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venerdì 28 luglio 2017

ARRESTERANNO PIER CARLO PADOAN? di Alfredo Belluco

[ 28 luglio 2017 ]

Il 12 dicembre 2012 a Vigonza, nel Padovano, si uccise Giovanni Schiavon [nella foto]. Si tolse la vita per i debiti con le banche, invece era in credito. Leggi sotto l'incredibile storia.
Quella tragica vicenda apriva uno squarcio su quello che sarà lo scandalo delle banche venete, vendute per un euro a banca Intesa, con lo Stato che si è accollato tutti i debiti.
Ci segnalano e volentieri pubblichiamo questa denuncia.


Gentile vice ministro Pier Paolo Baretta;

Come ho avuto modo di esporti qualche giorno fa, ho chiesto l'arresto di PIER CARLO PADOAN, che ha firmato a Bruxelles, in aperto contrasto con gli articoli1-3-47 della Costituzione, per la BAD BANK NAZIONALE e ho detto che siete "impazziti" per un semplice motivo. 

Come fate a caricare su tutto il popolo italiano 10 milioni di sofferenze bancarie, crediti deteriorati NPL pari a 349 miliardi di euro??? Non ci sono solo questi, ma anche centinaia di miliardi di euro di rientri e rapporti illeciti, truffe contrattuali, anatocismo, commissioni e spese non dovute o non lecitamente pattuite e quindi illegittimamente addebitate e incassate, che portano in usura, che devono essere restituiti. Alla BANCA POPOLARE DI VERONA, TRUFFA, ESTORSIONE, USURA, PREDONA E LADRONA, LI POSSIAMO CONTESTARE PRATICAMENTE TUTTI. 

Il dramma sono le esecuzioni immobiliari. 

SOLO A PADOVA E PROVINCIA SONO CIRCA 18 MILA. Noi abbiamo in corso circa 3.200 contenziosi su 4 mila casi analizzati e ne chiudiamo in continuazione. Il caso più eclatante è quello del povero martire suicida Giovanni Schiavon, che nel dicembre 2011 si è sparato un colpo di pistola alla testa, per debiti. Aveva due NPL CREDITI DETERIORATI FALSI e FARLOCCHI con due grandi banche, per circa 100 mila euro, ma dopo 5 anni di battaglie giudiziarie abbiamo dimostrato in tribunale a Padova, che era creditore e non debitore per complessivi 300 mila euro, per i motivi sopra elencati e per il superamento sistematico del tasso soglia di usura. Se tanto mi da tanto e fatte le dovute proporzioni, su 50 mila crediti deteriorati NPL ceduti dalla Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca alla "BAD BANK" SGA SPA di Napoli, di proprietà dello Stato, ne possiamo contestare 40 mila. Sono in corso 500 mila cause civili. 

Vengono transate circa 100 mila posizioni l'anno. Sono state emesse 25 mila sentenze, anche della Suprema Corte di Cassazione, civile e penale. A Padova è in corso l'unico processo del Veneto per USURA AGGRAVATA IN CONCORSO a carico di tre direttori di filiale e due banche. La Cassa di Risparmio del Veneto, gruppo Intesa SanPaolo e la Banca di Credito Cooperativo dei Colli Euganei di LOZZO ATESTINO Padova, già condannata in sede civile per USURA, con sentenza passata in giudicato per avere superato il tasso SOGLIA massimo previsto dalla legge per 18 trimestri su 18, con un tasso massimo del 58,98%. 

Se farete la BAD BANK NAZIONALE oppure LE BADS BANKS REGIONALI, CON DECRETO (CRIMINALE) VI ASSUMERETE UNA GRAVISSIMA RESPONSABILITÀ, ECONOMICA, POLITICA E STORICA. TI CHIEDO CORTESEMENTE UN INCONTRO MOLTO URGENTE, POSSIBILMENTE NELLA SEDE DI CONFEDERCONTRIBUENTI VENETO A CASALSERUGO (PD). 

Cordiali saluti 
Alfredo Belluco 
presidente Veneto e vicepresidente nazionale CONFEDERCONTRIBUENTI 
3396473870 049 7995418 800 814603 

* * * 

Si uccise per i debiti con le banche ma era in credito
di Alessandro Gonzato*


Sono passati più di quattro anni da quando Giovanni Schiavon, allora titolare dell'azienda edile Eurostrade 90, si uccise nel proprio ufficio sparandosi un colpo di pistola alla testa. Fu la figlia, Flavia, a trovarne il cadavere in una pozza di sangue. La tragedia si consumò il 12 dicembre 2012 a Vigonza, nel Padovano. Schiavon si suicidò perché, a causa dei continui ritardi nei pagamenti da parte dei clienti - tra cui più di un ente pubblico - e di uno Stato che non l'aveva tutelato, non riusciva più a pagare i dipendenti. Vantava crediti per circa 200 mila euro. Ma c'era anche dell'altro. L'imprenditore era disperato perché le banche gli chiedevano con insistenza di rientrare di una serie di prestiti ricevuti. Oggi però, stando alla relazione del consulente tecnico nominato dal tribunale di Padova a cui la vedova e la figlia si sono rivolte, si scopre che non soltanto probabilmente non doveva nulla alle banche, ma anzi erano queste a dovere all'imprenditore una somma notevole, tra i 60 e i 200 mila euro.


«Dipende da quando vengono fatti scattare i termini della prescrizione» conferma a Libero l'avvocato Fabio Greggio, che tutela gli interessi della famiglia. Ma com'è possibile che si sia arrivati a un simile e tragico paradosso? I due istituti di credito con cui Schiavon aveva i conti correnti avrebbero capitalizzato gli interessi accrescendoli oltre misura e per la restituzione dei prestiti avrebbero preteso tassi da usura. Insomma, Schiavon sarebbe stato vittima di anatocismo bancario e usura.

Questo è quanto è stato scritto in tre perizie diverse consegnate dal perito tecnico al giudice, il quale dovrà decidere se gli istituti di credito dovranno risarcire o meno la famiglia. Una delle due banche, per chiudere la questione, ha proposto una transazione, che però la controparte ha rifiutato. «Al momento non la riteniamo soddisfacente» sottolinea il legale.
Flavia Schiavon ricorda il padre come «un uomo onesto che avrebbe potuto fare come fanno tanti, chiudere la società, aprirne un' altra e lasciare i debiti in quella vecchia, mandando a casa i dipendenti. Ma non l' ha fatto». L'azienda è in liquidazione. La figlia dice che riesce a pagare le cartelle di Equitalia solo grazie all' aiuto dei parenti, e che non passa giorno senza che i fornitori si facciano vivi per chiedere soldi.

