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mercoledì 31 ottobre 2018

CHE CI DICE L'ELOGIO SALVINIANO DI BOLSONARO di Piemme

[ 31 ottobre 2018 ]

Fabrizio Marchi su l'interferenza dice l'essenziale del neopresidente del Brasile Jair Bolsonaro:
«Bolsonaro è la sintesi del peggio che possa esistere al mondo. Ammiratore di Hitler per sua stessa ammissione, nostalgico delle feroci dittature militari (sponsorizzate e armate dagli USA) che per quasi mezzo secolo hanno letteralmente insanguinato l’intero continente latinoamericano, ultra filosionista (in una delle sue primissime dichiarazioni ha annunciato la decisione di chiudere l’ambasciata palestinese), ultraliberista in politica economica, omofobo, integralista religioso (più per opportunismo che per fede…), seguace fanatico delle sette evangeliche che dagli Stati Uniti stanno da tempo colonizzando l’America Latina, filo americano, antisocialista e anti comunista viscerale, appoggiato da Trump, Bannon, e naturalmente da Netanyahu e da tutta la destra e l’estrema destra sud e nord americana, israeliana ed europea, Bolsonaro è il simbolo della “riscossa” reazionaria in America Latina».
Non dice, Marchi, le immense responsabilità che un quindicennio di governi del PT lulista hanno avuto nel causare la vittoria di questo energumeno — politiche liberiste che hanno accresciuto a dismisura le già enormi diseguaglianze sociali, una gestione nepotistica e corruttiva del potere.


Ma non è questo adesso il punto; condividiamo del pezzo del Marchi il ribrezzo per lo sconcio e sguaiato appoggio che Salvini ha promesso a  Bolsonaro.

Con l'esaltazione di Bolsonaro Matteo Salvini ha compiuto un'altro passo o strappo per attestare la sua Lega nel campo della destra reazionaria —alla faccia di certi amici che ce la menano col discorso che sarebbe finita la "dicotomia sinistra-destra": la verità è che più la sinistra si imputridisce e s'inabissa nel campo liberale, più le destre avanzano, per di più secernendo le pulsioni più antidemocratiche.

Poi però il Marchi giunge a questa conclusione:
«Sbandiera la sua amicizia [di Salvini, ndr] con Putin ma di fatto è parte organica dell’“Internazionale nera e liberista” guidata appunto da Trump, Bannon e Netanyahu».
Ecco come, nella comprensibile foga polemica, si passa dalla ragione al torto. Tre errori, a me sembra, in due righe.
(1) E' sbagliato dedurre da un tweet che Salvini stia portando la Lega nella “Internazionale nera e liberista guidata da Trump, Bannon e Netanyahu". Lo so che sembra banale rispondere che "le cose sono molto più complesse" ma... le cose sono effettivamente più complesse. E' quantomeno prematuro sostenere che Salvini sia un finto filo-russo e un vero filo-americano. Chi vivrà vedrà.
(2) Tanto più perché non esiste una "internazionale", ovvero un blocco omogeneo e strategico tra Trump, Bannon e Netanyahu. Bannon non è fantoccio di Trump e Netanyahu gioca in Medio oriente la sua partita geopolitica, essa collima per molti aspetti con le mosse di Trump, ma è una convergenza di fase, non un matrimonio strategico. 
(3) E ove ci sia questo blocco perché aggettivarlo come "internazionale nera"? Il solito errore di certa sinistra quello di semplificare e ridurre a caricature e mere duplicazioni processi storici complessi, spazzando quindi via le loro peculiarità (di notte tutte le vacche sono... nere e ... fasciste, liberiste, non fa differenza). 

Occorre combattere la reazione che monta prepotente nel mondo ma per farlo occorre ben inquadrare e mettere a fuoco questo nemico per scoprirne i punti deboli, per anticipare le sue mosse, per colpirlo nel modo giusto.

Non mi risulta che coloro che affermano che questi populismi di destra avanzanti siano fascisti punto, si stiano preparando a passare alla clandestinità o all'esilio (dove? in Russia?), la qual cosa sarebbe, visto lo stato in cui versa la sinistra rivoluzionaria, la sola cosa sensata. 

