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lunedì 13 novembre 2017

BRANCACCIO: L'AUTOBUS S'È SCASSATO di Piemme

[ 13 novembre 2017 ]

La notizia ce l'ha data oggi pomeriggio la repubblica.it.
Anna Falcone e Tomaso Montanari  [nella foto] hanno comunicato che l'annunciata decisiva assemblea del Brancaccio 2, prevista per sabato prossimo a Roma, è stata annullata.

Non fummo teneri con l'appello che convocava la prima assemblea del Brancaccio del 18 giugno. Io stesso feci un pezzo dal titolo Tossica minestra riscaldata dei diversamente europeisti. Ci tornammo sopra criticando come melensa e fuori tempo massimo l'idea dell'unità delle sinistre radicali, come sbagliata e, in secondo luogo, come illusoria.

Ed ecco qua. Falcone e Montanari affermano che non esistono le condizioni per un'assemblea unitaria e serena, si lamentano che diventerebbe ostaggio dei partiti, annunciano due documenti separati (sono divisi anche tra loro due) per spiegare l'annullamento.

Siamo dunque andati al sito di Falcone e Montanari e vi abbiamo trovato lo scritto di Montanari  Il Brancaccio si ferma,. Per ripartire.

Montanari ci dice che
«... sono sparite una ad una, nelle ultime ore, le condizioni minime per tenere un’assemblea democratica e per pensare che l’itinerario del Brancaccio possa arrivare a raggiungere il suo scopo».
Ricordando che l'idea del Brancaccio era quella —taglio con l'accetta— di dare vita ad una lista "dal basso", civica e di cittadini coi partiti in seconda linea, Montanari ci informa che
«... i vertici dei partiti della Sinistra hanno deciso che, semplicemente, non vogliono questa unione più vasta possibile. Non vogliono questa alleanza con chi sta fuori dal loro controllo. I segretari di Mdp, Possibile e Sinistra italiana hanno scelto un leader. E questo ha ‘risolto’ tutti i problemi: nella migliore tradizione messianica italiana».
Già... Montanari dev'essere proprio incazzato con Mdp, Sinistra Italiana e Possibile. Che ti ha fatto infatti la troika Speranza, Civati e Fratoianni? hanno raggiunto un accordo tra loro tagliando fuori lui, la Falcone, il Brancaccio e con esso i cespugli della sinistra-sinistra.
Ben sapendo che l'area del Brancaccio si era riconvocata per il 18 novembre essi hanno indetto per il 2 dicembre una "grande assemblea nazionale della sinistra". Lo hanno annunciato l'11 novembre con una lettera aperta che ha letteralmente spiazzato Falcone e Montanari. In questo spiazzamento c'è tanta rabbia quanta ingenuità. Ma davvero essi pensavano che i ceti politici della sinistra sistemica gli sarebbero andato dietro? Davvero immaginavano che i lupi avessero perso col pelo il vizio?

Montanari va giù quindi duro con la troika:
«Un teatro, che copre l’obiettivo reale: rieleggere la fetta più grande possibile degli attuali gruppi parlamentari. Vorrei molto essere smentito: ma ho fortissimi argomenti per credere che, quando saranno note le liste, tutti potranno constatare che le cose stanno proprio così. (...)
È anche per questo che quella dei vertici di Mdp, Possibile e Sinistra italiana a me pare una scelta drammaticamente miope. Non è nemmeno più questione di ‘alto e basso’, o di ‘vecchio e nuovo’: la logica è quella per cui chi è ‘dentro’ il sistema della politica professionale si chiude ermeticamente verso chi è ‘fuori’. È la logica del partito che garantisce se stesso».
Ma non finisce qui, ce n'è anche per Rifondazione comunista:
«E il partito che è stato lasciato fuori dall’accordo, Rifondazione Comunista, ha reagito in modo identico. Dopo aver sostanzialmente preso in ostaggio l’assemblea provinciale del Brancaccio a Torino, Rifondazione ha fatto capire di voler fare altrettanto con quella del 18 a Roma: «prendiamoci il Brancaccio», si è letto sui social.
Non ci sono, dunque, le condizioni minime di lealtà e serenità per garantirvi che l’assemblea non si trasformi in un campo di battaglia tra iscritti a diversi partiti».
Montanari non si riferisce solo alla dichiarazione del segretario del Prc Acerbo, ma ad un documento della direzione del PRC (in nostro possesso), che chiama le proprie truppe a mobilitarsi in massa proprio in vista della seconda assemblea del Brancaccio allo scopo di farne il trampolino di lancio di una lista elettorale di sinistra-sinistra (anche con Eurostop?).

