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venerdì 6 aprile 2018

IL PERICOLOSO ERRORE DI ALDO GIANNULI di Leonardo Mazzei

[ 6 aprile 2018 ]

«Dobbiamo stare con il popolo, che ha le idee assai più chiare di tanti pensatori che si spaventano davanti all'ignoto».


Aldo Giannuli ha dunque salutato il Movimento Cinque Stelle. Per la verità la scelta non sorprende vista la sua dichiarazione di voto del febbraio scorso. Dichiarazione pittoresca assai, visto l'annuncio di un voto simultaneo a Potere al Popolo (alla Camera), di uno a M5S (Senato), di un terzo nientemeno che a Liberi e Uguali (Regione Lombardia).

Tornando all'oggi, quel che colpisce non è dunque la scelta, quanto le argomentazioni che la motivano, che ci rimandano a quel problema di "estraneità dal contesto" che caratterizza l'intera sinistra italiana.

La nostra netta divergenza con Giannuli non sta infatti nel posizionamento verso M5S. Chi scrive, al pari dello storico milanese, non ne ha mai fatto parte, lo ha sostenuto criticamente (anche con il voto) in passato, mentre lo ha sempre più apertamente disapprovato negli ultimi tempi.

Nulla da dire quindi sulle critiche all'attuale gestione Di Maio, sulla sua immagine neo-democristiana, sul suo moderatismo, sul suo europeismo, sulla sua assidua frequentazione con alcune cupole del potere economico e finanziario. Quelle critiche sono giuste, le abbiamo sempre fatte apertamente e non c'è altro da aggiungere.

Qual è allora il problema? Il problema è che Giannuli ritiene che M5S abbia compiuto semplicemente una "svolta a destra", mentre la cosa è molto, ma molto più complessa. Ecco cosa scrive: 
«Il M5s delle origini si diceva “Né di destra né di sinistra”, ma in realtà ospitava nel suo seno sia destra che sinistra, oggi quella ambiguità è sciolta e, pur continuando a dirsi né di destra né di sinistra, il Movimento sta imboccando una strada decisamente di destra».
Ma perché proprio «oggi» M5S starebbe «imboccando una strada decisamente di destra»? Ovvio come il Nostro stia pensando alla Lega ed alla possibilità di un accordo Di Maio-Salvini per il governo. Lui non ce lo dice, forse per la difficoltà di confrontarsi concretamente col nodo delle scelte politiche da compiere qui ed ora, ma è chiaro che il punctum dolens è questo.

Il tema su cui confrontarsi è dunque ben definito: sarebbe, oppure no, una svolta a destra un eventuale governo con la Lega? Giannuli pensa certamente di sì. Viceversa, noi pensiamo l'esatto contrario, visto che l'alternativa sarebbe un'alleanza governativa con il Pd, quella sì un vero suggello a quel percorso di normalizzazione di M5S che pure il Nostro denuncia.

Riguardo alla ricostruzione della "svolta a destra", c'è da dire che l'argomentare del Giannuli è debole assai in almeno tre passaggi.

Il primo sta nella contrapposizione tra un movimento delle origini fondato sulla democrazia diretta, rovesciata oggi in mero antiparlamentarismo. Su questo terreno M5S era criticabile cinque anni fa, tre anni fa, come è criticabile oggi. L'illusione della democrazia diretta ha sempre — sottolineo, sempre — fatto a pugni sia con le reali modalità decisionali del movimento, sia con le concrete necessità della politica che non possono quasi mai prescindere dal meccanismo della delega.

Il secondo riguarda la legge elettorale. Secondo il Nostro il movimento delle origini era «per la legge proporzionale», mentre oggi si appresterebbe «a sostenere il ritorno ad una qualche forma di maggioritario». Come si possa raccontare una simile novella è misterioso assai. Se purtroppo è vero che la tentazione di un maggioritario ancor più forte (ricordiamoci che il Rosatellum lo è già al 36%) è reale, è invece assolutamente falso che M5S sia mai stato per la proporzionale. Non lo è stato il movimento delle origini, che casomai pendeva per l'iper maggioritario del Mattarellum; non lo è stato quando è arrivato (nel 2014) ad elaborare il cosiddetto Democratellum, cioè un sistema simil-spagnolo, proporzionale solo all'apparenza, maggioritario e non poco nella sostanza.

