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giovedì 1 marzo 2018

IL FILISTEO di Sandokan

[ 1 marzo 2018 ]

Pesce-lesso-Di-Maio, dando la sua disponibilità a far parte di un governo con la vituperata casta, conferma che la metamorfosi del Movimento 5 Stelle da movimento di protesta a "partito della governabilità" è pressoché compiuta.



Dieci anni, ci sono voluti dieci anni (ricordate il Vaffanculo day del settembre 2007), affinché si giungesse a questo esito miserabile. 
Dal 2007 ad oggi sono forse venute meno le ragioni della guerra alla casta e al regime? No, non sono venute meno, si sono anzi decuplicate. 

Un vero e proprio salto mortale quindi, quello compiuto dalla cupola pentastellata. Che dobbiamo augurarci? Che fili liscio o che i Cinque Stelle ci lascino l'osso del collo. La seconda che hai detto!

Diversi amici speravano che il vate Beppe Grillo, magari all'ultimo, si sarebbe dissociato, che avrebbe scomunicato Di Maio.
Dopo mesi di melina e di sostanziale ponziopilatismo è giunta questa mattina la conferma che, invece, Peppe Grillo sostiene la svolta governista. Lo ha fatto con un un brutto apologo che trovate sul suo blog dal titolo che come è autobiografico: "Percezione del nulla".

Un discorso sconclusionato, privo di qualunque senso logico.
Tuttavia, dopo alcune frasi sconnesse egli così conclude con un triste endorsement alla linea Di Maio:
«... il mio Vaffa, forse è finita l’epoca del Vaffa ma comunque ho cercato di capire, di essere curioso, di capire, Dio mio, capire. Cosa bisogna capire? che cosa? Fra cosa bisogna andare a prendersi la verità?
Quale verità? La percezione della verità? Sto impazzendo, sto impazzendo, fate veloce a fare un governo perché io sto impazzendo».
La verità, caro Grillo, è che da borghese ribelle sei diventato un borghese normale. Un filisteo. Semmai ci sarà, come speriamo, un vaffanculo di massa, puoi star sicuro che bersaglio sarai anche tu.



martedì 10 gennaio 2017

M5S VERSO LA RESA DEI CONTI di Moreno Pasquinelli

[ 10 gennaio]

« Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania? Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio». 
(Dal Vangelo secondo Matteo 13,24-30)

Sull'accordo politico tra Grillo e Guy Verhofstadt, abbiamo già detto. C'è solo un aggettivo possibile sul testo di quell'accordo: INFAME. Il modo furtivo come è stato sottoposto a referendum è VERGOGNOSO. Il fatto che sia saltato a causa delle resistenze dell'ala liberista più oltranzista di ALDE copre infine di RIDICOLO gli alti papaveri alla guida di M5S. Dove il ridicolo, però non nasconde le parti più intime, pornografiche, del regime interno del Movimento. La cupola ha chiamato gli attivisti a votare su un accordo già deciso, per di più tenendone nascosto il testo —che sarebbe invece dovuto essere l'oggetto del plebiscito. Attivisti trattati come sudditi. La sociologia non qualificherebbe questo regime interno altrimenti che come ARISTOCRATICO/OLIGARCHICO. Come qualificare questi oligarchi? Non c'è che l'imbarazzo della scelta: maggiorenti, notabili ottimati, dignitari, decurioni.

C'è una domanda secca che ci rivolgono lettori, amici e nemici: "Volete ammetterlo ora che vi sbagliavate? Che M5S è una forza gatekeeper, un movimento costruito ad arte in qualche pensatoio di regime, per deviare su un binario morto l'indignazione popolare, come guardiano di ultima istanza del sistema neoliberista?"

No, il M5S non è stato ideato sul Britannia, non è nato da qualche macchinazione del potere, né (lo dimostra la rottura con Farage) da qualche complotto anglo-americano di Cia/MI5. E' nato nella testa allucinata di Gianroberto Casaleggio, in cui veniva a condensazione una cultura politica anarco-capitalista, che vedeva coabitare in una promiscuità improbabile libertarie e anti-stataliste idee sessantottine con perversi dogmi neoliberisti. Una brodaglia culturale figlia tipica del tempo, da tempo diventata "senso comune". Un "senso comune" che chiedeva solo di essere rappresentato. Casaleggio non è stato grande per aver prodotto chissà quale alta sintesi teorica ma per aver convinto Beppe Grillo a fare da portabandiera. Per dire che non c'è bisogno di ricorrere a qualche turpe dietrologia per dire che M5S nasce come frazione del campo borghese, con una visione del mondo in ultima istanza liberale. 

Non fosse stato per la crisi sistemica e le sue devastanti conseguenze sociali, quell' M5S lì, sarebbe stato una reincarnazione del Partito radicale di Pannella. Non ci fosse stato Beppe Grillo l'operazione Casaleggio avrebbe avuto i numeri modesti del Partito radicale. Che Casaleggio, mentre reclutò Grillo, fosse stato un agente di qualche intelligenze, di qualche massoneria occulta, alla fine della fiera, poco cambia. Quel che conta è che M5S è diventato in Italia un partito con influenza di massa, il punto di riferimento delle speranze di cambiamento di una larga parte del popolo. E' questo popolo che deve interessarci. E' questa speranza di cambiamento, per chi intenda la politica come pratica di massa, azione sui corpi sociali, con cui ci si deve misurare, non con gli inquietanti utopismi di Gaia.

Una precisazione, poi, ci sarà consentita. Chi scrive non fa parte del Movimento 5 Stelle. Chi scrive ha sostenuto che M5S, in quanto diventato (1) il canale dove confluiva l'indignazione di massa contro il regime neoliberista; e (2) il principale luogo di attivazione di migliaia di cittadini, anzitutto giovani, meritava il sostegno tattico da parte dei rivoluzionari. E ciò per due ragioni: (a) l'eventuale avanzata di M5S era la sola maniera, nel concreto contesto italiano, per dare una spallata al regime bipolare di "seconda repubblica"; (b) era necessario, anzi doveroso, per forze rivoluzionarie ma estremamente minoritarie, stare di fianco a M5S, sostenere le sue battaglie ove fossero giuste, per aprirsi un varco tra la eterogenea base del Movimento, nella vasta ed eterogenea area dell'indignazione sociale.

