giovedì 30 gennaio 2014

LA "GHIGLIOTTINA" SARÀ PER VOI!

30 gennaio. Ci auguravamo ieri che i parlamentari Cinque Stelle tenessero duro. Così è stato. Quindi che dire? Ben fatto M5S!

La sarabanda avvenuta ieri in Parlamento ha una notevole importanza politica e simbolica. 

Contro un decreto truffaldino —un'ulteriore mutazione in senso liberista e privatistico della Banca d'Italia, nascosto dietro al paravento dell'abolizione dellla seconda rata Imu—, votato da Pd, Pdl, Ncd, Scelta civica ecc., per nome  e per conto dei vampiri delle banche d'affari, si sono opposti davvero solo i Deputati del M5S.

Indegna la pantomima dei Piddini i quali, inveendo contro i pentastellati, hanno intonato "Bella ciao", spellaggiati in ciò dai loro servi di bottega di Sel. Gravissima l'aggressione ai danni di Loredana Lupo da parte del montiano Stefano Dambruoso —il quale, figuratevi! è addirittura uno dei Questori della Camera e che prima di essere eletto era Sostituto procuratore presso il Tribunale di Milano. Si dimetta da Questore se le regole hanno un senso!

Quel che la rivolta dei Parlamentari M5S denuncia è che è in atto uno scempio, uno supro autoritario, non solo delle regole parlamentari, ma pure della Costituzione, della democrazia.

E' gravissimo che la Presidente della camera, la sellina Laura Boldrini abbia troncato d'imperio ogni discussione e
contestazione passando alla votazione del decreto truffaldino usando la regola della cosiddetta "ghigliottina". Ce ne ricorderemo signora Boldrini, di lei e dei suoi compagni di merende di Sel, truppe cammellate al soldo del regime.

Scriviamo (ore 12:30) mentre in Parlamento lo scontro tra le forze di regime e i Cinque Stelle continua e al Senato è in corso una conferenza stampa dei Senatori M5S dove viene ufficializzata la sacrosanta richiesta di impeachment del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Iniziativa sacrosanta! (Il testo dell'impeachment

Ieri, alludendo alla nuova legge elettorale proposta dal duo Renzi-Berlusconi scrivevamo:
«Il regime si sta blindando con una legge elettorale scandalosa. Come pensate di fermarlo?  Pensate davvero di difendere democrazia e Costituzione dall'assalto dei golpisti limitando la battaglia alle sceneggiate in Parlamento?»
Questa  è la questione decisiva giunti a questo punto.

Ci rincuora che diversi esponenti pentastellati abbiano detto ieri, e ripetuto oggi in Conferenza stampa: «Ora lo scontro si sposta nelle piazze».  Vedremo se M5S darà seguito a questa promessa; non è solo auspicabile, è un passo obbligato se si vuole davvero mandare a casa la banda di fuorilegge che ci governa.

Senza una Rivoluzione democratica, senza una sollevazione popolare, questo Paese non scamperà all'infasuto destino che le forze al potere stanno preparando.




mercoledì 29 gennaio 2014

L'IMBROGLIONE FIORENTINO, GLI SFRUTTATORI SVEDESI E GLI STROZZINI ITALIANI di Leonardo Mazzei

29 gennaio. Renzi ha fretta, l'Electrolux ha fretta, le banche italiane hanno fretta. Tutti hanno fretta di incassare alla svelta.

Un premio al 37% per una truffa al 100%

Il piccolo imbroglione fiorentino vuol fare il colpo grosso. Ha come compare un imbroglione d'altro calibro ed esperienza, dal quale riceve consigli, ma del quale sa di non potersi fidare del tutto. Dunque la trattativa va avanti, ma l'esito rimane incerto. Ora il numero magico è 37 (percento), stante ad indicare la nuova soglia del premio di maggioranza. Sarebbe questa la risultante delle telefonate sulla «linea rossa» Firenze-Arcore, la fenomenale mediazione tra il 35% iniziale e il 38% suggerito dal Quirinale.

Ora, cosa cambi questo aumento di due ridicoli punti percentuali dal punto di vista costituzionale, da quello dei più elementari diritti democratici, proprio non si sa. Truffa era e truffa rimane. Forse l'uomo del Colle, il lestofante numero uno che non si può criticare sennò quelli del Pd abbandonano l'aula, ha bisogno di un appiglio europeo per far passare la porcata.

E qui c'è un bel problema, perché in Europa un simile premio di maggioranza esiste in una sola nazione: la Grecia. Che sia un caso? Forse no, dato che anche in quel disgraziato paese è stato introdotto solo di recente, per l'esattezza nel 2007. Il premio ellenico è del 16% e, tornando all'Italia, con il passaggio da una soglia del 35% a quella del 37%, si abbasserebbe il premio dal precedente 18% portandolo appunto al 16%.

Ma, Grecia per Grecia, nascono allora altri problemi. Perché ad Atene il premio va al primo partito, non alla coalizione (ed in Italia, in base ai voti delle ultime politiche, il premio andrebbe al M5S...). Inoltre, il premio greco non garantisce la maggioranza assoluta, mentre lo sbarramento è per tutti al 3%. Giratela come volete, ma un sistema antidemocratico come quello congegnato dal duo Renzi-Berlusconi proprio non ha concorrenti.
[Sulle novità dell'ultimora in materia di legge elettorale vedi il PS in fondo all'articolo, Ndr]

Gli 800 euro dei salari prossimi venturi


Ma la nuova Legge Truffa non la stanno congegnando per dilettarsi con i numeri. Certo, ognuna delle bande in lotta (non chiamiamoli partiti, per favore) ha i suoi specifici interessi, in ultima analisi traducibili in numeri. Ed è di questo che si stanno occupando alacremente i rispettivi capibanda. Ed è da qui che è sbucato il sorprendente 37. C'è però qualcosa di più: l'interesse del blocco dominante ad avere un governo stabile e sicuro a garanzia di una politica antipopolare che non deve ammettere troppe indulgenze. Un interesse certo non nuovo, ma che va facendosi sempre più necessità.

E qui arriva il numero 800 (euro), che è il salario cui dichiara apertamente di tendere la Electrolux per gli operai degli stabilimenti italiani, pena il trasferimento delle fabbriche in Polonia ed Ungheria.

Ecco un altro numero su cui riflettere: ottocento. Ora la domanda dovrebbe essere: ma si può davvero vivere con ottocento euro al mese? Ognuno sa la risposta, ma proprio per questo nella politica italiana nessuno si fa la domanda.

La conseguenza è che, anziché respingere al mittente la pretesa della multinazionale svedese —magari minacciando la requisizione di impianti che hanno fra l'altro goduto di lauti finanziamenti pubblici— la parola d'ordine è «trattativa». Ma su che cosa si dovrebbe trattare, sulla misura di una fame garantita, magari passando da 800 a 900 euro?

Che questa sia la logica di chi tratta per spostarsi da un 35 ad un 37 non c'è dubbio. Ma così come due punti percentuali non rendono costituzionale una Legge Truffa coi fiocchi, non saranno i piccoli aggiustamenti a cui pensa il governo a salvare gli operai della Electrolux da un futuro di miseria.

Già, ma quella della Electrolux è «una proposta razionale», come non si è certo vergognato di dire (anzi, twittare) a caldo il finanziere Davide Serra, il miliardario finanziatore di Renzi, giusto a dimostrare come tutto si tiene.

Proposta razionale. Certo, dal punto di vista capitalistico è così. Che questo sia accettabile socialmente dovrebbe essere però tutt'altra questione. O no?

E' questo un passaggio davvero cruciale, che chiama in causa alcune questioni non più rinviabili. Esse attengono alla moneta unica, causa prima della perdita di competitività delle merci italiane, attengono alle politiche di austerità, che attraverso la crescente pressione fiscale acuiscono ancor di più questa perdita. Ma attengono altresì —e non in misura minore— ai meccanismi della globalizzazione, da cui occorre sganciarsi ricorrendo anche a misure protezionistiche a difesa delle produzioni nazionali.

