Di seguito il Regolamento per il congresso fondativo di Liberiamo l’Italia approvato dalla riunione del Coordinamento nazionale di LiT svoltasi a Firenze il 15 febbraio 2020.
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giovedì 20 febbraio 2020
mercoledì 12 febbraio 2020
LA PROSSIMA GUERRA MONDIALE di Giulietto Chiesa
Si è svolto sabato scorso a Foligno il previsto incontro con Giulietto Chiesa.
Sala gremita [vedi foto accanto ]e pubblico molto attento, a dimostrazione dell’interesse per i temi riguardanti la complicata situazione internazionale e geopolitica.
Prima di dare la parola a Giulietto Chiesa, hanno introdotto l’incontro Giacomo Zuccarini a nome dei Comitati Popolari Territoriali umbri di Liberiamo l’Italia, quindi Armando Mattioli, portavoce di Futuro Collettivo (associazione politico-culturale molto attiva in città).
Sala gremita [vedi foto accanto ]e pubblico molto attento, a dimostrazione dell’interesse per i temi riguardanti la complicata situazione internazionale e geopolitica.
Prima di dare la parola a Giulietto Chiesa, hanno introdotto l’incontro Giacomo Zuccarini a nome dei Comitati Popolari Territoriali umbri di Liberiamo l’Italia, quindi Armando Mattioli, portavoce di Futuro Collettivo (associazione politico-culturale molto attiva in città).
sabato 8 febbraio 2020
FOLIGNO: INCONTRO CON GIULIETTO CHIESA
VENTI DI GUERRA
IRAN, LIBIA, SIRIA, YEMEN. UCRAINA...
«L'ITALIA RIPUDIA LA GUERRA COME STRUMENTO DI OFFESA ALLA LIBERTà DEGLI ALTRI POPOLI».
Oggi a Foligno, alle ore 17:00, presso l'Albergo Le Mura, incontro pubblico con Giulietto Chiesa.
L'incontro è promosso da Futuro Collettivo a da Liberiamo l'Italia
IRAN, LIBIA, SIRIA, YEMEN. UCRAINA...
«L'ITALIA RIPUDIA LA GUERRA COME STRUMENTO DI OFFESA ALLA LIBERTà DEGLI ALTRI POPOLI».
Oggi a Foligno, alle ore 17:00, presso l'Albergo Le Mura, incontro pubblico con Giulietto Chiesa.
L'incontro è promosso da Futuro Collettivo a da Liberiamo l'Italia
mercoledì 8 gennaio 2020
giovedì 19 dicembre 2019
LA BREXIT PARLA ANCHE A NOI di Liberiamo l'Italia
[ giovedì 19 dicembre 2019 ]
Volentieri pubblichiamo la risoluzione sulle recenti elezioni in Gran Bretagna approvata dal Coordinamento nazionale di LIBERIAMO L'ITALIA.
Le
elezioni della scorsa settimana in Gran Bretagna, di fatto un secondo
referendum sulla Brexit, ci hanno consegnato un risultato storico. Dopo tre
anni di melina parlamentare, di pressioni di tutti i tipi per cancellare la
vittoria del leave nel 2016, la
scelta di uscire dall’UE è stata clamorosamente confermata. Liberiamo
l’Italia saluta con soddisfazione questo successo.
Si tratta di un risultato storico perché, mentre da un lato dà forza a chi (come noi) si batte per la riconquista della sovranità nazionale, dall’altro esso segna un serio indebolimento dell’Unione europea, della sua pretesa egemonica e del suo espansionismo. Di più, smentendo tutti i catastrofismi del caso, il voto del 12 dicembre dimostra che dalla gabbia europea si può uscire, eccome.
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando, in qualità di presidente della Commissione europea, Romano Prodi parlava di una UE che un giorno sarebbe andata da Lisbona a Vladivostok! Adesso, non solo si è fermata l’espansione ad est, ma problemi serissimi sono sorti ad ovest, segno evidente dell’esaurimento di quella spinta unionista su cui tanto confidavano le oligarchie del continente.
Certo, a guidare la Brexit sarà il liberista Boris Johnson. Ma ciò è dipeso dal fatto che alla chiarezza del suo decisivo slogan — get brexit done — si è contrapposto il ponziopilatismo di Corbyn proprio sul decisivo punto del rispetto dell’esito del voto popolare di tre anni fa. In questo quadro, lo stesso programma di Corbyn – per quanto apprezzabile e positivo per diversi aspetti – è risultato astratto e velleitario, dato che non ci voleva molto a capire la sua totale irrealizzabilità nella cornice dell’Unione europea.
La sconfitta laburista non è stata dunque il frutto di un destino cinico e baro, bensì la diretta conseguenza delle contraddizioni e delle scelte della sua leadership, incapace di vedere come il nodo della Brexit sarebbe stato quello decisivo, quello che avrebbe determinato una vera polarizzazione tra le classi. Sta di fatto che mentre i laburisti hanno vinto nei ricchissimi quartieri londinesi di Chelsea e Kensington, essi hanno perso nelle più povere zone (oggi largamente deindustrializzate) del nord Inghilterra, quelle dove un tempo facevano il pieno di voti. Quelle dove già nel 2016 il leave aveva ottenuto percentuali altissime.
Ma la Brexit parla anche a noi. Parla ai popoli dell’intera Unione, ed in particolare a quelli che (come il nostro) soffrono maggiormente l’oppressione eurista. La Brexit ci parla della forza della volontà popolare, della praticabilità di un percorso di liberazione, della necessità di percorrerlo senza indugio.
E’ un segnale che Liberiamo l’Italia intende cogliere fino in fondo. La via dell’uscita dalla gabbia europea non sarà certo facile, ed è necessario aprire un dibattito su come percorrerla concretamente nel nostro Paese, ma è quella che dobbiamo intraprendere. Contro l’euro-dittatura, per un’alternativa antiliberista, per applicare finalmente la Costituzione del 1948.
Coordinamento nazionaledi Liberiamo l’Italia
18 dicembre 2019
Volentieri pubblichiamo la risoluzione sulle recenti elezioni in Gran Bretagna approvata dal Coordinamento nazionale di LIBERIAMO L'ITALIA.
* * *
BREXIT!
Si tratta di un risultato storico perché, mentre da un lato dà forza a chi (come noi) si batte per la riconquista della sovranità nazionale, dall’altro esso segna un serio indebolimento dell’Unione europea, della sua pretesa egemonica e del suo espansionismo. Di più, smentendo tutti i catastrofismi del caso, il voto del 12 dicembre dimostra che dalla gabbia europea si può uscire, eccome.
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando, in qualità di presidente della Commissione europea, Romano Prodi parlava di una UE che un giorno sarebbe andata da Lisbona a Vladivostok! Adesso, non solo si è fermata l’espansione ad est, ma problemi serissimi sono sorti ad ovest, segno evidente dell’esaurimento di quella spinta unionista su cui tanto confidavano le oligarchie del continente.
Certo, a guidare la Brexit sarà il liberista Boris Johnson. Ma ciò è dipeso dal fatto che alla chiarezza del suo decisivo slogan — get brexit done — si è contrapposto il ponziopilatismo di Corbyn proprio sul decisivo punto del rispetto dell’esito del voto popolare di tre anni fa. In questo quadro, lo stesso programma di Corbyn – per quanto apprezzabile e positivo per diversi aspetti – è risultato astratto e velleitario, dato che non ci voleva molto a capire la sua totale irrealizzabilità nella cornice dell’Unione europea.
La sconfitta laburista non è stata dunque il frutto di un destino cinico e baro, bensì la diretta conseguenza delle contraddizioni e delle scelte della sua leadership, incapace di vedere come il nodo della Brexit sarebbe stato quello decisivo, quello che avrebbe determinato una vera polarizzazione tra le classi. Sta di fatto che mentre i laburisti hanno vinto nei ricchissimi quartieri londinesi di Chelsea e Kensington, essi hanno perso nelle più povere zone (oggi largamente deindustrializzate) del nord Inghilterra, quelle dove un tempo facevano il pieno di voti. Quelle dove già nel 2016 il leave aveva ottenuto percentuali altissime.
Ma la Brexit parla anche a noi. Parla ai popoli dell’intera Unione, ed in particolare a quelli che (come il nostro) soffrono maggiormente l’oppressione eurista. La Brexit ci parla della forza della volontà popolare, della praticabilità di un percorso di liberazione, della necessità di percorrerlo senza indugio.
E’ un segnale che Liberiamo l’Italia intende cogliere fino in fondo. La via dell’uscita dalla gabbia europea non sarà certo facile, ed è necessario aprire un dibattito su come percorrerla concretamente nel nostro Paese, ma è quella che dobbiamo intraprendere. Contro l’euro-dittatura, per un’alternativa antiliberista, per applicare finalmente la Costituzione del 1948.
Coordinamento nazionaledi Liberiamo l’Italia
18 dicembre 2019
sabato 14 dicembre 2019
domenica 8 dicembre 2019
LIBERIAMO L'ITALIA C'È di Daniela Di Marco
[ domenica 8 dicembre 2019 ]![]() |
Con l'inno nazionale si sono aperti ieri a Roma i lavori dell'Assemblea Costituente di Liberiamo l'Italia |
Due giorni intensi, faticosi, importanti per Liberiamo l’Italia.
Nel pomeriggio di venerdì la manifestazione-presidio sotto il Parlamento per dire No al MES.
Nel pomeriggio di venerdì la manifestazione-presidio sotto il Parlamento per dire No al MES.
Quindi ieri l’annunciata Assemblea Costituente presso il Centro Congressi Frentani.
Il tempo ci dirà se ciò che stiamo seminando porterà i frutti che tutti vogliamo.
Partiamo dalla manifestazione. E’ un fatto che essa sia stata, almeno ad oggi, l’unica protesta pubblica contro questo trattato capestro che è il MES.