Gatekeeper o no, questo approccio politico è stato corretto. Darà i suoi frutti? Lo vedremo, è ancora presto per dirlo. Un fatto è sicuro: non sorgerà in questo Paese una forza rivoluzionaria di massa senza strappare a M5S quella parte di attivisti e di base sociale che preme per una radicale svolta sociale e politica, ovvero antiliberista e antieurista. Poiché, gatekeeper o no, è indiscutibile che M5S sia un contenitore di diversi interessi sociali, di diverse visioni del mondo. Se è così confermiamo come giusta la modalità relazionale: dividere il grano dal loglio. Chi ha seguito MPL prima e P101 poi, ci darà almeno atto che ogni volta che i "grillini" hanno fatto una porcheria, non solo lo abbiamo segnalato, ma duramente biasimato. Ovvero, ci siamo mossi in base al binomio unità e critica, mai attestandoci su una posizione codista, mai essendo reticenti nei casi eclatanti di opportunismo o ambiguità politici.

Gatekeeper o non gatekeeper al centro della nostra analisi vi era questo assioma: strada facendo, con l'approfondirsi della crisi e la crescita della rabbia sociale, M5S sarebbe stato sottoposto a spinte opposte e inconciliabili, sarebbe accaduto, prima o poi, che il contenitore si sarebbe rotto. Che quindi occorreva fare presto nel costruire sul fianco sinistro di M5S un granaio cui si potesse riporre il frumento buono. Per quanto riguarda la zizzania, esistono già sul fianco destro la Lega Nord ed altre formazioni. 

Abbiamo sbagliato? Non lo penso affatto. Non c'è dubbio che l'accordo saltato con ALDE ha prodotto uno shock nel Movimento 5 Stelle. Agitarsi istericamente, lanciare anatemi, non serve. Proprio adesso occorre mantenere la calma. Si dia tempo al tempo. I miracoli in politica non avvengono. Ogni corpo politico, sottoposto ad uno shock, reagisce e metabolizza a suo modo. Continuiamo a credere che diavolo e acqua santa non possono stare assieme. Sarà questo dell'accordo saltato con ALDE l'evento scissorio? Vedremo. 

Se gli amici ed i compagni che militano in M5S (non diciamo dirigono, poiché ora non c'è più alcun dubbio su chi davvero abbia il timone) e che sentiamo vicini ci chiedessero un consiglio, diremmo loro che dovrebbero darsi prima possibile un'organizzata e valutare l'ipotesi di promuovere, non alle calende greche, presto invece, un incontro di tutti gli oppositori. Il ferro va battuto quando è caldo. Dato il regime interno non ci vuole solo coraggio, ma l'esser preparati ad un contrattacco degli oligarchi che sarà durissimo. E' comprensibile che gli oppositori si muovano con circospezione. Avessimo già costruito fuori da M5S una luogo politico forte e non minoritario che facesse loro da sponda, le cose andrebbero quasi certamente più veloci. Ma questo luogo ancora non c'è. E qui c'è poco da sbraitare contro Casaleggio e Grillo. Qui c'è da prendere atto che tutti sono buoni a strillare in rete, a gridare al lupo, ad elucubrare, pochi a fare qualcosa di positivamente concreto. Invece di perdersi in lamentazioni e invettive, diamoci una mano, adesso, adesso che la crisi di M5S è conclamata e si allarga lo spazio per una forza politica patriottica e rivoluzionaria.

Ps
Fioccano le letture di questa mossa disastrosa della cupola di M5S (accordo con ALDE). Io gettò sul piatto la mia, per quanto spietata essa possa essere. La tesi più accreditata è che accettando quel testo vergognoso di accordo con Guy Verhofstadt la cupola abbia voluto lanciare un segnale ai poteri forti per dire loro, state tranquilli che se saliamo al governo in Italia, non sfasceremo il sistema, faremo come Tsipras. Quindi: lasciateci andare, ci normalizziamo (quindi per carità, niente avvisi di garanzia alla Raggi). 
Invece c'è un'altra spiegazione possibile, mi rendo conto, dietrologica. E se fosse che la cupola di M5S non vuole affatto prendere il potere?  Se fosse che essa è terrorizzata all'idea di dovere andare al governo? I perché sono facili da intuire: non solo la conclamata insipienza politica (vedi Roma), ma la totale mancanza di coraggio, il terrore di trovarsi al potere sull'onda di una spinta popolare al cambiamento, di dover rispondere alle grandi e pressanti aspettative dal basso. La cupola avrebbe quindi compiuto la sua scellerata mossa per seminare disorientamento e scontento alla base, distacco degli attivisti più radicali, totale confusione e disincanto tra gli elettori. Un gesto insomma anzitutto sedativo. Senza escludere che sia volto anche a far venire fuori la fronda degli oppositori per isolarli e colpirli.

Pps

Non dimentichiamo quanto accadde il 20 aprile 2013, quando Grillo fece dietrofront ubbidendo al Ministero degli interni, dopo aver chiamato alla mobilitazione di piazza:

«Mentre scrivevo l'articolo si svolgeva la annunciata manifestazione a Piazza SS. Apostoli. Vien fuori che Grillo, non appena raggiunta la manifestazione, la abbandona. Manifestanti basiti. Verso le 19:30 il nostro, intervistato da "La Cosa", candidamente rivela che se se n'è andato lasciando tutti a bocca aperta è "... perché me lo ha chiesto la Digos, che temeva incidenti". Ci risiamo! Cambiare da cima a fondo un paese è una cosa troppo seria per farla fare a chi si illude di poter fare la frittata senza rompere le uova».











giovedì 28 luglio 2016

DI MAIO E BEPPE GRILLO (OVVERO) IL DIAVOLO E L'ACQUA SANTA di Piemme

[ 28 luglio ]

Non l'abbiamo mai nascosto che Di Maio non ci piace. 

La sua faccetta da Bambi plastificato rassicurerà certi borghesucci timorati di Dio, a noi inquieta invece.

Abbiamo segnalato varie volte  le sue uscite, come dire, "dorotee", le sue affermazioni anfibie, che dicono una cosa ma che ne potrebbero implicare un'altra, quella doppiezza tipica dei politicanti democristiani dei tempi che furono. L'ultima, quella per cui sarebbe un devoto cattolico, è proprio dell'altro ieri (vedi foto sotto).

Né potevamo sottacere certe sue inquinate frequentazioni
E' un fatto inoppugnabile che le centrali mediatiche lo stiano impacchettando come premier in pectore di un eventuale governo M5S.
clicca per ingrandire
Lui, il Di Maio, causa questo momento di gloria, dev'essersi effettivamente montato la testa. Che ce la faccia a diventare Presidente del consiglio, è tuttavia altamente improbabile, e non solo per le ragioni di cui ci parlava Leonardo Mazzei.

Per diventarlo, infatti, non solo M5S dovrebbe vincere le elezioni (cosa probabile) ma accettare alleanze con altre forze (cosa assolutamente necessaria). Per andare al potere in splendido isolamento M5S avrebbe infatti bisogno che si votasse proprio con quella legge elettorale renziana (infame fino a prova contraria anche per M5S) che si chiama Italicum, legge sulla cui tenuta non scommetterei un soldo bucato. 

