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giovedì 20 giugno 2019

ANCHE VAROUFAKIS CONTRO I MINIBOT

[ giovedì 20 giugno 2019 ]


Ci mancava solo lui, Yanis Varoufakis. Sul sito inglese PROJECT SYNDACATE, con data 17 giugno, è apparso un suo articolo col quale si sferra contro i MiniBoT. Dice Varoufakis che 
Il sistema di pagamento parallelo da lui proposto nel 2015 
(e mai realizzato) avrebbe rafforzato la zona euro mentre, al contrario, i "mini-buoni del tesoro" previsti dal governo italiano porterebbero alla scomparsa della moneta unica.  Ovviamente il nostro, da super-europeista qual è, scongiura questa eventualità. Ma ascoltiamo cosa scrive, tenendo a mente le discussioni svolte  anni addietro sulla moneta fiscale (CCF) e le nostre critiche ai suoi sostenitori...


*  *  *

LA MONETA FISCALE PUÒ SOSTENERE L'EUROZONA O ROMPERLA

di Yanis Varoufakis


ATENE - È una sensazione curiosa vedere il tuo piano dispiegato per fare l'opposto di ciò che intendevi. E questa è la sensazione che ho avuto quando ho appreso che il governo italiano sta pianificando una variante della moneta fiscale che ho proposto per la Grecia nel 2015.

La mia idea era quella di creare un sistema di pagamento digitale basato sulle tasse per creare uno spazio fiscale nei paesi dell'eurozona che ne avevano bisogno, come la Grecia e l'Italia. Il piano italiano, al contrario, userebbe un sistema di pagamento parallelo per rompere l'eurozona.

Secondo la mia proposta, ogni numero di file fiscale, appartenente a persone fisiche o giuridiche, sarebbe stato automaticamente dotato di un Conto del Tesoro (CdT) e di un numero PIN con cui trasferire fondi da un TA o per restituirlo allo Stato.

Da una parte i CdT sarebbero stati scontati per pagare gli arretrati. I contribuenti in possesso di moneta dello stato avrebbero potuto optare per pagare una parte o tutti gli arretrati da pagare sul loro Conto del Tesoro immediatamente, invece di aspettare mesi per essere pagati. In questo modo, i crediti arretrati sarebbero stati eliminati in una volta, liberando così liquidità in tutta l'economia.

Supponiamo ad esempio che all’azienda A dev’essere corrisposto 1 milione di euro (1,1 milioni di dollari) da parte dello stato, mentre essa deve versare 30.000 euro a un dipendente e altri 500.000 alla società B. Supponiamo inoltre che il dipendente e la società B debbano rispettivamente 10.000 € e € 200.000 in tasse allo stato. Se 1 milione di euro è accreditato dallo stato all'Attività della società A, e la società A paga il dipendente e la società B tramite il sistema, quest'ultimo sarà in grado di saldare gli arretrati fiscali. Almeno 740.000 € di arretrati sarebbero eliminati in un colpo solo.

Gli individui o le imprese potrebbero anche acquisire crediti CdT acquistandoli direttamente, tramite il web-banking, dallo stato. Lo stato li ricompenserebbe offrendo agli acquirenti significativi sconti fiscali (un credito di € 1 acquistato oggi potrebbe estinguere le tasse, ad esempio, di 1,10 € all'anno). In sostanza, emergerebbe un nuovo mercato del debito pubblico non intermediato (senza intermediari), che consentirebbe allo Stato di prendere in prestito somme piccole, medie e grandi dal settore privato in cambio di sconti fiscali.

Quando ho discusso l'idea per la prima volta, i fermi difensori dello status quo hanno immediatamente messo in discussione la legalità del sistema proposto, sostenendo che violava i trattati che istituivano l'euro come unica moneta a corso legale. Il parere di un esperto che avevo ricevuto, tuttavia, ha indicato che il sistema passò le maglie della legalità. La tesoreria di uno stato membro dell'eurozona ha l'autorità di emettere strumenti di debito a proprio piacimento e di accettarli al posto delle tasse. È anche perfettamente legale per le entità private negoziare tra loro in qualsiasi segno che essi scelgono (per esempio, le miglia accumulate dai viaggiatori). La linea dell'illegalità sarebbe stata superata solo se il governo avrebbe costretto i venditori ad accettare i crediti digitali come pagamento — qualcosa che io non avevo mai pensato.

Una reazione completamente diversa alla mia proposta proveniva da coloro che volevano porre fine all'euro come moneta unica, ma non necessariamente come valuta comune. Un ex capo economista di una grande banca europea ha esaminato le mie proposte e le considerò uno schema per una valuta parallela che l'Italia, la Grecia e altri membri della zona euro in difficoltà avrebbero potuto usare per pagare stipendi e pensioni. Ho risposto che una valuta parallela era al contempo indesiderabile e inutile, in quanto porterebbe ad una forte svalutazione della nuova valuta nazionale, quella in cui la maggior parte delle persone sarebbe stata pagata, mentre i debiti pubblici e privati sarebbero rimasti denominati in euro. Sarebbe stata una ricetta per una serie di veloci insolvenze, portando inevitabilmente alla fine della zona euro.

Poi c'era chi sosteneva che l'annuncio di un qualsiasi sistema di pagamento parallelo avrebbe scatenato una corsa in banca e una fuga di capitali, spingendo così il paese di nascosto fuori dalla zona euro, indipendentemente dalle sue intenzioni. Questa congettura contiene una verità importante: il sistema di pagamento che ho proposto avrebbe ridotto i costi di un'uscita dall'euro aprendo un sentiero roccioso ma navigabile verso una nuova valuta nazionale.

In effetti, se il mio sistema parallelo, denominato in euro, fosse diventato operativo nel giugno 2015, quando la Banca Centrale Europea chiuse le banche della Grecia per ricattare la sua gente e il governo ad accettare il terzo prestito di salvataggio, sarebbero stati possibili due risultati. In primo luogo, le transazioni si sarebbero spostate massicciamente dal sistema bancario al nostro sistema di pagamento pubblico basato sul CdT, riducendo così in modo sostanziale la leva finanziaria della BCE. In secondo luogo, sarebbe stato chiaro che, con la semplice pressione di un pulsante, il governo avrebbe potuto convertire il nuovo sistema di pagamento denominato in euro in una nuova valuta.

Un tale sistema avrebbe innescato una ridenominazione dall'euro alla dracma? O avrebbe concesso una pausa alla troika dei creditori greci (la Commissione europea, il Fondo monetario internazionale e la BCE), inducendoli a pensarci due volte prima di chiudere le banche greche e lanciare le loro minacce di una Grexit?

La risposta sarebbe dipesa dalla politica di entrambe le parti. In questo senso, il sistema di pagamento parallelo è neutrale: può essere usato per sostenere l'eurozona con la stessa efficacia con cui può essere schierato per farla scoppiare.