E qui, mi dispiace, ma occorre essere piuttosto severi, dato che si arrivò a quel parto anche attraverso una sorta di consulenza al processo decisionale in rete da parte di un certo professor Aldo Giannuli... Di sicuro non un caso di omonimia...

Il terzo passaggio che lascia perplessi è quello sull'euro. Posto che il Nostro non è certo un no-euro, egli rimprovera giustamente M5S per il progressivo slittamento filo-eurista degli ultimi tempi. Solo che contrappone un mai esistito «M5s di Roberto Casaleggio contrario all’Euro senza se e senza ma», all'attuale deriva in cui «si prospetta l’adesione al gruppo più eurista del parlamento europeo, En Marche». Come dire, una falsità ed una suggestione. La falsità è che Casaleggio rappresentasse l'anima no-euro di M5S, visto che perlomeno a noi è sempre apparso vero piuttosto il contrario. La suggestione riguarda En Marche, cioè il partito dell'ambizioso Macron.

E' vero, in un recente intervento sulla stampa italiana, l'uomo che cura le alleanze europee per il presidente francese, Shahin Vallée, ha corteggiato il partito di Di Maio come altre forze convertitesi alla riformabilità dell'Unione (ad esempio Diem, il movimento di Varoufakis). Ma lo ha fatto con un preciso auspicio: la (testuale) «syrizazione di M5S», concetto che dovrebbe far fischiare le orecchie in primo luogo dalle parti di quella sinistra sinistrata verso cui il Nostro sembra adesso dirigersi. Concetto, quello della syrizazione, contrapposto non casualmente dal francese all'ipotesi di un governo M5S-Lega, questo sì visto come il peggiore di tutti i mali da Vallée come da tutti gli esponenti dell'oligarchia europea. Insomma, se il problema è davvero quello di fermare la svolta eurista dei Cinque Stelle, quale miglior vaccino di un'alleanza con la Lega?

Orbene, chiarito che la ricostruzione di Giannuli è quantomeno di comodo, noi non neghiamo di certo — anzi! — la svolta subita dal Movimento Cinque Stelle. Decine di articoli, in particolare nell'ultimo anno, sono lì a dimostrarlo. Ma è semplicemente una svolta a destra, come pensa il Nostro, o è piuttosto una svolta moderata (neo-democristiana, abbiamo detto) tendente a non urtare troppo le compatibilità sistemiche interne ed europee? Noi propendiamo nettamente per questa seconda lettura. Che — si badi — non è meno severa verso M5S della prima. Semplicemente è molto diversa, non solo nell'analisi, ma ancor di più al fine di ogni ragionamento sulle prospettive politiche del nostro Paese.

Quando si esamina un partito, specie se delle dimensioni raggiunte dai Cinque Stelle, non ci si può limitare alle tattiche ed alle strategie dei gruppi dirigenti. Bisogna anche interrogarsi sul blocco sociale che ne determina sia la base che il consenso elettorale. Chiedendosi, con riferimento a quest'ultimo, quali siano le aspettative che lo rendono nel nostro caso così consistente. Il tutto visto nel contesto generale, che con il voto del 4 marzo è quello di un Paese che chiede un profondo cambiamento politico e sociale, a partire da un deciso stop alle politiche di austerità.

Sia la natura intrinseca del blocco sociale pentastellato (che non è certo catalogabile come di destra), che l'oggettiva incompatibilità sistemica della domanda sociale che esso esprime, rende di fatto il Movimento Cinque Stelle un aggregato altamente instabile, che nessuna alchimia del vertice potrà sopire fino in fondo. Un discorso non troppo dissimile riguarda la Lega, dove tenere insieme (tanto per fare un esempio) la giusta abolizione della Legge Fornero con l'ultra-liberista Flat tax sarà semplicemente impossibile.