V'è, io credo, un'altra decisiva ragione per cui Di Maio non andrà lontano, ed è che egli non è gradito proprio alla gran parte degli attivisti ed elettori del Movimento 5 Stelle, quantomeno a quella più radicale. 

Forse ci sbagliamo, ma abbiamo la convinzione che con quest'ala radicale sia schierato proprio Beppe Grillo, il quale resta, piaccia o non piaccia, il vero dominus del Movimento, non nel senso di "padrone" ma di colui che simboleggia e interpreta più di chiunque altro i sogni ed i bisogni dei più che si identificano con M5S.

Per comprendere la distanza siderale tra Di Maio e Beppe Grillo basta confrontare quanto affermato dal primo e quanto dal secondo, e non su qualche questioncina, ma sulla dirimente problematica dell'euro e dell'Unione europea.

Confrontino i lettori.

Qui sotto l'intervista rilasciata da Di Maio a Gianni Riotta.
Più avanti quanto scritto da Peppe Grillo nel luglio dell'anno scorso dopo la capitolazione di Tsipras.

E dato che ci siamo vorremmo ricordare la LETTERA APERTA AL MOVIMENTO 5 STELLE  di Programma 101.







di Beppe Grillo

(23 luglio 2015)


Era difficile difendere gli interessi del popolo Greco peggio di come ha fatto Tspiras. Solo una profonda miopia economica unita ad una opaca strategia politica potevano trasformare l'enorme consenso elettorale che lo aveva portato al governo a gennaio nella vittoria dei paesi creditori suoi avversari solo sei mesi dopo, nonostante un referendum vinto nel mezzo.

Rifiutare a priori l'Euroexit e' stata la sua condanna a morte. Convinto, come il PD, che si potesse spezzare il connubio Euro & Austerita', Tsipras ha finito per consegnare il suo paese, vassallo, nelle mani della Germania. Pensare di opporsi all’Euro solo dall’interno presentandosi senza un esplicito piano B di uscita ha infatti finito per privare la Grecia di ogni potere negoziale al tavolo dell’Euro debito.
Era dunque chiaro sin dall’inizio che Tsipras si sarebbe schiantato anche se Varoufakis qualche volta ha provato a reagire. Solo Vendola, il PD ed i media ispirati dalla frotolla scalfariana (tra i tanti) degli Stati Uniti d’Europa e dai nostalgici delmanifesto di Ventotene <https://it.wikipedia.org/wiki/Manifesto_di_Ventotene> potevano credere ad un Euro senza austerita’. E sono costretti a continuare a far finta di crederci pur di non dovere ammettere l’opportunita’ di una uscita dopo sette anni di disastri economici.

La conseguenza di questa catastrofe politica e' davanti agli occhi di tutti:
- Nazismo esplicito da parte di chi ha ridotto la periferia d’Europa a suo protettorato attraverso il debito, con ricorsi storici allarmanti.
- Mutismo o esplicito supporto alla Germania da parte degli altri paesi europei vuoi per opportunismo (nord) o per subalternita’ (periferia).
- Mercati finanziari che celebrano con nuovi massimi la fine della democrazia.
- Esproprio del patrimonio nazionale attraverso l'ipoteca di 50 miliardi di euro sui beni greci finiti nel fondo voluto da Adolf Schauble per passare all’incasso dei suoi crediti di guerra.
Era tutto studiato, previsto, pianificato nei minimi dettagli. La Germania e’ sistematica nella sua strategia: prima crea un nuovo precedente e poi lo utilizza nella battaglia successiva imponendo decisioni via via piu’ invasive della democrazia grazie al ‘chi tace acconsente’.
- Irlanda, Spagna e Portogallo dovevano dimostrare che il rigore paga sia in termini di riforme (tassazione per pagare gli interessi sul debito e svalutazione interna attraverso la compressione dei diritti dei lavoratori) che in termini di interessi sul debito riportati a casa e pagati col sangue dei paesi debitori.
- Cipro ha dimostrato che i depositi bancari se serve si possono attaccare attingendo cosi’ non solo alle tasse sul reddito in nome dell’austerita’ ma direttamente al patrimonio privato dei cittadini per ripagare il debito contratto.
- Con la Grecia l’asticella e’ stata posta ancora piu’ in alto al punto di confiscare direttamente il patrimonio pubblico in un fondo la cui sede giuridica Schauble voleva inizialmente trasferire addirittura fuori dalla Grecia.
E’ l'Italia il destinatario finale di questi precedenti seminati lungo il percorso dell’Euro debito in nome della presunta irreversibilita’ dell'Euro. E’ inutile far finta di non vederlo. La Grecia offre dunque una nuova lezione per l’Italia da cui faremmo bene ad imparare se vogliamo farci trovare pronti quando arrivera’ il nostro turno di debitori.
- Un premier che argomenta bene contro l’austerity, ma che resta negazionista nei fatti sulla Euroexit, a digiuno di economia monetaria e con una strategia politica improvvisata in questa fase storica e’ una minaccia nazionale. E’ valso oggi per Tsipras. Varra’ domani per Renzi.
- Un piano B di uscita e' essenziale per l'Italia, chiunque sia al governo. Con un enorme debito pubblico ed una economia manufatturiera orientata all'export e' da irresponsabili non farsi trovare pronti ad una eventuale uscita non necessariamente forzata da noi ma eventualmente subita da decisioni altrui, visto che nessuno puo' prevedere il corso degli eventi.
- Non contare sugli altri perche quando arrivera' il momento saremo soli. Come e’ successo a Tsipras che ha sbagliato i suoi conti sperando di trovare sostegno strada facendo dai cugini periferici che invece si nascondevano nell’ombra del ‘questa volta non tocca a noi’.
- Il referendum <http://www.beppegrillo.it/2015/07/referendum_sulleuro_in_italia_la_proposta_m5s_in_senato.html> proposto dal M5S tramite una legge di iniziativa popolare e' uno strumento essenziale. Potra’ servire a spiazzare l'avversario e a dare legittimita’ democratica all’Euroexit.