Il tempo ci dirà se ciò che stiamo seminando porterà i frutti che tutti vogliamo.
Partiamo dalla manifestazione. E’ un fatto che essa sia stata, almeno ad oggi, l’unica protesta pubblica contro questo trattato capestro che è il MES.
Non c’è solo questo di cui andare fieri, siamo orgogliosi soprattutto per la qualità dei numerosi interventi che si sono succeduti, a dimostrazione che lorsignori non hanno a che fare con degli indignati che esprimono il loro dissenso, ma con dei cittadini che hanno studiato, che non solo hanno fatto “i compiti a casa” sviscerando fin nei dettagli le insidie del trattato, ma che hanno idee precise su come il nostro Paese potrebbe risorgere se si decidesse ad uscire dalla gabbia dell’Unione europea riconquistando piena sovranità.
Il giorno dopo eravamo al Centro congressi Frentani per l’Assemblea costituente del movimento Liberiamo l’Italia.
Sala quasi completamente gremita, con attivisti e amici giunti da tutto il Paese.
Dopo l’apertura dei lavori di Guido Grossi e l’introduzione politica di Leonardo Sinigaglia, si è dato via al dibattito.
Dopo l’apertura dei lavori di Guido Grossi e l’introduzione politica di Leonardo Sinigaglia, si è dato via al dibattito.
Ben 54 gli interventi.
Il primo l’ha fatto Marianna, 16 anni, vera e propria mascotte dell’Assemblea, la più giovane tra i diversi ragazzi presenti. Fatto che considero un importante punto di merito per Liberiamo l’Italia.

Non ricordo qui tutti i nomi degli intervenuti. Segnalo solo i saluti di Paolo Maddalena, l’amico Nino Galloni, Fulvio Grimaldi, Gilberto Trombetta del Fronte Sovranista, Ugo Boghetta di Nuova Direzione, Mauro Grimolizzi di Riscossa Italia, Valerio Colombo del Partito Umanista, Gaia Dondoli del Partito dei Carc.
Colpiva che gli intervenuti ai lavori venivano, alcuni dopo un lungo viaggio, dalla Val d’Aosta, dal Piemonte, dalla Lombardia, dal Veneto, dal Friuli, dalla Liguria, dall’Emilia Romagna, dalla Toscana, dall’Umbria, dalle Marche, dall’Abruzzo, dal Lazio, dalla Campania, dalla Puglia. Non tutta l’Italia, ma quasi! Inoltre, quasi tutte le categorie sociali sono state rappresentate. Dagli studenti agli insegnanti, agli avvocati, partite IVA e piccoli imprenditori, agricoltori, precari, operai, medici eccetera…
Colpiva che gli intervenuti ai lavori venivano, alcuni dopo un lungo viaggio, dalla Val d’Aosta, dal Piemonte, dalla Lombardia, dal Veneto, dal Friuli, dalla Liguria, dall’Emilia Romagna, dalla Toscana, dall’Umbria, dalle Marche, dall’Abruzzo, dal Lazio, dalla Campania, dalla Puglia. Non tutta l’Italia, ma quasi! Inoltre, quasi tutte le categorie sociali sono state rappresentate. Dagli studenti agli insegnanti, agli avvocati, partite IVA e piccoli imprenditori, agricoltori, precari, operai, medici eccetera…
Tanti gli attivisti e gli amici che si incontravano per la prima volta, che hanno dato vita ad un dibattito che ha mostrato, oltre alle inevitabili differenze di accento su questo o quel problema, una evidente unità d’intenti, la passione politica senza la quale non andremmo da nessuna parte.
Alla fine le conclusioni di Moreno Pasquinelli, che ci ha ricordato che l’Assemblea è solo l’inizio di un processo costituente, che questo andrà a buon fine solo a condizione che la discussione sulla bozza di Manifesto e di Statuto proposti dal Coordinamento nazionale si sposti nei territori, nei Comitati Popolari Territoriali già esistenti e nelle speriamo decine che si formeranno nei prossimi mesi.
E’ qui che ci giochiamo la partita: nel penetrare nelle regioni in cui non ci siamo ancora, nella capacità di attivare centinaia e centinaia di cittadini, non solo coinvolgendoli nella discussione su Manifesto e Statuto, in vista del vero e proprio congresso costituivo che vorremmo svolgere prima dell’estate 2020, ma nella lotta concreta, nella capacità di costruire iniziative di lotta città per città, a cominciare da quella contro il MES.
Alla fine dei lavori è stato reso noto il nuovo Coordinamento nazionale, formato da 27 attivisti a rappresentare, a seconda della loro consistenza, tutte le regioni in cui già opera Liberiamo l’Italia.
Come si suol dire: ogni grande marcia inizio da un primo passo. E questo primo passo è stato compiuto con successo!
Alla fine dei lavori è stato reso noto il nuovo Coordinamento nazionale, formato da 27 attivisti a rappresentare, a seconda della loro consistenza, tutte le regioni in cui già opera Liberiamo l’Italia.
Come si suol dire: ogni grande marcia inizio da un primo passo. E questo primo passo è stato compiuto con successo!
* Fonte: Liberiamo l'Italia
venerdì 6 dicembre 2019
DOSSIER: PERCHÉ NO AL MES
[ venerdì 6 dicembre 2019 ]
Si svolge oggi, sotto il Parlamento, promossa da LIBERIAMO l'ITALIA, la manifestazione contro il MES e contro l'eventuale ratifica da parte di governo e Parlamento. Sul MES se ne dicono tante, spesso si tratta di colossali bugie. Come stanno davvero le cose ce lo spiega questo DOSSIER (curato da Moreno Pasquinelli e approvato del Coordinamento nazionale di LIBERIAMO l'ITALIA ).
* * *
Mettiamo il DOSSIER a disposizione di tutti in una versione .pdf per la circolazione via web e smatphone o per la stampa.
Il contesto da cui nacque la bestia del MES
Dopo decenni di finanziarizzazione dissennata, nel 2007-2008, scoppiò negli Stati Uniti la bolla dei mutui subprime, in sostanza la più grave crisi finanziaria dopo quella del 1929. La conseguenza fu il cosiddetto “credit crunch”, il sostanziale blocco dell’offerta di credito da parte delle banche. L’onda d’urto globale travolse anzitutto l’Occidente, ma colpì in modo letale l’eurozona. I governi di Stati Uniti, Giappone e Gran Bretagna, dopo qualche esitazione, decisero di obbligare le loro banche centrali ad esercitare la funzione di prestatore di ultima istanza (lender of last resort), ovvero stampare la moneta necessaria per prestarla a banche e istituti simili, in grave crisi di liquidità. Il paracadute fornito dalla banche centrali evitò in effetti la catastrofe e l’economia poté riprendersi presto.
Per farci un’idea di quanto massiccia fu la manovra della Federal Reserve, basti ricordare che questa acquistò titoli sul mercato per circa 4500 miliardi. Risultato: vero che il deficit salì al 4,2% e il debito pubblico passò al 102% del Pil, ma la disoccupazione scese sotto il 5%, il Pil tornò a crescere del 2% e Wall street tornò presto ai livelli pre-crisi. Una linea “interventista” che la FED non ha mai abbandonato, se è vero, com’è vero, che nel settembre scorso è intervenuta con una gigantesca operazione di 260 miliardi in soccorso di diverse banche a rischio di collasso.
Non fu così nell’eurozona. Alla BCE, del tutto indipendente dai governi e dal Parlamento europeo, tenuta per statuto a rispettare le sue ferree regole monetariste (stabilità dei prezzi e tasso d’inflazione non superiore al 2%) è proibito di agire come prestatore di ultima istanza o di correre in soccorso degli Stati. Avemmo così, tra il 2010-2012, la cosiddetta “crisi dei debiti sovrani”: la finanza predatoria, proprio a causa di questa sua natura speculativa, e dato che la BCE non sarebbe intervenuta per assistere gli stati in sofferenza, cessò di finanziarli (i PIIGS in particolare), ed iniziò a sbarazzarsi dei titoli di debito che aveva acquistato. Non soltanto la BCE non corse in soccorso degli Stati sotto attacco ma, ubbidendo al comando della Germania e della Francia, impose alla Grecia di passare sotto il criminale comando della Troika — ricordiamo che il cosiddetto bazooka del “Quantitative easing” arriverà solo nel 2015. Per quanto concerne l’Italia, ottenute le dimissioni del governo Berlusconi che recalcitrava ad adottare draconiane misure antipopolari (lettera di Trichet e Draghi del 5 agosto del 2011), impose il governo commissariale di Mario Monti che adottò politiche austeritarie senza precedenti.
Fu il fallimento di queste politiche (debito pubblico e deficit dei paesi posti sotto comando come la Grecia o auto-commissariati come l’Italia crebbero invece di scendere), che spinse l’Unione europea a dare vita al MES (Meccanismo Europeo di Stabilità).
Il MES com’era…
Il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), contestualmente alla modifica del Trattato di Lisbona, venne approvato in fretta e furia dal Parlamento europeo il 23 marzo 2011. Venne quindi ratiticato dal Consiglio europeo il 25 marzo. Questo il testo integrale.
Il Parlamento italiano, governo Monti in carica (sostenuto anzitutto da Pd e Pdl), lo approverà assieme al Fiscal Compact, nel luglio 2012. Solo la Lega votò contro, anche se ci furono molti altri parlamentari contrari e astenuti (sul MES 108 addirittura gli assenti al momento del voto).