Orrore, orrore, tremendo orrore! Già mi sembra di sentire le alte grida dei difensori dell'«altra Europa», quella che non esiste, ma che a loro potrebbe servire per continuare a sproloquiare da qualche scranno parlamentare. Bene, sproloquino pure, ma ci dicano almeno per una volta come pensano di far fronte al disastro salariale, e dunque sociale, che si profila. Ce lo dicano, non per noi, ma per quegli operai che ancora vorrebbero rappresentare.

Eh già, perché il caso Electrolux non è certo destinato a rimanere isolato. E se non si vogliono affrontare i nodi di cui sopra, incluso quello della moneta e di una «svalutazione esterna» (cioè monetaria) pilotata politicamente da un governo popolare d'emergenza, quello che ci attende è la «svalutazione interna», di cui il taglio salariale sarà giocoforza il piatto forte.

C'è consapevolezza di tutto ciò? Che ce l'abbiano gli altreuristi non sappiamo, anche se non vorremmo far troppo torto alla loro intelligenza. Che ce l'abbiamo gli oligarchi che ci governano non c'è invece alcun dubbio, dato che quella della «svalutazione interna» è esattamente la loro linea.

Intanto un bel regalino alle banche


E mentre il dramma sociale avanza, di cosa si occupano costoro in questa strana fine di gennaio. Ma di fare un bel regalo alle banche, ci mancherebbe! Il 2014 entra nel vivo, e con esso i controlli della Bce sulle banche [sull'Unione bancaria europea decisa dal recente Ecofin torneremo presto, Ndr]. Cosa c'è di meglio, allora, che passargli sottobanco un po' di soldi pubblici!

Già, quei soldi pubblici per i quali milioni di italiani hanno fatto anche di recente la fila per aumentarli un tot con la mini-IMU. E che sono così preziosi quando c'è da aumentare di 3 euro una pensione...

In questo caso invece no. Le banche chiamano, lo Stato risponde. Di cosa si tratta in pochi lo sanno. Mica si occupano di questo i mezzi di informazione! E poco deve occuparsene lo stesso parlamento, altrimenti - è questa la minaccia - ripristiniamo la seconda rata 2013 dell'IMU, così imparate a farvi troppe domande: ecco il democraticissimo ragionamento del governo Letta.

Stiamo ovviamente parlando dell'affaire Bankitalia, una sporca operazione che sta venendo alla luce nei suoi contorni reali solo grazie alla meritoria opposizione dei parlamentari del M5S. Contorni reali che stamattina appaiono anche sulle insospettabili pagine dell'Huffington Post.

Leggiamo:

«In cambio di un gettito extra per la tassazione una tantum delle plusvalenze, gli istituti potranno beneficiare di quote rivalutate da iscrivere al patrimonio di vigilanza in vista dei test europei e assicurarsi dividendi fino a 450 milioni di euro. In più grandi soci come Intesa e Unicredit, detentori di quote superiori al 3%, saranno costretti a vendere nei prossimi anni le proprie partecipazioni in eccesso. Al mercato, se ci saranno acquirenti. O allo Stato, che sarà obbligato a riacquistarle, con esborsi di diversi miliardi».
Se i beneficiari sono noti —trattandosi delle banche private che detengono le quote di Bankitalia— si calcola che la perdita annua per le casse dello Stato sarà di 750 milioni di euro a partire dal 2014. Bene, non contenti di ciò, ed allo scopo di imbrogliare le carte, il governo ha legato questa rapina di denaro pubblico alla seconda rata dell'IMU. Ed alla richiesta del M5S di scindere le due cose, in modo da procedere in tempi utili sull'IMU (il decreto è in scadenza), lasciando il tempo necessario alla discussione sull'affaire Bankitalia, la risposta del governo è stato un secco no.

Un'arroganza degna di chi vuol prendersi il 53% dei seggi magari con il 20% dei voti —effetto del mix tra premio di maggioranza e soglie di sbarramento, di cui ci siamo occupati in quest'altro articolo. Degna di chi pensa bene che chi sgobba per otto ore e più lo debba fare per un salario da fame. Degna di una classe politica infame, da cacciare al più presto.

PS delle 14,30 - Avevamo appena pubblicato questo articolo, quando le agenzie hanno battuto la notizia del nuovo accordo Pd-Forza Italia o, se preferite, Renzi-Berlusconi sulla legge elettorale. Il numero magico del 37% è confermato; il premio - udite, udite! - è stato "abbassato" al 15%; lo sbarramento per le liste coalizzate è "sceso" dal 5 al 4,5% (di quelle non coalizzate niente si dice); mentre viene accettata anche dal Pd la clausola salva-Lega. Di cos'altro c'è bisogno per ribadire che si tratta di una porcata al cubo, di una Legge Truffa senza precedenti?

BANKITALIA-IMU: CINQUE STELLE TENETE DURO!

29 gennaio. Volevate un'altra prova di quanto i partiti di regime fossero asserviti alle banche e prendessero per i fondelli i cittadini? E' quella messa in atto dal governo Letta, che ha accorpato in un unico decreto la sospensione della seconda rata dell'IMU con le nuove norme riguardanti la ricapitalizzazione e l'assetto di Bankitalia —norme a tutto vantaggio delle banche. Torneremo presto su quest'ultima vicenda.
Qui ci preme mettere in evidenza la diabolica astuzia dei governanti per cui, chi votasse contro il provvedimento (capestro e ingiusto) su Bankitalia, affosserebbe anche la sospensione (giusta) della seconda rata dell'Imu, che rappresenterebbe per i cittadini un salasso di circa 2,2 miliardi.
I deputati del M5S stanno giustamente facendo ostruzionismo, chiedendo lo scorporo dei due provvedimenti.
Il record dell'ipocrisia  l'ha segnato proprio il Partito democratico. In una nota del suo gruppo della Camera si sostiene: 
«L’irresponsabile atteggiamento del Movimento 5 Stelle che blocca da giorni i lavori dell’Aula rischia di far decadere il decreto che sospende il pagamento della seconda rata IMU per milioni di famiglie italiane. Se prevalesse l’interesse particolare di un gruppo a danno di quello collettivo, vi sarebbe una grave responsabilità politica di cui i parlamentari grillini dovranno rispondere ai cittadini».
Ma ciò che è ancora più incredibile è l'atteggiamento della Presidente sellina Laura Boldrini. Questa non ha escluso di applicare a fronte dell’ostruzionismo del Movimento 5 Stelle, la cosiddetta "ghigliottina", ponendo cioè in votazione con atto di'imperio il decreto prima della sua scadenza (a mezzanotte di oggi). 
Un atto gravissimo, che infatti non ha precedenti nella storia del Parlamento.
I Deputati M5S hanno promesso le barricate. Ben detto!

Ma non basta agitarsi in quell'Aula amici di M5S, le barricate occorre innalzarle nel Paese, promuovendo una vasta campagna di sensibilizzazione e mobilitazione popolare. Perché avete tutta questa paura a fare appello alla lotta dei cittadini?

Il regime si sta blindando con una legge elettorale scandalosa. Come pensate di fermarlo?  Pensate davvero di difendere democrazia e Costituzione dall'assalto dei golpisti limitando la battaglia alle sceneggiate in Parlamento?
 
Non passerà molto tempo che dovrete fare mea culpa per questo cretinismo istituzionale. Come avvenne ai tempi della famigerata legge truffa di De Gasperi, l'iniziatva istituzionale nulla potrà se non sarà accompagnata dalla sollevazione popolare.

martedì 28 gennaio 2014

QUO VADIS 9 DICEMBRE? di Daniela Di Marco e Vincenzo Baldassarri*

28 gennaio. Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

IN VISTA DELL'ASSEMBLEA NAZIONALE DEI PRESIDI E DEI COMITATI DEL MOVIMENTO 9 DICEMBRE. CHE SI SVOLGERA' A FIRENZE IL 16 FEBBRAIO.
  

«Non era necessario essere delle aquile per capire che, come ogni movimento, anche quello partito nelle strade il 9 dicembre scorso, avrebbe avuto, dopo il picco di mobilitazione, una discesa.
Già dopo due settimane di presidi esso ha iniziato a scemare. Ciò ha prodotto e non poteva non produrre, tra i tanti cittadini mobilitatisi e gli stessi attivisti di prima linea, una certa disillusione. Ma chi si illude è inevitabile che si disilluda.

