegnato che anche se non si condivide una tesi, occorre lottare fino alla morte per il diritto di poterla liberamente sostenere? Strano paese, dunque, la Francia, che scende in piazza per la libertà d’espressione e il giorno dopo punisce chi esprime un’opinione non allineata, peraltro nel silenzio generale. Premesso che non condivido le opinioni spesso volgari di Dieudonné, come peraltro non condivido la linea altrettanto volgare e di cattivo gusto della rivista Charlie Hebdo (espressione dello spirito animale del capitalismo postborghese), riconosco al primo come alla seconda la libertà di espressione: né mi è chiaro perché si debba riconoscerla alla seconda e non al primo. Condannare Dieudonné crea un precedente: con l’accusa di apologia del terrorismo si potrebbero silenziare non solo tutte le voci critiche rispetto all’ordine neoliberale, ma addirittura le voci del passato (perché, in fondo, non proibire la lettura di Lenin, Marx e Machiavelli come terroristi in pectore?).
Occorre esserne consapevoli. La vicenda dell’attentato di Charlie Hebdo apre un nuovo ciclo. Un ciclo di restrizioni della libertà, e non solo di quella d’espressione: restrizione giustificata in nome del sacro dogma della sicurezza. Questo dogma permette di imporre norme che, in situazioni normali, i cittadini mai accetterebbero e, di più, facilmente identificherebbeo nella loro autentica natura autoritaria e antidemocratica. È questo il punto decisivo.Il potere usa schemi prestabiliti: tramite l’urgenza e lo stato d’eccezione“, si fa accettare ai cittadini ciò che essi, in situazioni normali, mai accetterebbero.
Ci vuole più Europa, ci vogliono più bombardamenti umanitari, ci vuole più sicurezza e meno libertà, ci vuole meno religione della trascendenza e più religione atea del mercato, ci vuole più libertà di espressione (se si dice ciò che è permesso e coerente con il pensiero unico) e ci vuole meno libertà di espressione (se si dice ciò che va contro il pensiero unico, tipo Dieudonné): ecco alcune delle conseguenze di Charlie Hebdo. Insomma, si è trattato di un terribile attentato che, tuttavia, in fondo finisce, guarda caso, per rafforzare il potere e il processo di integrazione coatta nell’ordine neoliberale. Non bisogna, certo, cedere al complottismo – almeno se si vuole essere allievi, per quanto eterodossi, di Marx – , ma la domanda da porsi, in tutta franchezza, è una sola: cui prodest? A chi ha giovato questo atto terroristico?  Non alle vittime, certo. E neppure all’Islam, oggetto di una montante rabbia indiscriminata da parte dei soliti utili idioti del capitale. Ognuno tragga le conseguenze che vuole. Sul fatto che a trarre giovamento dall’attentato sia stato il potere, e solo quello, credo sia arduo dubitare.
Dall’attentato di Charlie Hebdo nel futuro più prossimo credo che seguiranno more geometrico tre punti, oltre al già citato restringimento delle libertà (di cui l’affaire Dieudonné è un prezioso indizio): a) rinsaldamento dell’ideologia europea, sull’onda lunga del „ci vuole più Europa“ come via di superamento dei drammi terroristici; b) nuovi bombardamenti umanitari (dopo Iraq, Libia, ecc.) sempre in nome della terroristica ideologia antiterroristica; c) nuova ondata di diffamazione delle religioni ad opera dell’ateismo religioso pudicamente detto laicismo, formazione ideologica di fondamentalismo illuministico che, dietro l’apparente lotta per la laicità, difende la lotta di quel monoteismo del mercato che deve neutralizzare ogni religione che non sia quella del capitale, delle omelie neoliberali e della teologia economica.
Per quel che concerne il punto (a), sappiamo che la grande macchina della propaganda e della fabbrica dei consensi si è già attivata: è stato a dir poco osceno veder sfilare in piazza a Parigi, tra lacrime e abbracci, coloro che nei loro rispettivi Paesi stanno massacrando i popoli e i lavoratori in nome dei sacri dogmi “ce lo chiede il mercato” e “ce lo chiede l’Europa”. La strage viene già artatamente impiegata in nome dell’ideologia europeista. E lo sarà ancora di più prossimamente. Addirittura già si parla di controlli alle frontiere dei Paesi europei. Il solo aspetto positivo dell’Unione Europea era la possibilità di muoversi da Berlino a Roma, da Atene e Parigi: toglieranno anche questo? Non v’è di che stupirsi. L’Unione Europea in cui circolassero liberamente solo le merci, e non gli uomini, sarebbe l’immagine perfetta dell’odierna Europa neoliberale, l’Europa del capitale e delle banche.