- Usare il nostro enorme debito come minaccia. E’ questo infatti un vantaggio che ci consente di attaccare al tavolo di ogni negoziazione futura, non uno spauracchio da subire per abbozzare alle richieste dei creditori. Questo vuol dire non consentire alcuna ingerenza tedesca nel nostro legittimo diritto di ridenominare il nostro debito in un’altra valuta se e quando arrivera’ il momento.
- Rafforzare le banche. La minaccia di fallimento delle banche e la chiusura dei rubinetti della liquidita’ e' cio' che alla fine ha fatto capitolare Tsipras. Prepararsi alla nazionalizzazione delle banche ed al passaggio ad un’altra moneta e’ il modo per non perdere la prima battaglia che dovremo affrontare quando arrivera’ il momento di staccarci dal bocchettone della BCE. Ogni piano B dovra’ dunque prevedere l’introduzione di una moneta parallela che all’evenienza potra’ essere adottata per avviare il processo di uscita in maniera soft.
- Tenere un occhio a Francoforte e l’altro a Washington. Il teatrino dell’Euro proseguira’ fino a quando lo vorranno gli americani e cioe’ fino alla definitiva approvazione del TTIP <http://www.beppegrillo.it/2015/07/gentiloni_al_cloro.html> con cui gli USA assoggetteranno l’Europa in modo non dissimile da come l’Euro ha assoggettato la periferia alla Germania.
L’Euro e’ ormai una guerra esplicita tra creditori e debitori. E’ inutile che il nostro governo si sforzi di apparire schierato dalla parte virtuosa dei vincitori euristi e riformisti. L’Euro non si puo’ riformare dal suo interno e va invece combattuto dall’esterno, abbandonando questa camicia di forza anti democratica. Il nostro debito e la nostra assenza di crescita unita alla deflazione ci collocano a pieno titolo nella categoria degli sconfitti del debito. Faremmo dunque bene a prepararci con ungoverno esplicitamente anti euro all’assalto finale del patrimonio degli italiani sempre piu’ a rischio se non ci riprendiamo la nostra sovranita’ monetaria.


 Fonte: Beppe Grillo 

venerdì 18 dicembre 2015

M5S: POVERI FESSI! di Leonardo Mazzei

[ 18 dicembre ]
L'elezione dei giudici costituzionali e le illusioni di M5S sull'Italicum 
[Nella foto da sinistra: Augusto Barbera, Franco Modugno e Giulio Prosperetti]
«Ai Cinque Stelle non sfuggirà il prezzo politico di questa operazione, che consiste nell'aver servito su un vassoio d'argento una chiara vittoria politica a Renzi. Il Presidente del Consiglio può essere infatti più che soddisfatto, per almeno tre motivi: (1) per aver posto fine allo stallo che durava da 31 votazioni; (2) per aver dimostrato di essere il dominus indiscusso, andreottianamente capace di praticare la politica dei "due forni"; (3) per avere ottenuto una composizione della Corte più favorevole, non solo sull'Italicum ma pure sul jobs act, come segnala un non disinteressato Sole 24 Ore

L'accordo tra M5S e Pd, che ha portato all'elezione dei tre membri vacanti della Corte Costituzionale, è figlio di un malcelato sostegno dei pentastellati all'Italicum? Sembrerebbe proprio di sì.
La maggioranza dei commentatori è comunque certa di un fatto: con la terna votata l'altro ieri le quotazioni della legge truffa renziana sono in crescita, almeno per quanto riguarda il pronunciamento della Corte Costituzionale. Tra gli eletti figura l'ultra maggioritarista Augusto Barbera (fino a due giorni fa sdegnosamente rifiutato da M5S), il centrista Giulio Prosperetti e Franco Modugno, proposto dai grillini.

Di quest'ultimo, che nella prima repubblica stava con il partito socialdemocratico, non risulta alcuna presa di posizione né contro l'Italicum né sulla contro-riforma costituzionale voluta dall'attuale governo a colpi di (risicatissima) maggioranza. E non è certamente un caso che Renzi, alla fine, abbia accettato di sostenerlo, a condizione che M5S votasse gli altri due candidati dell'area governativa, ed in particolare l'ultras delle sue controriforme, Augusto Barbera.  

In questo modo i Cinque Stelle, non solo si sono bevuti il Barbera, ma hanno anche contraddetto i voti dati prima delle ultime votazioni all'avvocato Felice Besostri, portabandiera dell'opposizione alla nuova legge elettorale.

Qual è dunque la ragione di tanta disinvoltura?

Ai Cinque Stelle non sfuggirà il prezzo politico di questa operazione, che consiste nell'aver servito su un vassoio d'argento una chiara vittoria politica a Renzi. Il Presidente del Consiglio può essere infatti più che soddisfatto, per almeno tre motivi: per aver posto fine allo stallo che durava da 31 votazioni; per aver dimostrato di essere il dominus indiscusso, andreottianamente capace di praticare la politica dei "due forni"; per avere ottenuto una composizione della Corte più favorevole, non solo sull'Italicum ma pure sul jobs act, come segnala un non disinteressato Sole 24 Ore.

In particolare non si sottovaluti un punto. L'incapacità di eleggere i tre giudici aveva il pregio di segnalare la gravità di una situazione determinata dal violentissimo attacco portato da Renzi alla Costituzione. Con la trentaduesima votazione Renzi è invece passato all'incasso, ripristinando una "normalità" formale tesa a mettere in ombra la portata della sua operazione antidemocratica.

I grillini obietteranno senz'altro che se non l'avessero fatto loro, di certo Renzi un accordo lo avrebbe sottoscritto con i berluscones. Ma, a parte il fatto che fino ad oggi questa operazione era sistematicamente fallita, perché non lasciare agli altri l'onta dell'inciucio? Così fa, di solito, un'opposizione determinata a mettere in difficoltà l'avversario. Ma così non è stato. 

Sia chiaro, la nostra critica è diversa da quella che ad M5S viene rivolta dalla nuova barchetta salva-poltrone dei sinistrati. «Prendono il posto di Forza Italia al banchetto della lottizzazione», ha dichiarato Alfredo D’Attorre di Sinistra Italiana. Un'accusa davvero fuori bersaglio, dato che è il quorum stesso, previsto per l'elezione dei giudici costituzionali, che impone (e giustamente) un largo accordo parlamentare. Il problema non è dunque la "lottizzazione", quanto invece l'equilibrio politico raggiunto. Un "equilibrio" chiaramente favorevole a Renzi, con "il risultato di aver squilibrato il Collegio", come ha detto lo stesso avvocato Besostri.

Il giudizio ha dunque da essere nel merito. E nel merito occorre essere fermi ed impietosi nel denunciare una scelta gravissima, un regalo a Renzi, un indebolimento obiettivo della grande battaglia contro lo stravolgimento della Costituzione repubblicana. Un atto di cui il gruppo dirigente di M5S - manifesto od occulto che sia - porta per intero la responsabilità.

Ma - torniamo alla domanda - perché lo hanno fatto?

La disamina dei pro e dei contro porta ad un'unica soluzione: i vertici di M5S si sono convinti (sondaggi alla mano) che l'Italicum potrebbe regalargli la vittoria alle prossime elezioni politiche. Si passa dunque allegramente sopra ad un ogni questione di principio  —democratica e costituzionale — pur di salvaguardare di nascosto (ma neppure troppo) una legge che nell'immediato li potrebbe favorire.