Con amarezza Montanari afferma dunque:
«È per questo che oggi scendo dal famoso ‘autobus’. Lo avevo promesso a tutti voi, il 18 giugno: «questa ‘cosa’ nasce per ambire a percentuali a due cifre: perché ambisce a recuperare una parte dell’astensione di sinistra. E se dovesse ridursi a una lista arcobaleno con davanti le sagome della cosiddetta ‘società civile’ saremo i primi a dire che il tentativo è fallito». Ecco: oggi, lealmente, vi dico che è così».
Poi dice che si ripartirà più avanti, ovvero dopo le elezioni.
Mi sa che sarà altamente improbabile.




mercoledì 18 ottobre 2017

SALITI A BORDO...


[ 18 ottobre 2017 ]

Il 18 giugno scorso si svolse a Roma, presso il teatro Brancaccio, l'assemblea promossa da Anna Falcone e Tomaso Montanari [nella foto a sinistra].

Teatro stracolmo [vedi foto sotto]. Entusiasmo per l'idea di dare vita ad un nuovo soggetto politico di sinistra, civico e dal basso, che nulla avesse a che fare con la sinistra sinistrata.

Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio...
A caldo pubblicammo un giudizio critico, quello di Paolo Gerbaudo. Giorni prima, assemblea del Brancaccio in vista, Ferdinando Pastore, aveva messo in guardia sul reale punto di approdo dell'iniziativa: "Unità della sinistra? No grazie!".
Brancaccio, 18 giugno: in tanti a sperare invano che
nascesse una sinistra davvero popolare

Sembravano giudizi troppo duri. Si stanno rivelando più che esatti.

Qualche giorno fa Anna Falcone ha concesso un'intervista che la dice lunga.
Alla domanda: 
«Ma riuscirete a fare un Quarto polo che andrà da Mdp a voi del Brancaccio passando per Sinistra Italiana, Possibile e Rifondazione? Una sola lista di sinistra, è questo l'intento? Lavora per questo?»; la Falcone risponde:
«Una sola lista civica e di Sinistra, lo abbiamo detto nel nostro appello e lo ribadiamo. Ci sono tutti i presupposti e sono fiduciosa. La sfida non è solo la lista, ma costruire, anche in Italia, la via per la nuova Sinistra, una forza partecipata, innovativa e lungimirante, che possa imprimere alla politica quella svolta prodotta da Podemos in Spagna e da Corbyn nel Regno Unito. Solo per citare due esempi che, uniti a quello francese, dimostrano come la Sinistra vince solo se unita e se torna a fare la sinistra, a lottare per i diritti e su proposte concrete e alternative, con coraggio e senza compromessi».
Traduciamo: ora che il mellifluo Pisapia ha scoperto le sue carte e va con Renzi, non ci sono ostacoli a presentarsi nella stessa lista con D'Alema e Bersani, ovvero con quel pezzo dell'establishment politico che ci ha portato nella gabbia dell'euro e che ha sostenuto il Quisling Mario Monti pur di restarci, facendo scempio di democrazia, diritti sociali, e sovranità nazionale e popolare.

Non siamo stati quindi troppo duri, bensì realisti.

Non ci consola affatto averla azzeccata un'altra volta. Che alla fine la Falcone e Montanari siano saliti a bordo, sulla nave ammiraglia con D'alema al comando, dimostra quanto forte sia ancora la sinistra sistemica, quanto radicato sia l'opportunismo (cosa non si fa per qualche scranno parlamentare!), ma pure quanto difficile sia la battaglia per dare una testa ed un corpo ad una politica alternativa.

Ciò nonostante non ci si deve arrendere. Una proposta è in campo, quella della Confederazione per la Liberazione Nazionale: tentare il possibile per presentare alle prossime elezioni una lista del sovranismo popolare e costituzionale, un lista dell'Italia Ribelle e Sovrana.

martedì 27 giugno 2017

L’INGANNO DELLA SOVRANITÀ EUROPEA: UNA RISPOSTA A TOMASO MONTANARI di Ferdinando Pastore

Tomaso Montanari
[ 27 giugno ]
Ferdinando Pastore fa parte della direzione di Risorgimento Socialista, come del centro dirigente della Confederazione per la Liberazione Nazionale.

Nell’era del pensiero unico neo-liberista, nella quale appare inverosimile mutare le politiche d’indirizzo economico, presentate alla collettività come necessarie, ineluttabili, dettate dal pilota automatico, si rincorrono, in Italia, tentativi di ricostruzione della sinistra, che di continuo sono progettati mediante appelli alla società civile al fine di attuare la Costituzione italiana.