Era impensabile, per chi appunto aveva senso della realtà e piedi per terra, che il movimento sarebbe stato talmente forte da tenere in piedi i presidi fino alla caduta del governo e addirittura a "mandare tutti a casa", ovvero sciogliere il Parlamento.

Noi riconsciamo al Coordinamento nazionale che ha promosso la mobilitazione del 9 dicembre la "lucida follia" di aver proclamato la "rivoluzione italiana". Decine di migliaia di cittadini sono usciti dal letargo e si sono gettati generosamente nella mischia anche grazie a questo "pazzesco" proclama.

Dietro a questa adesione spontanea, quasi istintiva, c'è tutta la rabbia diffusa contro le politiche di austerità, ma anche la disperazione di quegli strati sociali che quelle politiche hanno gettato sul lastrico.
Daniela Di Marco

Dato a Cesare quel che è di Cesare, riconosciuti i meriti di portavoce come Ferro, Calvani e Chiavegato, è venuto il momento di ragionare e di tirare un bilancio e di verificare se, al di là dei fattori oggettivi che spiegano il rinculo delle mobilitazioni, non ci siano anche responsabilità de leader nazionali.

Queste responsabilità ci sono, e come!

Il riflusso, abbiamo detto, ci sarebbe stato comunque, ma lo sfascio del Movimento si poteva e doveva evitare. Se l'offensiva va a sbattere contro le preponderanti forze del nemico, occorre evitare la ritirata, quindi impedire una rotta disordinata. Il Coordinamento nazionale è stato del tutto inadatto ad organizzare questa ritirata ordinata ed ha anzi favorito lo sfascio. I leader nazionali si sono rivelati del tutto incapaci di svolgere un adeguato ruolo di direzione. Avevano solo il "piano A" ("tutti a casa!") non un "piano B".

Dopo una settimana di proteste il Cordinamento nazionale si è così diviso in due tronconi.

Danilo Calvani, che ha continuato a urlare che occorreva insistere nell'assalto, sostenendo che la vittoria era vicina, di qui la manifestazione di Roma del 18 dicembre, strombazzata come se fosse una specie di Giudizio universale.

Dall'altra i Ferro, i Chiavegato e gli Zanon i quali, consapevoli del carattere velleitario dei proclami di Calvani, si sono dissociati dall'iniziativa, ma non hanno saputo proporre altro, né hanno avuto il coraggio di dire che una ritirata era necessaria, e quindi organizzarla per non disperdere le fila.

Tutti quanti, forse esaltatisi dalla morbosa attenzione mediatica, si sono montati la testa. Hanno rilasciato una messe di interviste, non concordandosi tra loro, dicendo le cose più diverse e strampalate, spesso dimenticando la stessa piattaforma in sette punti dalle quale la mobilitazione ha preso le mosse.
Vincenzo Baldassarri

Il Movimento è rimasto senza testa e senza direzione, ciò che ha favorito la dispersione e il disincanto.

In questo contesto il Comitato di cui facciamo parte, quello di Perugia (uno dei più attivi e l'unico che non ha subito spaccature), già il 16 dicembre, in seduta plenaria, approvò una mozione, che tra l'altro affermava:

«... (3) La divisione avvenuta in seno al Coordinamento nazionale ha messo in luce quanto questo Coordinamento sia disorganizzato, inadeguato, e incapace di indicare la strada che il Movimento dovrà seguire. Giusto stigmatizzare i proclami roboanti e velleitari di Danilo Calvani, ma altrettanto necessario
criticare i tentennamenti e le ambiguità degli altri coordinatori.
(4) Gli attivisti, i comitati locali che sono stati la spina dorsale della mobilitazione, non possono essere considerati un gregge, vanno invece chiamati a discutere e decidere come proseguire la lotta.
(5) Chiediamo quindi ai coordinatori nazionali di convocare immediatamente un’assemblea nazionale di tutti gli attivisti da svolgersi entro la fine dell’anno.
(6) Ove i coordinatori non accettassero questo nostro invito, non resta che
la via dell’autoconvocazione dal basso. Facciamo appello ai Comitati locali a
sostenere la nostra proposta».

L’Assemblea plenaria del Comitato 9 dicembre di Perugia - 16 dicembre 2013»

Questa richiesta venne inoltrata non solo a Ferro ma anche agli altri leader nazionali. Non venimmo ascoltati. Sordità pressoché totale. Ci scontrammo con una concezione notabilare e verticistica del movimento. Questa sordità, assieme ad altri indizi, fece sorgere in alcuni il sospetto che non è tutt'oro quello che riluce, che dietro ad alcuni dei leader nazionali ci fossero dei pupari che li muovevano come pedine (promettendo loro qualche poltrona?), che fosse cioè in atto un tentativo di eterodirezione del Movimento 9 dicembre, che pezzi del sistema stavano tentando di manipolare il Movimento per i loro loschi fini.

In questa circostanze l'8 gennaio, decisi a difendere l'autonomia del Movimento e a dargli continuità, rompemmo ogni indugio. A Perugia approvamo e quindi diffondemmo un comunicato dal titolo IL MOVIMENTO DEVE VIVERE, E VIVE SE RAGIONA E LOTTA che così si concludeva:

«Sarebbe un crimine, mentre abbiamo verificato la simpatia popolare verso la nostra battaglia e quanta rabbia covi tra i cittadini, vanificare quanto abbiamo fatto e disperdere le nostre energie.
Davanti alla sordità colpevole dei portavoce nazionali non c’è altra via che AUTOCONVOCARE questa ASSEMBLEA NAZIONALE.
Non possiamo stare collegati solo attraverso internet.
Dobbiamo conoscerci, guardarci negli occhi, quindi tirare un bilancio, indicare la prospettive e rilanciare la lotta, ed eleggere democraticamente un rappresentativo e unitario COORDINAMENTO NAZIONALE.
Proponiamo la data di domenica 9 febbraio. Come luogo Firenze.
Chi condivide quest’appello ce lo segnali e lo faccia circolare.
Il Comitato 9 dicembre di Perugia - 8 gennaio 2014»

Questo appello è stato presentato all'assemblea di Padova, il 19 gennaio, in cui si sono ritrovati i rappresentanti di 16 presidi del centro-nord, che lo hanno sottoscritto in pieno.
In pochi giorni abbiamo ricevuto altre adesioni inattese, contando almeno una trentina di presidi e comitati. Tenendo conto delle esigenze generali, si è deciso di posticipare l'assemblea nazionale a domenica 16 febbraio a Firenze con inizio alle ore 10:00 (presso ex Scuola E. Morante, Via G. Orsini 44. Zona Firenze Sud).

Un'assemblea molto importante, che dovrà riordinare le fila del Movimento, indicare le prossime iniziative di lotta e, soprattutto, come assicurare la sua indipendenza. A questo scopo dovrà essere ribadita e precisata la piattaforma iniziale, si dovrà decidere come costruire una più larga alleanza, se, come anche io penso, occorre dare vita ad un vasto, plurale ma unitario Comitato di Liberazione Nazionale che raccolga tutte le forze sociali e politiche che vogliono cacciare la casta di ladri, riconsegnare al popolo piena sovranità, uscire dalla gabbia dell'Euro(pa), difendere e applicare la Costituzione.

Non ci facciamo facili illusioni. Sappiamo che sarà un'assemblea difficile, tante saranno le voci, le idee, le critiche, le istanze. Tutti saremo chiamati ad una grande prova di maturità, ad ascoltare e ad essere ascoltati».


* Daniela Di Marco e Vincenzo Baldassarri sono i coordinatori del Comitato 9 Dicembre di Perugia
** Fonte: Marcia della Dignità



 

lunedì 27 gennaio 2014

LISTA TSIPRAS PER LE EUROPEE? GRAZIE ABBIAMO GIÀ DATO! di Aldo Giannuli

28 gennaio. Volentieri pubblichiamo questo intervento di Aldo Giannuli* (nella foto), politologo democratico, assurto due settimane fa alle cronache per essere stato invitato dal Movimento 5 Stelle a spiegare agli attivisti natura e differenze tra i diversi sistemi elettorali e perché quello proporzionale è il migliore possibile ed il solo coerente con la Costituzione.


