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lunedì 13 febbraio 2017

PODEMOS O NO PODEMOS?

[ 13 febbraio ]

Si è concluso ieri il secondo congresso nazionale di Podemos. E ora?

Il nostro blog, più di ogni altro sito italiano, ha seguito passo dopo passo l'approssimarsi di questo evento, segnato dalla disputa tra i due fondatori Iñigo Errejón e Pablo Iglesias. Il primo fautore di una posizione più moderata, il secondo più radicale.
Sorvoliamo sulle complesse modalità adottate per andare alla conta e stabilire la composizione del nuovo gruppo dirigente. Sta di fatto che il documento di Pablo Iglesias ha ottenuto un successo rotondo, al di la di ogni aspettativa. L'ha strappato malgrado una campagna sfrontata da parte dei media spagnoli a favore di Iñigo Errejón, tutta tesa a presentare quest'ultimo come un politico "realista" e Iglesias come un "estremista" che avrebbe spinto Podemos ai margini della vita politica.

Ci sono rimasti male i commentatori di regime, non si aspettavano che il loro beniamino Errejón subisse una sconfitta di tali proporzioni —vedi la tabella sotto.

Meglio così dunque. Meglio che abbia vinto Pablo Iglesias.

Detto questo vale la pena andare un po' più a fondo, capire quale fosse l'oggetto del contendere. Meglio non farsi troppe illusioni.

Qual è infatti il punto centrale della contesa tra le due correnti (oramai è chiaro infatti che Podemos si è strutturato in correnti)?

La cosa va sotto la rubrica "alleanze". Errejón propone che Podemos punti ad un patto di governo con il PSOE —che non dimentichiamolo è stato uno dei due perni su cui si è appoggiato il regime eurista e che ora sostiene dall'esterno il governo delle destre di Rajoy— mentre Iglesias ha difeso la scelta di fare una lista comune con Izquierda Unida (Unidos Podemos) malgrado alle ultime elezioni abbia portato a magri risultati.

L'analogia con quanto accade nella italiana sinistra cosiddetta "radicale" è evidente. Lì tutto ruota attorno alla questione del rapporto con il PSOE, qui da noi il fulcro delle disputa è il rapporto con il Partito democratico. Le questioni dell'Unione europea, dell'euro, del vincolo esterno, della sovranità, restano del tutto assenti in questa disputa. 

Ne risulta un dibattito tutto politicista e schiacciato sulla tattica. Zero o quasi strategia, zero o quasi progetto futuro di Spagna sovrana, zero assoluto "discorso profetico" —per usare un concetto tanto caro a Julio Anguita, e a noi.

Difficile dunque dare torto a chi, di contro al carattere duro della contesa interna in Podemos, ha affermato che il "pablismo" è solo un "errejónismo di sinistra".

Il congresso si è concluso in mezzo al grido "Unidad! Unidad! Unidad!". 
Sotto la pressione dei presenti a Vista Alegre II, in effetti, i due principali sfidanti hanno chiuso i lavori abbracciandosi, promettendo in futuro di lavorare gomito a gomito. Che questo accadrà davvero vedremo. C'è già chi malignamente parla di "pace finta", che le ostilità continueranno, che la minoranza errejónista si metterà di traverso alla nuova direzione pablista.
Manolo Monereo alle spalle di Iglesias e Errejón

Vedremo se la corrente pablista, nei prossimi mesi, si limiterà a ribadire la sua linea o se, come ci auguriamo, proverà a liberarsi del tabù dell'europeismo, poggiando quindi il suo radicalismo sociale su basi politiche e strategiche solide, ovvero ponendo il problema della rottura con euro, Unione europea e globalizzazione.

L'avere visto il compagno e amico Manolo Monereo in tribuna, alle spalle dei due, con quella postura guardinga ed il suo volto severo, ci consola.


martedì 7 febbraio 2017

PODEMOS: IL MOMENTO DELLA VERITÀ? di Carlo Formenti

[ 7 febbraio ]

Il prossimo fine settimana Podemos svolge, dopo il primo dell'ottobre 2014, il suo secondo congresso. Molte cose sono cambiate, da allora, sia in Spagna che dentro Podemos —come SOLLEVAZIONE abbiamo costantemente informato i lettori sui passaggi più importanti. 
Podemos giunge diviso all'appuntamento.
Gli attivisti dovranno votare su due documenti alternativi, quello presentato da Pablo Iglesias e quello di Íñigo Errejón. Questo articolo di Formenti ci descrive le tesi contenute in entrambi, senza nascondere, malgrado i limiti, la propria simpatia per quelle più radicali di Iglesias.

Fra qualche giorno all’arena coperta di Vistalegre (Madrid), Podemos celebrerà la sua seconda assemblea generale, un evento che potrebbe segnare una svolta importante nella vita di questa formazione politica che rappresenta a tutt’oggi l’unica sinistra del Vecchio Continente in grado di competere alla pari con l’establishment neoliberale. Nel mio ultimo libro (“La variante populista”, DeriveApprodi) ho indicato in Podemos il più importante esempio europeo (accostandolo alle rivoluzioni bolivariane in America Latina e al movimento nato attorno alla candidatura di Sanders negli Stati Uniti) del tentativo di cavalcare a sinistra l’onda populista che in tutto il mondo si sta sollevando come reazione alle devastazioni sociali, civili ed economiche provocate da decenni di regime neoliberista.
Prima di analizzare le opzioni strategiche che si confronteranno a Vistalegre —proverò a farlo mettendo a confronto i documenti programmatici presentati, rispettivamente, dal segretario generale Paolo Iglesias e dal suo competitore Inigo Errejón— è utile premettere alcune sintetiche considerazioni sul mutamento di scenario mondiale in corso (segnato, fra gli altri eventi, dalla Brexit, dall’elezione di Trump e dalla sconfitta di Renzi nel referendum dello scorso dicembre) e sulle sfide che esso impone a tutti i movimenti antiliberisti del mondo.