COSTITUZIONE, SOCIETA’ CIVILE, CORPI INTERMEDI

Già gli appelli alla società civile, entità astratta e non corrispondente ad alcun blocco sociale, sembrano in aperta contraddizione con lo spirito costituzionale, dato che essi si servono delle medesime caratteristiche di spoliticizzazione della società che sono insite nella prassi neo-liberista: il primato dell’economia sulla politica, il mito del privato rispetto al pubblico, la denazionalizzazione della moneta, lo smantellamento dello stato sociale, l’annientamento dei corpi intermedi ormai chiusi in apparati ermetici ma al contempo innocui e congeniali per il mantenimento dello status quo.
Difatti, proprio quando ci si rivolge alla società civile, si lascia intendere che i diritti sociali, ispirati a principi solidali e non mercantilistici,  un tempo protetti dallo Stato, hanno perso la loro funzione politica: quella di dare rappresentanza allo scontro sociale.
Essi sono così sostituiti dagli interessi dei gruppi di pressione, che ancora organizzati in apparati burocratici, in realtà, perseguono fini privati, tendenti al mero profitto economico e trovano terreno fertile nel momento in cui il neo-liberismo ha operato una mutazione sostanziale dell’individuo ormai ridotto a imprenditore di sé stesso e a eterno soggetto desiderante, non più in grado di prendere coscienza delle condizioni di sfruttamento nei rapporti produttivi e di alienazione nella propria condizione esistenziale (1).
Con la conseguenza di silenziare lo scontro sociale e far paventare, continuamente, l’idea che esista una società civile portatrice di istanze omogenee e inter-classiste, che, causa la loro inconsistenza, saranno preordinate dal mercato(2).
Il richiamo alla Costituzione, poi, è ancora più marcato a seguito della vittoria al Referendum Costituzionale  del fronte del No, al cui interno la sinistra ha giocato un ruolo del tutto marginale e ininfluente, soprattutto se si pensa all’incapacità di darne un significato politico in linea di continuità con i risultati della Brexit o del Referendum greco di qualche anno fa. Esso è stato ridotto a semplice contestazione alla figura di Matteo Renzi.
Proprio la sottovalutazione della questione sociale e la tendenza a non identificare i risultati dei referendum come unareazione del basso della società, ormai definitivamente impoverito e ridotto ad assistere inerte allo smantellamento delle sicurezze novecentesche, porta la sinistra a non affrontare il tema centrale legato alla difesa della Costituzione:l’incompatibilità dei Trattati istitutivi della UE con le costituzioni moderne, nate nel dopoguerra, e, se si dà uno sguardo al caso italiano, alla sostanziale sostituzione della Carta del 1948 con i dettami delle strutture sovranazionali.

L’EUROPA, LA COSTITUZIONE E LA PIENA OCCUPAZIONE

Anche nell’ultima assemblea che ha richiamato l’unità della sinistra – quella promossa da Anna Falcone e Tomaso Montanari, nella quale si è riunito il gotha del progressismo liberale –  il tema o è stato accuratamente eluso o chiamato in causa con argomentazioni inverosimili.
Anzi Tomaso Montanari è andato ben oltre, nel momento in cui è riuscito a menzionare il problema UE e contemporaneamente a pubblicizzare un rafforzamento delle strutture con sede a Bruxelles e Francoforte. Il richiamo di Montanari è risultato particolarmente insidioso nel momento in cui ha affermato: “L’Italia è il più autorevole di un grande gruppo di paesi che può e deve chiedere una profonda revisione dei trattati. Mentre da subito bisogna attuare i punti più avanzati dei trattati attuali: per esempio l’articolo 3 del Trattato di Lisbona, che mette tra gli obiettivi dell’Unione la piena occupazione. Per far questo occorre costruire una sovranità europea, una vera politica europea”.
Le omissioni contenute in questo passaggio sono molteplici, perché l’articolo richiamato – oggi  diventato l’art. 2 III comma del Trattato di Lisbona –  in realtà è così strutturato: “L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico”. Solo da una semplice prima lettura appare evidente il contrasto tra questa formulazione e quella contenuta nell’art. 4 della Costituzione Italiana che così recita “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
Il Trattato di Lisbona, quindi, riconduce la tendenziale piena occupazione, non tra i compiti dello Stato, bensì come conseguenza di un’economia sociale di mercato fortemente competitiva e dalle politiche tese alla stabilità dei prezzi che generano deflazione salariale(3) e perdita dei diritti connessi al lavoro.
La piena occupazione richiamata da Montanari è, in buona sostanza, quella contenuta in un vero e proprio manifesto dell’ordo-liberismo che si pone in netta contraddizione con i principi ispiratori del Costituzionalismo moderno che si basavano su un forte intervento dello Stato per proteggere la collettività dai rischi connessi allo sviluppo capitalistico. Al contrario il riferimento all’economia sociale di mercato rappresenta lo stratagemma, utilizzato in primis dalla Germania, per sancire il principio secondo cui lo stesso individuo assume su di sé gli obiettivi dell’economia di mercato, che in questo senso si socializza (4).
Montanari, quindi, o non conosce i trattati europei o, se li conosce, evita, volontariamente, di spiegarne la natura ideologica, poiché se così facesse, dovrebbe trarre alcune conseguenze logiche.
Per esempio che i Trattati istitutivi dell’Unione Europea sono immodificabili perché strettamente connessi all’ideologia neo-liberista, e proprio l’esistenza di essi impedisce il pieno esercizio della sovranità costituzionale. Appare evidente che la difesa della Costituzione è uno specchietto per le allodole, se posta in termini generici e così fuorvianti.
Se da un lato l’omissione in questione serve per non disturbare i manovratori ed evitare che il dissenso possa avere ricadute di reale opposizione al sistema di dominio neo-liberista e quindi con il proposito di silenziarlo e progettare contenitori politici ossequiosi e docili, dall’altro si nota come la sinistra, nel suo complesso, aderisca, da quando si è allontanata dalla critica sociale d’ispirazione marxista, alle illusioni universalistiche del liberalismo.