Finanziato dai singoli Stati membri con una ripartizione percentuale in base alla loro importanza economica — la Germania, contribuisce per il 27,1 %, seguita dalla Francia, 20,3%, e dall’Italia,17,9%. Il finanziamento diretto da parte degli Stati ammonta a 80 miliardi di euro (l’Italia ha versato 14,3 miliardi, la Francia 20 e la Germania 27). La cosiddetta “potenza di fuoco” prevista a pieno regime è di circa 700 miliardi — i restanti 620 miliardi, proprio come qualsiasi altro fondo speculativo che deve fare profitto, il MES li raccoglierà sui mercati finanziari attraverso l’emissione di propri bond.
Fondato formalmente come un’organizzazione intergovernativa, esso, per la natura e le smisurate discrezionalità consegnategli, è stato concepito, né più e né meno, che come una super-banca d’affari privata con in più poteri politici e strategici di vita o di morte sui Paesi che dovessero cadere sotto la sua “tutela”.
Scopo principale dichiarato ed essenziale del MES era ed è quello di salvare la moneta unica e l’Unione europea, mettendo entrambi al riparo dal rischio di collasso, esito altamente probabile nei casi eventuali di default di questo o quello stato membro, quindi la loro uscita dall’eurozona. A questo scopo esso doveva reperire sul mercato le necessarie risorse finanziarie per poi fornire “assistenza” (prestiti) ai Paesi dell’eurozona che si trovassero in difficoltà nel finanziarsi sui mercati.
In cambio di questa “assistenza” il MES, costituzionalmente investito di funzionare come prestatore di ultima istanza, ha l’autorità insindacabile di imporre agli Stati “assistiti” feroci politiche economiche e di bilancio: tagli alla spesa pubblica, a pensioni e salari, aumenti dell’imposizione fiscale, privatizzazione e vendita dei beni pubblici. Sotto mentite spoglie proprio il massacro che la Troika ha compiuto in Grecia. In sostanza, come accaduto alla Grecia, i paesi che dovessero ricorrere allo “aiuto” del MES, in cambio, dovranno cedergli piena sovranità, così che il Paese diventa un suo protettorato semicoloniale.
Come se non bastasse il Trattato consegnava, all’interno del comitato direttivo del MES, il potere di veto solo a Germania e Francia. Ergo: questi due Paesi avevano l’ultima parola sugli “aiuti” e nell’imporre le condizioni per erogarli. Tra quests condizioni la stessa “ristrutturazione
Peggio ancora: il MES si sceglieva motu proprio i controllori del suo operato; ad esso era consentito di operare al di sopra di ogni legge nazionale e comunitaria; i suoi membri potevano agire nell’assoluta segretezza; essi godevano di una illimitata immunità civile e penale (nessuno poteva essere perseguito in caso di abusi ed anche crimini); esso gode della cosiddetta “neutralità fiscale”, di fatto si appoggia ai paradisi fiscali per non pagare tasse sui suoi utili
I “sovranisti”, ovvero i pesci in barile
Attenti adesso alle date. Il vertice dell’Unione europea tenutosi il 29 giugno del 2018 (era in carica il governo giallo-verde) annuncia di voler “rafforzare” il MES, “riformandolo”. La ragione di questa “riforma” è palese: il vecchio MES non viene più considerato adeguato a fare fronte al rischio di una tempesta finanziaria globale che, considerata altamente probabile, potrebbe far saltare l’eurozona. Una conferma palese che, al di là delle chiacchiere di circostanza e dei peana verso Draghi, gli stessi tecnocrati prendono atto del fallimento loro e della politica di Quantitative Easing della BCE.
I tecnici si mettono al lavoro per emendare e aggiornare il vecchio Trattato del MES.
Così il 14 dicembre 2018 (governo giallo-verde in carica) il vertice dei paesi dell’eurozona approva le linee generali il “prospetto” con gli emendamenti per la revisione del MES.
E quindi arriviamo al 21 giugno 2019 quando si prende atto dell’accordo generale sul nuovo testo del Trattato. A nome del governo giallo-verde sempre in carica c’erano Conte e Tria che danno l’assenso. In questi giorni assistiamo al baccano assordante della Lega che accusa Conte di aver “tradito” la Risoluzione approvata dal Parlamento il 19 giugno 2019. Salvini e company vorrebbero far credere che quella Risoluzione impegnava Conte e Tria a respingere la riforma del MES.
Per quanto sia chiaro che Conte e Tria siano asserviti alla cupola eurocratica, l’accusa è falsa. La Risoluzione, riguardo al MES affermava solo quanto segue:
«è opportuno sostenere l’inclusione, nelle condizionalità previste dal MES e da eventuali ulteriori accordi in materia monetaria e finanziaria, di un quadro di indicatori sufficientemente articolato, compatibile con quello sancito dal Regolamento (UE) n. 1176/2011, dove si consideri quindi fra l’altro anche il livello del debito privato, oltre a quello pubblico, la consistenza della posizione debitoria netta sull’estero, e l’evoluzione, oltre che la consistenza, delle sofferenze bancarie, onde evitare che il nostro Paese sia escluso a priori dalle condizioni di accesso ai fondi cui contribuisce».La Risoluzione, come si vede, non solo non respingeva il MES, accettava la riforma chiedendo solo venissero considerati altri criteri per accedere all’assistenza del MES medesimo e respinti eventuali automatismi nella ristrutturazione del debito pubblico.
In barba alle resistenze di economisti come Alberto Bagnai e Claudio Borghi, c’è stato un evidente e implicito cedimento politico (dopo quello compiuto a dicembre 2018 sulla Legge di Bilancio). De facto la Lega non ha mai deviato dalla “linea Giorgetti”.
Non dimentichiamo che erano i giorni in cui la Commissione europea minacciava una procedura d’infrazione. I giallo-verdi, Lega compresa se l’erano praticamente fatta sotto: non consegnarono a Conte e Tria alcun mandato, né quello di dire no alla riforma, né tantomeno di dire no al MES. Peggio: chi abbia letto la selva di inaccettabili emendamenti è portato a chiedersi se dirigenti e parlamentari di Lega a 5 Stelle li abbiano letti davvero. Temiamo di no, altrimenti avrebbero dovuto convenire, almeno, per un rifiuto categorico della “riforma”.
Il MES com’è diventato
Veniamo ora a questa famigerata “riforma”. Le cose, sono peggiorate o migliorate per il nostro Paese? Fermi restando i già terribili criteri del vecchio MES, sono peggiorate, e di molto. Sono infatti diventate molto più severe, e di molto, le cosiddette “condizionalità” per poter accedere allo “aiuto” del MES. Per di più con le modifiche apportate vengono aumentati sia i poteri del MES che le sue facoltà di ingerenza negli Stati, e si rafforza la sua indipendenza — che diviene totale, anche rispetto agli organismi Ue come la Commissione o il Consiglio, per non parlare del cosiddetto “Parlamento europeo”. Altro che “democrazia”! Il MES è l’incarnazione stessa della natura oligarchica e tecnocratica, oltre che liberista dell’Unione europea.
Non è facile, per un comune cittadino, capirci qualcosa. Si tratta di 35 pagine di farraginosi e contorti emendamenti, quasi quanto l’intero Trattato originale, scritti nel tremendo linguaggio dei tecnocrati, cioè comprensibile solo a degli iniziati.
Incombente minaccia. Vengono istituite, in caso di tempesta finanziaria, due linee di credito, di fatto dividendo i Paesi dell’eurozona, in barba ad ogni principio di solidarietà europea, in affidabili (seria A) e inaffidabili (serie B).
A – Quelli di serie A, che rispettano un deficit sotto il 3%, un rapporto debito/pil entro il 60% (riconfermate, come si vede, come intangibili le assurde due regole alla base della Ue), e che non abbiamo procedure d’infrazione, potranno accedere facilmente ai crediti del MES. Per di più il nuovo Trattato terrà conto dell’assenza di problemi di solvibilità bancaria e che abbiano avuto accesso ai mercati finanziari a “condizioni ragionevoli”. Questa prima linea di credito è chiamata PCCL (Linea di Credito Precauzionale Condizionata).
B – Quelli di serie B, i quali, come scrivono lorsginori “deviano” dal Patto di stabilità e crescita. E’ palese che l’Italia è esclusa da questa categoria, mentre verrebbe collocata nella seconda linea di credito denominata ECCL (Linea di Credito Condizionata Rafforzata). Il MES fornirebbe aiuto solo a determinate condizioni, ovvero che il Paese in questione adotti politiche di bilancio e sociali per un rientro forzoso entro i parametri del 3% e del 60%. Ergo: ove l’euro barcollasse a causa di una nuova tempesta finanziaria globale e l’Italia dovesse ricorrere allo “aiuto” del MES, dovrebbe procedere a tagli immani della spesa pubblica, al massacro sociale, a svendere a predatori stranieri gran parte dei beni e delle aziende pubbliche.
E’ facile intuire come non solo sia falso che nel Trattto non siano contemplati “automatismi”, che date le condizioni terribili e di ardua attuazione, ove l’Italia dovesse ricorrere a questo eventuale “soccorso” del MES, il Paese verrebbe gettato nel girone infernale dei Paesi insolventi, con rischio effettivo di un caotico default.
La spada di Damocle. Per i Paesi di serie B i tecnocrati hanno previsto che il MES, prima di concedere “assistenza” possa chiedere loro la “ristrutturazione” maligna del debito pubblico, ovvero una brutale svalutazione del valore dei titoli di stato in mano ai suoi possessori. Tecnicamente questa “ristrutturazione si riferisce alle famigerate CACs (Clausole di Azione Collettiva) che implicano, in barba all’Art. 47 della nostra Costituzione, che i titoli di Stato potrebbero non essere più garantiti.