Il presupposto da cui intendo partire è che stiamo vivendo la fase inziale di un rapido e caotico processo di de-globalizzazione. Non ho qui lo spazio di argomentare adeguatamente tale tesi per cui mi limito a enunciarla in modo apodittico rinviando all’articolo del vicepresidente boliviano Linera, che ho già avuto modo di commentare. In quel pezzo Linera scriveva, fra le altre cose, che Trump “non è il boia dell’ideologia trionfalista della libera impresa, bensì il medico legale al quale tocca ufficializzare una morte clandestina”. Clandestina, aggiungo io, per l’ottusa ostinazione con cui le sinistre si ostinano a non prenderne atto. E aggiungeva che l’era in cui stiamo entrando è ricca di incertezze, e proprio per questo potenzialmente fertile, se sapremo navigare nel caos generato dalla morte delle narrazioni passate.
18 ottobre 2014: Vista Alegre 1

Sulla stessa lunghezza d’onda vale la pena di segnalare un lungo, notevole articolo firmato Piotr e apparso sul sito Megachip che sostiene, fra le altre cose: 1) che Trump non rappresenta solo un elettorato fatto di perdenti della globalizzazione (disoccupati, lavoratori bianchi poveri, ecc.) ma anche un composito mosaico di frammenti delle élite dominanti spaventati dall’inerzia di una politica neocons trasversale (Hillary Clinton su tutti) disposta a rischiare una guerra mondiale, pur di difendere l’egemonia americana fondata sul binomio finanziarizzazione/globalizzazione; 2) che questa base incoerente e composita lo costringerà a condurre una politica altrettanto incoerente e contraddittoria (per esempio facendo marcia indietro sulla globalizzazione senza smettere di difendere gli interessi della finanza globale); 3) che per opporsi al suo pseudo new deal autoritario le lobby liberal-imperiali lotteranno (è cronaca di questi giorni) con il coltello fra i denti, mobilitando un’ideologia identitaria “arroccata dietro il dogma e l’inquisizione della correttezza politica, cioè una forma ideologica élitaria che preferisce tutto ciò che è minoranza, perché le minoranze non pongono sfide esiziali mentre se sfruttate bene possono minare quelle poste dalla maggioranza. Minoranze che quindi devono essere tenute sotto tutela da lobby che si erigono a loro rappresentanti. Lobby di minoranza incorporate in un establishment dedito a politiche élitarie”; 4) che una sinistra che voglia lottare sia contro il globalismo alla Clinton che contro il trumpismo dovrà surfare, con spirito pragmatico ma senza rinunciare i principi, l’onda populista. Il che ci riporta ai dilemmi di Podemos.

Iniziamo col dire che Podemos è oggi oggetto di una violenta aggressione da parte di tutti i media spagnoli, simile a quelle che in tutti gli altri paesi occidentali vengono condotte contro la minaccia “populista”. Le virgolette s’impongono perché il termine viene usato in modo totalmente indifferenziato: populisti sono Evo Morales e Marine Le Pen, Rafael Correa e Grillo, Trump e Podemos. Un appiattimento che non è frutto di incapacità di analisi politica; al contrario: riflette la secca polarizzazione formulata qualche settimana fa dal direttore del Wall Street Journal, il quale ha dichiarato che, d’ora in avanti, lo scontro non sarà fra destra e sinistra ma fra globalisti e antiglobalisti. Altrettanto univoca la ricetta per fronteggiarli: costruire grandi coalizioni fra liberali e socialdemocratici per sbarrare loro il passo (coalizioni cui tendono ad accodarsi in posizione subordinata quei partiti di sinistra “radicale” che si lasciano convincere dalle élite liberali della necessità di far fronte contro il pericolo “fascista”). In Spagna, come spiega un articolo del deputato di Podemos Manolo Monereo, questa campagna si è fatta isterica da quando Podemos ha scelto di stringere un’alleanza elettorale con Izquierda Unida piuttosto che con il PSOE. Perciò, visto che la prima opzione è stata sostenuta da Pablo Iglesias e la seconda da Inigo Errejón, e visto che le due tesi si confronteranno nuovamente nell’assemblea di Vistalegre, i media stanno entrando a gamba tesa nel dibattito precongressuale nella speranza di riuscire a spaccare il partito o, in via subordinata, a rafforzare al suo interno la corrente che fa capo a Errejón. Ma veniamo ai documenti.

Il documento di Iglesias muove da considerazioni analoghe a quelle esposte poco sopra in merito alla fase storica mondiale: la globalizzazione sta entrando in crisi a mano a mano che sorgono nuove resistenze e avversari politici: non solo i movimenti sociali, ma anche quei governi guidati da forze politiche sovraniste/progressiste che, soprattutto in America Latina, tentano di restituire un ruolo strategico allo stato in materia di politica economica e perseguono programmi di riforme radicali, mentre è in corso un riequilibrio dei rapporti di forza geopolitici dovuto all’emergenza di superpotenze vecchie e nuove, come la Russia e la Cina. La crisi europea è parte integrante di tale contesto: gli effetti devastanti del progetto ordoliberista (elevamento del trattato di Maastricht a rango costituzionale sotto egemonia tedesca, perdita della sovranità monetaria e conseguente esautoramento dei governi nazionali privati di potere decisionale su temi strategici; attacco a salari e stato sociale; tagli generalizzati alla spesa pubblica; sistema dei media “blindato” a sostegno del pensiero unico liberista ecc.) generano una resistenza crescente dei popoli europei. In Spagna il consenso, a lungo fondato su settori sociali che aspiravano a venire integrati nella classe media e alternativamente gestito da democristiani e socialisti, si è dissolto dopo l’esplosione della crisi globale e a fronte della “cura” che la Ue ha imposto alla Spagna e che ha prodotto deindustrializzazione e disoccupazione. Così sono nati movimenti di massa che rivendicavano democrazia e sovranità popolari, provocando una vera e propria crisi di regime. In questa situazione i media mainstream si sono fatti garanti della continuità delle scelte politiche liberal liberiste, favorendo la nascita di una grande coalizione liberal socialdemocratica sul modello tedesco.