«Come si sa, un gruppo di intellettuali (Camilleri, Spinelli, Flores D’Arcais, Gallino, Revelli, Viale) ha proposto di dar vita ad una lista in appoggio alla candidatura di Alexis Tsipras alla Presidenza della Commissione Europea ed ispirata all’esperienza unitaria della sinistra greca espressa dalla lista di Siriza. L’appello propone un impegno per un’Europa diversa che, pur mantenendo la moneta unica, respinga le politiche di austerità ed il fiscal compact perché: “È nostra convinzione che l’Europa debba restare l’orizzonte, perché gli Stati da soli non sono in grado di esercitare sovranità, a meno di chiudere le frontiere, far finta che l’economia-mondo non esista, impoverirsi sempre più.”

Si propone un  “piano Marshall dell’Unione, che crei posti di lavoro con comuni piani di investimento e (che) colmi il divario tra l’Europa che ce la fa e l’Europa che non ce la fa”. Inoltre si propone che l’Europa divenga unione politica dandosi una Costituzione scritta dal suo Parlamento in sede costituente. Si chiede cha la Bce abbia poteri simili a quelli della Fed (essenzialmente di emettere liquidità a discrezione e comperare titoli di debito dei paesi membri).

Per questo si auspica di “rimettere in questione due patti-capestro. Primo, il fiscal compact e il patto di complicità che lega il nostro sistema politico cleptocratico alle domande dei mercati”.

A questi fini si propone di dar vita ad “una lista promossa da movimenti e personalità della società civile, autonoma dagli apparati partitici, che candidi persone, anche con appartenenze partitiche, che non abbiano avuto incarichi elettivi e responsabilità di rilievo nell’ultimo decennio, che sostiene Tsipras ma non fa parte del Partito della Sinistra Europea che lo ha espresso come candidato”.
Alexis Tsipras


Devo dire che la proposta ha molti aspetti condivisibili: l’aperta collocazione di sinistra, il sostegno dato al leader della sinistra greca dopo il vergognoso isolamento in cui è stata lasciata la Grecia di fronte all’aggressione della “troika”, l’invito a superare la frammentazione della sinistra, il richiamo alla lotta in difesa dell’ambiente e contro la Mafia. Ed ho anche apprezzato il richiamo ai centri sociali riconosciuti come soggetto politico con cui dialogare. Dunque, non mancano i motivi che ispirano simpatia. Detto questo, è il caso di fare qualche rilievo critico.

In primo luogo non convince affatto l’impostazione politica che riprende l’abusata litania europeista, per cui è impensabile il ritorno alla sovranità monetaria nazionale perché “gli Stati da soli non sono in grado di esercitare sovranità, a meno di chiudere le frontiere, far finta che l’economia-mondo non esista”. E infatti, tutto il resto del Mondo (dagli Usa alla Cina, dal Brasile all’Inghilterra, dal Sudafrica al Giappone, dal Vietnam al Canada) ha monete nazionali e l’Europa è l’unica ad avere una moneta sovranazionale.
Perché un autorevole sociologo come Gallino, che ha scritto libri molto importanti sulla crisi in atto, sottoscrive una sciocchezza del genere? Si può preferire una moneta come l’Euro ad una moneta nazionale, ma non si può ragionare come se la moneta sovranazionale fosse la norma e quelle nazionali l’eccezione, quando la realtà concreta è esattamente l’opposto.

Veniamo al sodo: le prossime elezioni europee saranno un referendum su questa Europa e sulla sua moneta, ripeto: su “questa Europa”, non su un ideale astratto di unità europea che potremmo anche condividere, ma che non è il tema all’ordine del giorno. La proposta parla di cose che non stanno né in cielo né in terra (Piano Marshall per l’Europa debole, Unione politica, Assemblea Costituente…) ed, in nome di questi sogni, chiama a non rimettere in discussione QUESTA Europa. L’Euro non è una qualsiasi moneta che può essere utilizzata per politiche economiche differenti. E’ una precisa operazione politica funzionale a certi rapporti di forza ed a determinate politiche economiche, e non è piegabile a piacimento: se vuoi l’Euro ti devi tenere le politiche di austerità, il fiscal compact, il veto berlinese alla Bce, e tutto il resto.

Torneremo a parlarne presto su questo blog. Unione politica di Europa, Assemblea Costituente ecc? Ma di che state parlando, della Luna? Oggi non ci sono neppure le più lontane premesse di tutto questo ed i motivi per cui in sessanta anni (dico sessanta) l’unione politica non si è fatta sono ancora tutti presenti ed, anzi, sono aumentati. O pensate che domani Francia, Germania, Olanda, Inghilterra, Spagna ecc. siano disposte a sciogliere i propri stati nazionali per confluire gioiosamente in uno stato comune europeo? Dove si vede questo film?

Dunque, tutto questo è fumo e la scelta è tenersi la Ue e l’Euro così come sono o bocciarli, trovare una via d’uscita. Il resto è fumo negli occhi. La stessa fumosa astrattezza la trovo nella proposta di lista “della società civile” disposta ad ospitare partiti ed organizzazioni esistenti, ma con candidati scelti dal comitato dei saggi, che non si candideranno in prima persona. Anche qui, basta con i sogni e siamo concreti:

a- per presentare la lista occorrono 30.000 firme per ciascuna circoscrizione, e di queste almeno 3.000 devono essere iscritti in ciascuna regione della circoscrizione (e vi voglio a raccoglierle in Val d’Aosta, pena l’esclusione della lista nell’Italia nord ovest). Dunque, occorre avere un’ organizzazione capillarmente presente in ogni regione. C’è già una rete del genere che prescinda dai pur piccoli partitini della sinistra radicale?

b- Poi occorre preparare le candidature e corredarle con la documentazione necessaria;

c- Poi bisogna fare la campagna elettorale e far conoscere un simbolo ed una sigla nuovi nel giro di una manciata di settimane;

d- Infine, occorre raccogliere il 4% per entrare nel Parlamento Europeo;

Vale la pena di ricordare che siamo al 23 gennaio, si vota esattamente fra 4 mesi e 4 giorni ed ancora non sappiamo se ci sarà questa lista e che simbolo avrà, poi occorrerà scegliere i candidati, raccogliere le firme, fare la campagna elettorale. Sapete come andrà a finire? Con l’ennesima riedizione di Rivoluzione Civile, sinistra Arcobaleno, Nuova sinistra Unita… Un film visto troppe volte. I partitini, in ragione della loro presenza territoriale, si imporranno e faranno le liste a modo loro (ed il limite del non aver rivestito cariche istituzionali negli ultimi 10 anni, sempre che sia rispettato, produrrà al massimo che non candiderete il segretario del tale partitino, ma la fidanzata, l’amico del cuore o il portaborse). Verranno fuori liste indecenti, come fu l’anno scorso, ci sarà pochissimo tempo per far conoscere il nuovo simbolo (a meno che non pensiate che basti il richiamo al magico nome di Tsipras per fare il miracolo) e, manco a dirlo, l’obbiettivo sarà bucato per l’ennesima volta. Abbiamo già dato.

Questa operazione politica ha due punti deboli che la condannano sin d’ora: nasce troppo tardi ed è politicamente non significativa, perché non coglie il punto di fondo: mettere fine all’esperienza fallimentare dell’Euro. Per di più siamo in un momento di forte polarizzazione anche maggiore dell’anno scorso. A fine dicembre 2012 scrissi che lo spazio della “sinistra di sistema” era occupato dal Pd, quello dell’opposizione antisistema dal M5s e non c’era spazio intermedio. Mi pare di aver avuto ragione: Sel è andata sotto il 4 e se l’è cavata solo perché era sotto l’ombrello del Pd, Rivoluzione civile è impietosamente affondata. Ora le cose stanno messe anche peggio, sia perché al governo c’è il Pd, sia per la questione della legge elettorale: lo scontro si è radicalizzato, Sel si sta frantumando, e la cosa si pone come una conta diretta fra Pd e M5s, per gli altri c’è meno spazio di un anno fa.