Ps
Occorre poi stare molto attenti a tutto questo "gridare al lupo! al lupo!". Sempre più diventa un pretesto per una posizione indifferentista davanti alla insubordinazione del governo giallo-verde verso l'oligarchia eurocratica ed i suoi diktat. Come dire: "che ce ne può fregare della sovranità nazionale e di rompere la gabbia europea se poi avremo il fascismo in Italia?". Un indifferentismo che a ben vedere implica considerare la gabbia eurista il "male minore". Mi sbaglio?

domenica 30 giugno 2013

BRASILE: PANEM, CIRCENSES ET RIVOLTA POPOLARE di Attilio Boron

30 giugno. Le grandi manifestazioni popolari di protesta in Brasile hanno demolito in pratica una premessa coltivata dalla destra, e assunta anche da diverse formazioni di sinistra – a cominciare dal PT (1) e continuando con i suoi alleati: se si fossero garantiti "panem et circenses" il popolo – disorganizzato, depoliticizzato, deluso da dieci anni di governo del PT – avrebbe docilmente accettato che l'alleanza tra le vecchie e le nuove oligarchie continuasse a governare senza scosse.

La continuità e l'efficacia del programma della "Borsa Famiglia" (2) assicurava il pane, e la Coppa del Mondo e il suo preludio - la Coppa delle Confederazioni - e poi i Giochi Olimpici, avrebbero portato il "circo" necessario a consolidare la passività politica dei brasiliani.

Questa visione, non solo sbagliata ma profondamente reazionaria (e quasi sempre razzista) è stata fatta a pezzettini in questi giorni, il che rivela la corta memoria storica e il pericoloso autismo della classe dominante e dei suoi rappresentanti politici, che si sono dimenticati che il popolo brasiliano ha saputo essere protagonista di grandi giornate di lotta e che i suoi periodi di quietismo e passività si sono alternati a episodi di improvvisa mobilitazione che hanno indebolito gli stretti margini oligarchici di uno stato democratico solo superficialmente.

Basta ricordare le mobilitazioni popolari di massa che imposero l'elezione diretta del presidente agli inizi degli anni '80; quelle che resero possibile la caduta di Fernando Collor de Mello nel 1992 e l'ondata crescente di lotte popolari che resero possibile il trionfo di Lula nel 2002.

Il quietismo seguente, fomentato da un governo che aveva scelto di governare con e per i ricchi e i potenti, ha creato l'erronea impressione che l'espansione del consumo di un ampio strato dell'universo popolare fosse sufficiente per garantire a tempo indefinito il consenso sociale.

Una sociologia pessima si è combinata con l'arroganza traditrice di una tecnocrazia statale che, nel perdere la memoria, ha fatto sì che gli avvenimenti di queste settimane fossero così sorprendenti come un fulmine in un giorno limpido. La sorpresa ha ammutolito una dirigenza politica con il discorso facile e ad effetto, che non è riuscita a capire – e meno ancora a contenere – lo tsunami politico che irrompeva niente meno che nel bel mezzo dei fasti calcistici della Coppa delle Confederazioni. Notevole è stata la lentezza della risposta governativa, dalle istituzioni municipali ai governi degli stati e dello stesso governo federale.

Opinionisti e analisti vicini al governo ora insistono a mettere sotto osservazione queste manifestazioni, segnalando il loro carattere caotico, la mancanza di guida, l'assenza di un progetto politico di ricambio. Sarebbe meglio che, invece di esaltare le virtù di un fantasioso "post-neoliberismo" di Brasilia e di pensare che quanto è successo ha a che vedere con la mancanza di politiche governative rispetto a un nuovo attore sociale, la gioventù, dirigessero i loro sguardi verso i deficits della gestione governativa del PT e dei suoi alleati su un ampio ventaglio di temi cruciali per il benessere della cittadinanza.

Ritenere che le proteste siano state causate dall'aumento di 20 centavos di real nel trasporto pubblico di San Paolo è lo stesso, fatte salve le debite proporzioni, che affermare che la Rivoluzione Francese avvenne perché, come si sa, alcune panetterie della zona della Bastiglia avevano aumentato di pochi centesimi il prezzo del pane.

Questi propagandisti confondono il detonatore della ribellione popolare con le cause profonde che la causano, che parlano della relazione con l'enorme debito sociale della democrazia brasiliana, appena attenuato negli ultimi anni del governo Lula.