Nel nostro caso, l'idea era di mantenere la Grecia in modo sostenibile all'interno dell'eurozona usando il potere contrattuale supplementare offerto dal sistema di pagamento parallelo per negoziare la profonda ristrutturazione del debito necessaria per rilanciare la crescita economica e garantire la sostenibilità fiscale a lungo termine. Fino a quando i nostri creditori vedevano che i nostri costi di ridenominazione si abbassavano, mentre le nostre richieste di ristrutturazione del debito erano sensate, ci avrebbero pensato due volte prima di minacciarci con la Grexit. L'azione congiunta della BCE e del mio ministero avrebbero permesso al nuovo sistema parallelo di venir considerato un nuovo pilastro dell'euro, annullando così ogni panico finanziario. Ponendo fine all’idea popolare per cui euro uguale permanente, il sistema parallelo sarebbe diventato l'amico della moneta unica.

Questo ci porta in Italia. Esistono due differenze tecniche tra il sistema che ho progettato e i mini-buoni del tesoro (o MiniBoT) previsti in Italia. Innanzitutto, i MiniBoT saranno stampati su carta, cosa a cui mi sono opposto, per evitare un mercato grigio. La nostra offerta totale di crediti digitali sarebbe stata gestita da un libro mastro contabile, per garantire la piena trasparenza e prevenire la sovrapproduzione inflazionistica dei crediti. In secondo luogo, i MiniBoT saranno obbligazioni senza interessi, perpetue, senza sconti fiscali futuri.

Ma la vera differenza tra lo schema italiano e il mio rimane anzitutto politica. Il sistema di pagamento parallelo che ho proposto è stato progettato affinchè i costi di uscita dalla zona euro fossero minori e per creare nuovo spazio fiscale e aiutare a civilizzare l'unione monetaria. Il sistema italiano è il primo passo verso una valuta parallela con la quale portare alla fine della zona euro.


* Traduzione a cura della Redazione


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giovedì 7 marzo 2019

TSIPRAS E VAROUFAKIS, ECCO LA VERITÀ

[ 7 marzo 2019 ]

Eric Toussaint, dottore in scienze politiche dell’università di Liegi e di Paris VIII e coordinatore dei lavori della “Commissione per la verità sul debito pubblico greco” creata il 4 aprile 2015 su iniziativa del Presidente del Parlamento greco e poi ben presto disciolta, ha ricostruito in una serie di articoli le vicende dei febbrili negoziati tra Bruxelles e il governo greco durante i giorni più caldi della crisi, basandosi sul libro pubblicato dall’ex ministro Varoufakis e sui suoi stessi ricordi. Qui si ricostruiscono gli accordi sulle privatizzazioni con i Cinesi e le interferenze della Germania, le speranze disilluse sull’aiuto dei russi e degli americani, e la fugace esaltazione per la coraggiosa decisione, presto rientrata, di non pagare il debito al Fmi. In particolare Toussaint sottolinea la rinuncia del governo greco a comunicare col popolo degli elettori per cercar di spiegare la situazione e ottenere il sostegno ad azioni coraggiose

*  *  *
La testimonianza di Yanis Varoufakis (che lo condanna)
I negoziati segreti e le speranze deluse
di Eric Toussaint