Avevano bussato alle porte della ditta già due settimane dopo il suicidio del titolare. Allora avevamo scritto dello sfogo della figlia e della vedova, la signora Daniela Franchin, distrutte dal dolore e amareggiate perché molti dei fornitori che pretendevano di essere pagati, negli anni erano diventati amici e tutti erano sempre stati remunerati puntualmente.

Alla Eurostrade 90, pochi mesi dopo la morte di Schiavon, era stata notificata un'ingiunzione di pagamento da 180 mila euro. La figlia aveva anche ricevuto una lettera anonima in cui veniva accusata di sfruttare la morte del genitore per andare sui giornali e in cui le si consigliava di fare la stessa fine. Fu dopo aver letto quella lettera vergata con infamia che Flavia Schiavon rinunciò alla presidenza dell' associazione ideata per riunire le famiglie vittime di suicidi dovuti alla crisi sul lavoro. Durante quelle maledette ultime settimane del 2012, nel Padovano, oltre all'imprenditore edile di Vigonza si suicidarono altri tre titolari d' azienda stritolati dai crediti, non dai debiti. Il Veneto, con un centinaio di suicidi, negli ultimi cinque anni è stata la regione che ha pagato più a caro prezzo la crisi e il totale menefreghismo dimostrato dallo Stato nei confronti di una terra che ogni anno regala più di 20 miliardi di residuo fiscale a Roma. Ora si scopre che probabilmente uno degli imprenditori simbolo di quella lunga scia di sangue si è tolto la vita angosciato da debiti che in realtà non aveva. E se non fosse stato l' unico ad ammazzarsi per colpa di banche che chiedono indietro soldi che non solo non gli spettano e che anzi devono restituire ai clienti?

* Fonte: Libero quotidiano

sabato 4 febbraio 2017

NUOVA (PATETICA) CAPITOLAZIONE ITALIANA di Emmezeta

[ 4 febbraio]

La pittoresca retromarcia del governo Gentiloan: l'Italia pagherà (e subito) il "conto di Renzi"

Ma che figura! E che rapidità! Il "conto di Renzi" verrà saldato per intero e senza indugio. Del resto gli amici sono amici. Ed i compagni di merende del Bomba proprio non se la sono sentita di scontrarsi con Bruxelles.

Il bello è che all'arrivo della letterina della Commissione europea il duo Gentiloni-Padoan (Gentiloan) aveva annunciato fuoco e fiamme: loro non avrebbero mai ceduto a quella richiesta, di manovre neanche a parlarne visto che erano alle prese con terremoti e slavine.

A Bruxelles si erano leggermente incazzati, dato che quei due decimali di riduzione del deficit richiesti (pari a 3,4 miliardi) erano stati concordati ad ottobre con il loro principale, quello che doveva stravincere il referendum e saldare il conto subito dopo.

Cedere all'istante dev'essere sembrato a quel duo comunque disdicevole, ma in quanto a provare a resistere non ci hanno mai pensato sul serio. Ecco cosa scrivevamo due settimane fa:
«Ora il governo fotocopia di Gentiloni non sa come venirne a capo. Dire troppo platealmente "signorsì" equivarrebbe ad una clamorosa figuraccia sia per l'attuale esecutivo che per quello precedente. Sarebbe come ammettere il trucchetto di aver abbellito la Legge di bilancio solo a scopo propagandistico. D'altra parte dire invece "signornò" non appare affatto più semplice. Primo, perché ci vorrebbe almeno un briciolo di quel coraggio che notoriamente chi non ce l'ha (guardate la faccia di Gentiloni e valutate...) non può darselo. Secondo, perché in quel caso a Bruxelles sembrano decisi ad avviare la cosiddetta "procedura d'infrazione", per poi arrivare magari ad una bella multa all'Italia».

E' andata così in scena una finta resistenza che neanche Renzi avrebbe tanto malamente inscenato. Pensate che l'opposizione di Gentiloan ad una manovra correttiva è durata ben 16 giorni, dal 17 gennaio (giorno dell'arrivo della lettera al governo) al 2 febbraio (giorno della dichiarazione di resa pronunciata da Padoan al Senato). Sedici giorni... Non esattamente un'eternità per trasformare un'irremovibile "no" in un pieno ed indiscusso "sì".


La tecnocrazia eurista ovviamente ringrazia. «Accogliamo con favore l'impegno politico espresso dal ministro Padoan di adottare misure perché l'Italia torni ad essere rispettosa dei suoi impegni di bilancio», ha detto compiaciuto il falco Dombrovskis che della Commissione è vice-presidente.

E così tanti saluti ai terremotati ed alla promessa di non piegarsi all'UE. Chi vuol farsi due risate clicchiqui per richiamare alla memoria quel che il governo diceva a metà gennaio.

Adesso ci si chiede dove verranno presi i soldi. Per cercare di salvarsi la faccia si parla ovviamente di lotta all'evasione fiscale, ma i 3,4 miliardi arriveranno principalmente da ulteriori tagli alla spesa (sapremo solo più avanti a chi toccherà stavolta) ed al solito aumento delle tasse. Ma siccome la parola "tasse" è assai antipatica, si preferisce parlare solo di "accise" sui carburanti. Come se queste non fossero tasse, mentre non solo lo sono ma sono pure tra le più odiose, dato che colpiscono in maniera indiscriminata e senza alcuna progressività chi si reca alla pompa di benzina.

Tassa odiosa, ma anche già elevatissima, visto che in Italia è già superiore di 22,2 centesimi al litro rispetto alla media europea. Perché allora andranno proprio a colpire lì? Ma perché sperano di non dare troppo nell'occhio. Con il caos dei prezzi liberalizzati, chi saprà alla fine da cosa sarà dipeso l'ennesimo aumento di benzina e gasolio?

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Il "signorsì" di Gentiloan conferma dunque, ed in maniera plateale, l'attuale miseria della classe dirigente italiana. Che è misera perché non ha il minimo coraggio di assumersi le proprie responsabilità, ed è doppiamente misera nel suo servilismo verso la tecnocrazia eurista.

mercoledì 18 gennaio 2017

IL CONTO DI RENZI (E QUELLO DELL'EURO) di Emmezeta

[ 18 gennaio ]

Come volevasi dimostrare i nodi stanno venendo al pettine. Prima le banche, adesso la richiesta europea di una manovra correttiva da 3,4 miliardi. Poi arriverà il conto più grosso: rimanda, rimanda, non si sa bene come il governo vorrà disinnescare per il 2018 la "clausola di salvaguardia" sottoscritta con l'UE, la bellezza di 19,5 miliardi annui da ricavare da un maxi-aumento dell'IVA dal 22 al 25%.

Il recupero di due decimali di pil sul deficit 2017 (dal 2,4% previsto dal governo, al 2,2% chiesto dalla Commissione) a Bruxelles lo chiamano apertamente il "conto di Renzi". Un conto che gli eurocrati avevano lasciato in sospeso solo per favorire il "sì" al referendum. Poi, passata la festa (che peraltro per lorsignori festa non è stata), gabbato lo Santo. Ed il conto è arrivato.