Il detonatore, l'aumento del prezzo del biglietto del trasporto urbano, ha avuto efficacia perché, secondo alcuni calcoli, per un lavoratore che guadagna appena il salario minimo a San Paolo, il costo giornaliero del trasporto per arrivare sul posto di lavoro equivale ad un poco di più di un quarto delle sue entrate. Ma questo fatto da solo ha scatenato l'ondata di proteste perché si è combinato con la pessima situazione dei servizi di salute pubblica, con il tratto classista e razzista dell'accesso all'educazione, con la corruzione governativa (un indicatore: la presidente Dilma Rousseff ha mandato via diversi ministri per questa ragione), con la ferocia repressiva impropria di uno stato che si proclama democratico e con l'arroganza tecnocratica dei governanti, a tutti i livelli, davanti alle richieste popolari che sono sistematicamente disattese: è il caso della riforma della previdenza sociale o della paralizzata Riforma Agraria, o i reclami dei popoli originari di fronte alla costruzione di grandi dighe in Amazzonia.

Con questi problemi in sospeso, parlare di "post-neoliberismo" rivela, nel migliore dei casi, indolenza dello spirito critico; nel peggiore, una deplorevole sottomissione senza condizioni al discorso ufficiale.

All'esplosiva combinazione segnalata sopra, bisogna aggiungere il crescente abisso che separa l'uomo comune dalla partitocrazia governativa, incessante tessitrice di ogni tipo di alleanze e trasformismi che burlano la volontà dell'elettorato, sacrificando identità partitiche e adesioni ideologiche. Non a caso tutte le manifestazioni esprimevano il rifiuto dei partiti politici.

Un indicatore del costo fenomenale di questa partitocrazia – che sottrae all'erario pubblico risorse che potrebbero essere destinate agli investimenti sociali – viene dato da quello che in Brasile si chiama Fondo Partitico, che finanzia il mantenimento di una macchina meramente elettoralistica e che nulla ha a che vedere con quel "principe collettivo", sintetizzatore della volontà nazional-popolare di cui parlava Antonio Gramsci.

Un solo dato sarà sufficiente: nonostante la popolazione chieda, infruttuosamente, maggiori investimenti per migliorare i servizi di base che "fanno" la qualità della democrazia, il summenzionato Fondo è passato dal distribuire 729.000 reales nel 1994 alla bellezza di 350.000.000 reales nel 2012, e sta per essere aumentato nuovamente nel corso di quest'anno. Questa enorme cifra parla con eloquenza della fenditura che separa i rappresentanti dai rappresentati: né i salari reali, né l'investimento sociale in salute, educazione, case e trasporti hanno avuto la prodigiosa progressione sperimentata da una classe politica completamente separata dal suo popolo e che non vive per la politica ma che vive, e molto bene, della politica, sulla pelle del suo stesso popolo.

E' tutto? No, c'è qualcos'altro che ha provocato la furia dei cittadini: i conti esorbitanti di cui si fa carico Brasilia per un'assurda "politica del prestigio" incamminata a trasformare il Brasile in un "giocatore globale" nella politica internazionale. La Coppa del Mondo della FIFA e i Giochi Olimpici esigeranno enormi esborsi che avrebbero potuto essere utilizzati più proficuamente per risolvere annosi problemi che toccano le classi popolari. Sarebbe stato meglio ricordare che il Messico organizzò non una ma due Coppe del Mondo nel 1970 e nel 1986, e i Giochi Olimpici del 1968. Nessuno di questi grandi fasti trasformò il Messico in giocatore globale della politica mondiale: servirono invece a occultare i problemi reali che sarebbero venuti alla luce impetuosamente nel decennio degli anni '90 e che perdurano ancor oggi.

Secondo la legge approvata dal congresso brasiliano, la Coppa del Mondo dispone di un bilancio iniziale di 13.600 milioni di dollari, che sicuramente aumenteranno via via che l'inaugurazione dell'evento si avvicinerà, e si stima che i Giochi Olimpici richiederanno una somma ancor più grande. Conviene qui ricordare una frase di Adam Smith, quando diceva che "ciò che è imprudenza e follia nella gestione del bilancio familiare non può essere responsabilità e saggezza nella gestione delle finanze del regno". Chi, in casa sua, non dispone di entrate sufficienti a garantire la salute, l'educazione e un'abitazione adeguata per la sua famiglia non può essere elogiato quando spende ciò che non ha in una costosissima festa.