Il documento passa poi a ricostruire la breve storia di Podemos: nato nel 2013/14 su iniziativa di un gruppo di militanti di varia provenienza (movimenti studenteschi, sinistra anticapitalista, ex comunisti, movimenti di base, ecc.) ispirati dall’esempio del “giro all’izquierda” che ha visto molti Paesi latinoamericani costruire esperimenti populisti di sinistra, il partito ha lanciato un programma politico che chiedeva l’avvio di un processo costituente fondato su riforme radicali: riconquista della sovranità popolare con la possibilità di realizzare una politica economica redistributiva e di recuperare i diritti sociali; riforma in senso proporzionale del sistema elettorale, riforma della giustizia per accrescerne l’autonomia dal sistema politico; lotta contro il TTIP, lotta per la parità di genere e per il riconoscimento del carattere plurinazionale dello stato spagnolo, ecc. Programma che ha riscosso largo consenso nei settori popolari e nelle classi medie impoverite, consentendo di ottenere importanti successi elettorali.

Dopodiché Iglesias richiama (e rivendica) la svolta che ha visto il partito scegliere l’alleanza elettorale con la sinistra radicale di Izquierda Unida e la contrapposizione frontale al blocco di potere liberal-socialdemocratico. Ricorda che tale svolta è maturata dopo un serrato dibattito interno, in cui la base ha respinto l’opzione (difesa da Errejón) di un accordo con il PSOE, scegliendo invece la strada di un’alternativa radicale al sistema di potere. Questa linea, che Iglesias si appresta a difendere nella prossima assemblea generale, si fonda sull’ipotesi che la crisi politica ed economica non stia avviandosi alla normalizzazione ma sia al contrario destinata ad acuirsi ulteriormente. Il compito di Podemos, quindi, non è quello di proporre un piano alternativo di governo, bensì quello di costruire un nuovo progetto di paese, tenendo saldamente insieme un blocco sociale formato da settori popolari e classi medie.

Per attuare questo progetto occorre una riforma dell’organizzazione del partito che, nella convulsa fase di crescita, si era concentrato sulla costruzione di una macchina elettorale favorendo la concentrazione del potere decisionale nelle mani del vertice. Ora si tratta di superare questo assetto verticistico sia rafforzando le strutture di base che affondano le radici nei territori, sia promuovendo e accompagnando la nascita di vere e proprie istituzioni di democrazia popolare, una rete di contropoteri che faccia sì che le vittorie siano percepite come vittorie di un blocco sociale più che come vittorie di Podemos. Infine, se si vuole costruire un modello alternativo di Paese, il programma di questo partito di tipo nuovo —che deve rappresentare un progetto condiviso da identità politiche, sociali e territoriali diverse— deve compiere un salto di qualità che il documento identifica con obiettivi ambiziosi: istituire un controllo democratico (attraverso regolazione pubblica e/o nazionalizzazioni) sui settori produttivi strategici e in particolare sui settori finanziario, dell’energia, delle comunicazioni; reindustrializzare il Paese contro la sua riduzione a Paese prevalentemente turistico imposta dalla Ue; impegnarsi a realizzare la sovranità alimentare; offrire sostegno alla piccola e media impresa, al cooperativismo e all’economia sociale.

Il documento di Errejón dedica meno spazio all’analisi della fase storica, in quanto si concentra soprattutto sui rapporti di forza fra i partiti, sulle alleanze e sulle prospettive elettorali, dando relativamente poco peso ai fattori socioeconomici. In particolare, vengono affrontati i seguenti temi: 1) analisi degli errori di Podemos che, secondo Errejón, ne avrebbero frenato l’ascesa elettorale; 2) concentrazione sulla necessità di trasformare Podemos in forza di governo; 3) rilancio, a tale scopo, dell’ipotesi di alleanza con il PSOE (e critica dell’alleanza con IU) ; 4) necessità di riformare il partito, ridimensionando il potere del vertice e “femminilizzandolo”; 5) spostamento dall’obiettivo di costruire di un blocco sociale a quello di “costruire un popolo” (vedi, in proposito, il libro-dialogo fra Inigo Errejón e Chantal Mouffe, “Construir pueblo”), da cui consegue la riformulazione del conflitto sociale quasi esclusivamente nei termini della opposizione alto/basso, popolo/élite; 6) forte attenzione per le aspettative di sicurezza e ordine delle classi medie. Ma vediamone più in dettaglio lo sviluppo.

Per Errejón, Podemos incarna un ciclo di mobilitazione che ha dicotomizzato la società spagnola fra la “gente comune” e una casta privilegiata (si tratta della formulazione “classica” del fenomeno populista secondo le teorie di Ernesto Laclau). Perciò la sua vocazione è quella di costruire una forza politica di tipo nuovo (al di là dei dogmi della sinistra tradizionale) che persegua un cambio di potere in favore delle maggioranze sociali (cambio di potere, non rottura sistemica!).

Per superare l’attuale struttura verticistica (obiettivo sul quale concorda anche Iglesias, come si è visto) Errejón propone una ricetta fondata sui principi “classici” della democrazia parlamentare borghese e dei suoi partiti: divisione dei poteri, distribuzione delle cariche in base a un criterio di “proporzionalità” fra le correnti interne (la cui esistenza viene data per scontata in quanto garanzia di democraticità). Infine “femminilizzazione” del partito in ossequio a quello che in Italia definiremmo il principio delle quote rosa (punto su cui tornerò più avanti perché mi sembra rilevante ai fini delle differenze di prospettiva politica fra i due approcci).