Lasciamo ora da parte gli aspetti etici di questa scelta, e così pure le conseguenze politiche di lungo periodo. Concentriamoci invece su quanto sia fondata questa idea apparentemente così furba.

Ma secondo voi i sondaggi degli ultimi mesi, tutti tesi a dimostrare che il ballottaggio potrebbe essere favorevole ad M5S, sono davvero attendibili? Tutta roba immacolata e scientificamente valida?

Ne siamo sicuri? E se invece fosse un abile trucco per manipolare l'opinione pubblica e favorire alcuni processi politici? Chi scrive è fortemente convinto che le cose stiano così. La cornice creata dai sondaggi determina infatti due spinte: una alla passività di M5S, l'altra alla riorganizzazione della destra.

La passività di M5S sta nel fatto di pensarsi autosufficienti (Podemos docet!), quando invece l'insufficienza non risiede solo nell'assenza di alleanze, quanto in un programma del tutto inadeguato rispetto ai nodi della crisi economica e dell'Europa. Ed è ovvio che l'illusione di poter essere vincenti così come si è, rappresenta un freno allo sviluppo di una credibile strategia politica. Volete un esempio? La scelta di non pronunciarsi sulle scelte di politica estera dopo i fatti di Parigi, dato che (è stato apertamente  teorizzato) qualunque posizione avrebbe comportato una perdita di consensi...

La riorganizzazione della destra ha invece bisogno di tempo. Alcuni passi sono stati fatti, con il sostanziale ritorno all'ovile di un sia pur rafforzato Salvini. Altri —ancor più decisivi, a partire dalla scelta del candidato premier— verranno di certo compiuti. Certo lo stato attuale della destra è quanto mai critico, ma gli avversari (Pd e M5S) sono forse delle corazzate? Ha poco senso dunque considerare la destra divisa come si presenta oggi, perché se l'Italicum non salterà avremo di certo in campo un Listone capace di raggrupparla. I sondaggi, quelli veri, andranno fatti a quel punto e solo quando sarà nota la scelta del candidato. 

Ma, vi chiederete, perché qualcuno vorrebbe favorire le due spinte di cui sopra? Semplice, per due motivi. In primo luogo per indebolire M5S, che ha certamente al suo interno un'anima anti-sistemica, e per tornare dunque (sia pure in forme nuove) al collaudato bipolarismo del periodo 1994-2013. In secondo luogo per favorire il Pd, che avrebbe tutto da guadagnare da un ballottaggio con la destra.

Ovviamente non tutte le ciambelle riescono con il buco, ed in teoria questo potrebbe accadere anche con l'Italicum. Potrebbe, ma quante sono le probabilità? Al sottoscritto sembrano davvero poche, direi tendenti a zero. La Francia, dove i partiti sistemici vengono sistematicamente favoriti al ballottaggio dovrebbe insegnare qualcosa. Ma, si dirà, la Francia non è l'Italia, e soprattutto M5S non è il Front National, dunque il cosiddetto "allarme repubblicano" non scatterebbe come avviene regolarmente oltralpe. Vero, ma vi dicono niente le europee del 2014, quando l'allarme M5S portò il Pd al 40,8%?

In ogni caso qui c'è un'altra questione. Ed è che al ballottaggio bisogna comunque arrivarci, ed è ben difficile che ciò avvenga per le ragioni anzidette. Tantomeno ci si arriverà pensando di non dover compiere un salto di qualità  politico, programmatico e d'immagine.

Ecco perché la scelta sulla Corte Costituzionale appare non solo grave nel merito, non solo un aiutone insperato ad un Renzi in difficoltà su tanti fronti. Essa appare anche come una fesseria, come il frutto di un'illusione indotta da un sistema mediatico (di cui le società demoscopiche fanno parte a pieno titolo) tutt'altro che innocente. Un sistema da tempo all'opera (vedi l'operazione che vorrebbe il benpensante Di Maio come candidato premier) per addomesticare M5S, per irretirlo dentro i criteri delle compatibilità sistemiche. 

Si tratta naturalmente di un processo non indolore. La rivolta di un parte degli attivisti (vedi, ad esempio, questo articolo di Repubblica), nonché l'aperta opposizione di 23 parlamentari al voto sui giudici costituzionali, non sono che la punta di un iceberg che potrebbe rivelarsi ben più consistente. Così almeno ci auguriamo.  

La scelta operata l'altro ieri rappresenta comunque una svolta, un cedimento inaudito nel corso di una battaglia decisiva come quella che ci condurrà al referendum costituzionale previsto per il prossimo autunno. Un cedimento tra l'altro figlio di una stupida illusione elettorale.

E' quest'ultima una valutazione sbagliata? Non credo, ma consiglierei comunque di riparlarne dopo le elezioni amministrative di primavera. Vedrete che allora le idee cominceranno a chiarirsi.

martedì 20 ottobre 2015

VIVA BEPPE GRILLO! di Piemme

[ 20 ottobre ]

Le decine di migliaia di attivisti e simpatizzanti che sfidando la pioggia si sono ritrovati a Imola alla manifestazione del Movimento 5 Stelle, hanno visto accadere diverse cose, tra cui, una sottintesa smentita che Luigi Di Maio sarebbe il candidato a presidente del consiglio del Movimento nelle prossime elezioni politiche.

Questa, detto inter nos, è già una buona notizia, visto che i media mainstream, da mesi hanno fatto uno sfacciato endorsement a favore del vice presidente della Camera, e se lo hanno fatto, non è per caso, poiché considerano il Di Maio un "trasformista", ovvero il rappresentante della componente più moderata all'interno del gruppo dirigente dei 5 Stelle.

Tuttavia, la notizia più importante, politicamente e simbolicamente più significativa è un'altra, ed è ciò che Beppe Grillo in persona ha solennemente affermato dal palco. Citiamo: 
«I media ci ingannano e dipingono la Russia e la Cina come i cattivi e gli Stati Uniti come i buoni. Non è così! Gli Stati Uniti sono dalla parte sbagliata della storia».
Beppe Grillo ha ripetuto questo concetto, tra gli applausi per ben due volte.
Ha poi così proseguito: 
«Il Ttip [il trattato transatlantico sul libero commercio, Ndr] è un grande imbroglio, l'Europa dovrebbe farlo con le economie emergenti dei Brics, con la Cina e con la Russia, non con gli Stati Uniti».
Ben detto Beppe!

Alla faccia di tutti gli imbecilli, sinistrati e/o complottisti vari i quali, in sodalizio con gli intellettuali di regime, hanno provato a sputtanare Grillo a seconda dei casi come "populista", come un "fantoccio di regime", se non addirittura come un "fascistoide".

Non siete all'altezza nemmeno di allacciargli le scarpe!

sabato 12 settembre 2015

DI MAIO CANDIDATO PREMIER DEI CINQUE STELLE? GATTA CI COVA...