Ora il governo fotocopia di Gentiloni non sa come venirne a capo. Dire troppo platealmente "signorsì" equivarrebbe ad una clamorosa figuraccia sia per l'attuale esecutivo che per quello precedente. Sarebbe come ammettere il trucchetto di aver abbellito la Legge di bilancio solo a scopo propagandistico. D'altra parte dire invece "signornò" non appare affatto più semplice. Primo, perché ci vorrebbe almeno un briciolo di quel coraggio che notoriamente chi non ce l'ha (guardate la faccia di Gentiloni e valutate...) non può darselo. Secondo, perché in quel caso a Bruxelles sembrano decisi ad avviare la cosiddetta "procedura d'infrazione", per poi arrivare magari ad una bella multa all'Italia.

Insomma, le furbate di Renzi, fatte di rinvii, clausole straordinarie, "riforme" vendute come miracolose, sgomitate per strappare qualche zerovirgola, sono davvero arrivate al capolinea. E questo per due motivi: all'interno la fragorosa sconfitta del disegno controriformatore sancita dal voto del 4 dicembre; all'esterno la necessità della dirigenza eurista (tedesca in particolare) di mostrare il ghigno di chi niente concede in vista delle elezioni dell'autunno prossimo in Germania.

Fin qui la partita sul "conto di Renzi", che se non altro ci parla una volta di più dell'irresponsabilità e dell'avventurismo del soggetto in questione. Ma c'è ovviamente qualcosa di più. E questo qualcosa di più si chiama euro.

Il fatto è che austerità, stagnazione, moneta unica e sopraffazione da parte dei padroni tedeschi sono tutte facce dello stesso problema.

In assenza di un'unica politica fiscale e di bilancio, l'euro non può reggere senza che si raggiunga almeno la convergenza dei debiti. Lo strumento all'uopo pensato è il fiscal compact. Ma il fiscal compact proprio non funziona, perché l'ulteriore scellerata austerità che richiederebbe fa a pugni con l'esigenza di provare almeno ad uscire dalla stagnazione. Tutto ciò è fin troppo evidente, e l'Unione Europea è ormai diventato il luogo dove si trattano i modi per svicolare alle regole che essa stessa si è data (la famosa "flessibilità"). Il problema è che gli interessi si fanno sempre più divergenti. Ad un blocco tedesco che punta alla disciplina di bilancio costi quel che costi, si contrappongono sempre più chiaramente gli interessi dei paesi dell'area mediterranea che questa disciplina non possono accettarla, pena la completa distruzione delle proprie economie.

In questo quadro il caso italiano è senza dubbio quello decisivo. E la risposta alla richiesta della nuova manovra da 3,4 miliardi sarà una sorta di cartina di tornasole su quel che bolle in pentola nel sempre più manifesto processo di disgregazione dell'Unione Europea.

Alla lettera ufficiale della Commissione arrivata ieri al Ministero dell'Economia (ma la notizia è nota da giorni) non c'è ancora risposta. Gentiloni avrebbe espresso un certo "disappunto", mentre Padoan ha detto che "la priorità rimane la crescita". E' chiaro come il governo proverà ad attenuare il problema, cercando di rimandare il tutto ad impegni più rigorosi nel DEF di aprile, senza quindi mettere ora mano (entro febbraio, sembrerebbe chiedere Bruxelles) ad un decreto legge con nuovi tagli e/o maggiori tasse.

Vedremo. Quel che è certo è lo smarrimento che si coglie nella classe dirigente italiana. E pensare che i due decimali di pil in questione sono pressoché niente rispetto ad altri tre problemi che si annunciano all'orizzonte: 1. gli interventi pubblici per fare fronte alla crisi bancaria (non c'è solo Mps); 2. il prossimo rapporto europeo sul debito, che potrebbe portare ad un'altra "procedura d'infrazione"; 3. l'enorme lascito della "clausola di salvaguardia" per il 2018, con in ballo (come già detto all'inizio) un aumento dell'IVA di 19,5 miliardi annui.

Insomma, se il "conto di Renzi" è arrivato, facendo definitivamente giustizia delle stupidaggini del Bomba, quello dell'euro —che il Paese paga da quando vi è entrato— sta giungendo alle sue conseguenze ultime e letali.

Il tempo stavolta stringe davvero: o la rapida uscita dalla gabbia europea; o il commissariamento sine die del nostro Paese, al servizio di quali interessi è cosa nota.
Chi ne è consapevole agisca di conseguenza.

martedì 3 gennaio 2017

SE QUESTO È UN MINISTRO DELL'ECONOMIA... di Leonardo Mazzei

[ 3 gennaio ]

L'invocazione del direttore del Sole 24 Ore al fantasmatico ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan

Che nei piani alti del potere economico vi fosse una certa maretta si sapeva. Adesso però le acque si fanno agitate, e dalla maretta sembra che si stia per passare ai marosi.

Il 30 dicembre scorso il direttore del quotidiano di Confindustria, Roberto Napoletano, ha deciso di mandare di traverso il cenone di San Silvestro di Pier Carlo Padoan — Le chiavi del potere franco-tedesco e il conto che paga l'Italia. Dopo averlo ospitato, due giorni prima, nell'accogliente sede del giornale per un'intervista di ben 3 pagine, Napoletano ha deciso di dirla tutta: se veramente esistete (come governo), se davvero esisti (come ministro dell'Economia) cosa aspetti (e/o aspettate) a darcene prova?

Prima di dedicarci al merito del grido d'allarme di Napoletano, facciamo un passo indietro per dare uno sguardo all'intervista di Padoan. Tre pagine abbiamo detto, ma tre pagine di assoluta banalità. Gli altri media che se ne sono occupati hanno messo in rilievo il riferimento del ministro all'«opacità» della decisione della Bce su Mps. Sai che coraggio! 

Il bello, poi, è che questa denuncia di opacità è preceduta da mille rassicurazioni sul fatto che il governo italiano nulla farà per reagire all'affronto subito. All'intervistatore che gli chiede se vi sia intenzione di contestare formalmente la richiesta di ricapitalizzazione giunta da Francoforte, così inizia la risposta di Padoan: 
«La richiesta di 8,8 miliardi per l'aumento di capitale di Monte dei Paschi è una decisione votata dal board della vigilanza della Bce, anche se a maggioranza e non all'unanimità, e come tale non è contestabile perché la vigilanza è un'autorità indipendente».
Avete capito? La «Vigilanza» è un'autorità «indipendente», ed il Supervisory board decide a piacimento, in maniera «indipendente» perfino dai vertici della Bce, figuriamoci da quelli dell'UE, per non parlare dei governi nazionali! Ora, se davvero così fosse, non sarebbe questa la riprova dell'assoluta antidemocraticità delle istituzioni di un'Unione messa in mano ad una tecnocrazia che nessuno controlla? Ma così non è. Le cose infatti sono messe ancora peggio. Questa tecnocrazia esiste, ma a qualcuno risponde, come dimostra l'assoluta assonanza delle sue decisioni —nel caso prettamente politiche, come abbiamo già scritto con i padroni tedeschi dell'Europa. 