Sul tema delle alleanze Errejón è fortemente critico nei confronti dell’accordo elettorale con IU (al quale imputa la mancata crescita nell’ultima tornata elettorale), mentre rilancia l’ipotesi dell’alleanza con il PSOE, in barba alla tragica crisi di questo partito e al fatto che la base aveva bocciato (vedi documento Iglesias) tale idea. Da un lato, sostiene che se si fosse impostato il rapporto con il PSOE in modo “laico” (implicita allusione all’ostilità ideologica della base di sinistra nei confronti dei socialisti) si sarebbero ottenuti risultati più produttivi di quelli realizzati con la linea di contrapposizione frontale che si è imboccata. A parte il fatto che questa tesi dà per scontata la possibilità di costringere il PSOE ad aderire a un’alleanza di centrosinistra, è evidente che il risultato cui qui si allude consiste nella possibilità che Podemos riesca finalmente a convertirsi in forza di governo. Ma a quale prezzo politico? Il documento, non a caso, sorvola sulle politiche condotte dal PSOE negli anni precedenti, vale a dire sulla sua piena conversione al credo neoliberale. Forse per non ammettere che un accordo con il PSOE implicherebbe, molto più probabilmente, un spostamento verso il centro di Podemos piuttosto che uno spostamento a sinistra dei socialisti.


Del resto Errejón ribadisce la propria convinzione che, alla forza delle élite, non si può contrapporre la sinistra ma “la maggioranza eterogenea di chi sta in basso”. Su quale sia la natura della maggioranza eterogenea che ha in testa Errejón, ci offre un indizio il suo ripetuto riferimento alla necessità di venire incontro alle esigenze di certezza, ordine e sicurezza della gente: il “popolo” in questione è fatto soprattutto da quelle classi medie che sperano di poter recuperare le posizioni di privilegio perse a causa della crisi, un popolo che non va spaventato contraendo imprudenti alleanze con le classi subalterne. In sintesi, potremmo dire che siamo di fronte a un progetto neo socialdemocratico, in ragione del quale Podemos si troverebbe impegnato a integrare, assorbire e rivitalizzare un partito socialista delegittimato per avere consegnato il Paese al saccheggio del capitale finanziario globale.

Come si vede l’alternativa prospettata dai due documenti è radicale: da un lato abbiamo l’idea che la crisi è destinata ad aggravarsi e non richiede un semplice cambio di politica economica bensì un vero e proprio cambio di civiltà, dall’altro l’idea che esiste una possibilità di “normalizzazione” della crisi attraverso un cambio di governo e l’adozione di misure capaci di mitigare l’asprezza della civiltà liberista; da un lato abbiamo la concezione di un processo costituente gestito da nuove istituzioni di contropotere popolare e da un partito capace di guidare un blocco sociale fatto di classi subordinate e classi medie impoverite, dall’altro lato la convinzione che basti rivitalizzare le istituzioni della democrazia rappresentativa e rifondare la socialdemocrazia per restituire potere decisionale al popolo.

Potremmo anche dire che si confrontano due concezioni diverse del concetto di egemonia: la prima ispirata all’idea di blocco sociale di Gramsci, la seconda all’idea di popolo di Laclau —due concezioni che rinviano a due modelli diversi di “socialismo del XXI secolo” (non va mai dimenticato che tanto Iglesias quanto Errejón devono la propria formazione politica all’esperienza latinoamericana): da un lato il modello della rivoluzione boliviana di Morales e Linera, dall’altro il modello della Revolucion Ciudadana di Rafael Correa (quello, per intenderci, che piace a Grillo: se vincesse Errejón, Podemos somiglierebbe all’M5S assai più di quanto gli somigli adesso).

Infine è significativa la differenza di atteggiamento dei due documenti sul tema della parità di genere: entrambi attribuiscono un’importanza fondamentale all’obiettivo, ma nel documento di Errejón esso è al centro di riferimenti ripetuti quasi ossessivamente, nei quali si evoca a più riprese il concetto di ”femminilizzazione” (del partito, delle istituzioni, del programma, ecc.). Il dubbio è che tanta insistenza sia spiegabile, più che come omaggio all’ideologia femminista, come convergenza con la campagna globale che il fronte liberal sta conducendo contro la minaccia populista, campagna in cui l’ideologia politically correct, i diritti civili e individuali e l’esaltazione di tutte le differenze —vedi sopra— vengono mobilitati per impedire che la lotta per i diritti sociali torni a occupare il centro della scena.

Per concludere: è auspicabile che l’eterogeneità dei due blocchi sociali e delle due culture politiche che oggi convivono in Podemos non provochi una rottura che sarebbe disastrosa per il movimento antiliberista spagnolo ma, almeno dal punto di vista di chi scrive, è non meno auspicabile che l’unità venga mantenuta sotto l’egemonia della linea di Iglesias, alla quale credo si possa rimproverare quasi solo l’evidente incoerenza sul problema dell’Europa: l’esperienza greca ha dimostrato che l’obiettivo di riconquistare la sovranità popolare in materia di democrazia, welfare e politica economica non è compatibile con la permanenza nella Ue —incompatibilità della quale, finora, nemmeno Iglesias ha avuto il coraggio di prendere atto.


* Fonte:  Carlo Formenti, Gramsci o Laclau? I dilemmi di Podemos, Micromega

mercoledì 1 febbraio 2017

TUTTO FA BRODO CONTRO PODEMOS di Manolo Monereo

[ 1 febbraio ]

Podemos si appresta a celebrare la sua seconda assemblea congressuale (10-12 febbraio).
Dello scontro tra i due leader principali —Inigo Errejón e Pablo Iglesias— ne parlavamo un mese fa, quando si stava decidendo le modalità (la proposta di Iglesias è risultata maggioritaria) per andare al congresso.



Quella qui sopra è la prima pagina digitale di El Pais del 22 gennaio: "Errejón forza Iglesias per chiudere la strada ad una fusione tra Podemos e Izquierda Unida (IU)".

Data la perentorietà del titolo, siamo entrati nell'articolo. La sua presunta base è che nel documento organizzativo Inigo Errejón, si dice che la fusione con qualsiasi altra forza politica richiederebbe l’accordo dei due terzi dei membri del Podemos. Tutto qui. Siamo andati alla ricerca di indizi e non li abbiamo trovati. Nessun dirigente di IU, nessun leader del Podemos ha mai parlato di una possibile fusione organica tra le due formazioni e, tanto meno, questo è il tema della prossima assemblea congressuale di Podemos.