Nell’undicesimo capitolo del suo libro, Yanis Varoufakis spiega di essere intervenuto per portare a termine la vendita del terzo terminal del Porto del Pireo alla compagnia cinese Cosco, che già gestiva dal 2008 i terminal 1 e 2. Come Varoufakis stesso riconosce, Syriza prima delle elezioni aveva promesso che non avrebbe consentito la privatizzazione della parte restante del porto del Pireo. 
Varofakis continua: “Syriza durante la campagna dal 2008 prometteva non soltanto che avrebbe impedito il nuovo accordo, ma che avrebbe totalmente estromesso Cosco“. E aggiunge: “Avevo due colleghi ministri che dovevano la loro elezione a questa promessa“. Tuttavia Varoufakis si affretta a cercar di concludere l’accordo di vendita a Cosco. Se ne occupa con l’assistenza di uno dei consulenti senior di Alexis Tsipras, Spyros Sagias, che fino all’anno precedente era stato consulente legale della Cosco. Nella scelta di Sagias c’era quindi un chiaro conflitto di interessi, cosa che Varoufakis riconosce (pag. 313). Era stato lo stesso Sagias, peraltro, a redigere il primo accordo con Cosco nel 2008. Sagias negli anni ’90 era stato consigliere anche del primo ministro del PASOK Konstantinos Simitis, che aveva organizzato la prima grande ondata di privatizzazioni.
Nel 2016, dopo avere lasciato il suo ruolo di segretario del governo Tsipras, Sagias riprende ancora più attivamente la sua attività professionale, in particolare come consulente di Cosco [1]. Varoufakis non prova imbarazzo nel dichiarare di avere rivisto i termini della gara d’appalto all’inizio di marzo 2015 per adeguarla alle richieste di Cosco:
Sagias ed io abbiamo informato Alexis (Tsipras), prima di passare ai preparativi (della finalizzazione dell’accordo con Cosco sul Pireo). L’obiettivo era riformulare la gara d’appalto per il Pireo in base alle condizioni accettate dai cinesi ” (pag. 316).
Varoufakis riassume così la sua proposta a Pechino attraverso l’ambasciatore cinese di stanza ad Atene:
La Grecia ha una forza lavoro altamente qualificata, i cui stipendi sono diminuiti del 40%. Perché non chiedere ad aziende come Foxconn di costruire o riunire le loro strutture in un polo tecnologico, beneficiando di un regime fiscale specifico, non lontano dal Pireo?” (pag. 312).
In questa proposta troviamo tutto il piccolo armamentario di argomenti dei governi neoliberisti che vogliono attirare gli investitori: una forza lavoro qualificata i cui salari sono diminuiti e sgravi fiscali per i datori di lavoro.
Varoufakis spiega anche che aveva proposto alle autorità cinesi di acquistare le ferrovie greche, in modo che la Cina avesse un accesso più facile al resto del mercato europeo su binario e ne facesse un ulteriore segmento della “New Silk Road“. Questo ultimo progetto non è stato realizzato. [2]
Varoufakis nel marzo 2015 sperò invano che Pechino avrebbe acquistato buoni del tesoro greci per diversi miliardi di euro (contava su un totale di 10 miliardi, pag. 315), che il governo avrebbe usato per ripagare il suo debito con il Fmi. Con grande disperazione di Varoufakis, i leader cinesi non mantennero la loro promessa e si accontentarono di due acquisti da 100 milioni di euro.
Le proposte di Varoufakis alle autorità cinesi sono inaccettabili: prendere prestiti dalla Cina per rimborsare il Fondo monetario internazionale; abbandonare il controllo della Grecia sulle sue ferrovie; procedere ad altre privatizzazioni!
Il suo progetto è fallito perché le autorità cinesi e tedesche hanno concordato che la Cina non avrebbe offerto una bombola di ossigeno al governo di Tsipras. Scrive Varoufakis: “Berlino aveva chiamato Pechino, con un messaggio chiaro: evitate di trattare con i greci prima che noi abbiamo concluso con loro” (pag. 317).
Aziende cinesi, tedesche, italiane o francesi effettuano acquisizioni a prezzo stracciato.
Alla fine, la realizzazione dell’accordo con Cosco non ebbe luogo quando Varoufakis era ministro. Fu concluso all’inizio del 2016 e a condizioni che, a suo parere, erano più favorevoli per l’azienda cinese rispetto all’accordo preliminare che lui aveva cercato di ottenere (capitolo 11, nota 8, pag. 516). Questo dimostra che le autorità cinesi si sono messe d’accordo con le autorità di Berlino: hanno lasciato asfissiare lentamente la Grecia e poi ne hanno aprofittato, condividendo la torta con gli altri predatori dei beni pubblici greci. Aziende cinesi, tedesche, italiane o francesi hanno effettuato acquisizioni a prezzo di svendita. Ma anche se nel 2015 le autorità cinesi avessero concretizzato le speranze di Varoufakis, questo non sarebbe comunque andato a beneficio della Grecia e del suo popolo.
Nel frattempo, anche le autorità russe, che erano state contattate da Tsipras e Panagiotis Lafazanis poco dopo i contatti di Varoufakis con Pechino, rifiutarono di aiutare il governo greco [3]. Putin invece trattò con la Merkel per ottenere un ammorbidimento delle sanzioni dell’Ue contro la Russia in seguito al conflitto con l’Ucraina, in cambio del rifiuto di Mosca di andare in aiuto del governo di Syriza.
Per quanto riguarda le speranze di Varoufakis e Tsipras di ottenere aiuto da Barack Obama, anche questa è stata una delusione. Secondo Varoufakis, l’amministrazione di Barack Obama affermò che la Grecia faceva parte della sfera di influenza di Berlino e lo stesso Obama raccomandò a Varoufakis di fare delle concessioni alla Troika. [4]
Diplomazia segreta e false comunicazioni di cui Tsipras e Varoufakis sono stati complici
Varoufakis dà conto della riunione dell’Eurogruppo che seguì la resa del 20 febbraio, falsamente presentata all’opinione pubblica greca come un successo: fine della Troika e della prigione del debito per la Grecia. All’Eurogruppo del 9 marzo a Bruxelles Varoufakis non riuscì a ottenere alcun gesto o concessione da parte dei leader europei, della Bce o del Fmi. Nonostante ciò, Varoufakis e Tsipras continuarono ad affermare che l’incontro era stato un successo. Varoufakis riporta che Tsipras gli avrebbe detto: “Lo presenteremo come un successo: secondo l’accordo del 20 febbraio inizieranno presto dei negoziati per sbloccare la situazione ” (pag. 330).
Ciò che colpisce è il tempo speso da Varoufakis e Tsipras in interminabili riunioni all’estero, in colloqui nei quali loro fanno concessioni, mentre la Troika persegue metodicamente la sua opera di demolizione delle speranze del popolo greco. A Tsipras e Varoufakis non viene mai in mente di chiedere del tempo per incontrare il popolo greco, per organizzare incontri pubblici a cui la popolazione greca potesse partecipare. Non si muovono per il Paese a incontrare gli elettori, ad ascoltarli e spiegare loro quello che stava accadendo nei negoziati, per spiegare le misure che il governo avrebbe preso per combattere la crisi umanitaria e rilanciare l’economia del Paese.
Varoufakis e Tsipras non hanno cercato modi di comunicare con l’opinione pubblica internazionale né di mobilitare la solidarietà internazionale a sostegno del popolo greco. Non hanno mai approfittato delle loro visite a Bruxelles o in altre capitali per parlare direttamente con i molti attivisti che volevano capire che cosa stava realmente accadendo ed esprimere la loro solidarietà con il popolo greco.
Varoufakis e Tsipras hanno una pesante responsabilità nel mancato sviluppo di una solidarietà attiva e massiccia nei confronti della Grecia. Perché molti cittadini si mobilitassero sarebbe stato necessario rivolgersi a loro, informarli, per contrastare la massiccia campagna di denigrazione e stigmatizzazione di cui non solo il governo, ma l’intera popolazione greca era fatta oggetto.
Varoufakis e il Fmi
Si sarebbe dovuto annunciare la sospensione del pagamento del debito
Il 12 febbraio 2015 la Grecia ha rimborsato 747,7 milioni di euro per uno dei crediti concessi dal Fondo monetario internazionale nel quadro del primo memorandum. È stato un grave errore, si sarebbe dovuto annunciare la sospensione del pagamento di questo debito, con due argomenti: 1. lo stato di necessità [5] in cui si trovava il governo greco, nell’urgenza di dare precedenza alla lotta contro la crisi umanitaria; 2. l’avvio di un processo di revisione del debito pubblico greco, con la partecipazione dei cittadini, durante il quale il pagamento doveva essere sospeso [6]. Si sarebbe potuta giustificare questa revisione con l’applicazione del regolamento 472 dell’Unione europea. Questo articolo afferma:
Uno Stato membro soggetto a un programma di aggiustamento macroeconomico effettua un audit completo delle sue finanze pubbliche al fine, tra l’altro, di valutare i motivi che hanno portato all’accumulo di livelli eccessivi di debito e di individuare eventuali irregolarità[7].
Né Varoufakis né Tsipras presero seriamente in considerazione la sospensione del pagamento combinata con un’inchiesta per determinare se il debito da pagare fosse legittimo o no, odioso o no.
Sarebbe stato possibile avviare una campagna di informazione da parte del governo, per mettere in discussione la legittimità dei crediti del Fmi elargiti alla Grecia dal 2010. Tsipras e Varoufakis avevano a disposizione i documenti segreti del Fmi, attestanti il carattere profondamente illegittimo e odioso della pretesa. Il problema è che Varoufakis era convinto che non avesse alcun senso parlare dell’illegittimità e dell’odiosità dei debiti addossati alla Grecia.