In quanto allo spessore mostrato da Padoan, citiamo altre due affermazioni da incorniciare. Alla contestazione del ritardo con il quale si è deciso di nazionalizzare Mps, così risponde:
«Non sono affatto pentito di aver sostenuto, nel rispetto dei ruoli di tutti, l'operazione di mercato, che sarebbe stata l'opzione migliore e avrebbe avuto effetti positivi, evitando i problemi che invece vanno gestiti adesso».
Insomma: mercato! mercato! mercato! Ma con quale faccia? E' proprio vero che "ad andar con gli zoppi si impara a zoppicare", ed a forza di sentire le balle di Renzi costui ha finito per crederci. Ma perché la "operazione di mercato" è fallita? Questo il ministro non ce lo dice. Ci dice anzi che dalle parti di Siena tutto va bene, Madama la Marchesa. Leggere per credere questa seconda affermazione di Padoan: 
«Vorrei cogliere questa occasione per ringraziare il management del Monte dei Paschi che ha fatto un gran lavoro. La banca è in ottime condizioni e avrà grande successo».
Roba da far strabuzzare gli occhi, e dalle parti di Confindustria devono aver fatto due conti sulla carta e l'inchiostro sprecato nell'occasione.

Ecco allora il deciso editoriale di Roberto Napoletano, cortese nella forma col ministro, quanto fermo nella richiesta di un'azione che evidentemente si valuta non ci sia. Ovviamente quest'azione non c'è, semplicemente perché non può esservi senza la messa in discussione della gabbia europea. Su questo, ovviamente, anche il direttore del Sole tace. Tuttavia, gli argomenti che egli tocca mettono in luce come nel campo dei dominanti —al di là della solita retorica europeista e mercatista— vi sia ormai la vera percezione della posta in gioco.

Passiamo dunque a quanto scritto da Napoletano.
L'incipit è folgorante: 
«Le sofferenze sono diventate lo stigma del banking europeo e dietro di esse ci sono le chiavi di potere di un club della finanza internazionale dove tedeschi e francesi comandano, gli spagnoli si "aggiustano", e gli italiani pagano il conto di tutti».
L'accusa non è nuova, ed è più che fondata: l'asse carolingio che comanda in Europa concentra tutte le sue attenzioni sulle sofferenze (e dunque sull'Italia), mentre chiude entrambi gli occhi sui titoli potenzialmente tossici in pancia alle banche francesi e tedesche, non solo allo scopo di proteggere queste ultime, ma anche con il fine ultimo di fargli mettere le mani sulle banche italiane, all'uopo indebolite ben bene dalla sistematica azione delle istituzioni di Bruxelles e Francoforte. 

Insomma, come andiamo dicendo da tempo, c'è del metodo nella follia europea.

Napoletano questo lo dice con chiarezza. E, certamente memore del gran numero di acquisizioni francesi in Italia di questi ultimi tempi, non si limita alle sole banche: 
«Questa è l'Europa che la politica italiana non può più accettare perché alla fine di tale circolo vizioso lo scenario più probabile è che le banche francesi si comprino quelle italiane, finanzino, ben pagando, l'acquisto del Made in Italy e, magari, mobilitando unitariamente il sistema francese, fatto di credito, compagnie assicurative, tecnocrati e politica, arrivino a stringere il collo anche alle Generali».
Ed ancora: 
«Francesi, tedeschi, spagnoli non possono dare lezioni a nessuno, ed è troppo comodo (oltre che immorale) fare in modo che il mondo si occupi solo di noi, si deprezzi il patrimonio finanziario e industriale italiano e, per questa via, fare sì che i "padroni" del club europeo ci comprino a prezzi di saldo».
Lo scenario descritto dal direttore del quotidiano di Confindustria è quello di cui abbiamo parlato tante volte. E sapevamo che quando si sarebbe trattato anche dei loro soldi e dei loro beni, dunque non più soltanto del valore delle pensioni e di quello dei salari, dell'occupazione e dello stato sociale, pure lorsignori avrebbero avuto qualcosa da ridire.

Bene, siamo arrivati a questo punto. Il che, detto di passaggio, ci dimostra quanto i tempi delredde rationem si siano fatti ormai molto stretti.  

Stretti da richiedere una sorta di implorazione. 
«Lo ascolto (Padoan, ndr) e penso che dice cose che hanno fondamento ma mi domando che cosa aspetta a prendere l'iniziativa politica per rimettere in discussione un sistema europeo di sostenibilità del business bancario e di vigilanza fondato su basi malferme...».
 Così inizia l'invocazione di Napoletano. Ma più avanti la sua supplica diventa avvertimento: 
«Gentiloni e Padoan sono avvertiti, lascino che il Parlamento si occupi di fare qualcosa che assomigli a una legge elettorale, ma se vogliono dare una ragione vera di esistenza al loro governo si occupino della questione bancaria europea e dimostrino di contare qualcosa dove si prendono le decisioni».
Il tono è di chi è avvezzo a dare ordini. Il fatto è che il duo Gentiloni-Padoan ha anche altri padroni a cui obbedire. Facendo di nuovo un passo indietro all'intervista di Padoan, significativo è questo scambio: «C'è troppa Francia in Italia?», chiede Napoletano. Risposta illuminante del ministro: «Non so se c'è troppa Francia, forse non c'è ancora abbastanza Italia nel mondo». Insomma, alla concretezza del primo, il secondo risponde con una piatta riproposizione dell'ideologia globalista alla quale però non sembrano più credere in molti.

Ma Napoletano non si limita ad avvisare il governo. Il suo avvertimento è rivolto anche ai partiti, Quantomeno quelli tradizionali. Un tema che merita un'ultima citazione: 
«I partiti, quelli tradizionali, continuano ad occuparsi di distribuzione del potere, ma non si accorgono che quel potere è diventato un guscio vuoto, lottano tra di loro ma non avranno nulla in mano e perdono il contatto con l'anima popolare del Paese e il disagio sociale che lo attraversa. Non si occupano del rischio di essere tutti travolti dal "superpotere" tedesco o da quello francese altrettanto presente ma più mimetizzato, e si avviano a fare la fine dei capponi di Renzo di manzoniana memoria che si beccavano tra di loro invece di pensare a salvarsi dalla padella...».  
Che dire? Dalle parti di Confindustria almeno certe fotografie le sanno fare come si deve. La descrizione dei partiti come organismi che si occupano ormai soltanto di una sorta di sotto-potere sottostante ai veri padroni, quelli dell'asse carolingio, gli è venuta proprio bene. Peccato che, sempre da quelle parti, lorsignori abbiano a lungo lavorato (per tre decenni, potremmo dire) proprio all'obiettivo di ridurre la politica a mera governance, sottoposta ai dogmi dell'economia ed al primato del mercato. Cioè, detto in altri termini, proprio agli interessi dei datori di lavoro di  Roberto Napoletano.