Il MES interverrebbe quindi solo dopo il default, comprando quindi i titoli di debito a prezzi stracciati. Perché questa “ristrutturazione” sarebbe nefasta? Perché milioni di cittadini che hanno acquistato titoli italiani, si troverebbero dimezzato il valore del loro risparmio. Va da sé che davanti a questo rischio è altamente probabile che si inneschi una fuga dai titoli italiani, coi paperoni e le stesse banche che vorranno sbarazzarsi di BTP, Bot ecc., per acquistare quelli di Paesi a tripla A. Non si fa altro, quindi, che incoraggiare la fuga dei capitali dal nostro Pese ed aggravare il pericolo di una crisi di debito, con spread in rialzo ecc.
Banche: la corda sostiene l’impiccato
Al peggio non c’è limite. Il Trattato riformato stabilisce che esso verrà applicato contestualmente all’attuazione della letale (non solo per l’Italia) Unione Bancaria europea.
Si istituisce, allo scopo di impedire agli Stati ogni salvataggio, un “Fondo Unico di Risoluzione” costituito dalle banche europee, ma sotto la stringente sorveglianza del MES. Le conseguenze per le banche italiane sarebbero devastanti. Non a caso addirittura due europeisti di ferro come il governatore di Bankitalia Visco e il Presidente dell’ABI Patuelli, hanno lanciato l’allarme.
Nel Trattato del MES, nascosto tra le pieghe degli arzigogolati emendamenti riguardante il “completamento dell’Unione bancaria”, su pressione anzitutto tedesca (in particolare del Ministro delle Finanze Olaf Scholz), è stato introdotto il criterio di “rischio rating sui titoli di debito”. Dato che le banche italiane hanno in pancia centinaia di miliardi di titoli di stato, non solo per esse si renderebbe altamente pericoloso acquistarne di nuovi, il punteggio negativo le spingerebbe in un tunnel senza via di scampo. Ed è evidente che ciò avvantaggerebbe la Germania. Dato infatti che circa 400 miliardi di titoli pubblici italiani è oggi in possesso delle banche italiane, esse si troverebbero con i loro asset falcidiati. Quella che lorsignori, con linguaggio criptico, chiamano “ponderazione dei titoli di stato”, che null’altro sarebbe se non una decurtazione lineare del valore dei titoli, farebbe saltare il sistema bancario italiano.
I tecnocrati hanno previsto pure questo, e hanno stabilito che le banche, se vorranno sopravvivere e non essere mangiate da quelle tedesche e francesi, dovranno ricorrere al bail-in, ovvero pagheranno un prezzo salatissimo i costi del salvataggio non solo gli azionisti e gli obbligazionisti ma pure i correntisti — come già accaduto a Cipro.
Viene così brutalmente calpestato l’Art. 47 della Costituzione che obbliga lo Stato a “favorire” e “proteggere il risparmio”. Si tratterebbe dell’ultimo strappo anticostituzionale, visto che da decenni i governi, accettando di sottomettersi alle regole dell’Unione europea hanno già ucciso il medesimo articolo che recita: “la Repubblica disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”. Sarà il MES e solo il MES ad arrogarsi questa funzione, obbligando le banche italiane, diventate suo ostaggio, a chiudere i rubinetti del credito a cittadini e imprese, con ciò facendo precipitare il Paese in una depressione spaventevole.
Abbiamo così che i Paesi che coi criteri ordoliberisti avrebbero un sistema bancario “sano” — per lorsignori sarebbero “sane” le banche tedesche, francesi e olandesi piene zeppe di derivati tossici mentre sarebbero “malate” quelle italiane dati i crediti deteriorati che ancora hanno in pancia — sono palesemente avvantaggiati, mentre quelli come l’Italia, malgrado le banche abbiano compiuto enormi sforzi di ricapitalizzazione, per godere dell’assistenza dovrebbero non solo sottomettersi a cure da cavallo —tagli drastici ai costi e una stretta nel credito— ma ricorrere al bail-in. E’ quindi un fatto, visto che i Paesi di serie A godranno di una corsia preferenziale per accedere al soccorso del MES, che coi soldi versati dall’Italia al MES saranno salvate in prima battuta le banche tedesche, francesi o olandesi.
Il soccorso del MES è come la corda che sostiene l’impiccato.
Potremmo continuare scendendo in dettagli che confermano l’impianto vessatorio (anzitutto verso il nostro Paese) della “riforma”. La morale è che lassù sono disposti a tutto pur di salvare l’euro e questa Unione liberista e matrigna, anche a far affondare l’Italia.
Come uscire dalla gabbia
Le destre “sovraniste” non la dicono tutta. Non basta chiedere il governo ponga un veto alla riforma del MES. Il veto va posto sul MES in quanto tale. Ove non lo facesse è giusto che esso si dimetta e che gli italiani siano chiamati al voto. Tanto più risibile, lo diciamo ai 5 stelle e a LEU, limitarsi a chiedere un “rinvio” per riformare la riforma.
Le destre “sovraniste” predicano bene ma razzolano male. Esse stanno sbraitando sul MES, ma cosa effettivamente propongono in alternativa alle direttive che vengono dall’Unione europea in caso di un altamente probabile shock finanziario globale? Essendo, come il loro compari del PD di provata fede liberista, e avendo abbandonato l’uscita dall’euro e la riconquista della sovranità monetaria, non riescono a proporre nulla di serio e credibile.
Se il male è grave la terapia non può che essere radicale. Quando arriverà il prossimo schock finanziario tutto dipenderà fondamentalmente da una questione: quella della sovranità nazionale, che include ovviamente la decisiva sovranità monetaria. Ciò è tanto più vero per un paese come l’Italia. E’ sicuro che un’Italia ancora prigioniera dell’euro e con le mani legate dai vessatori meccanismi europei, non potrà che restare in balia dei mercati finanziari (cioè delle grandi banche d’affari, fondi, etc.).
Un Paese che avesse scelto l’uscita dalla moneta unica avrebbe invece la possibilità di attuare misure difensive di notevole efficacia.
La prima di queste misure è quella del nuovo ruolo da assegnare alla Banca d’Italia, riportata a tutti gli effetti sotto il controllo dello Stato, come prestatrice di ultima istanza. In questo modo l’arma del debito puntata contro il nostro Paese risulterebbe del tutto spuntata.
La seconda misura è la nazionalizzazione dell’intero sistema bancario, a partire dalle principali banche nazionali (che non potranno più svolgere le funzioni proprie delle banche d’affari). In questo modo lo Stato provvederebbe ad eventuali salvataggi salvando il risparmio popolare senza alcun bisogno di interventi esterni. Al tempo stesso le banche pubbliche sarebbero la base di ampi progetti di investimenti pubblici, senza i quali non è possibile immaginarsi alcuna uscita dalla crisi.
La terza misura consiste nel blocco all’esportazione dei capitali, sia attraverso drastiche misure d’emergenza, sia con un’intelligente politica di investimenti nazionali in grado di ridare credibilità ad un percorso di ripresa economica.
La quarta misura dovrebbe consistere in provvedimenti tesi a favorire lo spostamento delle attività finanziarie da quelle speculative ed estere, a quelle interne e volte a finanziare il piano di investimenti pubblici (che andrà visto anche come grande piano per il lavoro). Se si riuscisse a riportare una quota del 20% della ricchezza finanziaria complessiva (4.500 miliardi) ad investire o direttamente nell’economia reale, o a finanziare gli investimenti statali con l’acquisto dei titoli del debito pubblico, la crisi finirebbe sia sul lato del lavoro che su quello del bilancio statale. A tale proposito utile sarebbe l’emissione di nuovi titoli di stato rivolti esclusivamente alle famiglie italiane, garantiti al 100%, e adeguatamente remunerati a condizione della loro non negoziabilità sul mercato secondario per un certo numero di anni.
Il Coordinamento nazionale di Liberiamo l’Italia
Dossier a cura di Moreno Pasquinelli
giovedì 5 dicembre 2019
LIBERIAMO L'ITALIA: IL MODELLO ORGANIZZATIVO
[ giovedì 5 dicembre 2019 ]
Dopo la bozza del Manifesto politico, presentiamo ai lettori la bozza dello Statuto approvato dal Coordinamento nazionale .
Una bozza perché verrà sottoposta al vaglio del processo costituente e dei diversi Comitati Popolari territoriali già sorti e che nasceranno nei prossimi mesi.
* * *
Liberiamo l’Italia bozza di STATUTO
PREAMBOLO
1. Liberiamo l’Italia (di seguito LIT) è un movimento federativo di Comitati Popolari territoriali.2. LIT sostiene e promuove una cultura politica di azione e di partecipazione alla vita democratica come garanzia di trasformazione sociale e affermazione della sovranità popolare ispirandosi ai valori di libertà, fratellanza ed eguaglianza contenuti nella Costituzione del 1948. La LIT decide e delibera adottando il metodo del consenso: di discute fino a trovare una soluzione condivisa da tutti. Questo metodo, sebbene faticoso, è il più democratico per costruire un movimento serio e duraturo. Per funzionare esso chiede capacità d’ascolto da parte d’ognuno, di fiducia reciproca, di assoluto rispetto verso tutti i membri, della capacità di anteporre gli interessi della comunità rispetto ai propri obiettivi personali.
3. La LIT prende atto della crisi dei partiti storici e del fallimento dei meccanismi di rappresentanza in seguito al declino delle istituzioni democratiche,
si organizza per resistere all’attacco del capitalismo globalizzato contro le democrazie costituzionali e le sovranità popolari,
si basa sulla volontà alla partecipazione diretta dei cittadini nel determinare il futuro del nostro Paese,
riconosce le potenzialità delle numerose realtà associative, politiche e sindacali in opposizione all’attuale sistema di potere e insiste sulla necessità di avviare una concreta azione politica collettiva, condivisa e partecipata dai cittadini, nonché attraverso la costruzione di un’alleanza tra tutte le forze democratiche, antioligarchiche e costituzionali disposte a lottare per l’affermazione della Sovranità Nazionale e per la Liberazione del nostro Paese da ogni condizionamento esterno che limiti tale sovranità, a partire dai vincoli dell’Unione europea, della moneta unica e della NATO.