LA MUTAZIONE GENETICA DELLA SINISTRA IN ITALIA

 Quest’adesione è avvenuta attraverso due distinti filoni di pensiero. Il primo è quello legato alla mutazione ordo-liberista del PCI, che dalla fine degli anni ’70 fu l’ideatore, insieme alla CGIL, dell’ideologia dell’austerità, attraverso la quale si iniziava a richiedere ai lavoratori sacrifici, per avere come contropartita un’immaginifica e rinnovata capacità produttiva. Processo portato a compimento quando, con l’avvento della seconda Repubblica, il gruppo dirigente post-comunista ha iniziato a recepire, acriticamente, i dettati compilati e imposti dai vincoli esterni contenuti nel Trattato di Maastricht.(5) 
Il secondo è legato alla struttura ideologica della sinistra radicale, che dal movimentismo anarco-liberale del 1968 in poi, ha accettato la supremazia del soggetto come elemento cardine di una politica antagonista. Proprio l’antagonismo è, in questa fase storica, il più grande alleato del capitalismo globale, poiché anch’esso punta allo sfaldamento delle strutture sociali e solidaristiche, al fine di concepire una società parcellizzata e atomistica, supina agli intendimenti del mercato che si deve espandere senza ostacoli(6).
La conseguenza è il comune accordo, tra sinistra e capitalismo globale, nel ridurre al minimo il ruolo dello Stato. Al massimo, secondo le indicazioni ordo-liberiste, esso si trasforma in apparato burocratico guardiano della libera concorrenza, ma privo della capacità di esercitare la piena sovranità.
Non a caso la sinistra ordo-liberista ha provveduto negli ultimi vent’anni alla massiccia campagna di privatizzazioni operata nel nostro Paese, contribuendo al decadimento della sfera pubblica, mentre la sinistra radicale, nell’opporsi alle privatizzazioni, conduce battaglie capziose nel momento in cui utilizza un linguaggio perfettamente accomodante nei confronti delle stesse, quando si riferisce alla difesa di fantomatici “beni comuni”, che si contrapporrebbero a quelli pubblici. Ma i beni o sono privati o sono pubblici, tertium non datur.
La difesa della Costituzione, con queste premesse, è del tutto fittizia. La Carta viene descritta come una bussola ma al contempo si partecipa alla sua distruzione. Per questo Montanari parla di conquistare una sovranità europea, dimentico del fatto che essa è già operante e che viene esercitata dalla UE in maniera repressiva nei confronti di chi non si adegua agli standard previsti proprio dalla forte competizione. 