Non è che in assoluto non ci sia spazio per un partito di sinistra classista in questo paese, soprattutto con la crisi che infuria, ma queste cose non si fanno in quattro e quatt’otto, come se fossero una pizza capricciosa.  Oggi, se proprio vogliamo, dovremmo stare preparando le liste per le amministrative del 2015 ed il tempo sarebbe già scarso. Per le europee i giochi sono già fatti.

Per cui, auguri compagni ed amici, vi auguro il migliore successo possibile, ma, stanti così le cose, io non ci credo».


* Fonte : Aldo Giannuli 

** Aldo Giannuli, barese, classe 1952, è ricercatore in Storia contemporanea all’Università Statale di Milano. Già consulente delle Procure di Bari, Milano (strage di piazza Fontana), Pavia, Brescia (strage di piazza della Loggia), Roma e Palermo, dal 1994 al 2001 ha collaborato con la Commissione Stragi ed è salito alla ribalta delle cronache giornalistiche quando, nel novembre 1996, ha scoperto una gran quantità di documenti non catalogati dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno, nascosti nel noto “archivio della via Appia”. Il suo ultimo libro è “Papa Francesco fra religione e politica.” Chi è, quale Chiesa si trova a governare, quali sfide globali dovrà affrontare.

domenica 26 gennaio 2014

DIVERGENZE A SINISTRA. La disputa tra Cremaschi e Pasquinelli

26 gennaio. In rete sono oramai disponibili quasi tutte le video-registrazioni dei lavori del Convegno "OLTRE L'EURO" (nella foto). Ciò grazie a diverse equipe, tra cui segnaliamo quelle di Bottega Partigiana (tra i promotori del Convegno), quelle degli amici della Me-Mmt, ed infine quelle di Eco della Rete —c'era anche un operatore di Libera TV, ma non abbiamo ancora traccia delle loro registrazioni. 
Noi abbiamo scelto, per la loro migliore qualità, le riprese fatte da Eco della Rete. Abbiamo iniziato a pubblicarle sul canale you tube di SOLLEVAZIONE
L'elenco delle prolusioni e degli interventi sin qui pubblicati lo potete vedere sulla colonna di sinistra nella home di questo sito.

Vogliamo segnalarvi gli interventi della Tavola Rotonda svoltasi la sera di sabato 11 gennaio e presieduta da Valerio Colombo. Il tema era impegnativo: "Quale società per il futuro". Partecipanti alla Tavola Rotonda: Ernesto Screpanti, Giorgio Cremaschi, Claudio Martini, Norberto Fragiacomo. Cinque diversi punti di vista che certo non coprono la vastissima gamma delle posizioni e delle ipotesi che circolano a sinistra.

Chi abbia modo di ascoltare i diversi interventi —dieci in tutto, dato che ci sono stati due giri— verificherà quanto denso e interessante sia stato il confronto. Degni di nota non solo i due interventi di Screpanti, che pur nei tempi stretti, ha disegnato l'architettura di un socialismo possibile, ma pure quelli di Fragiacomo e Martini.

Qui vogliamo segnalare la controversia tra Giorgio Cremaschi e Moreno Pasquinelli. Siamo al secondo giro di interventi. Il confronto è sulla questione del blocco sociale e delle alleanze per battere i poteri dominanti. Il giudizio di Cremaschi sul Movimento 9 Dicembre è tranchant, i "Forconi non sono nostri alleati". Ancor più categorico il suo rifiuto di ogni forma di nazionalismoe sovranismo: "Non scenderei mai in strada col tricolore", ha affermato. Ha infine concluso sostenendo che "nessuna alleanza con le detre e i fascisti, nemmeno per uscire dall'Unione europea, è possibile!".

Ferma la risposta di Pasquinelli il quale, dopo aver spiegato come il MPL si è mosso dentro il Movimento 9 dicembre, e messo in guardia da ogni approccio superficiale alla questione nazionale, ha sottolineato come nessun cambiamento rivoluzionario è possibile, tanto più in Occidente, se non si conquista il consenso almeno di ampi settori di ceto medio, tanto più di quelli distrutti e gettati sul lastrico dalle politiche della "aristocrazia capitalista dominante", se non si strappa a quest'ultima la sua base sociale di massa. Il pericolo di una rinascita del fascismo si evita solo se si va incontro alla protesta di questi strati sociali, lottando per l'egemonia, sbarazzandoci dei tabù di una sinistra che oramai è prigioniera della sua "bolla ideologica operaista".

L'INTERVENTO DI CREMASCHI



LA RISPOSTA DI PASQUINELLI


sabato 25 gennaio 2014

TONI NEGRI PERDE IL PELO, NON IL VIZIO di L.U.P.O.

25 gennaio. E' stato proprio il PRC, in vista delle elezioni europee, a proporre una lista transnazionale unitaria della sinistra con il greco Alexis Tsipras (leader di Syriza) come candidato presidente. Sarebbe una lista degli europeisti di sinistra, quelli a cui non vanno giù le politiche austeritarie e liberiste imposte dalle oligarchie europee, ma che rifiutano di andare alla radice, la moneta unica, e che quindi rifiutano ogni discorso sulla necessità rompere l'Unione e tornare alla sovranità nazionale.
A fine dicembre segnalavamo che pezzi da novanta della "borghesia progressista" come Barbara Spinelli e Flores D'Arcais sono saltati sul carro Syriza. Ora è la volta di Toni Negri.

«Toni Negri, con l’articolo scritto con Sandro Mezzadra Rompere l’incanto neoliberale: Europa, terreno di lotta,  ha deciso di sostenere un'eventuale lista Tsipras anche italiana. Negri giudica irreversibile il processo di integrazione europea e concepibili solo su tale terreno le lotte per rompere l’incanto liberista e fondare una nuova ipotesi (una volta diceva potere) costituente.

Il suo schema rimane sempre lo stesso: dove il comando capitalista ed i suoi nuovi processi di accumulazione si ritengono più avanzati lì devono necessariamente darsi le fasi più avanzate dello scontro di classe e la formazione del soggetto più avanzato del conflitto. 

Lo sosteneva anche dopo le ristrutturazioni che portarono allo smantellamento della concentrazione fordista ed al modello della fabbrica diffusa (operaio sociale); lo diceva rispetto ai processi di globalizzazione (moltitudini biopolitiche); lo diceva nel passaggio tra prima e seconda repubblica, immaginando chissà quali spazi costituenti si potessero aprire al protagonismo dei movimenti (disobbedienti od obbedientemente allineati col centrosinistra); e lo ripete oggi riguardo all’Unione Europea —almeno nell’art. si parla di nuova composizione sociale dei lavoratori e dei poveri, rimanendo nella definizione di classe più sul concreto.

In tutti i casi precedenti hanno vinto lo scontro di classe i capitalisti e tutto lascia credere che anche questa volta, se lo spazio sarà quello europeo che si pontifica, saranno i poteri eurocratici ad affermarsi definitivamente e non il portato costituente dei movimenti di lotta per diritti, reddito e welfare. E questo non tanto perché diffidiamo delle previsioni di Negri ma perché abbiamo sempre ritenuto che non nelle sue forme più avanzate ma in quelle più arretrate si danno le contraddizioni più acute, quelle che possono aprire processi rivoluzionari. O meglio le une e le altre sono modelli diversi di un organico sistema di accumulazione, che però assicura sfruttamento con un minimo di redistribuzione nei modelli avanzati e supersfruttamento nei modelli arretrati. 


Ora la cristi strutturale ha colpito anche i modelli di accumulazione occidentali che stanno perdendo terreno rispetto agli emergenti fino a ieri arretrati ma le contraddizioni più grandi si danno , limitandoci allo spazio europeo, all’interno degli stati nazionali esautorati di molte prerogative e ridotti alla mezzogiornificazione; destinati a diventare aree di sottosviluppo del sistema integrato dell’euro, se riusciranno a mantenerlo così com’é. 