Di nuovo l'eterogenesi dei fini! Hanno tanto lavorato alla distruzione dei partiti e della politica (correttamente intesa), che oggi che hanno raggiunto quel risultato tornerebbero —magari solo "temporaneamente", come la "nazionalizzazione" di Mps— volentieri indietro!

Vedremo a breve quali effetti sortirà la supplica di fine anno di cui ci siamo occupati. Alla capacità di questo governo di far fronte ai padroni europei ci crediamo come a Babbo Natale. Anzi, quest'ultimo ci sembra tutto sommato più credibile. Più interessante, semmai, cercare di capire quali altre strade verranno allora studiate nei piani alti del potere economico di cui abbiamo parlato all'inizio di questo articolo.

Quel che è certo è che i temi che mettiamo ormai da tanto tempo al centro dei nostri ragionamenti —la gabbia europea e quella della moneta unica, gli interessi che la guidano, l'impossibilità per il nostro Paese di venir fuori dalla crisi senza uscire da queste gabbie, la necessità di riconquistare la sovranità nazionale anche per non finire sbranati dagli interessi di altre nazioni— trovano una plateale conferma nella trattazione di Napoletano. Trattazione fatta dal versante opposto al nostro, ma proprio per questo interessante. Perché dimostra come la maschera ideologica globalista stia adesso cadendo come uno straccio ormai diventato inservibile anche per lorsignori.

I quali, beninteso, non smettono per un secondo di pensare ai loro sporchi affari, sia quando dicono che i mercati globali sono tutto, sia quando si ricordano di essere italiani. Ma il fatto che oggi qualcuno di loro cominci a prender atto della questione nazionale ci dice pur sempre qualcosa.

Sul punto concludo con quanto scritto da Mimmo Porcaro in un articolo che abbiamo pubblicato l'altro ieri. Porcaro, dopo aver affermato che oggi «la politica ricomincia dalla nazione», chiarisce assai bene cosa significa per noi —a differenza delle classi dominanti— il concetto di interesse nazionale. Leggiamo: 
«E’ la definizione di un interesse nazionale (che le nostre classi dominanti non a caso non sanno definire, e che per noi coincide con l’interesse delle classi subalterne) a imporci di rompere con l’Unione e a guidarci nella costruzione di nuove relazioni internazionali. Che il 2017 ci dia il coraggio di cominciare ad essere nazione».
E' proprio l'interesse delle classi subalterne, il bisogno di uscire dall'attuale quadro di oppressione, che richiede ora questo salto di qualità. Ora, non quando sarà troppo tardi.

giovedì 6 ottobre 2016

MONTE PASCHI E J.P. MORGAN: PIATTO RICCO MI CI FICCO! di Leonardo Mazzei

[ 7 ottobre ]

Quell'«opaca vicenda bancaria»: la partita del Monte dei Paschi di Siena  nelle parole di Ferruccio de Bortoli

[Nella foto i crediti deteriorati e il crollo del titolo in borsa, quindi della capitalizzazione di MPS]

Questo sito si è occupato con una discreta continuità della crisi delle banche italiane, ed in particolare della vicenda del Monte dei Paschi di Siena (Mps), che di questa crisi è l'emblema più evidente. In un articolo di inizio agosto (Mps: un "salvatore" di nome JP Morgan?), ipotizzavamo un'operazione a tutto vantaggio di uno dei più importanti avvoltoi della finanza predatoria mondiale: la banca d'affari americana JP Morgan.

Lunedì scorso, un pesante editoriale di Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera ha fornito nuovi elementi su cui vale la pena di spendere qualche parola. Naturalmente il De Bortoli non è un'anima candida. Diciamo che nella partita tra le due sponde dell'Atlantico —entrambe liberiste ed oligarchiche— egli sta (all'opposto di Renzi) con quella europea piuttosto che con quella americana. Sta di fatto che collocandosi in questo modo, ed essendo da sempre del tutto interno ai poteri che contano, l'ex direttore del Corsera è di certo "persona informata dei fatti".

Conviene perciò citare i passaggi fondamentali del suo lungo articolo. Ma prima facciamo un passo indietro, a come concludevamo il nostro pezzo di due mesi fa:
«...Ma ancor di più ci dice il ruolo tuttofare degli uomini di JP Morgan. Chi scrive non può sapere come andranno a finire le cose, e quanto fin qui detto ci parla delle difficoltà dell'intera operazione. Tuttavia, ben sappiamo come nelle crisi qualcuno faccia affari. E come in genere il pesce grosso mangi quello piccolo. Il boccone Mps può contenere lische insidiose, ma alla fine potrebbe rivelarsi interessante per chi ha una strategia di lungo periodo e nel frattempo - avendo il coltello dalla parte del manico - potrà agire in modo da strappare tutte le migliori condizioni possibili.
Se andrà così avremo la conferma di quanto abbiamo detto più volte. Le politiche europee, mettendo in ginocchio l'economia di intere nazioni, preparano il terreno ad acquisizioni estere in tanti settori. Tra questi, quello bancario è certamente in prima fila.
Vedremo i prossimi sviluppi, ma è bene sapere da subito che il rischio di una chiusura del cerchio targata JP Morgan esiste, essendo di fatto la più probabile delle alternative al semplice fallimento dell'operazione messa in piedi».
Veniamo adesso al De Bortoli. Il quale ci informa subito —non smentito dai diretti interessati— che il 7 settembre scorso è stato direttamente il ministro Padoan, su incarico di Renzi, a licenziare con una telefonata l'amministratore delegato di Mps Fabrizio Viola, per sostituirlo immediatamente con Marco Morelli, un uomo di JP Morgan.