Ma proprio il mix tra la domanda sociale e politica generata, e la contraddittorietà (ed inadeguatezza) delle soluzioni proposte, potrà essere il vero propellente di un processo aperto a sviluppi più avanzati, quantomeno rispetto al decisivo nodo europeo. Un processo aperto, giova precisarlo, proprio perché espressione di un effettivo fermento popolare, certamente confuso, da non enfatizzare ma neppure da sottovalutare.

Torniamo ora a Giannuli, ponendo in conclusione tre domande secche. La prima, è possibile restare indifferenti rispetto alla questione del governo? Secondo, cosa dobbiamo augurarci: un governo destra-Pd, uno M5S-Pd od uno Cinque Stelle-Lega? La terza, qual è la cosa più a sinistra che può fare M5S?

La prima domanda è retorica solo fino ad un certo punto. Per noi è ovvio che l'indifferenza — che sarebbe, in ultima istanza, un'indifferenza verso le sorti del popolo lavoratore — è inaccettabile. Ma è così per tutti? Non si direbbe. Nel tradizionale recinto della sinistra, e perfino in aree che hanno maturato una sana posizione no-euro e no-UE, non è così. La questione del governo è un tabù sul quale non si spiccica parola. Che è poi l'atteggiamento, rivelatore assai, dello stesso Aldo Giannuli. Eppure un tempo, in simili frangenti, la questione del «che fare» era il primo pensiero di ogni militante della sinistra. Non sarebbe bene tornare a certe usanze?

Meglio si possono però comprendere le cose passando alla seconda domanda. Lasciando qui perdere lo scenario di un governo destra-Pd, dal quale non dovremmo aspettarci altro che le politiche di sempre al servizio dei soliti gruppi dominanti, quale la scelta migliore di M5S: un'alleanza con la Lega, od una con il Pd? Su questo Giannuli è reticente, ma tanti spingono per gettare Di Maio nelle braccia del Pd. Uno tra tutti il solito Travaglio, uno che ai predicozzi moralisti fa sempre seguire uno sbocco ben chiuso nel recinto del sistema di lorsignori. Ebbene, se così andassero le cose, si tratterebbe di un autentico disastro. Per almeno tre motivi. Primo, perché non vi sarebbe alcuna svolta politica; secondo, perché l'Europa potrebbe così contare sui soliti fedelissimi cani da guardia; terzo, perché il fallimento certo di un simile governo lascerebbe come unica alternativa sul campo una destra autoritaria ed iper-liberista.

Veniamo ora alla terza domanda. E lo facciamo dicendo chiaramente che lo sbocco più avanzato (dunque, se vogliamo, più a sinistra) dell'attuale crisi politica italiana è solo un governo M5S-Lega. Lo abbiamo spiegato in vari modi, lo ripetiamo per l'ennesima volta. Qui il nodo è l'Europa. E senza affrontarlo di petto non c'è alcun cambiamento possibile. Un governo che includa o il Pd o Forza Italia sarebbe appunto il governo della conservazione. Per definizione il governo della destra.

Viceversa, un governo M5S-Lega si porrebbe oggettivamente come il governo del cambiamento, visto che questo è il mandato che li ha sospinti così in alto nei consensi Certo, non ci sfugge, un cambiamento contraddittorio. Ma che aprirebbe, inevitabilmente — al di là delle stesse intenzioni di Di Maio e Salvini — il conflitto con la cupola eurista di Bruxelles e Francoforte. E questo alla fine è quel che conta. Si, lo so, sarebbe solo un inizio. Ma sempre meglio un inizio che la morta gora delle ipotesi alternative.

Comprendo l'obiezione: destra non è solo conservazione, ma anche una determinata cultura, una determinata visione del mondo, con tutte le conseguenze del caso. Giusto, è così. Ma come pensiamo di contrastare l'ondata di destra che percorre l'intera Europa, alleandosi con le forze della conservazione sistemica per il timore del peggio, o cercando di indirizzare la grande spinta al cambiamento anti-oligarchico (che di per sé non è certo di destra) verso sbocchi che rimettano al centro la prospettiva di una nuova società?

La risposta non dovrebbe lasciare adito a dubbi. Dobbiamo stare con il popolo, che ha le idee assai più chiare di tanti pensatori che si spaventano davanti all'ignoto.