Doverebbe esserci una connessione tra il documento di Iñigo Errejón in vista dell’assemblea congressuale di Podemes col titolo contundente del quotidiano El Pais. L'unica cosa che gli può essere anche solo lontanamente associata è la riunione di membri di Unidos Podemos tenutasi a Madrid il giorno prima. Alberto Garzón [portavoce di IU, Ndr] ha difeso la necessità di continuare con forza nella unità elettorale tra IU e Podemos. Cose simili sono state dette da Domenech, Xavi e Yolanda Diaz. Il carattere rilassato e unitario dei tono ha spinto Garzon a riconoscere che ci sono alcuni non sanno se sono di Podemos o IU, la qual cosa che gli sembrava positiva. Pablo Iglesias ha concluso ribadendo la necessità di consolidare la convergenza già raggiunta e che la prossima assemblea di Podemos sarà anche essere un passo avanti unitario, non solo per Podemos, ma per la costruzione di una solida alternativa alle destra e alle sue politiche.

Che cosa ha a che vedere tutto questo con il titolo di El Pais? Niente. Si tratta di una grossolana manipolazione tipica della stampa gialla che non ha altro scopo che il disgregamento politico ed elettoralmente di Podemos e cercare di condizionare la sua agenda pubblica. Nella storia di El Pais e PRISA non è qualcosa di nuovo. Ciò che sorprende è la virulenza, il giornalismo di bassa qualità, e la mancanza di argomenti seri per influenzare in modo decisivo il dibattito interno a Podemos. E’ lo stesso stile, sono le stesse procedure utilizzate già con il PSOE di Pedro Sánchez. Non voglio dire tra El Pais e la corrente di Inigo Errejón vi è un coordinamento né tantomeno complicità, semplicemente è l'ennesimo tentativo di rompere Podemos e danneggiare elettoralmente una formazione politica che impedisce che la crisi del regime si chiuda nella direzione auspicata dei poteri forti.

Si deve sempre trarre dovute lezioni da quelli che comandano e non si presentano alle elezioni. Indicano la strada e ci rivelano le loro tattiche e le loro manovre. Nessuno ha preso in seria considerazione una fusione tra Podemos e IU. Tuttavia, vale la pena chiedersi perché certe cose sono dette e il perché di alcuni editoriali. In primo luogo, da fastidio l'unità, l’ampio fronte costruito intorno a Podemos ed ai suoi leader. Si tratta della più grande unità politica costruita in Spagna dai tempi del Fronte Popolare [negli anni ’30, Ndr]. SI tratta di una forza politica che ha il potere di veto e blocca la restaurazione in corso e continua a generare una quantità enorme di speranze e illusioni politiche. Unidos Podemos è venuto per rimanere e, lo sottolineo di nuovo, contro-corrente rispetto ad un'Europa che vede la rovina della socialdemocrazia, la scomparsa della sinistra sociale e politica e l'emergere di populismi di destra. In un’Europa così, in Spagna cresce e si sviluppa una formazione politica con reali possibilità di essere un’alternativa di governo e di potere. I poteri interni ed esterni faranno del loro meglio per indebolirla, dividerla e romperla in mille pezzi. Se mi è consentito, per me che sono un vecchio nostalgico, si tratta di lotta di classe in senso stretto, poiché ha al suo centro la contesa per il potere politico.

Tuttavia, questo dibattito pseudo suscitato dal quotidiano El Pais dice che la lotta per una propria agenda è da sempre un segno di autonomia e di costruzione vera di una egemonia nazionale popolare. La questione dell'unità, della costruzione di un blocco popolare e democratico alternativo dovrebbe essere un elemento centrale nelle nostre discussioni, non invece un nuovo strumento per generare più confusione e creare un ambiente ostile verso alleati che stanno mostrando segni di fedeltà e prudenza in momenti per nulla facili per Podemos. Politica di unità, costruzione di forti alleanze sociali e politiche, organizzazione di poteri sociali sono gli elementi fondamentali di una strategia che ha al suo centro la trasformazione del paese. Il problema potrebbe essere posto nel modo seguente: nel sud della Unione Europea, nel quadro dei trattati esistenti, con le politiche economiche di austerità legate all'euro, un governo democratico popolare, populista —o come lo si voglia chiamare—, avrebbe margini di manovra interni ed esterni molto stretti e sempre incerti. Come ottenere margini di autonomia macro economici, capacità di intervenire seriamente nei mercati e difendere lo Stato sociale? Senza un contropotere sociale capace di diventare soggetto attivo, potere costituente del cambiamento politico ed economico, difficilmente ci si riuscirà. Pertanto, l'unità è sempre decisiva, un’unità che va al di là del livello puramente elettorale, che si concretizzi programmaticamente e renda possibile l'unità di azione. Parlare di fusione tra Podemos e IU è un modo per evitare il vero dibattito ed equivocare la fase e il paese.

Dopo febbraio viene marzo. Qualunque cosa accada in Vistalegre II [la seconda assemblea congressuale di Podemos, Ndr] avremo un indirizzo legittimo e una politica collettiva eletta. Entreremo in un ciclo politico-elettorale lungo e complesso. Il PP di Rajoy rimarrà al centro della restaurazione politica. A loro volta, dovranno utilizzare di nuovo il PSOE per impedire l'egemonia di Podemos a sinistra. Il regime avrà bisogno dell'unità delle sue forze fondamentali ed aggredire il cosiddetto "problema catalano". Podemos dovrà andare avanti restando il perno di una vasta politica di alleanze che sarà difficile da governare, che richiederà molta abilità e intelligenza. Se vogliamo davvero sconfiggere la destra e le sue politiche, dobbiamo continuare a rafforzare i soggetti sociali, potenziando il conflitto, costruendo l'unità dal basso, qualificando meglio il nostro lavoro istituzionale per essere in grado di offrire un progetto di paese credibile, alternativo e possibile. Questo è il compito decisivo; il resto sono manipolazioni del potere..

venerdì 23 dicembre 2016

PODEMOS: IGLESIAS VINCE PER IL ROTTO DELLA CUFFIA

[ 23 dicembre ]

Tre giorni fa pubblicavamo l'opinione di Manolo Monereo riguardo alla frattura interna che lacera Podemos, tra la corrente guidata da Pablo Iglesias e quella capeggiata da Iñigo Errejón [i due nella foto].