Per quel che concerne il punto (b) – altrettanto telegraficamente –, sappiamo che nel quadro dell’odierna quarta guerra mondiale“ (cfr. il mio Il futuro è nostro“, cap. VI) ogni qual volta si è sventolata la bandiera della lotta al terrorismo e all’integralismo islamico ne sono seguite guerre: Iraq, Afghanistan, ecc. L’analogia storica con l’11 settembre è, in questo caso, feconda. Nell’epoca della terza guerra mondiale (“Guerra Fredda”) il nemico era identificato nel comunista; oggi, nella quarta guerra mondiale, diventa il terrorista. Si legga il surreale discorso del presidente Bush all’indomani dell’11 settembre e si capirà cosa intendo. Il terrorismo diventa il casus belli per le ipocrite politiche di aggressione imperialistica da parte dell’Occidente, sempre in nome dei diritti umani, della libertà, ecc. Presto verrà bombardato qualche nuovo Stato, con la roboante retorica dei diritti umani e della lotta al terrorismo: l’imperialismo sa sempre nascondersi e legittimarsi, già lo sappiamo.
Per quel che riguarda il punto (c), occorre essere chiari e precisi: se al tempo della terza guerra mondiale il nemico era il comunismo, ora che esso si è estinto (Berlino, 9.11.1989), il nuovo nemico diventa la religione. La religione infatti – sia islamica, sia cristiana – costituisce un impedimento per l’estensione illimitata (reale e simbolica) della forma merce: la religione insegna che il senso del mondo non si esaurisce nei perimetri della società reificata; di più, mostra come la sola divinità sia quella trascendente e non quella immanente (il monoteismo del mercato).
La religione – lo ripeto, sia cristiana sia islamica – costituisce un potente fattore di resistenza alla logica illogica della mondializzazione capitalistica, ed è per questo che essa è oggi sotto permanente scacco da parte di Monsieur Le Capital. “Ogni limite è per il capitale un ostacolo che deve essere superato”, scriveva Marx nei Grundrisse. Uccisa l’etica borghese (1968), uccisa la potenza catecontica sovietica (1989), dissolti gli Stati sovrani con primato del politico (UE), resta ora la religione come ultimo impedimento per il capitalismo absolutus, cioè pienamente realizzato e del tutto „sciolto“ da ogni limite. Per questo essa è già da tempo nel mirino del capitale e del pensiero unico planetario. In Italia, è il caso della ridicola armata Brancaleone dei laicisti che lottano contro ogni religione che non sia il mercato e contro ogni superstzione che con sia quella dell’economia.
L’analfabetismo di partitini come la Lega Nord è, sotto questo profilo, palese: il nemico è da essi identificato non con il finanz-capitalismo, bensì con l’Islam – in una ridicola identificazione dell’Islam con il terrorismo (identificazione analoga a quella di chi volesse istituire l’identità tra Cristo e l’Inquisizione). I maestri della Lega, del resto, non sono Marx e Lenin, bensì Samuel Huntington e la signora Fallaci: l’emancipazione non è pensata come lotta contro il capitale in nome dell’emancipazione umana, bensì come transito per le donne dal burqua alla minigonna occidentale; l’emancipazione è, dunque, concepita come passaggio a Occidente del mondo intero.
Che lo si sappia oppure no, l’anti-islamismo conduce more geometrico alla capitolazione nell’ultracapitalismo magnificato come “valori occidentali”, “civiltà buona“, ecc. L’anti-islamismo conduce dritti dritti all’apologia del capitale. La Lega Nord ci è dentro fino al collo e rivela così la sua vera natura di partito organico al nuovo ordine mondiale neoliberale. Quest’ultimo – lo ripeto – deve necessariamente destrutturare le religioni, lasciando unicamente il monoteismo del mercato: sarà forse un caso che l’attentato si sia rivolto contro una rivista – Charlie Hebdo – che faceva della volgare satira antireligiosa la propria bandiera? Immediatamente, complice la manipolazione organizzata, la contrapposizione cessa di essere quella tra capitale e umanità, e diventa quella tra difesa del laicismo e difesa dell’Islam inevitabilmente terroristico. L’alternativa che il potere ci vuole offrire è quella tra il terrorismo islamico e le patetiche Femen che bruciano il Corano. Di modo che tutti, in modo irriflesso, siano indotti a pensare che libertà ed emancipazione siano sempre e solo quelle delle ridicole Femen e della pornografia capitalistica del godimento individuale senza freni, il meglio che la religione del capitale possa vendere.
È questo il punto: ridicolizzazione del fenomeno religioso qua talis (assunto come intrinsecamente terroristico e autoritario), con l’obiettivo di accelerare il processo – peraltro già ampiamente in corso – di “sdivinizzazione” (Heidegger), di modo che l’individuo senza identità, senza famiglia, senza valori e anche senza religione sia integralmente plasmato dal capitale e dalla sua fantasmagorica macchina dei desideri.
Per concludere queste note sparse, sulle menzogne diffuse dal pensiero unico, sui vili poteri che giocano con le nostre vite, valgano sempre le parole di Pasolini: non potranno mentire in eterno. Dovranno pur rispondere, prima o poi, alla ragione con la ragione, alle idee con le idee, al sentimento col sentimento. E allora taceranno: “il loro castello di ricatti, di violenze, di menzogne crollerà”.
* Fonte: L'intellettuale dissidente