Tante volte, in passato, ci è capitato di apprezzare Aldo Giannuli. Proprio per questo non possiamo tacere di fronte alla pericolosità della sua lettura del presente. Una lettura — pericolosa anche perché non solo sua — dove il problema non è tanto il giudizio su M5S, quanto il ritrarsi in una dimensione pre-politica, dove il popolo fa più paura del potere, ed il populismo è peggio della dittatura euroliberista. Dalla quale, invece, prima o poi bisognerà pure liberarsi.

mercoledì 28 marzo 2018

SINISTRA: IN RISPOSTA AD ALDO GIANNULI di Fabrizio Marchi

[ 28 marzo 2018 ]

L’amico Aldo Giannuli [nella foto] invita tutta la sinistra o ciò che di essa rimane ad incontrarsi in una sorta di Stati Generali per capire il da farsi dopo l’evidente legnata elettorale.

Al di là della generosità e dello spirito di buona volontà che emerge dalle sue parole, mi pare però che la sua sollecitazione sia attraversata da una impostazione decisamente politicista, e per questo (ma non solo) non condivisibile su diversi punti fondamentali che mi accingo a spiegare.

Innanzitutto, io credo che prima di capire il da farsi alle prossime elezioni, siano esse le europee del 2019 o le eventuali politiche anticipate (date dall’impossibilità di formare un governo con un minimo di omogeneità politica e programmatica), sia molto più importante capire cosa si vuol essere e cosa si vuol fare da grandi, come si suol dire. Giannuli suggerisce invece di mettersi a tavolino per capire come mettere insieme una possibile ulteriore nuova formazione politica (come se non ne fossero già stati fatti fin troppi, nella storia della sinistra, di simili tentativi sistematicamente naufragati…) che possa comprendere in un unico contenitore ciò che rimane della sinistra (cioè Liberi e Uguali o ciò che di essa resterà in seguito a probabili scissioni, Potere al Popolo, più gli eventuali vari cespugli, gruppi e gruppetti della micro diaspora comunista, tutte forze politiche peraltro completamente diverse fra loro…), in modo tale da offrire, in linea teorica (io dico molto teorica…) una sponda a quell’elettorato, anche in fuga dal PD, che ancora ha un cuore che batte a sinistra, per così dire.

Ora, io personalmente sono convinto che ci sia tanta gente, anche molta di più di quanta noi pensiamo, che abbia un cuore che batte a sinistra. Ma sono anche convinto che questa gente non vede più nell’attuale “sinistra”, in tutte – e sottolineo, in tutte – le sue declinazioni, quella forza politica in grado di rappresentarle efficacemente (un punto di vista, peraltro, assolutamente logico e coerente che abbiamo già trattato qui …). E questa è la ragione per la quale alle attuali formazioni della “sinistra” si preferisce di gran lunga il M5S oppure l’astensione (o addirittura la Lega, in alcuni casi…).

Di conseguenza, penso che in questa fase storica non si debba avere nessuna fretta di mettere insieme una lista che per forza di cose non può che essere raffazzonata in fretta e furia e con un programma necessariamente velleitario e confuso (né potrebbe essere altrimenti, dato che il programma di un partito deve essere il risultato di una visione chiara, corretta e condivisa della realtà…), così come sono state raffazzonate, velleitarie e confuse sia LeU che Potere al Popolo, pur nelle loro rispettive e strutturali diversità.