Per rompere l’incanto neoliberale e per attaccare gli attuali anelli deboli che possano far saltare la catena dell’euro non è quindi reazionario porre insieme alla difesa dei diritti sociali, dei diritti del lavoro, anche la difesa della sovranità nazionale, purché la si declini come sovranità popolare e come base di una nuova solidarietà tra quei popoli e paesi più duramente colpiti dalle politiche di austerity, che impongono processi di spoliazione e concentrazioni di capitali a scapito del Sud Europa ed a vantaggio di Germania e paesi nordeuropei. 

Per pensare ad una lotta che investa uniformemente lo spazio dell’Unione bisognerebbe immaginare che i conflitti esplodano con la medesima intensità e per le stesse cause in Germania come in Grecia e diano corso a simultanei ed auspicabili processi rivoluzionari. Ci sembra uno schema di scarsa attendibilità storica.


Piuttosto che arrampicarsi su presunte aperture socialdemocratiche della Merkel, o auspicare una prossima maggioranza socialista europea, magari con una costola di sinistra che sarebbe questa famosa lista pro Tsipras-Siryza, ripulita degli elementi antieuro (ci ricorda qualcosa di già visto in Italia con i governi Prodi ed il suicidio della sua sinistra) occorrerebbe, questo si, una lista sovrastatale, ma di forze che si pongano come fronte sovranista, antiliberista e pure comunista, intento a perseguire una nuovo campo di alleanze e di scambi privilegiati, non a partire dalla moneta ma da politiche sociali ed istituzionali ispirate a reale democrazia, uguaglianza solidale e sovranità popolare. 


Dal momento che questo non si darà per le prossime elezioni teniamoci almeno quelle posizioni antieuro democratiche-sovraniste-solidali che possono darsi sul terreno nazionale e possano contendere qualcosa a formazioni come quella di Le Pen le quali, se pure le sinistre radicali continueranno a scambiare la globalizzazione per l’Internazionale, rischiano di rimanere le sole a convogliare la crescente rabbia popolare verso l’Eurocrazia e le sue istituzioni.

Che nell'articolo di Negri e Mezzadra si finisca per attribuire al salario minimo introdotto in Germania un fattore di relativa stabilità capitalistica se esteso al resto dell’Unione dovrebbe far riflettere gli estensori sulle contraddizioni in cui si incappa quando si assume il "dentro e contro" anziché il "fuori e contro"; su quali risorse pensano che si potrebbe dedurre, se non proprio sul prelievo diretto di natura finanziaria e sulla messa a valore dei beni comuni? 


Certamente il ripiego delle lotte sul terreno nazionale non ci garantirebbe da derive nazionaliste reazionarie ed ancor più liberiste ma è comunque il terreno concreto su cui si daranno le lotte dei popoli più colpiti dalla crisi, dei loro settori sociali ridotti alla povertà, anche quando useranno simboli e modalità che non ci piacciono. Non tutti saranno assorbiti dalla mobilità del vagheggiato nuovo proletariato europeo; i più dovranno starsene a casa, rinchiusi nei loro espropriati confini.

L’interesse delle elezioni europee per noi sarà tale solo se andranno forze con l’intento dichiarato di far saltare l’Unione "irreversibile"; che sabotino da dentro il processo di integrazione e diano risalto e sostegno alle lotte nazionali. Se dovessero assumere tale profilo, strumentalmente, solo forze come il Front National, meglio il boicottaggio che dar credito all’ennesima lista di imbonitori di sinistra, utili solo a dar legittimità all’Europa delle banche, magari dell’unione bancaria ma certamente non dell’unione dei popoli di cui non si vede traccia da oltre un ventennio, se non nei loro sproloqui».


Fonte: A pugno chiuso

venerdì 24 gennaio 2014

LA LEGGE TRUFFA, M5S E I "COMUNISTI" DURI E PURI di Piemme

24 gennaio. Certa sinistra è proprio... de coccio. Il Pcl di Marco Ferrando è un caso da manuale, non solo di dogmatismo settario, ma di cecità politica. 
Ma procediamo con ordine.
Leonardo Mazzei ha spiegato in modo quanto mai chiaro perché l'ipotesi di legge elettorale (cosiddetta "Italicum") partorita dal patto Renzi-Berlusconi è una gigantesca TRUFFA, ovvero sordidamente antidemocratica. Essa è tanto più scandalosa perché ribalta come niente fosse la stessa recente sentenza della Corte costituzionale che ha cancellato il famigerato Porcellum.

Contro questa legge truffa, per impedire che sia approvata, occorre dare vita ad una mobilitazione forte, fortissima. Affinché lo sia, ognuno può facilmente capirlo, occorre mettere in piedi un vasto fronte di lotta delle forze democratiche, siano esse partiti, movimenti, comitati popolari.
E' anche solo immaginabile un tale movimento di massa escludendo il Movimento 5 Stelle? Ovviamente no, assolutamente no.
Ora vi chiederete: che c'entrano il Pcl e Marco Ferrando. C'entrano, c'entrano. Ascoltate questo stralcio di intervista:


 
Errare è umano, perseverare è diabolico! Davanti al fenomeno nuovo di Cinque Stelle, certa sinistra ha gridato al "populismo reazionario". E' un fatto che il Pcl ha scelto di farsi campione di questa dabbenaggine  —alcuni sono arrivati a dire che il grillismo è un "fenomeno fascista"!

"Populismo reazionario", un sostantivo e un aggettivo inequivocabili che, se non erano giustificati ieri, sono oggi inammissibili. Ad un anno dalla folgorante avanzata elettorale di M5S, quantomeno nei suoi atti politici esemplari, M5S ha confermato quanto sostenevamo a difesa della nostra scelta di voto ai Cinque Stelle: che esso, per quanto contraddittorio e fluido, è una forza politica, certo non anticapitalista, ma con un'egemone anima democratica, la cui affermazione elettorale avrebbe non solo fatto traballare il regime ma dato coraggio alla protesta sociale. 

A conferma di quanto diciamo riguardo alla natura di M5S segnaliamo: il rifiuto della rielezione del golpista Napolitano, l'opposizione ferma al governo delle "larghe intese", i vari No ad ogni intesa coi partiti di regime, il voto contrario alla Legge austeritaria di Stabilità, la condanna (per quanto ancora zoppicante) del regime dell'euro, la richiesta di abolizione della legga razzista e liberticida Bossi-Fini, ed infine proprio l'opposizione all'accordo Renzi-Berlusconi sulla legge elettorale con la scelta del sistema proporzionale e quindi la richiesta di elezioni subito col sistema uscito dalla sentenza della Consulta.

Va bene, M5S non è un movimento anticapitalista, ma da qui a dire che è "reazionario" ce ne corre. Anche chi avesse solo una mediocre conoscenza della storia moderna, anche chi conoscesse solo l'Abc della storia delle dottrine politiche, sa che possono esistere, alle varie latitudini, forze politiche che, pur non essendo anticapitaliste, sono veracemente democratiche. Sa quindi che ogni volta che la crisi di un regime partorisce svolte autoritarie tali forze sono state alleate delle sinistra anticapitaliste.

Anche il Pcl ha fermamente condannato la legge elettorale truffa, sostenendo giustamente che essa è peggiore della legge Acerbo varata nel 1923 dal governo presieduto da Mussolini. Il Pcl quindi conclude quindi:
«La rivendicazione di una legge elettorale pienamente e integralmente proporzionale (una testa un voto, uguaglianza tra i voti, tanti voti tanti seggi) è una battaglia elementare di democrazia, che nasce storicamente col movimento operaio oltre un secolo fa, contro le leggi maggioritarie / censitarie del liberalismo borghese. Quella battaglia recupera oggi una straordinaria attualità nel momento in cui il liberalismo borghese, sotto la pressione della crisi capitalista, tende a tornare al primo 900 non solo nelle politiche sociali ma negli stessi assetti istituzionali». [sottolineatura nostra]
Ma il Pcl, fedele alla sua patetica scomunica di M5S, non vuole condurre questa decisiva battaglia contro la legge truffa con M5S, non propone alcun fronte unico. Sentiamo:
«Contro la legge truffa Renzi/Berlusconi è necessario innanzitutto il più ampio fronte unico di lotta di tutte le sinistre politiche, sindacali, di movimento, a partire da una grande manifestazione nazionale di massa».
Ancora con questa storia dell'unità delle sinistre? Quali sinistre? Ma soprattutto: quale persona dotata di senno politico può pensare di fermare la legge truffa unendo solo i rimasugli delle sinistre escludendo M5S e il vasto mondo della società civile che pur non considerandosi anticapitalista vuole difendere la Costituzione e il principio democratico della rappresentanza —tanto per fare un esempio l'ala democratica del Movimento 9 dicembre?