Monereo lamentava che questa disputa, in vista del prossimo congresso di febbraio (Assemblea statale di Vista Alegre II) ha poco spessore politico, schiacciata com'è sul piano del modello organizzativo, una battaglia per il comando organizzativo del movimento. Questa disputa è culminata nel referendum tra gli iscritti che si è svolto dal 18 al 20 dicembre. Ieri sera son o stati resi noti i risultati

Ma su che cosa gli iscritti alla piattaforma elettronica di Podemos sono stati chiamati a votare? Sulle regole per andare al congresso e, in particolare, se sui criteri per comporre le diverse piattaforme/liste per i posti di direzione.  Col modello proposto da Iglesias (chiamato DesBorda) ogni lista nominativa deve essere collegata ad una piattaforma politica, mentre in quello avanzato da Errejón questo collegamento non era prescrittivo.

Su 140mila iscritti hanno votato in 99.077, ovvero il 38% di quelli che il movimento considera "attivi" e aventi diritto. 

La proposta di Iglesias ha ottenuto il 41,57% dei voti (40.830), quella difesa da Iñigo Errejón ha ottenuto il 39,12% (38.419), quella promossa dai trotskysti di Izquierda Anticapitalista di Miguel Urban il 10,5% del totale (10.313.

La differenza tra la proposta di Iglesias e quella di  Errejón è stata di 2.411 voti, ciò che dimostra la forza di quest'ultimo, ovvero l'equilibrio tra le due correnti fondamentali. Risultato inatteso visto che ci si aspettava una vittoria di Iglesias ben più robusta.

Al di là dei sofisticati e per certi versi capziosi meccanismi su cui gli iscritti di Podemos sono stati chiamati a votare, vale la pena ricordare che durante la prolungata crisi di governo, era emersa con chiarezza la divisione politica tra le due correnti: quella "moderata" di Errejón disposta a sostenere dall'esterno un governo del PSOE, quella "radicale" di Iglesias che respingeva un sostegno esterno al PSOE e semmai accettava l'idea di un governo congiunto.

La dichiarazione di Pablo Iglesias dopo il referendum 


La dichiarazione di Iñigo Errejón

giovedì 22 dicembre 2016

PODEMOS: IGLESIAS VINCE PER IL ROTTO DELLA CUFFIA

[ 23 dicembre ]

Tre giorni fa pubblicavamo l'opinione di Manolo Monereo riguardo alla frattura interna che lacera Podemos, tra la corrente guidata da Pablo Iglesias e quella capeggiata da Iñigo Errejón [i due nella foto].

Monereo lamentava che questa disputa, in vista del prossimo congresso di febbraio (Assemblea statale di Vista Alegre II) ha poco spessore politico, schiacciata com'è sul piano del modello organizzativo, una battaglia per il comando organizzativo del movimento. Questa disputa è culminata nel referendum tra gli iscritti che si è svolto dal 18 al 20 dicembre. Ieri sera son o stati resi noti i risultati

Ma su che cosa gli iscritti alla piattaforma elettronica di Podemos sono stati chiamati a votare? Sulle regole per andare al congresso e, in particolare, se sui criteri per comporre le diverse piattaforme/liste per i posti di direzione.  Col modello proposto da Iglesias (chiamato DesBorda) ogni lista nominativa deve essere collegata ad una piattaforma politica, mentre in quello avanzato da Errejón questo collegamento non era prescrittivo.

Su 140mila iscritti hanno votato in 99.077, ovvero il 38% di quelli che il movimento considera "attivi" e aventi diritto. 

La proposta di Iglesias ha ottenuto il 41,57% dei voti (40.830), quella difesa da Iñigo Errejón ha ottenuto il 39,12% (38.419), quella promossa dai trotskysti di Izquierda Anticapitalista di Miguel Urban il 10,5% del totale (10.313.

La differenza tra la proposta di Iglesias e quella di  Errejón è stata di 2.411 voti, ciò che dimostra la forza di quest'ultimo, ovvero l'equilibrio tra le due correnti fondamentali. Risultato inatteso visto che ci si aspettava una vittoria di Iglesias ben più robusta.

Al di là dei sofisticati e per certi versi capziosi meccanismi su cui gli iscritti di Podemos sono stati chiamati a votare, vale la pena ricordare che durante la prolungata crisi di governo, era emersa con chiarezza la divisione politica tra le due correnti: quella "moderata" di Errejón disposta a sostenere dall'esterno un governo del PSOE, quella "radicale" di Iglesias che respingeva un sostegno esterno al PSOE e semmai accettava l'idea di un governo congiunto.


La dichiarazione di Pablo Iglesias dopo il referendum 



La dichiarazione di Iñigo Errejón

martedì 20 dicembre 2016

SCISSIONE DI PODEMOS? di Manolo Monereo

[ 20 dicembre ]

Dal 18 al 20 dicembre si è svolta  tra gli iscritti di Podemos, una importante consultazione degli iscritti —domani, 21/12 conosceremo i risultati— in vista della sua seconda Assemblea statale (Vista Alegre II) che si dovrebbe svolgere a febbraio. Consultazione su cosa? Sulle regole procedurali con le quali andare verso questo vero e proprio congresso. La consultazione viene dopo mesi di dura lotta interna tra la corrente di Pablo Iglesias e quella di Iñigo Errejón. Una spia di una crisi politica profonda, che tuttavia, come dice Monereo, non si manifesta su chiare tesi politiche ma in uno scontro per il controllo dei posti di direzione.