Esempio pratico? Non ci si può presentare alle elezioni, come ha fatto ad esempio PaP, senza avere una posizione chiara e definita sull’UE (che costituisce, in questa fase storico-politica, la contraddizione principale, dal punto di vista politico). Non si può rimanere sul generico, del tipo “vorrei ma non posso”, “lancio il sasso ma nascondo la mano”, per camuffare posizioni diverse che si hanno al proprio interno e tentare una mediazione improbabile. Non su una questione così importante e strategica. Il risultato finale è stato appunto quello di presentarsi con un programma generico e velleitario, che diceva e non diceva, anche se “esteticamente” gradevole per il palato di un pubblico minoritario ed autoreferenziale di “sinistra radicale” (femminismo, ecologismo, pacifismo, cosmopolitismo, generico solidarismo ecc.). Ma è evidente che questo modo di procedere è, appunto, del tutto autoreferenziale e non può (e forse neanche vuole…) avere l’ambizione di rivolgersi alla maggioranza di quello che si ritiene essere il proprio potenziale corpo elettorale (se così non fosse, non si sceglierebbe di chiamarsi “Potere al Popolo”…). La contraddizione è quindi evidente. Intendiamoci, rivolgersi alla maggioranza non significa affatto correre dietro allo spirito dei tempi. Al contrario, significa avere le idee chiare su ciò che si è, innanzitutto, e su cosa si intende fare. E questo è ciò che deve essere fatto, ben prima di pensare a rabberciare l’ennesimo rassemblement identitario ed autoreferenziale di una “sinistra” improbabile, ormai neanche più percepita, ignorata e scomparsa dall’immaginario comune.

Tornando, quindi, in questo caso all’UE (ma le questioni sono molte e tutte di grande importanza), è bene stabilire quale posizione assumere nei suoi confronti. Ma per fare questo bisogna prima chiarirsi le idee. Innanzitutto, cosa è la UE? A quali interessi risponde? Qual è la sua funzione reale? Quale la sua strategia?

Una volta analizzata la questione si deve prendere una posizione netta e chiara. E cioè, o dentro o fuori. Cosa che nessuna forza politica della “sinistra”, ha fatto con la necessaria chiarezza, neanche Potere al Popolo, per non parlare di LeU che è addirittura dichiaratamente “europeista”. Anche la Lega e il M5S, sia chiaro, sono rimasti ambigui e hanno negli ultimi tempi (e non a caso) ammorbidito la loro posizione in tema, e però hanno raccolto i frutti del loro precedente atteggiamento dichiaratamente euroscettico. Ma è evidente che i consensi da loro ottenuti vanno ben oltre la questione specifica e riguardano la loro oggettiva capacità di intercettare ed entrare in una relazione dialettica se non simbiotica con il loro elettorato. Lo stesso che in linea teorica dovrebbe essere quello della sinistra, la quale però parla da tempo un altro linguaggio che non è compreso e anzi rifiutato da quel popolo che pure ambirebbe (anche un po’ presuntuosamente, data la situazione) a rappresentare.

E’ evidente quindi che una forza di Sinistra (ammesso che questo temine abbia ancora un senso, dati i tempi, quindi diciamo una forza popolare, di classe, democratica, socialista che abbia ancora l’ambizione di voler lavorare alla trasformazione dello stato di cose presente), non può essere ambigua e deve assumere una posizione chiara e distinta su questa questione. Che rimanda alla analisi e quindi alla visione che si ha dell’attuale sistema economico e sociale (capitalista) dominante. Tentennare sulla UE (e quindi anche sulla NATO) significa non avere le idee chiare sulla struttura di quel sistema e sul ruolo che si intende esercitare dentro o contro di esso.

Ma la questioni sono tante e non riguardano certo soltanto l’atteggiamento da assumere nei confronti dell’UE. Chi segue questo giornale sa da tempo che abbiamo prodotto un’analisi radicalmente critica nei confronti dell’ideologia politicamente corretta (in tutte le sue declinazioni) che riteniamo essere l’ideologia di riferimento dell’attuale sistema capitalistico. 
Lo abbiamo fatto in tanti di quegli articoli che diventa anche impossibile elencarli. In questa occasione specifica mi limiterò a segnalarne un paio (che a sua volta rimandano ad altri), questoquesto.

E cosa succede? Succede che proprio la sinistra, compresa e in primis quella cosiddetta “antagonista”, è imbevuta fino al midollo di ideologia politicamente corretta, e questa è una contraddizione in termini di proporzioni macroscopiche. Anche in questo caso abbiamo affrontato la questione in tante occasioni ma al momento mi limito a segnalare questo articolo.

Ora, come è possibile sostenere di combattere il sistema dominante o quanto meno di sottoporlo a critica radicale sposandone al contempo la sua ideologia? E’ una contraddizione insanabile che deve essere sciolta. Sarà l’attuale sinistra in grado di farlo come ci chiediamo qui oppure dobbiamo considerarla perduta?