La dimensione di questa assurdità può essere scritta in un grafico, come osserva con perspicacia il sociologo e economista brasiliano Carlos Eduardo Martins, quando compara il costo del programma "Borsa famiglia", 20.000 milioni di reales, con quanto divorano gli interessi del debito pubblico: 240.000 milioni di reales. Tradotto, in un anno i pescecani finanziari del Brasile e dell'estero, i bambini viziati del governo, ricevono quale compenso dei loro prestiti-trappola l'equivalente di 12 piani "Borsa Famiglia" all'anno.

Secondo uno studio della Revisione Cittadina del Debito, nell'anno 2012 la spesa per interessi e ammortizzazioni del debito pubblico ha raggiunto il 47,19% del bilancio nazionale; di contro, alla salute pubblica è stato dedicato il 3,98%; all'educazione il 3,18% e al trasporto l'1,21%. Con questo non si vuole diminuire l'importanza del programma "Borsa famiglia", ma sottolineare la scandalosa emorragia originata da un debito pubblico – illegittimo fino al midollo – che ha fatto dei banchieri e degli speculatori finanziari i principali beneficiari della democrazia brasiliana o, più precisamente, della plutocrazia regnante in Brasile.

Per questo ha ragione Martins quando osserva che la dimensione della crisi esige qualcosa di più che riunioni di gabinetto e conversazioni con alcuni leaders dei movimenti sociali organizzati. Egli propone, invece, la realizzazione di un plebiscito per una riforma costituzionale che tagli i poteri della partitocrazia e dia realmente potere alla cittadinanza; o per derogare la legge di auto-amnistia della dittatura; o per realizzare una revisione integrale sulla oscura genesi dello scandaloso debito pubblico (come ha fatto Rafael Correa in Ecuador).

Aggiunge anche che non basta dire che il 100% delle royalties originate dallo sfruttamento dell'enorme giacimento petrolifero di Pre-Sal verranno dedicate, come ha dichiarato Rousseff, all'educazione, nella misura in cui non si dice quale sarà la proporzione che lo stato prenderà dalle imprese petrolifere. In Venezuela e in Ecuador lo stato trattiene come royalties tra l'80 e l'85% di quanto prodotto ai pozzi. E in Brasile chi fisserà la percentuale? Il mercato? Perché non stabilirlo attraverso una democratica consultazione popolare?

Come si può dedurre da tutto quanto sopra, è impossibile ridurre la causa delle proteste popolari in Brasile ad uno scoppio giovanile. E' prematuro prevedere quale sarà il futuro di queste manifestazioni, ma di qualcosa siamo sicuri. Il "Che se ne vadano tutti" dell'Argentina del 2001-2002 non riuscì a costituirsi come un'alternativa di potere, ma per lo meno segnalò i limiti che nessun governo poteva tornare ad oltrepassare, sotto pena di essere rovesciato da una nuova insorgenza popolare. Di più, le grandi mobilitazioni popolari in Bolivia e Ecuador dimostrarono che la loro debolezza e la loro inorganicità – come quelle che ci sono oggi in Brasile – non impedirono di abbattere i governanti che agivano in favore dei ricchi.

Le masse scese in strada in più di 100 città brasiliane possono forse non sapere dove vanno ma, nella loro marcia, possono farla finita con un governo che ha scelto chiaramente di porsi al servizio del capitale.

Brasilia farebbe molto bene a guardare quanto successo nei paesi vicini e a prender nota di questa lezione, che fa presagire crescenti livelli di ingovernabilità se continua nella sua alleanza con la destra, con i monopoli, con gli agro-affari, con il capitale finanziario, con gli speculatori che dissanguano il bilancio pubblico del Brasile.

L'unica soluzione a tutto questo è attraverso la sinistra, potenziando – non nelle parole ma nei fati concreti – il protagonismo popolare e adottando politiche coerenti con il nuovo sistema di alleanze. Non sarebbe esagerato pronosticare che un nuovo ciclo di ascesa delle lotte stia iniziando all'interno del gigante sudamericano. Se fosse così, la cosa più probabile sarebbe un ri-orientamento della politica brasiliana, il che sarebbe una notizia eccellente per la causa dell'emancipazione del Brasile e di tutta la Nostra America.