[ 12 settembre ]

Il 17 e 18 ottobre  si svolgerà ad Imola il cosiddetto "grande raduno" del Movimento 5 Stelle.
"Cresce l'attesa" titolano i media di regime. Attesa per cosa? Per sapere se Di Maio verrà ufficialmente incoronato "il leader" dei pentastellati.

Eh sì, poiché i media, a cominciare da la Repubblica, hanno iniziato quella che si prevede una vera e propria saga, tema: chi sarà il successore di Beppe Grillo? Non è chiaro se quella del "successore" sia una bolla sollevata ad arte per seminare zizzania nel M5S o se corrisponda a dolori di pancia reali dentro quel movimento. Sta di fatto che è bastata una battuta di Grillo —"maledetto, sei il leader!"—per suscitare il polverone, con dichiarazioni e controdichiarazioni.

Di sicuro c'è il problema: chi sarà il candidato primo ministro del M5S alle prossime politiche? 
Beppe Grillo ha immediatamente precisato: "Il candidato premier si sceglierà in rete, come abbiamo sempre fatto. Presenteremo una squadra di governo con un programma deciso dagli iscritti".

Sorvoliamo, per il momento, su questa modalità del voto in rete, addirittura della squadra di governo, ovvero sulla affidabilità del principio "uno vale uno" per cui il voto uno smanettaro da tastiera  (spesso solo un alias) ha lo stesso peso politico di un militante in carne ossa, di una modalità che invece di premiare una comunità politica che ragiona, si confronta, ascolta e quindi decide collettivamente, premia l'atomizzazione individualistica.

Com'è che i media di regime si inventano Di Maio come leader del M5S? Gatta ci cova.
Forse è una maniera per tirargli la volata e spianargli la strada alla vittoria nelle consultazioni interne al Movimento. 

Complottismo! macché! Si tratta piuttosto di una tecnica politica collaudata da tempo, quella di costruire ad arte il caso per eterocondizionare, per pilotare dall'esterno, questo o quel movimento che i dominanti ritengono una minaccia.

Domanda: come mai il potere e il suo codazzo di pennivendoli vorrebbe Di Maio alla guida di M5S e candidato premier? Forse perché lo considerano il più moderato? Perché, come alcuni sostengono, è della corrente dell'eurista e liberista Casaleggio?

In questo video Di Maio stesso avvalora questo sospetto:






domenica 10 maggio 2015

MARCIA M5S PERUGIA-ASSISI: NOI C'ERAVAMO E.... di Pasquinelli Moreno

[ 10 maggio ]

Ieri si è svolta l'annunciata marcia promossa dal Movimento 5 Stelle, da Perugia-Assisi.
I promotori possono ritenersi soddisfatti: diecimila attivisti, forse anche più, la maggior parte giovani, hanno risposto all'appello di marciare per la dignità, contro la povertà e per il reddito di cittadinanza. Mostrando, a chi ancora rifiuta di prenderne atto, che M5S non è solo Beppe Grillo, non è solo i suoi gruppi parlamentari, e nemmeno un'associazione che vive solo nel mondo virtuale di internet. M5S c'è, e con esso tutti debbono farci i conti.

Con la tradizionale Marcia della Pace Perugia-Assisi quella di ieri non aveva in comune solo il percorso (per la verità diverso: non si capisce per quale ragione essa, a metà dei 20 Km, ha seguito un assurdo ed estenuante zig-zag). Del tutto simile l'allegra compostezza, il melting pot di soggettività sociali, il miscuglio magmatico di idee politiche, un crogiuolo di facce, radici, storie personali. Il tutto tenuto però assieme da un potente collante, il senso orgoglioso di appartenenza ad una comunità di gente semplice, onesta, pulita, impegnata nel voler cambiare questo disgraziato Paese. Diciamola tutta: M5S ha ricostruito attorno a sé un proprio senso identitario —un punto di forza indiscutibile in una società spappolata da decenni di egemonia del pensiero unico neoliberista dove "identità" era condannata come un residuo del '900 che fu.

Un'identità tuttavia minimalista, figlia essa stessa (e come poteva essere diversamente) dei tempi. Qual'è infatti l'emblema, l'ideogramma in cui si racchiude questo senso di diversità e quindi d'indentità? Consiste in un unico sostantivo: ONESTÀ. Non a caso ONESTÀ è stato l'unico (l'unico!) slogan che abbiamo sentito venire dalla piazza a Marcia finita. Un grido tanto più significativo poiché esso è stato il sigillo della manifestazione, conclusasi sorprendentemente, senza palco né alcun discorso di chiusura.

Un'identità figlia dei tempi dicevo, che come matrice politico-simbolica ha punti decisivi di somiglianza col defunto "dipietrismo", col suo spirito giustizialista, "manipulitista" per non dire manettaro. Un'identità debole si dirà, ed è vero, a patto di capire che un vincolo ideale più forte non sarebbe in grado di tenere assieme tutte le diverse anime che invece convivono nel Movimento 5 Stelle, sarebbe anzi divisivo.

Distante quindi, dal comune sentire della grande maggioranza dei manifestanti, il messaggio profetico, di sapore escatologico ed implicitamente anticapitalistico che contraddistingue invece la narrazione del fondatore n.1, Beppe Grillo. Una narrazione radicale, quella di Grillo, che è una delle due anime più profonde del movimento, l'altra essendo quella che s'incarna nel messianismo improbabile quanto ambiguo di Gianroberto Casallegio.

In un panorama sociale e politico come quello italiano si deve dire tuttavia : per fortuna che il Movimento 5 Stelle c'è.

Non che non capiamo le critiche di chi accusa il Movimento grillino di non dare risposte davvero esaustive sul piano programmatico, ed i suoi dirigenti di essere evasivi per quanto attiene ad una visione coerente della società, della funzione della politica, dello Stato, delle relazioni internazionali.

La domanda che ci si deve porre è tuttavia un'altra: dove andrà a parare M5S?
Non c'è una risposta bell'e pronta. Di sicuro questo Movimento è un organismo in evoluzione, metamorfico, è una miscela necessariamente instabile. Cosa potrà diventare dipende anche da tutta una serie di fattori oggettivi che trascendono dalle possibilità di chi oggi ne è alla guida. Dipende anche da come sapremo dialogare ed interagire con esso.

Qui c'è un problema di cui è bene tenere conto. Questo orgoglioso spirito d'identità e diversità che distingue M5S, di cui l'altra faccia della medaglia è appunto l'instabilità insita nel suo stesso Dna, alimenta tra le sue fila, anzitutto in alcuni suoi esponenti di grido, un sentimento settario che ha volte trapassa in una autistica tendenza all'autosufficienza.