Il Wall Street Journal aveva reso pubblici i documenti segreti del Fmi fin da ottobre 2012, come già menzionato in un articolo. Alcuni giorni dopo la loro pubblicazione, incontrai Tsipras per parlare di una possibile collaborazione con il CADTM per condurre la procedura di revisione del debito. Dissi a Tsipras e al suo consigliere economico dell’epoca, John Milios: “Ora avete un argomento concreto contro il Fmi, perché se avete le prove che il Fmi sapeva che il suo programma non poteva funzionare e sapeva che il debito era insostenibile, abbiamo il materiale per affondare il colpo sull’illegittimità e illegalità del debito.[8] Tsipras rispose: “Ascolta… il Fmi sta prendendo le distanze dalla Commissione europea.” Capii che aveva in mente che il Fmi avrebbe potuto essere un alleato di Syriza nel caso in cui Syriza fosse salito al governo. Un’idea del tutto priva di fondamenti ragionevoli.
A febbraio 2015 Tsipras e Varoufakis erano ancora fermi su quella posizione. Erano convinti che sarebbero stati in grado di ammorbidire il Fmi grazie al sostegno di Barack Obama e all’influenza dei consiglieri statunitensi scelti da Varoufakis, Jeffrey Sachs e Larry Summers. Erano totalmente sulla falsa strada. Varoufakis lo capì di persona una prima volta per ovvi motivi il 20 febbraio, e nei giorni seguenti, quando Christine Lagarde, direttrice del Fondo monetario internazionale, dichiarò all’Eurogruppo che non era assolutamente il caso di derogare dal memorandum stabilito.
Nonostante questa dimostrazione dell’atteggiamento ostile del Fmi, Varoufakis e Tsipras continuarono a rimborsare il Fondo monetario internazionale per tutto il mese di marzo 2015. Varoufakis ha dichiarato che il suo ministero ha pagato al Fmi 301,8 milioni di euro il 6 marzo, 339,6 milioni il 13 marzo, 565,9 milioni il 16 marzo e 339,6 milioni il 20 marzo. Complessivamente, nel mese di marzo 2015 sono stati pagati oltre 1.500 milioni di euro, utilizzando tutta la liquidità disponibile, benché le speranze di Varoufakis di ricevere denaro dalla Cina fossero svanite, e la Bce avesse confermato che non avrebbe pagato gli interessi dovuti alla Grecia sui buoni acquistati tra il 2010 e il 2012 e che non avrebbe ripristinato l’accesso alla liquidità ordinaria delle banche greche. Eppure il governo greco aveva sicuramente bisogno, per combattere la crisi umanitaria e promuovere l’occupazione, del denaro che finiva nelle casse del Fmi. Secondo Varoufakis, “che il mio ministero sia riuscito a trovare 1,5 miliardi di dollari per pagare l’Fmi ha del miracoloso, soprattutto tenendo conto del fatto che dovevamo continuare a pagare pensioni e dipendenti pubblici ” (Capitolo 13, pag. 348).
La decisione di sospendere il pagamento del debito al FMI
Varoufakis riferisce di un incontro surreale tra Tsipras e i suoi ministri più importanti, tenutosi venerdì 3 aprile 2015. Spiega che prima della riunione aveva cercato di convincere Tsipras a non effettuare il pagamento successivo al Fondo monetario internazionale, previsto per il 9 aprile 2015 per un importo di 462,5 milioni di euro. La sua tesi: bisognava fare pressione sui leader europei e la Bce per ottenere qualcosa (ad esempio, un passo indietro sulla restituzione alla Grecia di due miliardi di euro incassati dalla Bce sui titoli greci 2010-2012), perché durante il mese di marzo non avevano ottenuto nulla. Varoufakis dice che sentiva di non essere riuscito a convincere Tsipras. Racconta in questo modo le intenzioni e il comportamento di Tsipras durante il “Consiglio dei ministri informale” (sic! pag. 348), che seguì:
Totale silenzio di Varoufakis sulla Commissione per la verità sul debito
Varoufakis ignora totalmente l’esistenza della commissione a cui aveva promesso la sua assistenza
Il resto di questa storia è allo stesso tempo scandalo e farsa. Varoufakis parte il giorno successivo per Washington via Monaco per incontrare con urgenza Christine Lagarde, direttore esecutivo del Fondo monetario internazionale. Mentre racconta nei dettagli la riunione del 3 aprile e l’incontro con il direttore del Fmi a Washington il 5 aprile, ignora totalmente un incontro a cui ha partecipato il 4 aprile. Un’omissione non banale, perché proprio quel giorno si è tenuto presso il Parlmento greco l’incontro pubblico di apertura dei lavori della Commissione per la verità sul debito pubblico, in presenza di Alexis Tsipras, del Presidente del Parlamento Zoe Konstantopoulou, del Presidente della Repubblica Prokopis Pavlopoulos e di dieci ministri, tra cui Yanis Varoufakis, che è intervenuto. Sono stato il coordinatore scientifico di questo comitato, quindi ho preso la parola subito dopo gli interventi del Presidente della Repubblica e della Presidente del Parlamento greco e prima degli interventi di tre miei colleghi della Commissione e di Varoufakis.
In realtà nel suo voluminoso libro Varoufakis ignora totalmente l’esistenza della commissione a cui aveva promesso il suo aiuto. Ha un bel sostenere sul suo blog e nelle interviste successive alla pubblicazione del suo libro di avere sostenuto la Commissione: questo è del tutto falso.
A mio parere è significativo anche che il 3 aprile, mentre si teneva l’importante incontro in cui venne deciso di sospendere il pagamento del debito al Fmi, George Katrougalos, che era un membro del governo, non ne era nemmeno al corrente. Ero con lui al suo ministero durante questo incontro. Allo stesso modo, la sera del 3 aprile ho incontrato anche la Presidente del Parlamento, a lungo, per preparare i dettagli della prima riunione della Commissione e nemmeno lei era a conoscenza né di questo incontro né della decisione di bloccare la restituzione del debito. Nemmeno Panagiotis Lafazanis, uno dei sei “super” ministri (questa è l’espressione usata da Tsipras), era stato invitato all’incontro. Questo testimonia il modo di muoversi di Tsipras e della sua cerchia: decisioni cruciali prese da un gruppo ristrettissimo, in segreto, senza consultare una grande parte dei membri del governo, né la Presidente del Parlamento né la direzione di Syriza.
Va anche sottolineato che il lavoro della Commissione per la verità sul debito ha avuto un enorme impatto sulla popolazione greca, e ne sono stato testimone personalmente. Molto spesso la gente mi ha manifestato simpatia o rivolto ringraziamenti per strada, sui mezzi pubblici o ancora al mercato settimanale del quartiere popolare di Atene dove ho vissuto tra aprile e luglio 2015. Questo significa che molte persone hanno seguito il lavoro della Commissione e ne conoscevano i membri principali, che tra l’altro sono stati oggetto di una sistematica campagna diffamatoria da parte dei media di destra.
Dalla tragedia alla farsa: non è che un volo aereo
Non avevo mai sentito niente di così assurdo.
Ma riprendiamo il racconto di Varoufakis. Al suo arrivo a Washington, domenica 5 aprile, Tsipras gli trasmette un contrordine.
Ecco il dialogo tra Tsipras e Varoufakis, così come è riportato nel libro di quest’ultimo:
Ascolta, Yanis, è stato deciso di non andare al default adesso, è troppo presto.”
– “Come sarebbe ‘è stato deciso’ “? – Ho risposto, stordito. – “Chi è che ha deciso che non faremo default?”
– “Io, Sagias, Dragasakis… ci siamo detti che sarebbe stata una decisione prematura, appena prima di Pasqua“.
Grazie di avermi avvertito” gli ho risposto, fuori di me. Poi, prendendo il tono più neutro e distaccato possibile, gli ho chiesto: e adesso che cosa faccio? Prendo l’aereo e torno? Non vedo qual è il punto a incontrare la Lagarde.
– “Assolutamente no, non annullare l’appuntamento. Tu vai avanti come concordato. Tu incontri la signora e le dici che facciamo default.”
Non avevo mai sentito niente di più assurdo.
– “Che cosa intendi, esattamente? Le dico che faremo default dicendole allo stesso tempo che abbiamo deciso il contrario”?
– “Esatto. Tu la minacci, in modo che in preda all’ansia chiami Draghi e gli chieda di porre fine alla restrizione della liquidità. A quel punto la ringraziamo e annunciamo che paghiamo il Fmi. “
Così Varoufakis accetta di andare a recitare una commedia grottesca alle sede del Fmi e dichiara a Christine Lagarde:
Sono autorizzato a informarvi che tra quattro giorni faremo default in relazione al nostro programma di rimborso al Fondo monetario internazionale, e questo finché i nostri creditori continueranno a trascinare i negoziati e la Bce limiterà la nostra liquidità.
Ora, la partenza di Varoufakis per Washington era stata resa pubblica. Ciò che Varoufakis non dice nel suo libro è che Dimitris Mardas, vice ministro delle Finanze scelto da Varoufakis [9], aveva dichiarato alla stampa internazionale che la Grecia il 9 aprile 2015 avrebbe pagato quanto dovuto al Fmi. L’agenzia di stampa ufficiale tedesca, Deutsche Welle, scriveva:
Il vice ministro delle Finanze Dimitris Mardas ha dichiarato sabato che la Grecia ha denaro a sufficienza. ‘Il pagamento dovuto all’Fmi sarà effettuato il 9 aprile. C’è il denaro sufficiente per pagare gli stipendi, le pensioni e tutte le altre spese che dovranno essere erogate la prossima settimana’, ha affermato Mardas“.