LA SOVRANITA’ NAZIONALE PER DIFENDERE LA COSTITUZIONE

Vengono a compimento, in maniera definitiva, le profezie di Federico Caffé quando descriveva quella che si potrebbe definire la spirale ordo-liberista nel momento in cui le decisioni prese sulla stabilità dei prezzi diventano incongruenti con gli obiettivi della collettività, ma la stessa stabilità dei prezzi è presa, nuovamente, a modello per ovviare alle contraddizioni economico/sociali dalla stessa provocate.(7)
La sinistra, così per come si configura in Italia, dimostra la propria complicità nei due proponimenti principali dell’ordine neo-liberista: l’annientamento della democrazia e l’abbattimento delle società salariali che, proprio grazie ai partiti socialdemocratici, furono edificate dagli Stati nazionali europei del dopoguerra.
Per questo, oggi, i concetti di Patria, sovranità popolare e Costituzione sono intimamente connessi per operare in netto contrasto con il modello neo-liberista e, inoltre, il recupero della sovranità nazionale appare condizione indispensabile, non solo per il recupero della dimensione democratica e costituzionale, ma anche per immaginare la costruzione di un modello di sviluppo alternativo a quello capitalistico.  
La questione del legame tra opposizione al neo-liberismo e recupero della sovranità nazionale è stata compresa soprattutto da Jean-Luc Mélenchon in Francia, difatti nella campagna presidenziale egli ha proposto una nuova assemblea costituente e, al contempo, l’uscita della Francia dai Trattati qualora non si ovviasse alla loro, radicale, trasformazione.
In Italia, dopo venticinque anni di macelleria sociale e di annientamento del sistema produttivo, tutto ciò viene, allegramente, ignorato, per continuare a proporre liste elettorali, votate ad un ministerialismo nevrotico e che si propongono di unire le due, fantomatiche, sinistre.
NOTE
1 – Particolarmente istruttivo sul punto fu C. Wright Mills quando descrisse la nascita di questi interessi nella società americana del dopoguerra “Il liberalismo, ora quasi un denominatore comune della politica degli Stati Uniti, diventa liberalismo amministrativo, potente struttura statale che avoca a sé un maggior numero di problemi, nel cui interno le lotte politiche aperte si trasformano in procedure per pressioni amministrative” e la loro pericolosità per la tenuta della democrazia americana sin dagli anni ’50 “Ma nello stesso tempo, se il futuro della democrazia americana corre dei rischi, non è a causa di un movimento della classe lavoratrice, ma a causa della sua assenza e perché esso è sostituito da un nuovo sistema di interessi costituiti. Se questi nuovi interessi appaiono spesso particolarmente pericolosi per la struttura sociale democratica, è perché sono così grandi e tuttavia così esitanti.” (C.Wright Mills, Colletti Bianchi, Einaudi Editore, 1974)
2 – La ricaduta ideologica di tale impostazione è l’esaltazione dei diritti universalistici e l’abbandono del criterio che era alla base del Costituzionalismo moderno, quello dell’istituzionalizzazione del conflitto di classe. Il percorso attraverso il quale si è arrivati a tentare di rappresentare interessi omogenei e slegati dalle condizioni socio-economiche e il legame con la teoria neo-liberale e post-moderna è ben descritto da Gaetano Azzariti, in particolare quando afferma “Esclusa la dimensione politica e conflittuale, si teorizza che le nuove costituzioni civili post-moderne e post-nazionali debbano trarre la propria legittimazione da interessi settoriali, prodotte dalle spinte spontanee del mercato e da indeterminate forze che operano entro comunità asettiche. Costituzioni, dunque, necessariamente arrese, che finiranno inevitabilmente per porsi al servizio del potere costituito, operando in accordo con il potere selvaggio del mercato.” (Gaetano Azzariti, Contro il revisionismo costituzionale, Laterza, 2016)
3- Sulla deflazione salariale Sergio Cesaratto su asimmetrie.org 
4- Per uno studio approfondito e di facile fruibilità si rimanda agli scritti di Vladimiro Giacché e di Luciano Barra Caracciolo. Del primo si raccomanda la lettura di Costituzione contro Trattati Europei – Il conflitto inevitabile, Imprimatur, 2015; del secondo La Costituzione nella palude, Imprimatur, 2015. Giacché descrive, inoltre, come il pricipio della stabilità dei prezzi sia presente in altri articoli particolarmente significativi dei Trattati e che sia stata posta come condizione necessaria per poi poter avviare politiche anticicliche. In particolare i riferimenti sono l’art. 119 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea; l’art. 127 dello stesso che si riferisce alla politica monetaria. Il problema della stabilità dei prezzi, strettamente connesso ai limiti imposti per le politiche occupazionali è poi ulteriormente aggravato dall’approvazione in Costituzione della riforma dell’art.81 (cd Pareggio di Bilancio).
5- Sulle politiche, denominate di solidarietà nazionale, del PCI e della CGIL alla fine degli anni 70 e l’adesione degli stessi all’irreversibilità dei vincoli esterni si guardi La scomparsa della sinistra in Europa di Massimo Pivetti (Imprimatur, 2016)
6- La sinistra partecipa alla costruzione di quella che Dardot e Laval hanno definito la “ragione-mondo” neo-liberista “La ragione politica neo-liberale, nel suo stesso principio costitutivo, concentrando la realtà del potere nelle mani degli attori economici più potenti a svantaggio della gran parte dei cittadini, produce insicurezza e disciplina la popolazione, disattiva la democrazia e frammenta la società…una ragione dotata della capacità di estendere e imporre la logica del capitale a tutte le relazioni sociali fino a farne la forma stessa delle nostre vite.” (Dardot-Laval, Guerra alla democrazia-L’offensiva dell’oligarchia neo-liberista, Derive Approdi, 2016)
7- Federico Caffé, In difesa del welfare state – saggi di politica economica, Rosenberg & Sellier, 1986

giovedì 6 aprile 2017

Il FMI CI SALVERÀ DALLA GLOBALIZZAZIONE. Lo ha detto Emiliano Brancaccio di Franz Altomare

[ 6 aprile]

Franz Altomare ha qualcosa da dire in merito all'articolo di Emiliano Brancaccio Nè liberismo nè protezionismo, che abbiamo pubblicato ieri.