IL SIMBOLO DELLA LIT
4. Il simbolo della LIT è il tricolore con al centro…..
MODALITÀ DI ADESIONE, DIRITTI E DOVERI DELL’ATTIVISTA
5. Le adesioni alla LIT sono sempre individuali.
6. L’atto dell’adesione individuale al Movimento implica la sottoscrizione e la condivisione dei contenuti dei documenti fondativi della LIT e l’accettazione del presente Statuto. L’adesione deve essere approvata dall’assemblea del CPT.
7. L’attivista interviene nel lavoro del Movimento condividendone tesi ed azione politica; contribuisce alla sua costruzione, a cominciare dal CPT; partecipa attivamente ai momenti di dibattito interno; partecipa a diffondere le proposte e le idee della LIT; contribuisce al suo finanziamento in base alle sue possibilità.
8. Ogni attivista della LIT ha diritto di partecipazione e di voto in tutte le assemblee dei CPT.
9. Possono far parte della LIT cittadini aderenti ad altri partito e movimenti, a condizione che questi abbiano un profilo costituzionale e antiliberista.
10. Ogni attivista della LIT può adire il Comitato di garanzia al fine di rivendicare la tutela dei diritti e dei principi sanciti nel presente Statuto.
I MEZZI DI COMUNICAZIONE DELLA LIT
11. Strumenti informativi, comunicativi e formativi della LIT sono il sito web, il bollettino telematico periodico, le lista di discussione telematica dei CPT e del Coordinamento nazionale, eventuali pubblicazioni come notiziari, rassegne, volantini ed eventuali altre iniziative editoriali, convegni e riunioni su temi specifici.
GLI ORGANI DELLA LIT
12. Al fine di attuare gli obiettivi indicati all’art. 3, la LIT si dota dei seguenti organi:
– I Comitati Popolari territoriali
– L’Assemblea Nazionale
– Il Coordinamento Nazionale
– Il Comitato di Garanzia
I COMITATI POPOLARI TERRITORIALI
13. Il Comitato Popolare Territoriale (di seguito CPT) è l’organismo di base primario del Movimento.
14. Il CPT raggruppa e organizza, in base al criterio della prossimità geografica, gli attivisti di una città, di zona nelle città metropolitane, di un dato comprensorio. Per costituire un CPT occorrono almeno 5 attivisti. In fase iniziale, se necessario, il CPT può raggruppare attivisti su base provinciale e/o regionale.
15. All’atto della riunione costitutiva del CPT, di norma, dev’essere presente un delegato del Coordinamento Nazionale, che quest’ultimo convalida.
16. In una medesima città, in una medesima zona nelle città metropolitane, o nel medesimo comprensorio, il Coordinamento Nazionale riconosce come legittimo uno e uno solo CPT.
17. I CPT sono organismi di lotta popolare, strumenti per facilitare la partecipazione dei cittadini alla battaglia politica. Sono quindi fondamentali nell’articolazione dell’iniziativa e dell’elaborazione complessiva del Movimento, nel rendere più efficaci e capillari le iniziative pubbliche. Contribuiscono alla crescita della LIT e debbono essere luoghi di formazione culturale e politica.
18. I CPT, nel rispetto del Manifesto, del presente Statuto e delle decisioni dell’Assemblea nazionale possono e debbono, autofinanziandosi, svolgere e organizzare autonome iniziative pubbliche.
19. L’Assemblea del CPT ha facoltà di respingere eventuali richieste di adesione a maggioranza qualificata. Nel caso un’adesione venga respinta chi la sostiene, previo parere favorevole dell’aspirante attivista, può ricorre al Comitato di Garanzia.
20. In una regione dove esistono almeno 3 CPT essi debbono formare un Coordinamento regionale allo scopo di dare sistematicità e forza alle loro iniziative. I Coordinatori dei CPT costituiscono il comitato di Coordinamento Regionale.
21. L’assemblea del CPT elegge a maggioranza semplice il proprio Coordinatore (che farà parte di diritto dell’eventuale comitato di Coordinamento Regionale) e, in vista dell’Assemblea Nazionale, elegge il proprio delegato
L’ASSEMBLEA NAZIONALE
22. L’Assemblea Nazionale (di seguito AN) è costituita dall’insieme dei delegati eletti dai CPT.
23. L’AN stabilisce gli orientamenti politici e le decisioni organizzative, elegge a scrutinio palese —su richiesta di almeno un quarto dei delegati a scrutinio segreto — il Coordinamento Nazionale ed il Comitato di Garanzia della LIT.
24. Convocata dal Coordinamento Nazionale essa si riunisce, in via ordinaria, ogni dodici mesi, in via straordinaria ogniqualvolta il Coordinamento Nazionale lo ritenga necessario o venga richiesto da almeno un terzo dei CPT. In questo ultimo caso essa dovrà tenersi entro un mese dalla presentazione della richiesta.
25. La convocazione dell’AN si effettua mediante comunicazione per via telematica da inviarsi almeno sessanta giorni prima della data stabilita (trenta, nel caso di assemblee straordinarie).
26. All’apertura dei lavori l’Assemblea elegge una presidenza e approva l’ordine del giorno. L’Assemblea, valida se presenti almeno il 50% più uno dei delegati, delibera a maggioranza semplice dei votanti, fatta eccezione per le modifiche del presente Statuto e per la proposta di scioglimento del Movimento. Non è ammesso il voto per delega.
27. L’AN: a) discute e delibera su risoluzioni, progetti, programmi e iniziative sottoposti alla sua approvazione dal Coordinamento nazionale, dai CPT o dai delegati; b) decide sull’avvio di specifiche campagne pubbliche; c) stabilisce le pubblicazioni telematiche e cartacee; d) definisce i contenuti e le modalità di eventi a carattere nazionale o eventuali altre iniziative; e) ha facoltà, ove lo ritenesse necessario, di modifica del Manifesto (a maggioranza semplice) e dello Statuto (a maggioranza qualificata); f) delibera sulle modalità di autofinanziamento; g) può costituire al proprio interno commissioni o Gruppi operativi di lavoro a carattere nazionale.
IL COORDINAMENTO NAZIONALE
28. Il Coordinamento Nazionale (di seguito CN) viene eletto dall’Assemblea Nazionale.
29. Il CN è la struttura collettiva che assume la direzione politica del Movimento tra un’Assemblea e l’altra su mandato di quest’ultima. Ha quindi la funzione di rendere esecutive le decisioni dell’Assemblea Nazionale. Esso provvede all’amministrazione ordinaria e straordinaria della LIT, curandone anche — con l’ausilio del tesoriere — la gestione economica. Esso cura inoltre (nelle modalità che ritiene opportune): l’aggiornamento del sito web dell’associazione, la pubblicazione del Bollettino telematico periodico e altri mezzi di comunicazione. Ha funzione di supervisione delle liste di discussione locali.
30. Nel rispetto delle linee programmatiche assunte dall’AN, il CN ha facoltà: a) di coordinare le attività dei CPT esistenti e di promuovere la costituzione di nuovi; b) di promuovere e organizzare campagne pubbliche, seminari, conferenze e incontri; c) di stabilire eventuali azioni comuni con altri movimenti o partiti; d) di promuovere e curare l’autofinanziamento della LIT; e) di convocare e organizzare l’Assemblea Nazionale ordinaria, proponendone l’ordine del giorno; f) di convocare e organizzare l’eventuale Assemblea Nazionale straordinaria, proponendone l’ordine del giorno o raccogliendolo nel caso di richiesta di un terzo dei CPT di cui all’art.23; f) Il CN, con decisione unanime dei presenti e nel rispetto della lettera del presente Statuto, ha altresì facoltà di dotarsi di eventuali organismi, tra cui un Comitato esecutivo, i Gruppi operativi, Commissioni, nonché di propri regolamenti interni; g) di nominare dei supplenti in caso di dimissioni del Tesoriere o dei coordinatori dei Gruppi Operativi e/o delle Commissioni
31. Il CN è eletto dall’Assemblea. Le riunioni del CN sono valide solo se è presente la maggioranza dei membri. Le delibere del CN sono prese a maggioranza semplice dei presenti.
32. Il CN ha l’obbligo di comunicare ai CPT, di norma per via telematica, sia gli ordini del giorno delle sue riunioni, che le delibere e le decisioni da esso assunte.
33. Il CN si riunisce di regola una volta al mese nella sede indicata all’atto della sua convocazione, per via telematica in via straordinaria.
34. IL CN nomina al proprio interno un Comitato di Presidenza che si impegna a garantire, in termini di disponibilità e di continuità, i compiti previsti dal ruolo ad essi affidato. Può eleggere un Esecutivo per gestire l’attuazione organizzativa delle decisioni assunte.
In particolare, il Comitato di Presidenza:
a) compila l’ordine del giorno delle riunioni, riceve le richieste degli altri membri sugli argomenti da porre alla discussione del CN, dirige ed organizza l’ordine dei lavori;
b) modera la discussione e riceve eventuali richieste di mozioni;
c) redige minute e/o verbali sintetici delle riunioni e relazioni conclusive sugli argomenti trattati;
d) provvede alla raccolta dei documenti politici deliberati, alla loro eventuale pubblicazione e archiviazione.
35. Deliberazioni, mozioni e proposte, per essere approvate dal CN come documenti politici ufficiali attraverso il voto, devono essere presentati in forma di mozione scritta, preferibilmente accompagnati da un testo sintetico che esplichi le motivazioni a sostegno del documento di cui si chiede l’approvazione.
36. In casi particolari, il CN può — limitatamente a temi specifici posti all’ordine del giorno — invitare a partecipare alle proprie riunioni altri membri della CLN esterni al CN stesso, ma particolarmente esperti sulla materia in discussione. Gli invitati avranno diritto di parola e di proposta ma non di voto, che rimane prerogativa esclusiva dei membri del CN.