L'amico e compagno Manolo Monereo (nella foto) —molti gli articoli suoi da noi pubblicati, per non parlare della sua presenza a vari incontri in Italia, tra cui l'ultimo, il III. Forum europeo no euro—,  è deputato per Cordoba di Unidos Podemos. Ma è anche fratello politico di Julio Anguita e, secondo Pablo Iglesias, uno dei "cervelli" di Podemos. Monereo, nel dibattito interno a Podemos sta dalla parte del Segretario generale Pablo Iglesias. 
Qui le parti salienti di una sua recentissima intervista.
                                                             
D. Che cosa sta succedendo dentro Podemos?

R. Podemos vive un momento eccezionale in una situazione politica di emergenza. Il carattere eccezionale che ha per Podemos  è che il Psoe è in crisi, e c’è la possibilità che Podemos diventi la grande forza di opposizione politica e sociale di questo paese. È chiaro che c'è una tentazione dei poteri forti di intervenire nelle nostre discussioni e, d'altra parte, vi è un dibattito naturale e necessario in un'organizzazione che di fatto èbasata su elezioni.
Da questo punto di vista, in un contesto in cui i poteri forti cercano di intervenire sul nostro dibattito come hanno fatto col PSOE, si può dire che il dibattito sia normale. Ma il contesto da al dibattito caratteristiche specifiche.

D. Quali sono i punti nodali del dibattito?


La caratteristica fondamentale è che non ci sono questi punti nodali. Io ancora non vedo un dibattito di idee, progetti, proposte e programmi all’altezza della situazione.
La cosa più tragica che ci sta capitando è che stiamo facendo una discussione tutta procedurale in un momento in cui abbiamo bisogno di un dibattito politico di idee e progetti. Siamo per tanto entrati in una sorta di tunnel di interiorizzazione dal quale si che Podemos sarebbe alle prese con problemi drammatici. Ma quando si parla di essi, il tutto finisce nel decidere in assemblea la composizione della direzione e il suo rapporto con la politica.
Ma questo a chi interessa? Non interessa a nessuno, è solo un modo per danneggiare il progetto. No, questo dibattito non interessa a nessuno. Quello che interessa è ciò che Podemos propone per  diventare la grande opzione strategica del popolo spagnolo, dei cittadini e delle cittadine. Io non sono affatto interessato a una discussione sulle procedure in un'organizzazione come Podemos, tanto più in un momento in cui si sta sfidando apertamente l'egemonia del PSOE. Sono interessato alla politica, e credo che non vi è abbastanza politica, che siamo entrati in un dibattito piuttosto equivoco.

D. Ma in questo dibattito si vede lo scontro tra Iglesias e Errejón è tratto, e anche i mezzi di comunicazione si schierano con quest’ultimo.

Tra le cose che intravedo, perché si deve indovinare, si deve ricorrere ad una ermeneutica del linguaggio per capire quali sono le differenze di cui stiamo parlando, dobbiamo fare un esercizio di memoria sapendo come parla ciascuno, conoscendo come conosco molto bene Pablo e Iñigo.
Quindi ci sono due cose importanti: la convinzione, in quella che possiamo chiamare la zona [settore] di Inigo Errejón, che Pablo vincerà l'Assemblea e non ha alternative. Le due cose sono molto importanti: sentono che Pablo ha la maggioranza nell'organizzazione e non ha alternative. DI più, si fa causa comune per dire che non sarà presentata un'alternativa a Pablo. Cosa ci rivela quindi questo esercizio ermeneutico? Il timore dell’area di Iñigo —e penso che quest’area sia più ampia che soltanto quella di Iñigo—, che se vince Pablo i posti di potere nell’organizzazione si ridurranno drasticamente.
Questo è quello che possiamo chiamare lo fondo di un dibattito che è un dibattito che non ci fa del bene: da un lato si danneggia la figura del Segretario Generale con accuse più o meno equivoche di autoritarismo, di arroganza, di scarsa propensione all'integrazione e, d'altra parte, si erode il progetto anche perché, siccome questa erosione non ha apparentemente alcun scopo politico e di idee, la sensazione che viene fuori è che stiamo discutendo di distribuzione di potere interno.
Penso che se questo settore è preoccupato che una vittoria di Paolo potrebbe portare alla perdita di posti di responsabilità, quindi la necessità di negoziare. Questo non aiuta né il progetto né l'integrazione. Per integrare qualcosa, devi sapere che cosa si integra. Non si può combattere per simboli, si deve invece dire: con questa politica siamo d'accordo, in questo siamo d'accordo, questo è ciò che possiamo discutere, questo è ciò che si deve votare. Per integrare, è necessario conoscere le posizioni e che queste siano chiarite politicamente, totalmente.
Il problema di fondo sta nella difficoltà che ha un militante, un iscritto, un elettore, un votante di Podemos nel capire ciò che effettivamente è in discussione. E così, alla fine cadiamo nella peggiore vecchia politica: discutere di potere usando una terminologia ideologica o ambigua. Questo non va bene per il progetto. Ciò di cui abbiamo bisogno sono idee, proposte e che la gente sappia di cosa si sta discutendo.
                                                               
D. Dove deve andare Podemos?

R. Podemos deve definire un nuovo progetto Paese leggibile alla maggioranza, senza ambiguità. Noi siamo per l’uscita dal regime, per una rottura democratica, per un processo costituente… E quali sono gli elementi chiave? Vogliamo garantire i diritti sociali? Vogliamo controllare il mercato? Vogliamo evitare gli aspetti parassitari della nostra organizzazione economica? Vogliamo ridurre l'enorme potere del capitale finanziario in questo Paese, che controlla tutto, compresa la stampa? Vogliamo risolvere i problemi della gente, il problema della disoccupazione, quelli della povertà e della disuguaglianza; vogliamo una nuova legge sul lavoro che consenta ai lavoratori di godere dei diritti sociali e sindacali e di un salario minimo. Questo è quello che dobbiamo dire chiaramente alla popolazione, e quindi vi diciamo come lo facciamo; dobbiamo dire quello che pensiamo del PSOE e del suo dibattito, che tipo di situazione politica vive il Paese, incluso il tema centrale della corruzione .. . idee, progetto e un programma in grado di emozionare e generare impegno politico nella maggioranza dei cittadini.

Si tratta di un'opportunità che non dovrebbe andare perduta e mi auguro che da qui ai prossimi mesi potremo dare risposte. Mai, mai, guardarsi l'ombelico; mai fare un dibattito interiorizzato; mai fare un dibattito in termini di leadership politica: programma, progetti e una squadra in grado di realizzarli. Questo è per me è il sostanziale, e tutto il resto sono ambiguità calcolate che eludono il dibattito politico.