La prima barriera che un economista dovrebbe innalzare è quella a protezione della propria coscienza critica per impedire al dumping ideologico una deflazione del pensiero razionale.

Mi chiedo come possa definirsi scientifico l'approccio ad un problema serissimo come il fondamentalismo liberoscambista in assenza di limitazioni se la questione viene posta non per accettare le soluzioni indicate da una obiettiva valutazione dei risultati quanto per garantire l'ortodossia di una fede che considera sacrilegio ogni forma di protezione doganale ed ogni ipotesi di svalutazione competitiva di una moneta.

Questo pare essere proprio il limite di una falsa coscienza ideologica che impedisce il salto di qualità in determinate aree della sinistra.

E veniamo al punto.

Brancaccio si pone il problema di trovare soluzioni agli squilibri commerciali prodotti da uno sfrenato liberoscambismo escludendo i primi due strumenti più ovvi, ovvero forme di protezione doganale attraverso dazi e politiche monetarie che contemplino svalutazioni competitive.

Vi è una necessità razionale di rigore scientifico in questo goffo tentativo oppure è l'ennesima narrazione prodotta da un'ideologia dura a morire?

L’ideologia sentenzia in questo modo:
protezionismo=nazionalismo=destra=autarchia=fascismo=isolamento=conflittualità internazionale
svalutazione monetaria=strumento superato=inefficace.

Il discorso di Brancaccio parte bene nel riconoscere in maniera molto generica i guasti prodotti dal liberoscambismo incontrollato e dal mercato strutturalmente incapace a risolvere spontaneamente gli squilibri commerciali tra paesi dovuti agli eccessi di deficit o surplus nella bilancia dei pagamenti.
Il nostro economista riduce la globalizzazione all’unico problema degli squilibri commerciali, laddove i dazi doganali vengono alla ribalta come “un vecchio tema” senza alcun fondamento economico mentre “gli enormi squilibri globali” sarebbero “alimentati da quella ingenua visione liberista degli scambi internazionali”, declassando così le politiche neoliberiste che caratterizzano un’epoca intera ad un incidente di percorso dovuto ad una innocua, per quanto errata, visione del mondo piuttosto che alla volontà consapevole del finanzcapitalismo di accumulare profitti eliminando ogni limite e barriera e distruggendo intere economie nazionali con costi sociali e umani altissimi.

E scopriamo allora che il modo intelligente “per cercare di riequilibrare gli scambi tra paesi e favorire così uno sviluppo mondiale più disciplinato” sarebbe nel riconoscere un ruolo diversamente attivo, sulla base di qualche parola scritta nel proprio statuto, addirittura al Fondo Monetario Internazionale, il quale nel nome della giustizia planetaria si farebbe promotore di un’idea semplice e geniale: lo standard sociale.

Si tratterebbe di una non meglio specificata opera di dissuasione verso quelle economie che a causa del loro surplus nella bilancia dei pagamenti causano problemi ad economie più deboli e in disavanzo.
Queste restrizioni, non è dato sapere quali, più o meno temporanee, sarebbero in funzione della disponibilità o meno di tali paesi a cooperare al riequilibrio esterno.

In ordine decrescente d’importanza i problemi per Brancaccio sono la libera circolazione dei capitali, che andrebbe mitigata con minacce di restrizioni, al limite (ma proprio al limite) la libera circolazione delle merci e infine la libera circolazione delle persone che non è affatto un problema di tratta d'esseri umani funzionale alle politiche neoliberiste ma solo un problema ideologico di razzismo dei razzisti.

Immagino la faccia della  Merkel quando si troverà a  leggere una lettera del FMI più o meno di questo tenore:

«Gentilissima cancelliera Angela Merkel,
mai avremmo voluto scrivere quello che sta per leggere, ma lei sa bene quale compito gravoso viene attribuito al nostro istituto per difendere la libertà del commercio tutelando nello stesso tempo il diritto degli stati con economie meno virtuose a lamentarsi dei loro squilibri economici, benché addossando la responsabilità a società avanzate, competitive e volenterose come quella che lei governa.

 La prego pertanto di invitare i detentori di capitali finanziari suoi connazionali a esportare un po’ meno capitali all’estero, e se lo ritiene, al limite, ma proprio al limite e scelga lei, di rivolgere lo stesso invito agli industriali, con l’auspicio che esportino un po’ meno merci.

I populismi sono in agguato, e avversando noi ogni sorta di dazio e barriera doganale possiamo solo confidare nel senso di responsabilità di capi di governo lungimiranti.
Questo ci eviterebbe l’increscioso inconveniente di dover annunciare restrizioni alla sua amata Germania, cosa ardua da spiegare al mondo non avendo noi mai predisposto, né intendiamo farlo, alcuno strumento che possa turbare in qualche modo la serenità di popoli prosperosi come quello tedesco.