* Fonte Voce dall'estero
**Traduzione di Rododak


Note
[1] Sagias è tornato a essere il consigliere designato dei grandi interessi stranieri per promuovere nuove privatizzazioni. Nel 2016 ha servito gli interessi dell’emiro del Qatar, che voleva acquistare un’isola greca, l’isola di Oxyas a Zacinto, appartenente a un parco naturale. Sagias è stato anche consulente di Cosco nel 2016-2017 in una controversia con i lavoratori del porto del Pireo, quando si è trattato di trovare una formula di pensionamento anticipato (o licenziamento dissimulato) per oltre un centinaio di lavoratori vicini all’età della pensione. Fonte: http://www.cadtm.org/Varoufakis-s-is-holding-of-the-dominant-order-as-advisers
[2] La società privata italiana Ferovialia ha acquistato le ferrovie pubbliche greche OSE per 45 milioni di euro nel giugno 2016 sotto la conduzione del ministro Stathakis, amico intimo di Tsipras (https://tvxs.gr/news/ ellada / giati-i-trainose-polithike-monon-enanti-45-ekatommyrion-eyro ), con la prospettiva di un sussidio operativo di 250 milioni di euro da parte dello stato greco per i prossimi 5 anni (50 milioni all’anno). Vedi anche: http://net.xekinima.org/trainose-to-xroniko-mias-idiotikopoi/
[3] Vedi p. 342 e nota 5, cap. 12, p. 518.
[4] Vedi la dichiarazione di Obama secondo Varoufakis, cap. 14, pp. 368-369.
[5] Lo stato di necessità è riconosciuto dal diritto internazionale come una situazione che permette di sospendere il pagamento del debito.
[6] Ricordiamo che nel programma di Syriza per le elezioni del giugno 2012, tra le cinque priorità si poteva leggere: “Istituzione di una commissione internazionale di revisione del debito, insieme alla sospensione del pagamento del debito fino alla fine dei lavori di questa commissione”.
[7] “Regolamento (UE) n. 472/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013”, art. 7https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/PDF/?uri=CELEX:32013R0472&from=IT
[8] Nel 2017, il CADTM ha pubblicato e commentato questi documenti segreti, conosciuti grazie alle rivelazioni del Wall Street Journal nel 2012: http://www.cadtm.org/Documents-secrets-du-FMI-sur-la
[9] Per quanto riguarda D. Mardas, bisogna sapere che il 17 gennaio 2015, otto giorni prima della vittoria di Syriza, Mardas ha pubblicato un articolo particolarmente aggressivo contro la deputata di Syriza Rachel Makri, intitolato “Rachel Makri vs Kim Jong Un e Amin Dada “. L’articolo si conclude con la domanda molto eloquente (sottolineata da lui stesso) “Sono questi quelli che ci governeranno?”. Dieci giorni dopo, grazie a Varoufakis, lo stesso Mardas è diventato viceministro delle Finanze. Varoufakis spiega nel suo libro che dopo un mese dalla nomina a ministro si è reso conto di avere fatto una scelta sbagliata. Va notato che Mardas, che ha sostenuto la capitolazione nel luglio 2015, è stato eletto deputato di Syriza nelle elezioni di settembre 2015.

venerdì 6 luglio 2018

EUROPEE 2019: GRANDI MANOVRE A SINISTRA

[ 6 luglio 2018 ]



Sinistra radicale
grandi manovre in corso in vista delle elezioni europee del maggio 2019

Su questo blog segnalammo la notizia della firma della Dichiarazione di Lisbona, sottoscritto il 12 aprile 2018. Firmatari del documento J-L Mélenchon (France Insoumise), Pablo Iglesias (Podemos) e la portoghese Catarina Martins (Bloco de Esquerda). Scrivevamo:
«Si tratta di una dichiarazione di compromesso, che resta sul piano della "riforma della Ue", in cui le posizioni più sovraniste dei francesi sono state sfumate così da essere potabili per Podemos — sappiamo che Pablo Iglesias, personalmente, dopo l'errore del sostegno aperto a SYRIZA, è oggi molto vicino alle posizioni di Mélenchon — ed i portoghesi. Una dichiarazione che da avvio alle grandi manovre in vista delle elezioni europee del 2019».
Sulla scia di quella Dichiarazione, il primo luglio scorso si sono incontrati a Madrid, con tanto di evento pubblico, J-L Mélenchon e Pablo Iglesias. [vedi foto sopra] Lo scopo non era un segreto: consolidare l'asse tra France Insoumise e Podemos in vista delle prossime elezioni europee. I due hanno così abbozzato quello che sarà il profilo dell'eventuale listone della sinistra radicale alle prossime europee. Un resoconto puntuale di cosa essi abbiano detto e proposto ce lo fornisce EL PAIS del 2 luglio.