Un settarismo che è in verità  indice di una congenita fiacchezza, di una consapevole fragilità davanti alle enormi sfide del presente, per non dire del futuro.

Non si vince questo settarismo col settarismo, la spocchia con la supponenza, bensì abbattendo quei muri divisivi che fan comodo solo al nostro comune nemico. Per questo noi eravamo ieri, forti delle nostre ragioni, a marciare accanto agli attivisti di M5S. Haimé eravamo i soli.

giovedì 29 gennaio 2015

10.128 (SIAMO SERI, ALMENO PER UNA VOLTA) di Emmezeta

29 gennaio

Andiamo in stampa mentre M5S comunica i risultati della consultazione in rete sui nove candidati al Quirinale avanzati dai parlamentari pentastellati. Ecco i risultati comunicati dal blog di Beppe Grillo: 

«Hanno partecipato alla votazione 51.677 iscritti certificati. Il primo è risultato Ferdinando Imposimato con il 32%, secondo Romano Prodi con il 20%, terzo Nino Di Matteo con il 13%.
Il dettaglio dei risultati: Ferdinando Imposimato, 16.653 voti, Romano Prodi, 10.288, Nino Di Matteo, 6.693, Pierluigi Bersani, 5.787, Gustavo Zagrebelsky, 5.547, Raffaele Cantone, 3.341, Elio Lannutti, 1.528, Salvatore Settis, 1.517, Paolo Maddalena, 323.»
I Cinque Stelle e il Quirinale: note su un movimento allo sbando
Per favore, qualcuno gli spieghi almeno chi è Romano Prodi...

Non ci siamo occupati finora della cosiddetta "corsa al Quirinale". Non perché l'esito non sia importante, ma solo perché il toto-Quirinale è un hobby che lasciamo volentieri ad altri. I quali, benché apparentemente più informati, di solito non azzeccano mai una previsione.

Vedremo se alla fine la spunterà un uomo del "Nazareno", od un personaggio appena un po' più indipendente. Nel primo caso sarebbe una vittoria di Renzi e Berlusconi. Nel secondo canterebbe vittoria anche al minoranza del Pd, con l'ex cavaliere che dovrebbe decidere se salire anch'egli sul carro oppure no.

Di certo, sia nella prima che nella seconda ipotesi, Renzi vorrà un presidenticchio che non gli faccia ombra. Un po' come i ministricchi e le ministricche che compongono il suo governo.

Qui però vogliamo occuparci di un'altra questione. Perché mentre il nuovo presidente della repubblica uscirà fuori dalle alchimie segrete dei conciliaboli di palazzo - protagonisti massimi il pregiudicato di Arcore e lo spregiudicato di Pontassieve - il principale partito di opposizione non riesce a smettere di giocare con la tastiera.

Per scegliere il suo candidato, il M5S si affida di nuovo alla votazione online, un metodo che se poteva essere forse comprensibile 2 anni fa, oggi fa semplicemente pena. Un procedimento che ha già fatto troppi danni, ad esempio selezionando candidati totalmente sconosciuti agli stessi attivisti del movimento. Un'assurdità che verrà pagata di certo in termini elettorali alle prossime regionali di maggio. 

Errare è umano, perseverare è diabolico: ma per ora non c'è segno di ravvedimento alcuno. Tuttavia non di solo metodo si tratta. Perché qui c'è qualcosa di più. E quel di più si chiama Romano Prodi.

Leggiamo dal blog di Grillo:
«Oggi si vota online per il candidato alla Presidenza della Repubblica del Movimento 5 Stelle dalle 9.00 alle 14.00 (per finire prima dell'inizio della votazione in Parlamento). Dall’assemblea del gruppo parlamentare è uscita una rosa di nomi che è in votazione oggi. A questa rosa è stato aggiunto Romano Prodi perché riteniamo di dover onorare l'impegno preso con i parlamentari del PD attraverso l'email inviatagli. Dopo che Lorenza Carlassare ha declinato la candidatura la rosa completa di nove nomi è la seguente: Pierluigi Bersani, Raffaele Cantone, Nino Di Matteo, Ferdinando Imposimato, Elio Lannutti, Paolo Maddalena, Romano Prodi, Salvatore Settis, Giustavo Zagrebelsky».
Sorvoliamo sugli altri nomi, ma Pierluigi Bersani che c'azzecca? Per noi è stato l'uomo della liberalizzazioni e tanto basta, ma per i pentastellati non è più la stessa persona della penosa scena di autismo politico mandato in onda via streaming due anni orsono?

Ma lasciamo perdere e concentriamoci su un altro nome, questo assolutamente scandaloso, anche perché inserito nella rosa su espressa decisione del gruppo parlamentare. Stiamo ovviamente parlando di Romano Prodi da Scandiano. Il cui nome accenderebbe gli entusiasmi pure di Sel e della minoranza Pd... Siamo messi davvero bene!

C'è ancora bisogno di dire chi è veramente Romano Prodi? Evidentemente sì, almeno per quanto riguarda gli amici di M5S.

Romano Prodi è stato il re dei privatizzatori, negli anni d'oro (per lorsignori, si intende) della svendita del patrimonio pubblico italiano. Per tutti gli anni '90 ha operato in questo senso, prima come presidente dell'IRI, poi come presidente del consiglio. Ed in quel periodo l'Italia ha stabilito il record mondiale delle privatizzazioni! Bene, adesso premiamolo mandandolo al Quirinale, che qualcosa da privatizzare ancora resta!

Ma Prodi è stato anche il protagonista della svolta più decisa verso la precarizzazione del lavoro. Il "pacchetto Treu" del 1997 è ancora lì che grida vendetta. E ancora lì, pronti a dargli il voto, sono certi suoi sostenitori di sinistra (brr...) che anche allora, guidati dal Pavone Bertinotti, gli consentirono la porcheria chiamata "lavoro interinale".

Ancora: Prodi è stato uno dei padri dell'euro (a proposito, ma il M5S non è anti-euro?), nonché presidente della Commissione Europea dal 1999 al 2004. Quella che ha contribuito non poco a determinare le politiche europee di cui il popolo italiano è vittima.

Dobbiamo continuare?
Ad ognuno le sue responsabilità. Chi guida una forza di opposizione, che ha mietuto consensi anche in virtù di una forte spinta al cambiamento sociale, dovrebbe vergognarsi solo per aver inserito il nome di Prodi nella lista dei papabili.

Vabbè, dirà qualcuno, è solo una buffonata. Può essere, ma sarebbe appunto il momento di essere seri. Almeno per una volta. 

SENTITE E GUARDATE CHE DICEVA IL "MORTADELLA"....


29 gennaio

Vedremo come andrà a finire questa stucchevole pantomima dell'elezione del nuovo Presidente della Repubblica. 
UNA PRIMA COSA ci rincuora: chiunque egli sarà, difficilmente potrà fare peggio di Napolitano.