Il Pcl, prigioniero del suo giuramento di fede al Talmud "trotskysta", si dibatte in una evidente contraddizione: afferma che la legge truffa è un pericoloso attentato autoritario e che  respingerla è una "battaglia elementare di democrazia" ma rifiuta come un bambimo capriccioso ogni fronte unico con il M5S, e parla di unità solo con le forze anticapitaliste

Mentre il Pcl e Ferrando sono prigionieri della gabbia dogmatica in cui da soli si sono rinchiusi, coloro che hanno sale in zucca, debbono darsi da fare, costruire un blocco popolare democratico e quindi snidare M5S, spingendolo ad uscire dalla sua turris eburnea, sfidarlo a fare fronte. Il tutto tenendo presente che una battaglia per la democrazia e la difesa delle Costituzione fa tutt'uno con quella per la sovranità nazionale contro il dominio dei poteri tecno-oligarchici europei e i loro fantocci nostrani —per i cui interessi la legge truffa si vuole imporre.

Senza dimenticare, come affermato da noi e anche da M5S, che alle elezioni si può e si deve andare subito, con la legge elettorale che è emersa dalla sentenza delle Corte Costituzionale!

giovedì 23 gennaio 2014

LE PEN: COL FRANCO IN TASCA... E I CARRI ARMATI IN STRADA di Claudio Martini

23 gennaio. L'articolo di Pasquinelli Che cos'è il Front National di Marine le Pen, è stato raccolto da diversi siti e blog ed ha suscitato dibattito e polemiche. Su questa scia Martini sviluppa e radicalizza il discorso. Viene toccato un nervo scoperto, quello di chi sostiene che sull'altare dell'uscita dall'euro sono sacrificabili democrazia e diritti di libertà. La nostra posizione, quella che caratterizza il sovranismo di sinistra, è netta al riguardo: le conquiste democratiche non sono negoziabili, come le difendiamo dall'assalto globalista ed eurista, le difenderemo da ogni tentativo autoritario, anche ove fosse intrapreso da forze anti-euro.
«Ha fatto molto bene Moreno Pasquinelli a prendersi la briga di leggere e esaminare il programma elettorale del Fronte Nazionale francese. Credo ci dia la possibilità di renderci conto di cosa abbiamo a che fare. In questo post avanzerò un'ipotesi su quale siano gli autentici obiettivi di questa forza politica. Come ogni congettura è chiaramente opinabile, e inviatiamo tutti a opinarla nei commenti.



Ai miei occhi è abbastanza evidente una cosa: il cuore del programma di Marine Le Pen non è l'economia, e di conseguenza non è l'euro. Questo potrà apparire piuttosto azzardato a molti lettori. Dopotutto, nel nostro angolo di blogosfera si sta sviluppando, da mesi, un acceso dibattito sull'opportunità o meno di sostenere questa forza politica. Trattandosi di un dibattito tra elettori italiani la discussione ha come oggetto, in pratica, l'espressione di un moto di simpatia (o di avversione). Nell'ambito di tale discussione, e nella stragrande maggioranza dei casi, le simpatie al FN sono determinate dalla dichiarata ostilità all'euro e alla UE tipiche di questo partito. Anche persone con un trascorso di sinistra, convinte che l'euro sia la questione essenziale e dirimente dei nostri tempi, sono ora pronti a “sostenere” (virtualmente) Le Pen in virtù delle sue posizioni economiche. Ora, la mia ipotesi parte dall'assunzione che, tra i veri elettori potenziali del FN, e cioè tra i cittadini francesi, che parlano il francese e che seguono quotidiniamente la vita politica di quel paese, non sia la posizione sull'euro quella che genera consenso, e che la stessa Marine Le Pen non si aspetti di essere votata principalmente in virtù di tale posizione. 
Francia autunno-inverno 2005: la rivolta nelle periferie urbane
A partire dal 27 ottobre del 2005, per più di tre mesi, le banlieu francesi sono state scosse dalla rivolta sociale più grande dopo quella del maggio 1968. Animate dagli immigrati iniziarono a Clichy-sous-Bois. Inizialmente circoscritte a questo comune si sono poi estese a Montfermeil e ad altri centri del dipartimento di Senna-Saint-Denis a partire dal 1º novembre. Successivamente il fenomeno si è diffuso anche ad altre città della Francia, come Rennes, Evreux, Rouen, Lilla, Valenciennes, Lione, Digione, Tolosa, Marsiglia, Nizza. Ecc. L'8 novembre il governo francese (Sarkozy Ministro dell’interno) ha dichiarato lo Stato d’emergenza applicando la legge del 3 aprile 1955, promulgata durante la Guerra D’Algeria. Il 14 novembre è stato prolungato per altri 3 mesi. La repressione fu brutale, migliaia di giovani vennero processati e arrestati. In alcune zone il Front National costitui vere e proprie milizie per la caccia ai giovani immigrati (in alcuni casi vi parteciparono anche militanti di sinistra).


Facciamo per un attimo astrazione dalla questione dell'euro. L'insieme del programma economico che stiamo esaminando è correttamente inserito da Pasquinelli nel filone del keynesismo moderato. Esso non implica scelte molto rivoluzionarie, specie se teniamo presente il contesto sociale nel quale è calato: in Francia l'intervento dello Stato nell'economia è una realtà ben viva e operante, lo stato sociale francese è con tutta probabilità il più avanzato tra quelli dei grandi paesi europei, e le misure protezionistiche non sono certo un fenomeno inedito nel panorama politico d'Oltralpe (basta pensare al complesso di tutele di cui gode in Francia il settore agricolo). A colpo d'occhio, buona parte di queste misure sono attuabili già oggi, a Trattati vigenti. Nulla di sensazionale, e sopratutto nulla che possa scatenare ondate di consenso.



A mio avviso il vero fulcro della proposta politica del FN, il motivo per cui i francesi lo votano, si ritrova nella seconda parte dell'articolo di Pasquinelli, quando il nostro passa in rassegna le proposte di riforma nell'ambito del diritto penale. Mi spiego meglio.

Cio che rende popolare l'opzione FN nell'elettorato francese è il richiamo all'identità nazionale. In un mondo in cui si sono smarriti molti dei tradizionali punti di riferimento, l'Idea di Francia può rappresentare un valido “ancoraggio” per molte persone.

Come si realizza l'Idea? Con scelte concrete che riaffermino il potere dell'ente che la incarna, lo Stato. Lo Stato riafferma la sua sovranità in primo luogo mostrando la sua efficiacia punitiva. Se il tipico programma liberista consiste nel sostituire lo Stato Sociale con quello Penale, Le Pen vuole tener fermo il primo ed espandere enormemente il secondo. Non è contraddittorio: è la tradizione dei fascismi1.
Ottobre 2005: le periferie parigine in rivolta

L'espansione del penale comporta cesure veramente notevoli con la tradizione giuridica (e costituzionale) dell'Europa degli ultimi decenni. Non si tratta solo di portare alle estreme conseguenze il revanchismo penale: questo esige di rendere più duri i regimi delle pene detentive, inasprire le sanzioni, dare più poteri alla polizia e meno diritti a imputati e carcerati, e inaugurare una politica di tolleranza zero. Si parla di reintrodurre la pena di morte. Si parla di creare particolari delitti di opinione, in particolare quello di manifestazioni a sostegno dei diritti dei clandestini. E tutto quanto caratterizzato da un chiaro segno ideologico: l'espansione del dispositivo penale non è rivolta solo contro il criminale, accontentando i milioni che, come cantava Jannacci, votano Almirante perché hanno paura dei ladri; è rivolta contro il criminale, il terrorista, il sovversivo, arabo, islamico, maghrebino, straniero, di colore. Nella retorica di Le Pen le tematiche del penale e quella della lotta ai nemici culturali della Francia (bianca e cristiana) sono costantemente intrecciate. Con lo strumento penale si vogliono difendere l'identità, l'omogeneità e l'ordine dei souschien, della comunità dei francesi “autoctoni”.