Con la speranza che la vostra illustre persona possa accogliere la nostra preghiera.
 
Cordialità,
Christine Lagarde - managing director of the IMF».
La realtà è che una certa sinistra prova a inventarsele tutte pur di non affrontare il problema delle sovranità nazionali col rischio di scontentare tanti compagni diversamente globalisti.
E’ il globalismo di sinistra, che s’illude di contenere gli effetti della mondializzazione del capitale lasciando in piedi la struttura di fondo dell’economia finanziarizzata, ovvero la libertà incondizionata dei capitali, delle merci e delle persone di circolare ovunque e comunque.

mercoledì 5 aprile 2017

NÉ LIBERISMO NÉ PROTEZIONISMO di Emiliano Brancaccio

[ 5 aprile ]

Per Brancaccio né il protezionismo, né tantomeno svalutazioni valutarie competitive, sono soluzioni sostenibili ai guasti colossali causati dagli squilibri commerciali, risultato a loro volta di un dissennato liberoscambismo. 

Brancaccio ritiene che esistano «... modi più intelligenti per cercare di riequilibrare gli scambi tra paesi e favorire così uno sviluppo mondiale più disciplinato». E indica, sulla base degli stessi principi normativi di FMI e ILO (pallide reminiscenze del keynesismo), quali potrebbero essere questi "modi più intelligenti". Francamente una soluzione che poco ci convince, non fosse perché, in ambiente capitalistico, uno sviluppo mondiale "equilibrato e più disciplinato" si è rivelato sempre una pia illusione. Vorremmo sbagliarci ma alle spalle della soluzione formale suggerita da Brancaccio sospettiamo si nasconda la sua opposizione ad una politica economica fondata sul principio della piena sovranità nazionale....


Tra liberismo e protezionismo, meglio uno “standard sociale” sugli scambi internazionali


«Trump infiamma il dibattito mondiale tra liberisti e protezionisti annunciando l’introduzione di barriere commerciali USA contro l’importazione di merci dall’Europa e dall’Asia. Come alcuni avevano previsto, la grande crisi iniziata nel 2008, in larga misura irrisolta, ha portato nuovamente alla ribalta il vecchio tema dei dazi doganali.

C’è chi grida allo scandalo ma a ben guardare la svolta di Trump non rappresenta un’eccezione: di fatto egli accelera una tendenza alla restrizione degli scambi che i dati ufficiali registravano già da alcuni anni, negli Stati Uniti e in gran parte del mondo. Per alcuni sarà difficile ammetterlo, ma siamo al cospetto di una tipica nemesi storica: proprio il liberoscambismo incontrollato degli anni passati è una delle cause dell’odierno revival protezionista.

Per anni abbiamo voluto credere che l’accumulo di deficit e di surplus verso l’estero sarebbe stato risolto dai meccanismi spontanei del mercato. Il risultato è che alla fine della scorsa decade siamo arrivati a registrare una serie straordinaria di record dei disavanzi verso l’estero degli Stati Uniti e corrispondenti avanzi commerciali di Cina e Germania, con i primi due solo in parte rientrati e il terzo che continua imperterrito la sua corsa funesta.

Oggi, dunque, ci troviamo ad addentare il frutto avvelenato degli enormi squilibri globali alimentati da quella ingenua visione liberista degli scambi internazionali. La stessa Brexit, che è stata interpretata in tanti modi creativi, andrebbe letta alla luce dell’irrisolto disavanzo britannico verso l’economia tedesca.


I più ostinati difensori del libero mercato oggi sostengono che le autorità americane e degli altri paesi in deficit farebbero meglio a lasciare che le loro monete si svalutino spontaneamente, in modo da ridare competitività alle merci nazionali senza bisogno di imporre barriere commerciali. Ma l’idea di ripristinare l’equilibrio economico tra nazioni attraverso la mera fluttuazione delle valute sui mercati è un’altra fantasia liberista. In realtà, questa soluzione scatenerebbe guerre monetarie destabilizzanti, con effetti persino peggiori di un moderato protezionismo.

Del resto, a chi si scaglia contro il ritorno dei controlli amministrativi sui conti esteri bisognerebbe ricordare che tra gli economisti non c’è consenso intorno alla dottrina del libero scambio. Il premio Nobel Paul Samuelson riconosceva che i teoremi favorevoli alla libertà dei commerci non funzionano quando c’è disoccupazione di massa. Un altro premio Nobel, Paul Krugman, ha ammesso che il liberoscambismo indiscriminato può far danni e Dani Rodrik, tra gli altri, ha più volte evidenziato i rischi di una globalizzazione finanziaria incontrollata.