Ma si sta davvero consolidando l'asse tra France Insoumise e Podemos? C'è di che dubitarne. Il pomo della discordia ha un nome: Tsipras. Mélenchon vorrebbe tenerlo fuori dall'alleanza elettorale in vista delle prossime elezioni europee, mentre Pablo Iglesias (che per Tsipras ci aveva messo non solo la faccia), sembra voglia tenerlo dentro. In verità (altra divergenza con Mélenchon) Iglesias vorrebbe un accordo anche con Varoufakis. Staremo a vedere...

Una cosa forse decisiva unisce Mélenchon e Iglesias, il giudizio sul governo M5s-Lega. Quale esso sia è preso detto: si tratterebbe di un governo, se non compiutamente fascista, semi-fascista. Mélenchon l'aveva dichiarato il 20 maggio, ancor prima che Conte ricevesse l'incarico. Egli affermò infatti: "Évidemment, ce sont des fachos" — dove "fachos" sta per fascisti.
Da parte sua Iglesias ha suonato lo stesso spartito. L'ha sostenuto il 30 giugno in una trasmissione sul canale di Podemos FORT APACHE, il cui titolo parla chiaro "Italia vuelve (torna) al fascismo".

La cosa è sotto diversi profili sintomatica. Anzitutto, con un simile approssimativo e ingenuo giudizio, sia Mélenchon che Iglesias dimostrano di essere sotto scacco della violenta campagna di satanizzazione del governo giallo-verde messa in atto dalle élite eurocratiche e in vigore in tutti i paesi. In secondo luogo il giudizio dimostra quanto, dal punto di vista della cultura politica essi siano figli di una cultura per niente marxista ma massimalista e riformista. In terzo luogo questo loro giudizio fa l'occhiolino alle sinistre radicali italiane, che fanno dell'accusa di "fascio-leghismo" un elemento fondamentale, di posizionamento e identità. 

E quali sono le correnti che guardano con interesse al blocco elettorale a guida Mélenchon-Iglesias? Non c' è solo Potere al Popolo (con annessi e connessi, anzitutto Rifondazione e Eurostop). Ci sono quindi pezzi sparsi de L'Altra Europa con Tsipras. Alla finestra ci sono Stefano Fassina e i dissidenti di Sinistra Italiana. C'è poi— in barba a tutti di discorsi d'accademia su superamento destra-sinistra, populismo laclausiano ecc. — Senso Comune. Una coalizione a cui ognuno si aggrappa nella speranza che superato lo sbarramento elettorale (4%).

Speranza alquanto difficile. In agguato e in concorrenza ci sono infatti altri due poli di sinistra... "radicale". Quello attorno al blocco SYRIZA-Die Linke, e quello di Diem-25 di Yanis Varoufakis. Com'è noto il movimento Dema appena costituito dal sindaco di Napoli De Magistris (Dema) è alleato proprio a Varoufakis. De Magistris rischia di diventare l'ago della bilancia. Alla sua corte in diversi stanno andando col cappello in mano, e tirandolo per la giacca.

Potremmo sbagliarci ma c'è un'alta probabalità che la necessità di superare lo sbarramento, costringa tutti, soprattutto qui in Italia, all'inciucio elettoralistico, a costruire un'Armata Brancaleone —i n poche parole una versione 2.0 di L'Altra Europa con Tsipras. Un blocco elettorale che farà dell'opposizione frontale al "fascio-leghismo" la sua cifra principale, e nella quale quindi, il pur sfumato e patriottismo repubblicano alla Mélenchon* verrà non solo annacquato, ma soppresso in nome, ancora una volta dell'altreuropeismo....


* Abbiamo più volte espresso al nostra simpatia per France Insoumise e il suo profilo patriottico (e la sua idea di PIANO B di sucita dall'euro). Il fatto è che Mélenchon sembra avere un atteggiamento tipicamente francese (leggi: di spocchia); per cui il patriottismo, se è francese, se lo rivendica lui, è di natura democratica e progressiva, se lo fanno all'estero è nazionalista e reazionario. Se poi il patriottismo è italiano puzza sicuramente di... fascismo. Stesso dicasi per il PIANO B: questo può essere privilegio esclusivo della "grande Francia", non certo per gli italiani che di "B" conoscono solo il rango di cui fan parte....






giovedì 13 ottobre 2016

LA QUESTIONE NAZIONALE. Fassina risponde a Varoufakis

[ 13 ottobre ]

Sulla rottura del fidanzamento tra Stefano Fassina e Varoufakis scrivemmo il 13 luglio scorso. Il 15 settembre pubblicammo la risposta, dura, di Varoufakis a Fassina
La replica di Fassina era nell'aria, ed è giunta, seppure in ritardo. Impeccabile il ragionamento del nostro sulla centralità della dimensione nazionale, sul demos, di contro alla Unione europea.
Inevitabile quindi segnalare come, in sede di conclusione, la proposta di Fassina, sia, oltreché aleatoria, del tutto contraddittoria rispetto al suo stesso discorso: «... proviamo a introdurre i correttivi possibili a trattati vigenti al funzionamento della moneta unica». 
Un nuovo arretramento rispetto al manifesto per la rottura dell'euro (LEXIT) sottoscritto dallo stesso Fassina proprio nel luglio scorso.

Caro Direttore,

qualche giorno fa, su questo sito, Yanis Varoufakis e Lorenzo Marsili, tra i fondatori di "Diem 2025", hanno rievocato l'umiliante vittoria dell'"Oxi" nel referendum sul programma della Troika, svolto il 5 Luglio dello scorso anno in Grecia. Hanno, poi, rilanciato l'obiettivo chiave del loro movimento: la democratizzazione dell'Unione europea. 
A tal fine, guardano con preoccupazione a quella sinistra, riconosciuta nelle posizioni del sottoscritto, che "si ritira in posizioni nazionaliste e getta la spugna nella doppia battaglia contro la destra nazionalista e l'establishment transnazionale". La regressione nazionalista viene individuata in un passaggio di un mio scritto per la ricostruzione della sinistra nel quale ricordo che 
"Il demos dell'eurozona non esiste. Esistono invece i demos nazionali, a parte la upper class, cosmopolita da sempre, promotrice e beneficiaria dell'ordine vigente. I demos nazionali hanno caratteri culturali, morali, linguistici diversi e interessi in competizione". 
Da qui, mi somministrano la scomunica culturale e politica attraverso l'accostamento a Burke e, inevitabilmente, a Le Pen e Salvini.

Purtroppo, la mia è una constatazione fattuale, coerente con una vasta letteratura progressista. A proposito del loro richiamo a Antonio Gramsci, ricordo che il nostro geniale marxista eretico inventò la categoria di "nazional-popolare" per dare radici di popolo e capacità egemonica a quel Partito Comunista Italiano che nel simbolo aveva la bandiera rossa con falce e martello poggiata sulla bandiera dell'Italia. Ricordo anche, tra i tanti riferimenti possibili, Sir Ralf Dahrendorf, un liberale. In "Dopo la democrazia" scrive: 
«La democrazia a scala sovranazionale "è improponibile nel caso della UE, perché non esiste nemmeno un 'popolo europeo', un demos europeo per una democrazia europea". ... "Tra gli idealisti e gli euro-fanatici, qualcuno pensa ancora che l'Unione europea possa trasformarsi in una specie di stato-nazione solo più grande: gli Stati Uniti d'Europa. Ma ... questa non è la corretta descrizione di ciò che l'Europa è o può diventare". 
Ricordo, infine, come solo pochi giorni fa sul Ceta (Comprehensive economic and trade agreement), tutti insieme abbiamo vinto la battaglia per la ratifica in ciascun parlamento nazionale della UE, oltre che nel Parlamento Europeo.