* Fonte: el diario

** Traduzione a cura della Redazione

sabato 19 marzo 2016

PODEMOS AL BIVIO di Francesco Manetto e Elsa Garcia De Blas*



[ 19 marzo ]

Il numero due Errejón [a destra nella foto] darà battaglia in Podemos per un partito aperto e plurale


«Inigo Errejón prepara in silenzio la sua risposta a Pablo Iglesias. Il numero due si è eclissato dai riflettori pubblici per mostrare la sua opposizione al licenziamento da parte di Iglesias, di Sergio Pascual, la sua mano destra. Tuttavia, Errejón è disposto a fare la battaglia per un modello di partito trasversale, aperto e plurale, che difende un "progetto di maggioranza" contro i metodi ereditati dalla tradizione del Partito comunista spagnolo (PCE), più centralizzati che legati a movimenti popolari. I due leader hanno si sono parlati Mercoledì, secondo Irene Montero, ma avrebbero discusso del prossimo incontro tra Iglesias, "abbattuto" e preoccupato per quello che sta accadendo, e Pedro Sanchez [il segretario del PSOE che sta tentando nuovamente di formare il suo governo. NdR].

La rimozione del capo della Organizzazione di Podemos, comunicata Martedì in parlamento, ha fatto seguito al rimodellamento dell’apparato organizzativo. Ciò che ha provocato il disagio nella componente vicina a Inigo Errejón e Sergio Pascual. C'è stato un dibattito su come realizzare questo rimodellamento. Alcuni vicini al segretario politico di Podemos hanno chiesto una risposta rapida a Pablo Iglesias. Alla fine ha vinto le tesi più prudente. Vale a dire, lavorare nel medio termine in modo che la crisi che ha avuto origine da una cascata di dimissioni nella Comunità di Madrid non diventi uno scontro diretto e personale, ma una disputa ideologica circa l'organizzazione e il progetto di Podemos.

Nelle file della componente che tiene testa a Iglesias si ritiene che la rimozione di Pascual rivela alcuni tic tipici della sinistra tradizionale, gerarchica e verticale . I due collaboratori principali di Iglesias, Rafael Mayoral e Irene Montero, provengono infatti dal PCE. La componente di Errejón vuole evitare che Podemos diventi un "PCE 2.0", ha detto un deputato.

"TRASVERSALITÀ”

C'è anche un'altra battaglia sotterranea: si trata di sapere se la componente di Iglesias vuole davvero negoziare un governo con il PSOE, come si vorrebbe nell’area di Errejón, o se invece vuole alzare la posta in gioco afficnhé si vada verso nuove elezioni .

La chiave è il concetto di "trasversalità", difeso da Errejón sin dalla assemblea fondativa di Vistalegre, celebrata solo un anno e mezzo fa. La lettera inviata da Iglesias ai militanti poco prima di comunicare il licenziamento Pascual evita questo termine, richiama allo spirito fondativo del partito e contiene una modifica di uno dei capisaldi della strategia disegnata da Errejón. "Il partito non è solo una macchina per sfidare l'egemonia dell'avversario," scriveva Iglesias in riferimento alla concezione di Podemos con una "macchina elettorale".

Per Errejón, invece, Podemos si trova di fronte ad un bivioche decide che cosa vuole essere da grande: un partito egemonico o una minoranza di sinistra. Lo esprime chiaramente Rodrigo Amirola, coordinatore della segreteria politica, il dipartimento diretto da Errejón. "Oggi siamo in grado di dire che la trasversalità ha avuto successo. La trasversalità non è un trucco elettorale, ma una parte del DNA di Podemos ", ha detto Amirola in un articolo pubblicato dall'Istituto di 25-M, la fondazione di Podemos. Che cosa è questa trasversalità? l'integrazione? Un esempio: "Pensiamo che evitare il rischio di diventare una organizzazione classica relegata al margine sinistro della scena politica consiste nel capire che non si può costruire popolo [.... ] solo con i più massacrati dalla crisi."

Il dibattito sul futuro della Podemos è già iniziato, e si capirà dove va a parare il primo fine settimana di aprile.

E’ previsto che Iglesias convocherà il prossimo Consejo Ciudadano, il massimo organo del partito, il 2 o 3 aprile. In quell’organismo si prevede che proporrà un nome per sostituire Sergio Pascual. Iglesias può infatti destituire, ma non nominare. Tale scelta deve essere controfirmata da membri della direzione, di cui fan parte 80 rappresentanti eletti all’assemblea di Vistalegre.

Iglesias, salvo sorprese, avanzerà il nome di una delle sue persone di massima fiducia, forse l'avvocato Rafael Mayoral. In questo dibattito diventeranno chiari gli equilibri del partito. Si giocherà in qualche modo il futuro di Podemos, sia per quanto riguarda il modello organizzativo che il progetto politico della formazione. Errejón, dopo il licenziamento di Pascual non ha abbastanza appoggi per vincere numericamente la battaglia numericamente supporti organici, ma è una delle voci più ascoltate e si può imporre nel dibattito, come ha fatto negli ultimi due anni, nei quali è stato responsabile di campagna per tutte le elezioni alle quali ha partecipato Podemos dopo le europee del 2014.

Irene Montero, a capo della segretaria di Iglesis, ha negato Giovedi che Errejón prenderà decisioni drastiche. "Ieri stesso [Giovedi] stava parlando con Iglesias, come parte normale del lavoro che stiamo sviluppando in un momento in cui siamo in grado di riprendere contatti regolari con il PSOE ". Lo stesso Iglesias ha detto che sta ancora lavorando con lui. Giovedì, la segreteria politica ha inviato un documento, contenente i problemi principali dei negoziati con Pedro Sanchez e la volontà del Parlamento di esercitare il pieno controllo sul governo».

*Fonte: EL PAIS, 18 marzo 2016

** Traduzione a cura della Redazione

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