Ecco con chi lavora, ma forse potremmo dire per chi lavora, l'attuale governo. Leggiamo: 
«La forzatura è figlia di un accordo tra il governo e la banca americana JP Morgan del quale non sappiamo nulla. Renzi incontra a pranzo a palazzo Chigi il numero uno Jamie Dimon su sollecitazione di Claudio Costamagna, presente l’ex ministro Vittorio Grilli, oggi in Jp Morgan. Una delle più grandi banche d’investimento mondiali promette di impegnarsi nell’aumento di capitale di Siena, nella concessione di un finanziamento ponte (bridge financing) finalizzato alla successiva cartolarizzazione dei crediti in sofferenza (non performing loans). Agli americani Viola non piace, preferiscono Morelli che ha lavorato con loro. La Bce non gradisce la sostituzione».
A volte, quando si parla dei poteri oligarchici della grande finanza, si ha l'impressione di circoli oscuri, che si riuniscono in luoghi segretissimi, magari muniti di grembiulino massonico. E invece
I crediti deteriorati (Npl) del Monte Paschi al 31 marzo 2016
no! Lorsignori non ne hanno bisogno. Gli basta agire attraverso i normali circuiti del potere, dove finanza, economia e politica si fondono in tanti modi, anche attraverso il famoso meccanismo delle "porte girevoli" (vedi il caso di Grilli, ma ancor di più quello dell' "austero" —loro sono sempre "austeri"!— Padoan).

Ma qual è la posta in gioco dell'operazione Mps? Leggiamo ancora de Bortoli:
«Quali sono gli accordi allora? E qui la vicenda si complica. E si fa oscura. Al momento non risulterebbe firmato alcun contratto tra Mps e JP Morgan per il prestito e la cartolarizzazione. Particolare curioso. Solo un pre underwriting agreement, e solo per l’aumento di capitale: poco più di una stretta di mano. Il successo dell'aumento di capitale (5 miliardi) comporterebbe per JP Morgan una commissione del 4,75% che sia Tononi (presidente dimissionario di Mps, ndr)sia Viola hanno giudicata elevata».
Dunque, in mezzo a tante incertezze, un'unica cosa è sicura: mal che vada la banca americana incasserà solo per la commissione 237,5 milioni di euro. Niente male come antipasto, ma ovviamente il piatto più succulento sta altrove.

Dove, ce lo spiega de Bortoli:
«In sintesi, l'operazione è questa. Mps cede 9 miliardi di sofferenze nette su 28 lorde. Svalutandole in bilancio, prima della cessione, si crea un ammanco di capitale che va coperto. A fronte della cessione di 9 miliardi di sofferenze, Mps dovrebbe ottenere 7,6 miliardi, di cui 1,6 da Atlante e 5 da JP Morgan come prestito ponte per 18 mesi. Il prestito guidato da JP Morgan però sarebbe concesso con la garanzia di tutti i Non Performing Loans. Se qualcosa dovesse andare storto, la banca d'affari si prenderebbe tutti i 28 miliardi a un prezzo effettivo di 18 centesimi contro i 33 riconosciuti alla banca, di cui 27 pagati subito. Il margine di guadagno potenziale sarebbe elevatissimo. E Atlante, cui partecipano 69 istituzioni italiane, compresa la Cassa depositi e prestiti con i soldi del nostro risparmio postale, perderebbe tutto».
Capito i termini del risiko bancario in corso? Capite le condizioni capestro imposte dagli strozzini d'oltreoceano? Capito il ruolo degli amichetti italiani del Giglio Magico renziano, primo fra tutti la faccia tosta di Marco Carrai, quello dell'appartamento fiorentino del Bomba?
Marco Carrai e Matteo Renzi


Ma soprattutto, capita la partita che sta giocando Renzi? Potrebbero essere più chiari gli interessi che rappresenta? E dunque quelli che lo sostengono?

E, ancora più importante, capita l'idea dell'Italia che questa combriccola ha in mente? L'idea è quella di un Paese colonizzato dalla grande finanza internazionale (americana in primo luogo), sempre meno industrializzato e dedito fondamentalmente al turismo ed alla buona cucina. A bassi prezzi, che lorsignori son pure taccagni.

Via dunque alle svendite. Quelle dei pezzi pregiati che restano nel sistema industriale, ma pure quella di un sistema bancario malmesso sì, ma accaparrabile a basso prezzo anche per le norme messe graziosamente lì dall'Unione bancaria europea, quella del bail-in innanzitutto.

Ecco, questo è il loro disegno. Quello di chi sta chiedendo un SÌ per poter continuare la svendita in santa pace, senza i fastidi dell'opposizione e della protesta sociale. Che tutti se ne ricordino il 4 dicembre.

venerdì 15 aprile 2016

BANCHE: UN RATTOPPO CHIAMATO "ATLANTE" di Leonardo Mazzei

[ 16 aprile ]

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Spesso la finanza è immaginifica. E a volte ricorre alla mitologia. E' nato così «Atlante», che anziché portare l'intera volta celeste sulle spalle, come nella leggenda, questa volta dovrà occuparsi di mantenere in piedi il sistema bancario italiano. Non è detto che l'impresa si riveli più facile.
Ma che cos'è Atlante? Questa nuova creatura governativo-bancaria altro non è che un Fia (Fondo di investimenti alternativo), di natura teoricamente privata, dotato di una semplice (si fa per dire) mission: garantire la ricapitalizzazione degli istituti di credito in crisi, ripulire i bilanci degli stessi dal peso insopportabile delle sofferenze. In una parola, evitare il crac di buona parte del sistema bancario nazionale.

Insomma, dopo aver rimandato per anni gli interventi necessari, dopo aver subito la disastrosa regola europea del bail in, dopo aver incassato il nein euro-tedesco alla bad bank, la classe dirigente italiana (governo, Bankitalia, maggiori gruppi bancari, eccetera) ha partorito il gracile Atlante. Riuscirà questo fondo a raggiungere gli obiettivi dichiarati? Crederlo non è difficile, è praticamente impossibile.

Certo mostra di crederci Renzi, e come potrebbe essere diversamente! «Atlante sarà la soluzione ai problemi delle banche italiane» ha twittato trionfante come sempre il fiorentino. E come lui si sono precipitati a cantare le lodi del nuovo eroe mitologico i solitamente più austeri Visco e Padoan. Ma anche loro non potevano fare nulla di diverso. Siccome la forza di Atlante è in larga misura solo virtuale, è chiaro che occorre un pressing per convincere gli investitori ed i mercati finanziari della robustezza dell'operazione.

Del resto gli alti e bassi della Borsa sono lì a dimostrare la precaria fiducia degli operatori finanziari, mentre il forte calo registrato dalle due banche maggiormente impegnate in Atlante (Intesa e Unicredit) è il segno di una pesante sfiducia sulle prospettive del fondo.

Più che una soluzione, Atlante sembra proprio un rattoppo. Ma un rattoppo fatto male, ispirato ad una logica emergenziale piuttosto che "sistemica", come invece capita di sentir dire a sproposito in questi giorni.

La verità è che solo un robusto intervento dello Stato potrebbe risolvere la situazione. Piccolo particolare, esso contrasterebbe con le rigide norme europee, dunque non si potrà fare finché si resterà nell'eurozona. Ecco allora Atlante, il minuscolo coniglio uscito dal cappello di una classe dirigente che ormai vive alla giornata.