37. Il Comitato di Presidenza del CN, concordemente con gli altri membri,convoca le riunioni ordinarie e straordinarie del CN tramite mail e/o chat e/o telefonicamente dando comunicazione ai componenti dell’organismo della data e dell’ora di svolgimento di ogni riunione, nonché del relativo ordine del giorno. Le riunioni ordinarie del CN dovranno essere comunicate ai componenti dell’organismo con almeno 15 giorni d’anticipo rispetto alla data di svolgimento della riunione. Con non meno di cinque giorni d’anticipo rispetto alla data di svolgimento se straordinarie.
38. Il CN ha la facoltà di sanzionare eventuali azioni dei CPT o di singoli attivisti che risultino in contrasto con i valori e lo spirito della LIT, ovvero quando esse risultino in contrasto con lo Statuto, il Manifesto, e/o con le deliberazioni adottate dalla CLN.
39. Queste sanzioni sono: il biasimo, la sospensione temporanea o l’esclusione dalla LIT.
IL COMITATO DI GARANZIA
40. Il Comitato di Garanzia ( di seguito CdG) è preposto ad assicurare l’osservanza dello Statuto e del Manifesto , da parte dei CPT e dei singoli attivisti;
41. Il CdGè l’organismo a cui i CPT, gli attivisti e il CN possono sottoporre denunce specifiche su eventuali violazioni, così come opporre appello ad eventuali sanzioni.
40. Il CdG sottopone le sue conclusioni al CN dopo accertamento rigoroso dei fatti.
42. Nel caso le conclusioni del Comitato di Garanzia contrastino con quelle del CN, il contenzioso sarà risolto dall’Assemblea Nazionale, che modifica, respinge o approva l’eventuale sanzione —a maggioranza dei due terzi se riguarda un’associazione.
NORME TRANSITORIE
La Assemblea Costituente della LIT approva le seguenti norme transitorie:
a) Al fine di assicurare la necessaria continuità politica ed organizzativa in questa prima delicata fase di costruzione del Movimento, il CN che eletto per acclamazione dall’Assemblea nazionale costituente resta in carica fino allo svolgimento della Assemblea nazionale costitutiva.
b) Ovunque possibile dovranno costituirsi CPT.
lunedì 2 dicembre 2019
DOSSIER: PERCHÉ DIFENDERE IL CONTANTE di Liberiamo l'Italia
[ martedì 3 novembre 2019 ]
In vista della manifestazione sotto il Parlamento di venerdì prossimo 6 dicembre dalle ore 15:30 consegnamo ai lettori il Dossier "Perché difendere il contante" di LIBERIAMO L'ITALIA curato da Vadim Bottoni. Uno strumento a disposizione dei cittadini che svela le vere ragioni per cui si vuole favorire l'uso della moneta elettronica.
Alla manifestazione interverranno tra gli altri: Nino Galloni, Tiziana Alterio, Guido Grossi, Vadim Bottoni, Daniela Di Marco, Francesco Neri, Fabio Frati, Giancarlo D’Andrea, Moreno Pasquinelli...
* * *
L’attacco governativo e mediatico all’uso del contante, con misure che inizieremo a vedere
nel decreto fiscale 2020, rende necessaria una seria analisi sulle vere ragioni dell’imposizione relativa all’uso della moneta elettronica. Con il seguente documento, strutturato in termini di domande e risposte, prende avvio la campagna in difesa del contante da parte di “Liberiamo l’Italia”, nell’ambito della quale, e contro il MES, ci troveremo sotto il Parlamento, venerdì 6 dicembre, dalle ore 15:30
nel decreto fiscale 2020, rende necessaria una seria analisi sulle vere ragioni dell’imposizione relativa all’uso della moneta elettronica. Con il seguente documento, strutturato in termini di domande e risposte, prende avvio la campagna in difesa del contante da parte di “Liberiamo l’Italia”, nell’ambito della quale, e contro il MES, ci troveremo sotto il Parlamento, venerdì 6 dicembre, dalle ore 15:30
Il dossier è a cura di Vadim Bottoni, mettiamo a disposizione di tutti due versioni dello stesso per la circolazione via web e smatphone o per la stampa:
1. In cosa consiste la lotta al contante di cui si sente molto parlare ultimamente, in quali misure si concretizza e quali sono gli effetti economici?
Per contante intendiamo le banconote cartacee e le monete metalliche, che è la forma assunta dalla moneta legale. La lotta al contante è caratterizzata dall’attuazione di misure volte a limitarne progressivamente l’uso, così come previsto nel decreto fiscale 2020. Tali misure vanno dalle limitazioni all’uso di banconote previste nei pagamenti alle sanzioni per mancata accettazione di pagamenti con carta di debito o di credito, il tutto per ottenere una minore circolazione di contanti. Questa riduzione deve poi essere compensata da un aumento di strumenti alternativi offerti da intermediari autorizzati come le banche, ad esempio i bonifici e i bancomat, che per semplicità chiamiamo moneta elettronica.
Le finalità dichiarate di chi persegue questa operazione sono quelle di dover sostituire una moneta che circola in modo anonimo con una controllabile, in modo da poter meglio contrastare fenomeni illeciti quali l’evasione fiscale, il riciclaggio, fino al terrorismo. Se così fosse si capirebbe a fatica perché in paesi come la Germania e l’Austria non vi siano limitazioni all’uso di banconote, ma prima di affrontare questi temi vediamo il primo e rilevante effetto di questa operazione, ovvero cosa accade se nelle tasche dei cittadini viene sostituito il contante, quindi la moneta legale, con la moneta elettronica:
banalmente accade che la circolazione monetaria che prima era gratuita per i cittadini ora presenta un costo. Vediamo in che senso.
banalmente accade che la circolazione monetaria che prima era gratuita per i cittadini ora presenta un costo. Vediamo in che senso.
Le banconote cartacee vengono emesse dalle Banche centrali e poi iniziano a circolare di mano in mano senza costi per nessuno nei vari passaggi. La moneta elettronica invece è un servizio offerto dalle banche e circola con dei costi in un sistema di pagamento privato. Per ogni passaggio, ad esempio a mezzo bonifico o di carta di pagamento, vengono versate delle commissioni alle banche e istituti emittenti da parte di cittadini ed esercenti, sui quali gravano anche i costi di installazione e dei canoni per i terminali necessari al processo.
Nella condizione attuale di difficoltà in cui versano le imprese e di necessità per un rilancio dei consumi vista la bassa crescita, questi costi aggiuntivi sui passaggi di denaro e quindi sui consumi avrebbero un effetto recessivo oltre ad alimentare i livelli di esasperazione di chi vede caricarsi sulle spalle gli ennesimi costi per gestire attività sempre più a rischio di chiusura.
2. Se si abbassassero questi costi non si potrebbero superare i problemi più rilevanti?
Si stanno valutando sistemi di deduzioni e detrazioni fiscali, nel senso che i costi sostenuti per le commissioni si recuperano parzialmente in un secondo momento pagando meno tasse.
Però, a parità di commissioni bancarie applicate, del mancato introito per l’erario dovuto allo sgravio se ne farà carico la fiscalità generale, ovvero ci saranno tasse pagate da tutti noi che dovranno sostenere il costo delle commissioni bancarie.
Visto che l’operatività delle banche non può esimersi dalle entrate delle commissioni, la parte dei costi tolti al diretto interessato si scaricherebbe su tutti i contribuenti e quindi su tutti noi.
Ma facciamo una ulteriore ipotesi francamente inverosimile, ovvero che per consentire il processo di eliminazione del contante si acconsentisse miracolosamente ad azzerare le commissioni. Questo inizialmente ammorbidirebbe le resistenze alla eliminazione del contante favorendone l’obiettivo che però, una volta raggiunto, determinerebbe
l’instaurazione di una sorta di monopolio privato del sistema di pagamento, quello bancario. Così se iniziassero da quel momento a salire esponenzialmente i costi delle transazioni le persone non avrebbero più l’alternativa del contante e quindi sarebbero costrette a caricarsi di quei costi non appena venisse effettuato un pagamento. Una vota eliminato il contante il potere di far aumentare i costi delle transazioni diverrebbe così praticamente arbitrario.
l’instaurazione di una sorta di monopolio privato del sistema di pagamento, quello bancario. Così se iniziassero da quel momento a salire esponenzialmente i costi delle transazioni le persone non avrebbero più l’alternativa del contante e quindi sarebbero costrette a caricarsi di quei costi non appena venisse effettuato un pagamento. Una vota eliminato il contante il potere di far aumentare i costi delle transazioni diverrebbe così praticamente arbitrario.
3. Per rifuggire da questi costi allora tante persone terrebbero i soldi al sicuro sotto forma di depositi limitando la circolazione, o no?
Sui soldi al “sicuro” meglio non soffermarsi vista la corrente normativa del bail-in per la quale il salvataggio di un istituto finanziario sull’orlo del fallimento ricadrebbe su obbligazionisti e correntisti. A parte ciò, l’eliminazione del contante inciderebbe negativamente anche sulla possibilità di preservare il valore dei nostri risparmi in banca. Infatti i tassi d’interesse attuali sono prossimi allo zero e probabilmente resteranno tali per lungo tempo come effetto della bassa crescita. L’esistenza del contante però è un argine allo sconfinamento in territorio negativo dei tassi d’interesse, ovvero è un argine all’ipotesi che se oggi ho cento euro in banca domani potrei averne meno senza averli toccati. Pensiamo al seguente scenario. Poniamo che il costo per tenere 100 euro affittando una cassetta di sicurezza o depositandoli in banca fosse lo stesso. Ragionando al netto di questo costo, se tenessi la banconota ferma e al sicuro nella cassetta non troveri cancellato il numero 100, che è il suo valore nominale, e non vedrei riscritto un nuovo numero più basso. Se invece la tenessi sotto forma di deposito bancario e vi fossero i cosiddetti tassi di interesse negativi, dopo un certo tempo visualizzando il conto vedrei che il valore 100 è diminuito.