Riconoscere il demos nazionale vuol dire nazionalismo? Vuol dire "dare priorità solo al livello nazionale" come, in aggiunta alla scomunica, mi viene attribuito? No. Sarebbe stato sufficiente leggere l'intero passaggio per capire il senso progressivo dell'analisi. Nel testo citato, invocavo "la riaffermazione della sovranità democratica a scala nazionale, nella misura possibile in mercati globali senza regole, per rilegittimare e rilanciare la cooperazione europea" (In una versione più estesa dello stesso testo ancoro la democrazia nazionale alla democrazia municipale).

Allora, cari amici di Diem 2025, discutiamo senza fare caricature e con senso della realtà. Altrimenti, la sinistra rimane afasica e irrilevante, come è avvenuto nel referendum per la Brexit, dove Jeremy Corbyn sentiva il "suo" popolo affidarsi alla destra ma rimaneva prigioniero di un conformistico e irrealistico richiamo a "riformare l'Europa".

Piuttosto che puntare a astratte e irraggiungibili costituenti europee, proviamo a introdurre i correttivi possibili a trattati vigenti al funzionamento della moneta unica, il fattore più dirompente di divaricazione tra i popoli dell'Europa. Anche con battaglie trans-europee: per esempio, portiamo avanti insieme ai mini-jobbers Made in Germany e a tutti gli altri lavoratori europei, precari e disoccupati, una mobilitazione per aumentare i salari dei lavoratori e delle lavoratrici tedesche e così arginare il mercantilismo di Berlino che, attraverso l'euro, esporta la svalutazione del lavoro.

* Fonte: la repubblica del 11 ottobre

mercoledì 14 settembre 2016

VAROUFAKIS RISPONDE A FASSINA: "SBAGLI, SE ROMPI L'EUROZONA SFASCI ANCHE L'UNIONE"

[ 15 settembre ]

Qui sotto la nostra traduzione della risposta fresca fresca di Varoufakis a Stefano Fassina. Un dibattito di estremo interesse e che affronteremo in senso al III. Forum Internazionale No Euro.
Fassina, com'è noto, ritiene sia doveroso smantellare l'eurozona ma tenendo in vita l'Unione. 
Varoufakis, che sogna di poter salvare entrambi, fa notare, non senza argomenti forti, e citando Stiglitz, che anche solo l'uscita di un Paese dalla zona euro implicherebbe la inevitabile disintegrazione della stessa Unione europea. L'amore per l'Unione ci divide da Varoufakis, tuttavia le sue obiezioni a Fassina sono solide.

Stefano Fassina fa notare che nel mio articolo “La sinistra europea dopo Brexit” io non prendevo in considerazione la sua opzione preferita per gli stati dell'Eurozona: restare nella UE ma abbandonare l'euro. Naturalmente il motivo per cui mio articolo non ha discusso questa posizione è che esso si concentrava sulla Brexit e si riferiva ai Lexiteers [uscisti di sinistra, NdT] come Tariq Ali e Stathis Kouvelakis che difendono da sinistra, proprio sulla scia della Brexit, la posizione dell’uscita pura e semplice dalla UE . Ma sono più che felice di dire la mia sull’opzione preferita di Stefano (nella UE ma fuori dall'euro).

Un “divorzio amichevole” per l'Eurozona?

Stefano invoca Joe Stiglitz il quale, nel suo recente libro sull'euro, raccomanda un “divorzio amichevole” che porterebbe alla creazione di almeno due nuovi valute (una per i paesi in deficit e una per quelli in surplus). Dal momento che ho recentemente parlato di questo con Joe Stiglitz è forse utile per condividere il senso della nostra discussione con Stefano ed i nostri lettori.

Nella mia e-mail a Joe, ho espresso scetticismo che un “divorzio amichevole” sia davvero possibile. Nel momento in cui diventasse pubblica una discussione sul 'divorzio', un muro di denaro lascerebbe le banche dei paesi destinati a svalutare, in direzione di Francoforte. A quel punto, le banche dei Paesi in deficit crollerebbero (appena avessero esaurito collaterali accettabili da parte della BCE) e gli stati membri dovrebbero imporre controlli valutari e dei capitali stringenti —con tanto di funzionari negli aeroporti al controllo delle valigie e/o limiti duri in fatto di prelievo di contanti. Ciò significherebbe la fine non solo dell'unione monetaria, ma anche del (già malandato) Trattato di Schengen.

Nel frattempo, mentre i depositi bancari verrebbero ridenominati, gli enormi patrimoni appartenenti alla Bundesbank ed alle banche centrali degli altri paesi in surplus (ad esempio dell’Olanda), che sono i debiti dei paesi in deficit, scomparirebbero, provocando un putiferio di indignazione in Germania e la Olanda. In tali circostanze, e data la fase già avanzata di disintegrazione dell'Unione europea, è quasi certo che la dissoluzione della zona euro sarà tutt'altro che amichevole.

Joe Stiglitz mi ha risposto così: «Lei ha assolutamente ragione nel momento che un qualche paese contemplasse l’uscita, dovrebbero essere imposti controlli sui capitali... La precipitazione avverrà presumibilmente prima, quando un partito che sostenga un referendum dia la sensazione di vincere. Così, le decisioni difficili di imporre controlli sui capitali, per assurdo, potrebbero essere prese da un governo pro-euro. Se si ritarda, aspettando i risultati delle elezioni, il Paese potrebbe andare allo sfascio. L'immagine che l'Europa ha davanti a sé non è bella».

In conclusione, è una fantasia pensare che la UE possa sovrintendere una disgregazione amichevole della zona euro. In effetti, è difficile immaginare che l'Unione europea possa sopravvivere alla rottura della zona euro.

La strategia di DiEM25 di disobbedienza costruttiva è un mero bluff per un paese della zona euro?

Stefano Fassina scrive: «Mentre la strategia di" disobbedienza volontaria "... può essere efficace in un paese UE che ancora controlli la sua moneta e la sua banca centrale nazionale, è purtroppo un bluff per un paese della zona euro sotto grave stress economico, sociale e finanziarie, come il caso greco ha reso drammaticamente evidente».