Putroppo per il FN, tutti questi obiettivi sono in netto contrasto con le disposizioni (e con l'interpretazione consolidata) della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. E la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, che sul rispetto di quelle norme vigila, ha in Francia un peso maggiore di quella che ha in Italia, perché di fatto svolge, in quel paese, un ruolo simile a quello qui svolto dalla Corte Costituzionale2.

Ecco la sovranità che Le Pen vuole riconquistare, mediante un vero e proprio tuffo nel passato: quella dello Stato contro i cittadini- e ovviamente contro i non cittadini, gli stranieri, da vessare e discriminare. Ed ecco perché l'Europa (meglio, la CEDU) va tolta di mezzo.

Rivelatore, in questo senso, è un altro passaggio del programma del Fronte: quello relativo alle spese militari. Nel testo si dice chiaramente che la Francia deve riarmarsi.

Che senso può avere questa posizione? La Francia dispone già di uno dei primi eserciti del mondo, nonché di un cospicuo arsenale nucleare. Perché rafforzare ulteriormente le forze armate? A chi vuole fare la guerra Marine Le Pen?

Di primo acchito si potrebbe sospettare di una qualche velleità neo-coloniale da parte della Francia frontista. Altrimenti perché rilanciare la marina militare, pur con la scusa di dover pattugliare l'immenso territorio marittimo ereditato dal passato Impero?

Tuttavia, chi ha seguito le vicende politiche concernenti il FN in questi anni sa che questo partito non ha una particolare “proiezione internazionale”. Si sarebbe tentati di definirlo isolazionista. Il FN si è opposto a tutte le avventure militari in cui la Francia è stata coinvolta o stava per essere coinvolta. È per il ritiro delle truppe in “missione di pace” (dubito che a Parigi le chiamino così). Le Pen va in brodo di giuggiole per Assad e Putin, dunque era contraria all'intervento contro il regime di Damasco. Quindi non si direbbe questo il fronte di impiego privilegiato del nuovo esercito francese. Escludendo che si vogliano rinverdire i fasti dello sciovinismo anti-tedesco, anche se magari qualcuno ci spera, la domanda sembra rimanere senza risposta.



Eppure è ovvio. Marine Le Pen vuole schierare l'esercito in Francia. Il nemico infatti non si trova all'esterno dei patri confini, ma al loro interno. All'uopo viene creato un corpo militare speciale:



Une Garde nationale de 50000 réservistes hommes et femmes sera constituée sur l’ensemble du territoire (outre-mer compris) et mobilisable dans un bref délai.



Marine Le Pen vuole i carri armati nelle banlieues. Il dispositivo militare qui delineato è, con tutta evidenza, volto rafforzare e rendere invincibile lo strumento della repressione penale interna.

Milioni e milioni di uomini, donne e bambini, provenienti da mille angoli del mondo, abitano le periferie e gli agglomerati urbani francesi, e minacciano l'ordine, la sicurezza e l'identità tradizionale della Francia. Sono una sentina di rivolte, criminalità e terrorismo. Contro di essi lo Stato, finalmente liberato dai lacci europei e dagli scrupoli degli intellettuali di sinistra, potrà e dovrà utilizzare tutti i mezzi necessari, con tutta la durezza necessaria.

Ecco il cuore della programma del FN. Ecco il motivo per cui milioni di francesi lo votano. Di fronte a tutto ciò, il programma economico è poco più di un dettaglio; ed esso è tanto meno importante quanto più si riflette sulle prospettive che l'implementazione pratiche di quel programma dischiude. Non è azzardato sostenere che quelle misure, ancor prima che a una involuzione autoritaria dello Stato francese, preludano a qualcosa di abbastanza vicino ad una guerra civile in Francia.

Questa è solo un'ipotesi, ma la giudico molto realistica. E da questa ipotesi vorrei provare a trarre una riflessione, forse persino un insegnamento.
Francia autunno-inverno 2005: la rivolta nelle periferie urbane

Noi parliamo troppo di economia. Gli economisti, come una volta ha affermato Emiliano Brancaccio, hanno un peso eccessivo nel dibattito pubblico. Ma le grandi scelte politiche, quelle che capaci di coinvolgere le passioni (o le paure, o i cattivi sentimenti) di milioni di persone, sono quelle che riguardano altre sfere della vita sociale. Senza voler fare riferimento ai temi della pace e della guerra, sempre latenti ma in qualche modo lontani dall'attualità in questi tempi senza conflitti armati (almeno in Europa), si può dire che ciò che “scalda” le masse sono le grandi questioni attinenti all'identità: chi siamo, qual è il nome della nostra comunità, chi ha diritto di prendere le decisioni, quale punizione è la più opportuna per chi infrange le regole della comunità... Tutte le forze politiche che, negli ultimi anni, a livello europeo, hanno registrato un fortissimo aumento dei consensi e dell'influenza politica, sapevano essere padrone delle questioni legate all'identità3. Quelle forze che invece hanno messo al centro le questioni economiche sono, in genere, naufragate miseramente4.

Ciò dovrebbe metterci in guardia dal giudicare un movimento politico solo in base a (ma anche a partire da) le sue posizioni in materia economica. Come spero di aver dimostrato, tale criterio si rivela foriero di gravissimi errori. La vera cartina di tornasole sono le posizioni “identitarie”, che poi sono quelle che incidono sui diritti, sui doveri, sulle libertà. Chi comanda, cosa è vietato e cosa è obbligatorio, quali sono le condizioni alle quali la comunità può sopprimere i diritti del singolo: tutte queste sono questioni più importanti e decisive delle tecniche di controllo della massa monetaria o del corso dei cambi; e l'economia, con tutte le sue tecnicalità, assume rilevanza politica solo in quanto influisce sulle questioni sopra menzionate.  
Altrimenti, è roba da bloggers».

NOTE


1 Non voglio entrare nell'inutilissima questione se il FN sia qualificabile o meno come partito fascista. Scegliendo un approccio “letteralista”, patrimonio tipico dei simpatizzanti di Le Pen, il FN non è un partito fascista perché non è una formazione politica identica a quelle tedesche e italiane degli anni 30, e non opera in un contesto paragonabile. Ma questa considerazione, indiscutibilmente corretta, non sposta un'acca nel giudizio che possiamo avere di questa forza politica. Di sicuro il FN ha molti punti in comune con la tradizione dei fascismi e delle estreme destre europee, ed è tra l'altro l'unico partito europeo ad aver attuato una successione dinastica nella propria posizione di comando. E questi non sono assunti che una qualsiasi persona ragionevole si sentirebbe mai di smentire.


2Solo di recente la Francia ha inaugurato un sistema di controllo giudiziale (successivo) di costituzionalità delle leggi, e ancor oggi il Consiglio Costituzionale ha poteri limitati rispetto alle omologhe corti tedesche, italiane e spagnole. Dunque per anni il controllo sul rispetto dei diritti fondamentali, da parte del legislatore francese, lo ha svolto soltanto la CEDU.

3Vengono alla mente, oltre al FN, anche Alba Dorata e il Movimento Cinque Stelle. Ovviamente questi movimenti hanno usato il tema dell'identità in maniera molto diversa. Per AD l'identità è quella greca etnica, minacciata dagli immigrati, che perciò vanno sterminati e scacciati. Per il M5S l'identità è quella dei cittadini italiani comuni, espropriati dal un ceto politico oligarchico e anti-democratico: il cuore del programma è dunque la riconquista della democrazia. Per quanto riguarda le forze politiche che, almeno in Italia, hanno costruito le loro (effimere) fortune sulla questione del penale, possiamo ricordare la Lega Nord e l'Italia dei Valori. 

4I primi esempi che vengono alla mente sono, in Italia, Scelta Civica e Fermare il Declino; in Germania Alternative fur Deutschland. A ben guardare il puntare moltissimo sull'economia potrebbe essere considerato una tara propria anche dei partiti della sinistra radicale.

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