Gira che ti rigira torniamo sempre a questi nodi. Così concludevamo un articolo della fine del 2015: «
Le banche vengano dunque salvate (evitando il bail-in e mandando a quel paese l'UE), ma nello stesso tempo nazionalizzate. Questa è la posizione che dovrebbe assumere chiunque abbia a cuore le sorti del popolo lavoratore. Altre non ne vediamo».
E' evidente infatti che un salvataggio senza nazionalizzazione sarebbe solo un regalo agli istituti privati ed ai loro ricchi proprietari. Ma è altrettanto evidente che senza un vero intervento pubblico non potremo avere alcun salvataggio, con le disastrose conseguenze sull'economia nazionale che tutti sono in grado di immaginare.

Da questi nodi non si scappa. Padoan e Visco lo sanno bene, ma non possono dirlo, sia per ragioni ideologiche - dato che equivarrebbe ad ammettere il fallimento del sistema -, sia per ragioni concrete, visto che da Bruxelles ci metterebbero meno di un minuto a pronunciare un gigantesco no.

In queste condizioni la montagna non poteva che partorire il topolino. Questa volta per gonfiarsi il petto e fingere una forza che non c'è l'hanno chiamato Atlante, ma più che un gigante sembra proprio un nanerottolo.  


Fatte queste premesse, entriamo ora nel merito. Per ragioni di chiarezza espositiva lo faremo per punti.

1. Che cos'è Atlante?

Abbiamo già detto che Atlante è un fondo di investimenti. La sua particolarità sta nella sua architettura, nelle sue finalità, nelle regole che si è dato.

La struttura proprietaria è la prima caratteristica da evidenziare. Si dice che la dote iniziale del fondo sarà tra 5 e 6 miliardi di euro. Di questi, 3 miliardi arriveranno dalle banche, con Intesa ed Unicredit in testa con una quota di circa un miliardo ciascuno. Un altro miliardo arriverà dalle assicurazioni, 500 milioni dalle Fondazioni, 5/600 milioni dalla Cassa depositi e prestiti. Altri 500 milioni verranno dalla Sga (Società per la gestione delle attività). La somma si ferma così attorno ai 5,5 miliardi, ma altri soggetti potrebbero aggiungersi. Difficile comunque che si raggiunga la soglia massima prevista di 6 miliardi.

L'adesione ad Atlante è volontaria, ma il fatto che struttura, finalità e indirizzo gestionale siano stati il frutto di tre riunioni tenutesi presso il MEF (Ministero dell'Economia e delle Finanze), spiega assai bene perché si parli di "operazione sistemica". Diciamo che le alte sfere del sistema capitalistico italiano - specie quelle che governano il settore finanziario - hanno cercato un punto d'intesa per provare una specie di "piano B" per il salvataggio del sistema bancario.

Un salvataggio - e qui veniamo alle finalità di Atlante - da perseguire agendo in due direzioni, la partecipazione alle ricapitalizzazioni e - soprattutto - l'alleggerimento delle sofferenze presenti nei bilanci delle banche. Sulle ricapitalizzazioni il primo test sarà pressoché immediato. Sono infatti imminenti gli aumenti di capitale necessari per tenere in piedi la Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, due istituti che abbisognano di capitali freschi per un totale di 2,5 miliardi. Ma nella lista di attesa pare ci siano già la Cassa di Rimini e quella di Cesena, nonché la Banca di San Miniato. Conclusione: se la risposta degli azionisti di queste banche fosse particolarmente bassa, il che certo non stupirebbe, Atlante potrebbe bruciare subito più della metà dei fondi iniziali. Qualcuno arriva a prevedere perfino un 70%...

La partita più grossa è comunque quella delle sofferenze, che d'ora in avanti chiameremo per comodità npl (non performing loans). La chiave di volta su cui tutto si regge sta in una regola che sarebbe scritta in un documento di 18 pagine, ovviamente segreto ma non per tutti, che prevederebbe l'acquisto degli npl a prezzo di carico anziché a prezzo di mercato. 

Se fosse davvero così, se - del tutto ipoteticamente - Atlante fosse in grado di acquistare tutti gli npl presenti nei portafogli delle banche a quel prezzo, il problema si risolverebbe da solo. O meglio, si risolverebbe per le banche, ma si complicherebbe assai per Atlante e per i suoi fondatori (in larga parte sempre banche), dato che alla fine qualcuno dovrà pur sostenere l'enorme differenza esistente tra il prezzo iscritto a bilancio (mediamente attorno al 44% del valore nominale) ed il 20% attualmente considerato di "mercato". Una differenza che tradotta in euri ammonta alla non modica cifra di 48 miliardi.

Certo, i fautori di Atlante sostengono che con la sua attività il fondo riuscirebbe a far rialzare di qualche punto il valore di mercato degli npl. Ma qui di punti percentuali per far quadrare i conti ne servono ben 24... Ed anche se Padoan parla di un effetto leva di 50 miliardi, secondo il Sole 24 Ore l'obiettivo di Atlante sarebbe quello di smobilizzare 15-20 miliardi di npl. Cioè meno del 10% della loro massa complessiva...

2. Come finirà il contenzioso con l'Europa?

Già si sarà capito il punto di probabile frizione con la Commissione europea. Non solo le regole dell'Unione Bancaria impediscono gli aiuti di stato, ma le norme eurocratiche considerano tali anche gli effetti derivanti da azioni private in qualche modo ispirate, favorite o - peggio - coordinate dai governi nazionali. Questo perché verrebbe in qualche modo alterata la "concorrenza".

E' questo il motivo per cui, alla fine, non si è fatta la bad bank. Il bello è che tanti paesi europei (Germania in testa) hanno usati soldi pubblici per mettere in sicurezza le loro banche (leggi QUI), ma oggi che toccherebbe all'Italia non lo si può più fare. Insomma: «chi ha avuto, ha avuto, ha avuto... chi ha dato, ha dato, ha dato... scurdàmmoce 'o passato, simmo 'e Napule paisà». Solo che queste regole non vengono da Napoli, bensì da Berlino.

La rigidità europea che ha stoppato la bad bank si ammorbidirà di fronte alle spalle private di Atlante? C'è da dubitarne, anche se Padoan e Visco si sbracciano (magari un po' troppo) per dire che non ci saranno problemi. In realtà non ci vuole molto a capire che il parto delle riunioni al MEF non è propriamente "privato". 

Contrariamente ad altre ipotesi circolate, si è cercato di minimizzare il ruolo di Cdp - banca pubblica per l'80,1% - proprio per non mettere una trave negli occhi dei funzionari dell'euro-germania. Basterà questa accortezza, quando il problema dal punto di vista dei dogmi euristi è semmai quello del prezzo "politico" degli npl? Non lo possiamo sapere, dato che la decisione sarà eminentemente politica. 