Note:

(1) Partito dei Lavoratori, al governo, a cui appartiene la presidente Dilma Rousseff

(2) Insieme di programmi di aiuti alimentari dello Stato, legati all'obbligo di frequenza della scuola per i bambini delle famiglie che ne beneficiano.


da rebelion.org
(*) Politologo argentino

** traduzione di Daniela Trollio - Centro di Iniziativa Proletaria "G. Tagarelli" - Via Magenta 88 Sesto San Giovanni

sabato 22 giugno 2013

SFIDUCIATI, VI INSEGNA QUALCOSA IL BRASILE? di Piemme

22 giugno. C'è diversa gente in giro che pensa che il governo del Partito dei lavoratori brasiliano sia un esempio se non un modello da seguire. Ogni volta che mettevamo in guardia da queste illusioni ci si rispondeva con la solita musica: "non vi va mai bene un cazzo". Ci sono poi altri che ci criticano come visionari perché pensiamo che solo con una sollevazione popolare sarà possibile cambiare lo stato di cose esistente. "Non si vede all'orizzonte alcuna sollevazione! Campa cavallo..."

Ma andiamo con ordine.

Scrivevo nell'ottobre 2010, a margine delle elezioni che portarono Dilma Roussef alla vittoria su Marina Silva:
«Il miracolo brasiliano, se ha parzialmente risolto il problema della povertà assoluta per milioni di cittadini, ha infatti prodotto nuovi squilibri sociali e devastazioni ambientali crescenti (di qui il successo della Marina Silva). Sul medio lungo periodo questo sviluppo accelerato e distorto è destinato a produrre nuove povertà e nuove contraddizioni sociali. (...)
Ci sarà un momento, come dicevamo, in cui i nodi verranno al pettine, e gli enormi squilibri sociali per adesso attutiti dal miracolo, esploderanno in maniera deflagrante. Il boom infatti dipende non solo dall'arguta politica estera sud-sud di Lula (per farsene un'idea vedi l'articolo di Celso Amorin su Il sole 24 Ore del 2 ottobre 2010) ma dalla congiuntura internazionale. La crisi valutaria (la divisa brasiliana continua ad apprezzarsi minacciando la spinta esportativa mentre dollaro euro e yen si svalutano e il cinese renminbin non si rivaluta che a passo di lumaca) e un nuovo crollo del sistema fianziario, metterebbero anche l'economia brasiliana in ginocchio. Addio boom, bye bye lulismo». Brasile l'altra faccia del miracolo
Atene 2010....
L'enorme ondata di proteste popolari, esplosa una settimana fa dopo che diverse amministrazioni avevano deciso di aumentare il costo dei trasporti urbani per finanziare le grandi opere in vista dei mondiali di calcio è anzitutto la prova provata del carattere essenzialmente neoliberista del modello sociale lulista. All'ombra del governo del Pt il capitalismo brasiliano si è fatto strada nel mondo, la borghesia carioca si è ingrassata, ampi settori di ceto medio hanno avuto accesso al consumismo. C'è poi l'altra faccia della medaglia, non solo questa "crescita" è avvenuta sulle spalle di un proletariato, urbano e rurale, enormi masse di diseredati si sono accalcati nelle periferie delle metropoli, senza accesso, non solo ai consumi, nemmeno ad una vita minimamente dignitosa.

In poche parole, il Pt ha favorito un colossale ciclo di accumulazione capitalistica, per lanciarlo nella sfida dei mercati globali, ma questo a spese del proletariato e della maggioranza del popolo.

Che ci sarebbe stata l'esplosione sociale non avevamo dubbi. E così è stato infatti. Un'ondata straripante di cui la gioventù è la testa d'ariete e che ha visto i mille rivoli dell'indignazione sociale confluire nell'impetuoso fiume in piena della sollevazione.

Non sono servite né la marcia indietro demagogica della Dilma Roussef: "Capiamo le ragioni della protesta"... né la cancellazione degli aumenti. Questa piccola vittoria ha fatto invece ingrossare il movimento di massa, e l'ha fatto ingrossare per la semplice ragione che quella dell'aumento del costo dei trasporti urbani era solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. E' il modello sociale stesso del governo del Pt che è messo sotto accusa, un modello che, sopraggiunta la recessione mondiale, fa acqua da tutte le parti.
... Londra 2011...