UNA SECONDA COSA appare chiara: quale che sia il coniglio che Renzi tirerà fuori dal suo cappello, sarà appunto un "coniglio", un Presidente "debole", che non dovrà disturbare l'autista. Nell'assetto post-democratico che viene fuori dalle modifiche istituzionali e dalla nuova legge elettorale Italicum, emerge infatti un sistema in cui l'esecutivo, quindi il Presidente del Consiglio, concentrerà nelle sue mani le leve decisive del potere. Una forma sostanziale e anti-costituzionale di presidenzialismo in cui il dominus è il Premier. Per cui: niente dualismo di poteri.

Anche per questo Prodi non sarà il nuovo Presidente, e non solo perché è la bestia nera di Berlusconi.

Tuttavia proprio Romano Prodi —il boiardo che curò dal 1982 al 1994 lo smembramento dell'IRI e le privatizzazioni di Alfa Romeo, della siderurgia pubblica, infine la scandalosa vendita a prezzi stracciati della SME a De Benedetti; uno degli artefici dell'euro come Presidente del Consiglio (dal 1996 al 1998), poi Presidente della Commissione europea dal 1999 al 2004— è stato scelto come uno dei papabili dal Movimento 5 Stelle.

Una scelta a dir poco scandalosa, quali che saranno i voti che gli attivisti di M5S gli attribuiranno nell'altra pantomima che è il voto in rete.

Una cosa è certa: i Cinque Stelle non potevano giocare in modo più maldestro la partita del Quirinale. Prima han detto: "Renzi faccia i nomi e poi noi li facciamo votare dalla rete". Hanno cioè giocato di rimessa, offrendo a Renzi un ruolo che la Costituzione non gli assegna affatto, quando avrebbero dovuto proporre in maniera decisa un candidato che rappresentasse la diffusa esigenza di una rottura col passato, con la casta e con le politiche austeritarie euriste.
Poi si sono decisi ad entrare in partita, ma peggiorando le cose, ovvero fornendo nove nomi tra cui appunto quello di Prodi. Un'abile tattica? Per niente: una gran cazzata, segno ulteriore di insipienza e dabbenaggine politica.

Ora godetevi lo spettacolo per rendervene conto...



domenica 12 ottobre 2014

GRILLO, L'EURO E IL REFERENDUM: COME STANNO LE COSE?

12 ottobre.
DIPANIAMO LA MATASSA

Che Beppe Grillo fosse, lui personalmente, per uscire dall'euro, lo si sapeva. La novità, importante, venuta fuori ieri dalla manifestazione a Roma, è che, per la prima volta l'ha affermato, come dire, in maniera solenne: «Dobbiamo uscire dall'euro per forza e nel più breve tempo possibile». Bene! Non meno importante è che questa programmatica esternazione sia stata accolta da uno scroscio di applausi dalla maggioranza degli attivisti di M5S che lo stavano ascoltando. Benissimo!

Il problema sta da un'altra parte, sta nella farraginosa e confusa procedura che Grillo ha proposto.
«A novembre inizieremo la raccolta delle firme per i referendum consultivo per uscire dall'euro. Entro sei mesi raccoglieremo oltre 50 mila firme, anzi arriveremo a un milione, due milioni, tre milioni... Quanti saremo? A maggio 2015 depositeremo cosi' l'iniziativa di legge popolare e stavolta la discuteremo in parlamento perché abbiamo 150 parlamentari... E così faremo un referendum consultivo come nel 1989».
Quanta confusione!

Perché ricorrere ad una Legge di iniziativa popolare secondo l'Art.71 della Costituzione —"Il popolo esercita l'iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli"— da sottoporre quindi all'attenzione Presidenti di una delle due Camere (che potrebbero come spesso è accaduto cestinare la proposta di legge) se si dispongono di ben 150 parlamentari? Insomma: se M5S vuole davvero mettere l'uscita dell'euro al centro del dibattito parlamentare e pubblico ha la forza parlamentare per farlo senza perdere tempo a raccogliere le 50mila firme per una Legge di iniziativa popolare.


Poi ha detto che le firme saranno milioni e che verrà chiesto un referendum consultivo per chiedere l'uscita dall'euro.

C'è da restare di stucco davanti ad un simile pressapochismo.

La Costituzione italiana non solo non contempla la possibilità di referedum abrogativi di Trattati internazionali (e quello di Maastricht che prevede la moneta unica lo è); essa non prevede l'istituto del "referendum consultivo".
per adesioni: info@sinistracontroeuro.it

Grillo ha fatto accenno al referendum del 1989, ma quello era un referendum di Indirizzo costituzionale —stabilito dal titolo I della legge 25 maggio 1970, n. 352. Fino al 1970, infatti, non era richiedibile il referendum costituzionale. 

Come stanno le cose in base alla legge del 1970?

Stanno che la richiesta un referendum di indirizzo costituzionale può essere presentata (1) o da un quinto dei membri di una Camera, (2) o da cinquecentomila elettori (3) o da cinque Consigli regionali.
Infine: per essere effettivamente convocato il referendum di indirizzo costituzionale (che per essere valido non necessiterebbe di alcun quorum) deve tuttavia ottenere la maggioranza assoluta del Parlamento, è cioè necessario il voto favorevole del 50 % più 1 dei componenti la Camera. 

SCHEDA - Referendum costituzionale così come disciplinato dal Titolo I della legge 25 maggio 1970, n.352
L'art. 138 della Costituzione prevede la possibilità di richiedere il referendum costituzionale solo a condizione che  le due camere abbiano approvato una legge di revisione costituzionale o di una legge costituzionale. Le camere in seconda deliberazione devono raggiungere la maggioranza assoluta, cioè è necessario il voto favorevole del 50 % più 1 dei componenti la Camera. Resta la norma che la Costituzione può essere modificata con la maggioranza qualificata dei 2/3 dei componenti di ogni Camera. La richiesta di legge costituzionale può essere presentata da un quinto dei membri di una Camera, da cinquecentomila elettori o da cinque Consigli regionali entro tre mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Ove il referendum di indirizzo costituzionale venisse convocato, non sarebbe necessario, per convalidare il risultato, il quorum strumentale del 50 più uno per cento dei votanti. A differenza del referendum abrogativo la legge costituzionale sarebbe promulgata se i voti favorevoli superano quelli sfavorevoli.

Morale della favola: ammesso che si raccolgano 500mila firme si dovrebbe poi avere il voto favorevole della maggioranza assoluta dei parlamentari. La qual cosa in questo parlamento è, se non impossibile, altamente improbabile. Ricordiamo che grazie al Porcellum la coalizione piddina col 29% ha ottenuto da sola il 54% dei seggi alla camera dei deputati.

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