Certo è che in materia bancaria in Europa se ne vedono di tutti i colori. E' notizia recentissima quella che riguarda Deutsche Bank. La banca tedesca, che ha emesso derivati per 75mila miliardi (20 volte il Pil del suo paese), si ritrova proprio per questo in una situazione alquanto rischiosa. Le norme bancarie, approvate dal Comitato di Basilea, imporrebbero dal 2018 regole più restrittive sul calcolo del valore dei derivati in bilancio. Regole assai pericolose per Deutsche Bank e per le banche tedesche in genere. Bene, il governo di Berlino ha immediatamente messo in atto una forte pressione su Basilea affinché tornasse indietro. Missione compiuta: lunedì scorso il Comitato ha annunciato il dietrofront. Questa la conclusione di Alessandro Plateroti sul Sole 24 Ore: «Che dire? Mercato Unico, regole uniche: quello che fa bene a Berlino fa bene all'Europa. Rischi sistemici compresi».   

Ipotesi: il governo Renzi ha forse trattato con il governo tedesco uno scambio utile ad entrambi, del tipo io faccio finta di non vedere i derivati e tu fai finta di non vedere la garanzia sugli npl? Difficile dirlo. Fino ad ora tutte le decisioni in materia bancaria sono sempre andate a vantaggio della Germania ed a svantaggio dell'Italia. Se oggi le cose andassero diversamente, questo vorrebbe dire solo una cosa, che il bubbone dei derivati è molto, ma molto più grande di quel che già sappiamo. Cosa che in effetti non è da escludere. 

3. Perché diciamo che è solo un rattoppo?

Il problema è che anche ipotizzando che le resistenze europee possano essere in qualche modo superate, resta la straordinaria debolezza di Atlante.

Già la tempistica mostra uno strumento messo in piedi con una logica emergenziale. Le banche venete devono ricapitalizzare e l'operazione potrebbe fare flop? Ecco che arriva in fretta e furia Atlante a fare da garante, ed abbiamo già detto come questa priorità potrebbe assorbire il grosso del capitale raccolto.

Parlando del solo Monte dei Paschi, Francesco Giavazzi scriveva a fine febbraio di un salvataggio da 10 miliardi. Adesso invece, con soli 6 miliardi scarsi si vorrebbe mettere in sicurezza l'intero sistema bancario... E' evidente che qualche conto non torna.

In realtà, a voler prendere sul serio quanto viene dichiarato, si scopre che tutto si regge su alcune speranze del tutte ipotetiche. Si spera che la garanzia fornita alle ricapitalizzazioni garantisca il successo delle stesse, senza che Atlante debba svenarsi per queste. Si spera - come abbiamo già visto - che il mercato degli npl si riprenda: ma allora come giustificare la prezzatura governativa al 17% applicata alle famose 4 banche "risolte" a novembre? E come giustificare la pressione esercitata dalla Bce di Mario Draghi affinché la Carige accettasse l'offerta del fondo Apollo, con un prezzo degli npl sempre al 17%? 

Questo nessuno ce lo spiega. Ed al posto di un minimo di razionalità ci tocca leggere testi ideologici come quello che Federico Fubini ha rifilato ai suoi lettori lo scorso 10 aprile. Secondo il giornalista del Corriere, che scriveva alla vigilia della nascita di Atlante, della quale evidentemente molto sapeva, il modello ha da essere quello adottato per il salvataggio di Ltcm, il grande fondo americano che fu salvato nel 1998 da un pool di 16 banche, spinto a tal fine dalla Federal Reserve. Quello di Fubini è un racconto quasi epico, con una specie di "capitalismo solidale" (fra capitalisti, questo è sottinteso), che alla fine riesce pure a guadagnarci qualcosa, ma sempre in nome di un fine superiore. Un modello che oggi ci viene proposto in questi termini: «una coalizione di responsabili sul mercato che si faccia carico dell'interesse collettivo».

Ma com'è bello il capitalismo di Fubini, e quanto è emozionante! Peccato che non esista. Le banche americane del 1998 pensavano certamente ai loro affari, ed una congiuntura ben diversa dell'attuale fece il resto.

Anche le banche italiane di oggi, nonché gli altri soggetti coinvolti, pensano certamente al loro interesse. A quello di impedire crisi finanziarie potenzialmente devastanti anche per gli istituti più solidi, a quello di apprezzare gli npl che tutti hanno in pancia, a quello di evitare gli effetti recessivi che ogni crac porta con se. Ma il punto è che lo strumento Atlante non potrà essere qualcosa di più di un rattoppo. Un rattoppo magari utile nell'immediato, ma del tutto inadeguato rispetto alle necessità sistemiche. 


4. Atlante potrebbe funzionare solo se...

Un'operazione come quella ipotizzata dal Fubini potrebbe funzionare solo a due condizioni: 1) una dotazione di capitale molto più elevata, 2) una vera ripresa economica, diciamo con tassi di almeno il 2% per parecchi anni consecutivi.

Su quanto possa essere realistica la seconda condizione non sprechiamo inchiostro. In quanto alla prima, se le cifre stanziate dai vari soggetti coinvolti sono così modeste una ragione ci sarà...

Il fatto è che la questione degli npl può essere risolta solo da una garanzia pubblica sul loro prezzo di acquisto. Una garanzia che si dice sia in qualche modo implicita nel testo del documento segreto al quale abbiamo già accennato, ma che con la dotazione attuale non può che riguardare comunque una quota troppo piccola di sofferenze.  

5. Conclusioni

La conclusione è dunque semplice. Non crediamo al "capitalismo solidale" di Fubini, né crediamo che l'Unione Europea (salvo qualche interessato scambio su Deutsche Bank) sia disposta a particolari concessioni in materia. Che un sistema bancario italiano alla deriva, e dunque violentemente deprezzato, sia nei sogni e negli interessi della finanza predatoria internazionale è del tutto evidente. Al tempo stesso, non scopriamo oggi la leggendaria irresponsabilità della classe dirigente italiana.

Atlante è la risultante di tutti questi elementi. Non è il gesto d'orgoglio di una borghesia nazionale in cerca di riscatto. E' invece soltanto la mossa difensiva di una borghesia compradora che non osa andare al cuore del problema. Quel cuore che sta non solo nelle regole, ma nell'autentico dominio dell'euro-germania.

Con le mezze misure non si salva l'economia del paese. Questo vale per i ridicoli decimali di "flessibilità" di Renzi e Padoan, per gli accordicchi di Alfano sui migranti, come per i rattoppi dei nostrani banchieri sulla devastante crisi degli istituti che guidano.

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