L’immutabilità del valore scritto sulla banconota, invece, equipara la moneta cartacea a una obbligazione a tasso zero, il cui possesso garantisce il risparmiatore proprio dai tassi negativi.
L’importanza dell’esistenza del contante per preservare i risparmi appare così evidente, perché finché c’è la possibilità di prelevare e conservare i contanti altrove i tassi d’interesse bancari rimarranno prossimi allo zero, mentre senza il contante non vi sarebbe una alternativa sicura rispetto ai depositi bancari e quindi i risparmi sarebbero intrappolati nei depositi ed esposti all’erosione nel tempo.
Riassumendo, dovrebbe a questo punto essere chiaro che senza l’esistenza del contante se la moneta circola paga un costo, se sta ferma paga un altro costo.
4. Certo che così non si scappa! C’è la possibilità di superare le banconote cartacee senza incorrere in tutti questi problemi?
Per realizzare un sistema dei pagamenti elettronico senza incorrere in questi problemi basterebbe partire dalla consapevolezza che la moneta, cartacea o elettronica che sia, è un bene pubblico e quindi deve essere gestito tramite banche pubbliche in cui aprire gratuitamente dei conti correnti e sviluppare così un circuito dei pagamenti interno. In questo caso il servizio dovrebbe essere reso gratuitamente. La banca pubblica non dovrebbe fare profitti ma tutelare il risparmio. A chi affermasse la necessità assoluta di realizzare un sistema di pagamenti totalmente elettronico, perché visto come trasparente e controllabile, occorrerebbe obiettare che solo a condizione di un sistema di pagamento pubblico ciò sarebbe pensabile, in assenza del quale il contante svolge tutt’ora una funzione di difesa dei livelli di attività economica e della tutela dei risparmi. Quindi prima si crea un sistema di pagamento pubblico, poi si può ragionare sulla funzione del contante. Il prima e il dopo in politica fanno tutta la differenza del mondo.
Invece stiamo assistendo a un processo esattamente inverso, in cui il drastico ridimensionamento del contante è divenuto obiettivo prioritario nell’agenda politica attuale. La forzatura del processo di marginalizzazione del contante a favore della moneta elettronica risulta evidente in tutta una serie di misure presenti nella manovra finanziaria 2020. Nella manovra i bonus fiscali risultano a rischio se si usa il contante, infatti su 51 bonus fiscali (tra detrazioni e deduzioni) inseriti in 1,3 milioni di dichiarazioni dei redditi presentate quest’anno, dieci non ammettono il cash mentre per altre 23 usare la moneta di carta è di fatto impossibile.
5. Ma se c’è una urgenza che richiede di anticipare i tempi? Va bene l’aspetto economico ma qui i media ci avvertono che è in gioco la nostra sicurezza, bisogna sconfiggere il terrorismo, possiamo aspettare?
Premesso che i tempi per realizzare un sistema di pagamento pubblico, coinvolgendo soggetti già esistenti come le banche pubbliche e Banco posta, sarebbero ben inferiori rispetto a quelli necessari per una ordinata eliminazione del contante, vediamo però nel merito l’aspetto della sicurezza partendo da quello avvertito in modo più forte, la lotta al terrorismo.
Una questione così delicata richiede innanzitutto l’individuazione di uno studio accreditato in materia. Facciamo allora riferimento alla Relazione al Parlamento Europeo e al Consiglio sulle restrizioni ai pagamenti in contanti, prodotto dalla Commissione Europea nel 2018, che ha esaminato il tema sulla base della principale analisi in materia di limitazione ai pagamenti in contante: “Study on an EU initiative for a restriction on payments in cash”.
Questo studio ha evidenziato, tra le altre cose, che le restrizioni ai pagamenti in contanti non darebbero un contributo tangibile al contrasto del finanziamento al terrorismo.
Il motivo riguarda i costi degli attentati terroristici che oggi sono molto spesso bassi, così i limiti al trasferimento di contante inciderebbero ben poco sulla capacità di realizzare tali attentati. Ma ancor più di questo motivo la Commissione sottolinea un aspetto di assoluta evidenza per chi abbia un minimo di buon senso, quello che chi ha deciso di commettere un reato associato a sanzioni pesantissime, come quello di un attentato, non si curerebbe minimamente delle sanzioni associabili ai limiti di trasferimento di contante.
Il motivo riguarda i costi degli attentati terroristici che oggi sono molto spesso bassi, così i limiti al trasferimento di contante inciderebbero ben poco sulla capacità di realizzare tali attentati. Ma ancor più di questo motivo la Commissione sottolinea un aspetto di assoluta evidenza per chi abbia un minimo di buon senso, quello che chi ha deciso di commettere un reato associato a sanzioni pesantissime, come quello di un attentato, non si curerebbe minimamente delle sanzioni associabili ai limiti di trasferimento di contante.
6. Se sostituiamo il contante con la moneta elettronica non abbiamo più trasparenza e quindi maggiori possibilità di intercettare i trasferimenti illeciti di denaro?
Non proprio, in quanto la moneta elettronica può addirittura facilitare i trasferimenti illeciti di denaro perché è strumento più veloce ed agile per aggirare i canali ufficiali e più sorvegliati.
Basta seguire le cronache per vedere come la classica “valigia di contanti” può essere meglio individuata e quindi sequestrata. Questo è tanto più vero da quando il consiglio direttivo della BCE ha deciso di interrompere la produzione delle banconote da 500 euro che erano le maggiori indiziate per le attività illegali, decisione avversata dai tedeschi la cui banca centrale ha ottenuto una proroga nel periodo di emissione. Il fatto da considerare è che oggi la politica dell’Eurosistema è neutrale rispetto ai diversi mezzi di pagamento e viene lasciata ai consumatori la scelta in funzione della convenienza.
7. Sono veramente efficaci i limiti all’uso del contante per combattere l’evasione fiscale?
Sulla base dello studio citato prima utilizzato dalla Commissione europea viene rilevato che le restrizioni ai pagamenti in contanti non incidono particolarmente sulle frodi fiscali, perché quelle davvero rilevanti non sono perpetrate tramite l’uso di contanti, ma
attraverso strutture giuridiche complesse e operazioni transnazionali che coinvolgono più Stati.
attraverso strutture giuridiche complesse e operazioni transnazionali che coinvolgono più Stati.
I casi in cui la frode ed evasione fiscale sono basate sui contanti sono molto meno significative innanzitutto perché riguardano bassi importi e proprio perché riguardano generalmente operazioni di basso importo normalmente le stesse non rientrerebbero nei limiti fissati.
Oggi la Guardia di Finanza ci avvisa che in cima alle operazioni di evasione fiscale non ci sono le operazioni in contanti, ma alte operazioni di triangolazioni finalizzate alla creazione di società fittizie, o anche dette cartiere, il cui compito è produrre fatture false per delle operazioni inesistenti. I pagamenti delle fatture sono ovviamente effettuati tramite bonifici, pertanto la frode fiscale e la maxi evasione sono perpetrate soprattutto attraverso l’uso del bonifico.
Quanto detto sembra coerente anche con l’analisi dell’Ufficio studi della CGIA nel 2015 in merito agli effetti della limitazione sull’uso del contante nel nostro Paese. Secondo l’analisi c’è bassissima correlazione tra la soglia limite all’uso di cartamoneta imposta per legge e il rapporto tra la base imponibile Iva non dichiarata e il Pil, ovvero con l’evasione fiscale. La conclusione è quindi che non si rileva una stretta correlazione tra l’uso della carta moneta e l’evasione fiscale.
8. In quale dimensione, nazionale o internazionale, deve concretizzarsi il contrasto all’evasione fiscale e alle attività illecite in generale e su quale evoluzione di strumenti queste si basano?
La Guardia di Finanza ci avverte che le aree prioritarie di intervento, ovvero quelle che necessitano di ulteriore rafforzamento della lotta all’evasione e all’elusione fiscale, riguardano i fenomeni di rilievo internazionale. Le strategie di contrasto all’evasione fiscale sono sempre più orientate alla crescente interazione dei mercati.
Questo fenomeno ha progressivamente ampliato il divario tra dimensione economica globalizzata e sovranità impositiva degli stati che è nazionale. Questa asimmetria viene sfruttata dalla criminalità per creare imprese multinazionali ed utilizzare i paradisi fiscali determinando una riduzione di tutela, in virtù della ridotta efficacia delle misure adottate a livello domestico sulle dinamiche del mercato globale.
La massima attenzione in materia dovrebbe essere orientata alle criptovalute, strumenti digitali impiegati per effettuare acquisti e vendite tramite la crittografia, che stanno consentendo la creazione nel web di paradisi fiscali virtuali. La Dna, direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, ha recentemente lanciato un allarme senza precedenti sulle criptovalute. Mentre, come visto, i grandi giri di affari loschi non possono avvalersi significativamente dei contanti per la lentezza delle operazioni e l’esposizione ai sequestri, trovano nelle criptovalute uno strumento digitale velocissimo e agile nell’aggirare i vincoli, che al contempo fornisce un sostanziale anonimato nelle transazioni. La Dna rileva grandi difficoltà investigative per identificare gli indagati, acquisire le movimentazioni di valuta virtuale e soprattutto l’impossibilità di sequestrare le valute virtuali. Insomma le organizzazioni criminali si internazionalizzano e digitalizzano abbandonando il fardello del contante e l’attenzione dell’opinione pubblica viene indirizzata verso tutt’altro.