Alcuni commentatori esecrano gli atti di "violenza cieca", i saccheggi e gli espropri, fanno il verso alla Roussef che tenta come può di dividere i "buoni" dai "cattivi" e di riportare l'ordine sociale. Vedremo come andrà a finire. Di certo questa enorme e fuliminea sollevazione popolare fa da spartiacque, il Brasile è entrato in una nuova fase politica.

Questa sollevazione parla ai tanti rassegnati, sfiduciati, scettici, demoralizzati del nostro paese, quelli che ci fanno una capa tanta sostenendo che siamo dei visionari quando diciamo che ci vuole una sollevazione di popolo. Questi pessimisti di mestiere sanno bene che solo se il popolo si sveglia si cambierà lo stato di cose esistente, solo che essi argomentano che la sollevazione in Italia è impossibile, oppure, dimenticando la storia, dicono che "il popolo italiano è un popolo bue", che "non ha mai fatto una rivoluzione".

Questi pessimisti sono uno dei fattori che ritardano la sollevazione, l'altro fattore essendo la vasta schiera di politicanti e di intellettuali che ciurlano nel manico (vogliamo metterci anche i "grillini"?), invocando la pace sociale, condannando in linea di principio ogni rivolta sociale. Essi temono l'entrata in scena del popolo lavoratore e della gioventù, sono spaventati, vorrebbero loro rappresentare il popolo e, coi guanti bianchi, essere i piloti del cambiamento.
.. Rio De Janeiro: TUTTO IL MONDO E' PAESE

Il fatto è che essi scambiano il proprio sentimento di prostrazione e di impotenza con quello delle larghe masse, che sono invece, secondo noi, sul punto di esplodere, e non c'è nulla che il potere possa fare per evitare la deflagrazione. Può solo procastinarla.

Non ci chiedete quando la goccia farà traboccare il vaso, né quale potrà essere questa goccia. L'importante è individuare qual è la tendenza principale, ovvero che tutto congiura verso una grande resa dei conti. Compito delle forze politiche che hanno la testa sulle spalle, per quanto oggi minoritarie, è andare incontro, senza avventurismi ma con coraggio, alla rivolta sociale incipiente. Quelli che oggi sono maggioritari diventeranno minoritari, mentre quelli che sono oggi ai margini del teatrino politico occuperanno il centro della scena sociale.













lunedì 3 gennaio 2011

DAMNATIO MEMORIAE

Cesare Battisti al momento del suo arresto in Brasile
LA CAGNARA SUL «CASO BATTISTI»
ovvero:la Repubblica fondata sulle manette



di Leonardo Mazzei*

Giunge ora ora la notizia che domani, martedì, la «congrega dei manettari», scenderà in piazza a Roma per protestare contro Lula e chiedere al Brasile l'estradizione immediata di Battisti. Ci saranno tutti quanti i forcaioli: quelli fondamentalisti e quelli moderati (pro domo loro): Pdl, Lega, Pd, Udc e i Dipietristi. Le varie cricche, divise su tutto, come un sol uomo a difendere ... "l'onore dell'Italia", la lesa maestà dello Stato di polizia. Incredibile potenza dello spaventapasseri del terrorismo.


lunedì 4 ottobre 2010

Brasile: l'altra faccia del miracolo

[ 04 ottobre 2010 ]

LULA PAGA PEGNO PER LA SUA POLITICA PRO
CAPITALISTA

il malcontento sociale e ambientalista premia Marina Silva

di Piemme

Tutta la stampa occidentale (sull'onda di quella brasiliana) dava per scontato che la candidata di Lula, Dilma Rousseff, (l'ex guerrigliera tanto amata dala Borsa) avrebbe  stravinto già al primo turno. Col suo 46,1% sarà invece obbligata ad andare al ballottaggio. Ciò non è accaduto per l'avanzata del suo principale avversario, José Serra —esponente del "partito socialdemocratico", ovvero il portavoce della oligarchia tradizionale— che ha ottenuto il 33% dei consensi, ma per la inattesa affermazione (20%) di Marina Silva, controversa figura di ambientalista di sinistra e al contempo esponente del tradizionalista mondo evangelico-protestante. La protesta contro l'ingiusto e squilibrato boom economico dell'era Lula, è quindi solo una della ragioni del suo successo. Proprio per il carattere contraddittorio del suo blocco elettorale la vittoria della Rousseff al ballottaggio non è affatto scontata. Una buona parte potrebbe infatti votare per José Silva

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