mercoledì 14 gennaio 2015

FRANCIA: IL COMICO DIEUDONNÉ ARRESTATO (a proposito della libertà di pensiero)

14 gennaio - ULTIM'ORA

Apprendiamo che il noto comico e attore francese Dieudonné M'bala M'bala (nella foto) è stato arrestato questa mattina con l'accusa di "apologia di terrorismo". 


Dieudonné a causa delle sue battaglie in difesa del popolo palestinese e della Resistenza dei popoli oppressi contro le aggressioni imperialiste, da anni subiva l'accusa dei media di regime di essere "antisemita" (accusa sempre respinta dall'attore).


Dieudonné aveva partecipato alla marcia dell'11 gennaio, definendola tuttavia, nel suo proverbiale stile beffardo, come un "evento magico paragonabile al big bang o alla incoronazione di Vercingetorige".

Di cosa sarebbe colpevole Dieudonné? Di aver scritto nella sua pagina facebook: «Je me sens Charlie Coulibaly», "Mi sento Charlie Colulibaly". (Amedy Coulibaly è l'autore della strage nel supermercato ebraico).

Diuedonné messo in prigione quindi per aver manifestato la sua opinione. 

Come volevasi dimostrare: in nome della "libertà di pensiero" il regime francese tenta in realtà di sopprimerla.

Commentando l'altro ieri la risposta dei potenti ai tragici fatti di Parigi scrivevamo:
«La commemorazione delle vittime degli attacchi jihadististi sta trasformando il macabro psicodramma che ha scosso la Francia nella più ripugnante ostentazione d'ipocrisia che si sia mai vista. In nome della "libertà d'espressione" il potere globale vuole mettere definitivamente al bando proprio il pensiero critico, dialettico, antagonista». [Libertà di pensiero... Quale pensiero?]

Non immaginavamo tuttavia che il più fosco dei presagi si sarebbe materializzato tanto presto. Si tratta di un segnale inquietante delle pulsioni autoritarie che covano in Europa, la spia che in nome della democrazia il sistema procede verso uno stato di polizia.

L'arresto in stile fascista di Dieudonné è un atto politico e giudiziario gravissimo. 

Vedremo se lo sciame di politici, giornalisti, intellettuali che hanno gridato di essere tutti Charlie in nome delle libertà d'espressione, avranno il coraggio della coerenza denunciando l'arresto del comico francese. C'è di che dubitarne.

Che siano riconsegnate a Dieudonné la sua libertà personale, e la sua libertà d'espressione!

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