9. La questione delle criptovalute complica il quadro, ma al di là di queste non ci sono accordi internazionali per i quali i bonifici nei paradisi fiscali sono soggetti a elevata tassazione? Questo non scoraggerebbe la connessa attività di evasione e riciclaggio?
Rimanendo all’interno dei paesi dell’UE facciamo il seguente esempio. Per il diritto tributario italiano se una società è costituita in Italia essa ha l’oggetto principale della sua attività in Italia, mentre in Olanda è sufficiente l’atto notarile di costituzione (ovvero che vi abbia sede) a prescindere che la società abbia l’attività operativa in Olanda o in un altro paese. Pertanto da qualsiasi parte del mondo una società può costituire la propria sede in Olanda. Detto questo, occorre considerare che grazie al suo passato colonialista l’Olanda può oggi fungere da via d’uscita (gateway) verso i paradisi fiscali per i Paesi Ue. Infatti se generalmente un bonifico che parte da uno degli altri paesi UE va, ad esempio, verso il paradiso fiscale delle British Virgin Islands viene tassato al 30%. Ma se il bonifico parte dall’Olanda ed è diretto verso uno dei Paesi ex possedimenti coloniali olandesi, questa tassazione non si applica. Pertanto a prescindere da dove svolge l’attività una società transnazionale che si costituisce in Olanda può sfruttare questo ponte a tassazione azzerata. Non stupisce che l’incredibile cifra di 15 trilioni di dollari (non scriviamo per esteso il numero per problemi di spazio) di fondi “fantasma” accumulati dalle multinazionali negli ultimi vent’anni per limitare al minimo le tasse, sono collocati per la metà nelle sole Olanda e Lussemburgo quindi nel cuore dell’UE, ma invece ci dicono che il problema è il contante per la colazione al bar.
10. Se è vero che attraverso le tecnologie informatiche tutti questi miliardi viaggiano indisturbati per non pagare le tasse dove si svolge l’attività, in che misura i limiti ai pagamenti in contanti inciderebbero sul riciclaggio di denaro e sull’economia sommersa?
Sempre in base al citato studio utilizzato dalla Commissione europea i pagamenti a mezzo di contante non incidono significativamente, infatti constatiamo che il riciclaggio avviene spesso tramite l’acquisto di beni di valore elevato, per cui sarebbe più utile vagliare delle misure che prevedono un obbligo di raccolta dati e dichiarazioni in capo ai rivenditori. Come dimostrano le evidenze investigativei riciclatori e gli stessi evasori professionali non usano il contante, procedendo sostanzialmente in due modi: o occultano del tutto i propri redditi, oppure pagano false fatture con bonifici e assegni non trasferibili.
Ad esempio, per i malavitosi, riciclatori ed evasori fiscali è più facile fare un bel bonifico a fronte di una fattura falsa, canalizzata per il tramite una impresa all’estero.
In merito alla questione del rapporto tra contante ed economia sommersa, ovvero se vi sia stato negli ultimi anni un ampliamento delle transazioni che hanno luogo nell’economia sommersa o illegale tale da contribuire all’incremento delle banconote, occorre rifarsi alle evidenze disponibili.
Così, pur nella difficoltà di misurare quelle transazioni, l’evidenza disponibile indica che negli anni più recenti a fronte di un aumento di domanda di contante non vi sia stata una espansione dell’economia sommersa e illegale.
La domanda di circolante è cresciuta in corrispondenza di tensioni finanziarie e incertezza economica. D’altronde secondo Keynes la spinta a domandare moneta per trattenerla come riserva di ricchezza è un barometro del nostro grado di sfiducia nel futuro.
11. Non si potrebbe allora sostituire la cartamoneta classica con il cosiddetto contante digitale, ovvero i bitcoin? Non coniugheremmo così il rispetto della privacy proprio del contante con la modernità tecnologica della moneta elettronica?
Il bitcoin è la più nota criptovaluta, i cui effetti ambigui in termini di sicurezza sono stati trattati in precedenza. Uno degli aspetti spesso evidenziati è che l’architettura del bitcoin non richiede la necessità di passare attraverso il sistema bancario perché consentirebbe il trasferimento di moneta elettronica direttamente tra utenti. D’altro canto non trae valore da una copertura di riserve e differisce dalla moneta legale (tipicamente sotto forma di banconote) che ha un valore conferito dall’autorità dello Stato. I bitcoin traggono valore dal fatto che sono programmati per essere scarsi, e questo li rende più simili all’oro digitale che a una moneta digitale, e l’incredibile volatilità del loro valore conferma la tesi che siano utilizzati con finalità speculative. Il fatto che non possano assumere in alcun modo un ruolo sostitutivo del contante nella funzione di mezzo di pagamento è dato da un ulteriore motivo evidenziato da un recente studio messo a punto dall’università di Cambridge: il sistema utilizzato per emettere bitcoin oggi, tramite la potenza di calcolo di tantissimi computer sparsi in tutto il mondo, richiede una quantità di energia elettrica addirittura superiore ai consumi elettrici dell’intera Svizzera. Per una singola transazione il bitcoin richiede tanta energia quanto almeno un appartamento in una settimana, pertanto una estensione dell’utilizzo dei bitcoin che dovesse coprire le innumerevoli, ed ecologiche, transazioni effettuate tramite contante sarebbe semplicemente impensabile.
La descrizione dei limiti di questo contante digitale rafforza la tesi per cui il contante è attualmente il vero baluardo a difesa della privacy. Infatti l’obbligo all’uso della moneta elettronica implica la tracciabilità minuziosa e sistematica di ogni transazione economica compiuta dal singolo cittadino. Anzitutto da parte dello Stato, ma anche delle banche e dei loro fornitori di servizi internet — che già ora posseggono e conservano (per sei anni in base alle direttive europee adottate dal governo Gentiloni) ogni possibile informazione sulla vita, le abitudini e le preferenze dei cittadini.
Si tratta quindi di un altro passo verso uno Stato di polizia tributaria, di un rafforzamento di un regime di “sorveglianza di massa”. Ogni cittadino verrà spiato e la sua privacy violata, senza che ciò sia motivato dall’autorità giudiziaria, quindi in aperto contrasto con l’articolo 13 della Costituzione.
Si tratta quindi di un altro passo verso uno Stato di polizia tributaria, di un rafforzamento di un regime di “sorveglianza di massa”. Ogni cittadino verrà spiato e la sua privacy violata, senza che ciò sia motivato dall’autorità giudiziaria, quindi in aperto contrasto con l’articolo 13 della Costituzione.
12. A questo punto c’è da chiedersi se la lotta al contante è effettivamente dovuta a tutte queste ragioni, o riguarda un aspetto sistemico dell’economia e delle politiche economiche. E’ possibile ciò?
A livello accademico iniziano a levarsi nuove e ulteriori critiche ai modelli keynesiani, poiché in questi il ruolo del contante non viene messo alla berlina. Queste tesi stanno incominciando ad interessare le Banche centrali perché hanno ricadute sulla politica monetaria e quindi sulla loro operatività.
Il modello operativo della politica monetaria è, in estrema sintesi, il seguente. Se, come registriamo oggi, la crescita è in declino allora bisogna stimolare gli investimenti per far riprendere la crescita. Secondo il suddetto modello gli investimenti si stimolano abbassando il tasso d’interesse. Ma se a forza di abbassare si arriva al punto che bisognerebbe scendere sotto lo zero, ovvero attuare tassi negativi? Fino a che esiste il contante tassi significativamente negativi non possono essere applicati perché, come già visto, le persone per salvare i propri risparmi dalla diminuzione di valore li
preleverebbero dai depositi e li terrebbero sotto forma di contante. Grazie all’esistenza del contante i tassi d’interesse non possono divenire significativamente negativi, così i risparmi possono essere meglio preservati e l’instabilità finanziaria, connessa a una accelerazione dei tassi negativi, arginata.
preleverebbero dai depositi e li terrebbero sotto forma di contante. Grazie all’esistenza del contante i tassi d’interesse non possono divenire significativamente negativi, così i risparmi possono essere meglio preservati e l’instabilità finanziaria, connessa a una accelerazione dei tassi negativi, arginata.
Posto che si è arrivati alla necessità di tassi negativi proprio perché lo schema di politica monetaria non ha funzionato, e non ha funzionato in quanto si può anche offrire liquidità senza applicare interessi ma se le prospettive di profitto sono fosche i privati non accettano comunque i rischi dell’investimento, rimane allora aperto il punto che riteniamo centrale: come riavviare gli investimenti e quindi la crescita? La risposta è attraverso la politica fiscale, avviando un piano di investimenti pubblici che garantisca un incremento di occupazione e maggiori livelli di attività, quindi una ripresa della crescita.
Arrivati a questo punto abbiamo davanti solo due soluzioni, non ulteriormente procrastinabili, con conseguenza socio-economiche opposte:
o si elimina il denaro contante adottando tassi d’interesse negativi, così che la politica monetaria delle Banche centrali riacquisti margine d’azione con tutte le conseguenze negative viste finora per le classi medie e popolari, come aumento dei costi economici, riduzione dei risparmi e instabilità finanziaria;
o, senza bisogno di eliminare il denaro contante, entra in gioco lo Stato attraverso investimenti pubblici con rilancio dell’occupazione.
Chi alle condizioni attuali promuove l’eliminazione del contante rischia seriamente di affossare la possibilità di rilanciare oggi il progetto di un modello socio-economico basato sulla centralità del ruolo dello Stato nell’economia, di ostacolare l’istituzione di un sistema di pagamenti pubblico in cui canalizzare il credito, nonché impedire la salvaguardia le fasce popolari da una pesante misura regressiva.
Per tutte queste ragioni oggi noi di Liberiamo l’Italia riteniamo prioritaria la lotta in difesa del contante.
a cura di Vadim Bottoni
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