In Italia, tra i favorevoli all’introduzione di forme moderate di protezionismo, tese anche a prevenire l’ascesa politica di forze ultranazionaliste, c’era Marcello de Cecco. Tutti studiosi annoverabili nel campo culturale “progressista”, ben lontani dalle nefandezze del trumpismo. La loro lezione si basa oltretutto su un’evidenza: negli anni di massimo sviluppo dell’occidente capitalistico sussistevano vari controlli sugli scambi internazionali, soprattutto di capitali ma anche di merci.

Il problema, piuttosto, è quali tipi di controlli si adottano, e in quali mercati vengono applicati. A questo riguardo, c’è motivo di sospettare che Trump non toccherà il problema prioritario degli effetti destabilizzanti della libera circolazione internazionale dei capitali, mentre insisterà con la fuorviante e retriva propaganda del blocco della circolazione di persone. Inoltre, in campo commerciale c’è il rischio che la sua amministrazione
intervenga caso per caso, magari al solo scopo di difendere le industrie degli “amici degli amici”.

Eppure esistono modi più intelligenti per cercare di riequilibrare gli scambi tra paesi e favorire così uno sviluppo mondiale più disciplinato. Preziose, in questo senso, sono le indicazioni degli organismi internazionali che si sono maggiormente occupati del problema. Al riguardo, sarebbe utile ricordare che l’International Monetary Fund (IMF) prevede ancora oggi, nel suo statuto, una clausola che ammette restrizioni agli scambi verso i paesi che si rifiutino di collaborare al riequilibrio dei commerci. Di recente, l’IMF ha pure mostrato disponibilità a riconsiderare il tema del controllo dei movimenti di capitale. Inoltre, l’International Labour Organization (ILO) propone da tempo di vincolare le transazioni con l’estero al rispetto di determinati “standard” a tutela dei lavoratori.

Proprio da una sintesi tra le indicazioni dell’IMF e dell’ILO è possibile trarre una proposta ulteriore, che potremmo chiamare “standard sociale” sui movimenti di capitale, e al limite di merci. Lo “standard sociale” si basa su un’idea in fondo semplice: mettere un freno alla circolazione internazionale dei capitali, e se necessario di merci, da e verso quei paesi che accumulino squilibri verso l’estero a colpi di tagli alla domanda effettiva, e in particolare ai salari e al welfare. Più precisamente, i paesi che accumulassero forti
squilibri nelle bilance dei pagamenti in concomitanza con politiche deflattive, potrebbero esser sottoposti a restrizioni più o meno temporanee, in funzione della loro disponibilità o meno a cooperare al riequilibrio esterno. Protetti dalle onde deflattive che provengono dalle nazioni orientate al dumping sociale, i paesi che aderissero allo “standard” potrebbero svilupparsi in modo coordinato e quindi più sostenibile.

Tra le vetuste illusioni di un liberoscambismo in rotta e le inquietanti promesse di un montante protezionismo nazionalista, l’odierna disputa sui commerci è intellettualmente sterile e non farà altro che alimentare il disordine globale. L’avvio di una discussione che rilanci le varie proposte di “standard” sugli scambi di capitali e di merci potrebbe aiutare a recuperare senno politico, e in prospettiva potrebbe contribuire a uno sviluppo più razionale e pacifico delle relazioni economiche internazionali».


martedì 21 febbraio 2017

LA ROBOTAX È UNA SCIOCCHEZZA di Emiliano Brancaccio

[ 21 febbraio ]

Sky TG24 Economia, 20 febbraio 2017


Bill Gates propone di tassare la produzione e l’uso dei robot per finanziare un fondo di tutela dei lavoratori licenziati a causa dell’automazione. Si tratta di una proposta sbagliata, un “luddismo da miliardari” di cui non si sentiva la mancanza, dice Brancaccio. 
Noi aggiungiamo: un'idea coerentemente neoliberista: il lavoro ad un minoranza, al resto un "reddito della gleba", cosmeticamente chiamato di "cittadinanza".
Il problema della disoccupazione tecnologica è reale e richiede soluzioni progressiste, sosotiene Brancaccio, soluzioni più razionali e più generali. Spunti utili, in questo senso, possono ancora scaturire dalle proposte di Keynes di ridurre l’orario di lavoro e di creare domanda e produzione di nuovi beni e servizi, pubblici e privati, per riassorbire i lavoratori espulsi dai processi produttivi. 

Ne discutono Alessandro Plateroti (Il Sole 24 Ore) ed Emiliano Brancaccio (Università del Sannio).


giovedì 28 febbraio 2013

L'EURO È UN MORTO CHE CAMMINA

Tentare un'exit strategy 
"da sinistra"

di Emiliano Brancaccio*

Lucida e rigorosa analisi. Dall'euro si può uscire da destra, con una catastrofe per le classi popolari. M5S e sinistre davanti alla  prova del nove di gestire un'uscita anticapitalista.

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