Ciò che la disfatta della Primavera di Atene ha mostrato non era che io stavo bluffando. Essa dimostra semplicemente che la sconfitta di un governo sotto pressione è inevitabile se esso è diviso. In quanto ministro delle finanze di quel periodo, posso assicurare al lettore, ed a Stefano, che non stavo bluffando. Un bluff significa che si sta fingendo di avere una carta, oppure che ti manca —o che si farà qualcosa che non si intende fare. Quando dicevo che non ero disposto a firmare il Terzo accordo si “salvataggio” volevo dire proprio quello. Perché? Perché avevo classificato i potenziali risultati nel seguente ordine: (1) un accordo praticabile con la troika; (2) l’espulsione dalla zona euro; (3) La firma di un 3. Accordo di “salvataggio”. Mentre l'opzione (1) era di gran lunga la preferibile, e Grexit era estremamente costosa sia per la Grecia che per il resto d'Europa, il 3. accordo “salvataggio” era il peggior risultato possibile per tutti. In breve, non c’era alcun bluff quando ho dichiarato che non avrei firmato alcun accordo non basati su (i) la riduzione sostanziale del debito, (ii) un obiettivo di avanzo primario di non più dell’ 1,5%, e (iii) riforme profonde che avrebbero preso di mira gli oligarchi (invece dei cittadini  più deboli).

Se il mio governo fosse stato unito in questo, la nostro originaria valutazione, non si sarebbe fatta marcia indietro e, di conseguenza, o la troika avrebbe ceduto o avremmo dovuto creare la nostra liquidità in euro (che avrebbe avuto, naturalmente, un tasso di cambio con euro di carta —come è, di fatto il caso oggi, sotto il controlli dei capitali imposto dalla BCE. A quel punto, Bruxelles-Francoforte-Berlino avrebbero dovuto fare la loro scelta: un passo indietro dal baratro oppure spingerci fuori dall'euro violando molte delle stesse regole della UE. Non ho dubbi che avrebbero optato per la prima (dato che Grexit sarebbe costata all'Eurozona circa un trilione di euro). Ma sarei rimasto imperturbabile se non lo avessero fatto.

Stefano chiede giustamente: «Quale governo nazionale potrebbe negoziare rilevanti violazioni delle regole senza una praticabile alternativa sul tavolo?» Questo è il motivo per cui, ben prima del mio insediamento, avevo cominciato a lavorare su due piani: in primo luogo, un Piano di Deterrenza con cui far riflettere la BCE prima di far chiudere le nostre banche. In secondo luogo, un Piano X da attivare quando e se la troika avesse scelto di espellere noi dalla zona euro. Tuttavia, va detto che l'idea che questi piani potrebbero diventare operativi prima della rottura è di  fantasia, quanto quella di una disgregazione amichevole della zona euro —vedi sopra. In parole povere, ogni tentativo di rendere questi piani operativi innescherebbe l'uscita immediata dalla zona euro —un'uscita che sarebbe accaduta ben prima fossero diventati operativi. Il che significa che il costo a breve termine di una rottura è destinata ad essere di grandi dimensioni. Tuttavia, questo era costo che la maggior parte delle persone della Grecia ci aveva chiesto di evitare cercando di ottenere l’emancipazione dalla schiavitù del debito.

Falsa coscienza

Stefano la dice giusta, quando ci ricorda che l'euro non è semplicemente il beniamino di grandi imprese, ma gode di un ampio sostegno da più parti: dei sindacati tedeschi che sono stati cooptati nel modello mercantilista del paese, più ancora della classe media sia del Nord che del Sud ecc. E’ proprio così, per ragioni che ho segnalato nel mio recente libro “And the Weak Suffer What They Must?
Ma questo è, mi sembra, un ottimo motivo per evitare di trasformare la disintegrazione della zona euro nel nostro obiettivo (dato che un “divorzio amichevole” è una cosa impossibile —e gli europei capiscono che è proprio così) e, invece, volgere lo sguardo su una strategia di proposte politiche ragionevoli che convincano anche coloro che rimangono fedeli all'idea che l'euro sia una buona idea. Poi, se la troika decide nel suo solito modo autoritario e violento di minacciare il governo democraticamente eletto di chiudere le banche e di comprimere laliquidità, allora anche coloro che fossero a favore dell'euro uscirebbero per le strade per difendere il loro governo. Non è questo quello che è successo in Grecia il 5 Luglio 2015?

Conclusione

Stefano Fassina conclude chiamando all'unità i progressisti in Europa: «Il mio punto è quello di unire le forze», ha scritto. Questo è la ragion d'essere di DiEM25 —unendo le forze oltre i confini nazionali e le linee di partito.

Come Stefano anche io credo che l'Eurozona si stia disintegrando, probabilmente in un modo che porterà alla scomparsa della UE. Tuttavia, la mia differenza con Stefano è che non vedo alcuna ragione per cui dovremmo adottare come obiettivo la disintegrazione della zona euro. Anzi, vedo una tale opzione come un grave errore politico. Il nostro compito comune, come suggerisce DiEM25, è quello di progettare una Agenda Progressista per l'Europa, che punti:

- A livello nazionale, i governi nazionali progressivi devono offrire alla loro gente un piano A completo —una dimostrazione di come, entro il sistema attuale, la speranza possa tornare nel loro paese. Allo stesso tempo, i paesi della zona euro, devono avere un Piano di Deterrenza da attuare per quando la BCE e la troika rispondessero al Piano A del governo progressista con minacce di chiusura delle banche, strette sulla liquidità ecc. E, infine, essi devono avere un terzo piano (piano X, l’ho chiamato) per quando e se il 'centro' cospirasse per la loro espulsione dalla zona euro.

-       A livello pan-europeo, abbiamo bisogno di offrire agli europei un piano A per l'Europa o un New Deal europeo come DiEM25 rivendica —una dimostrazione di come, in poche settimane, sotto i trattati attuali, la speranza, lo sviluppo e la democrazia potrebbero fare un ritorno in Europa. Questo piano A deve includere un progetto per la gestione (ottimale, ovvero nel modo meno doloroso possibile) della disintegrazione della zona euro e dell'Unione europea.
-        
A tal fine, un comitato DiEM25 di esperti ha già iniziato a lavorare per la produzione di politiche globali sia a livello pan-europee che nazionali. Allo stesso tempo, i membri di DiEM25 effettueranno un lavoro analogo a livello di base. I temi trattati comprendono le valute, il sistema bancario, il debito pubblico, gli investimenti e la lotta alla povertà. Il compito è quello di produrre un European New Deal Policy Framework da presentare entro l'inizio del febbraio 2017 in modo che possa essere discusso, in uno speciale evento di due giorni, a Parigi l'ultima settimana del mese, poco prima dell’inizio ufficiale della campagna elettorale per la Presidenza della Repubblica.


C'è poco tempo da perdere. L'Europa sta disintegrando senza un piano sia per arginare la sua disintegrazione o per gestirlo. DiEM25 invita tutti i progressisti europei a partecipare alla grande impresa di sviluppare questo piano —l’European New Deal Policy Framework nel contesto di un più ampio Programma Progressista per l'Europa.

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