Non possiamo saperlo con certezza e, soprattutto, non vogliamo avere alcun atteggiamento pregiudiziale nei confronti di nessuno. Al contrario, siamo sinceramente animati dalle migliori intenzioni. Nello stesso tempo però non possiamo non prendere atto che fino ad ora c’è stata la più totale chiusura (se non, molto più spesso, un atteggiamento di palese ostilità) nei confronti dei nostri ripetuti e annosi inviti ad aprire una riflessione in tal senso.

E’ necessario, a questo punto, sottolineare, come abbiamo fatto qui che è proprio l’adesione incondizionata all’ ideologia politicamente corretta (e quindi la sua organicità al sistema) la causa principale della disfatta storica della sinistra.

In conclusione, tornando all’incipit del discorso, ciò di cui c’è oggi urgente necessità non è di costruire l’ennesimo prossimo futuro rassemblement “arcobaleno”, destinato a prendere la metà della metà dei voti presi oggi da LeU e/o da PaP, ma avviare, finalmente, una profonda riflessione a tutto campo e senza tabù di nessun genere su quello che si intende essere e fare.

Tutto il resto è inutile e dannoso.

* Fonte: L'INTERFERENZA

martedì 6 giugno 2017

L'AUTOGOL DEI CINQUE STELLE di Aldo Giannuli

[ 6 giugno 2017 ]

Gli sulla legge elettorale si succedono molto velocemente e c’è il rischio che questo pezzo sia vecchio già al momento di uscire. Ma, in realtà, sono cambiamenti per ora molto limitati che non intaccano la natura dell’operazione che il Pd sta conducendo con l’accordo di Fi ed acquiescenza di M5s e Lega che li lasciano fare. Questa volta è saltata la norma che proclamava come primo eletto il numero uno del listino bloccato, per cui prima saranno eletti tutti i vincitori dell’uninominale , e questo è un evidente toppa su un punto che sarebbe stato facile impallinare dal punto di vista costituzionale.
Anche la riduzione dei collegi rende meno probabile (ma non inesistente) il rischio di un partito che prende più seggi di quanti gliene spettino in totale, con i collegi uninominali. Restano però i tre nodi decisivi: voto congiunto, preferenze e clausola di sbarramento che rischiano di stravolgere tutto. E mi chieso sino a che punto il M5s sia disposto ad accontentarsi delle bricole che il Pd gli dispensa lasciando passare tutto il resto. Posso capire che il M5s abbia il timore di ritirarsi dal tavolo tirandosi addosso l’accusa di essere un interlocutore inaffidabile ed essere poi escluso da ogni altra trattativa, ma qui si esagera.
Ho sempre auspicato che il M5s acquisisse un sano realismo e capisse che in Parlamento si va per trattare, ma (e qui calzerebbe una bestemmia!), restando quel che si è, non svendendo tutto per fare la parte degli interlocutori affidabili. Mi ricordano molto da vicino il Pci del 1976-79 che, per dimostrare di essere una grande forza tranquilla, mollavano tutto alla Dc anzi facendo a gara a chi è più moderato.
Non gli portò fortuna quell’atteggiamento e dopo la breve stagione della solidarietà nazionale, iniziò una parabola discendente ininterrotta.
Consiglio agli amici del M5s di essere molto prudenti: la base elettorale del movimento magari non ne capisce molto di sistemi elettorali (per la verità quelli che ne capiscono davvero sono molto pochi anche fra i parlamentari), ma certe cose le avverte a istinto. In primo luogo, e basta vedere cosa si legge sui social, c’è la diffusa sensazione di una improvvisa voglia di entrare nel grande inciucio.
Ho sempre pensato che il M5s dovesse maturare culturalmente la differenza fra mediazione politica ed inciucio, ma qui stiamo atterrando direttamente sul campo della politique politicienne senza pudore. E le diffidenze della base tornano. Poi ci sono cose elementari che hanno anche un valore simbolico il cui abbandono fa scattare molti allarmi nella testa di militanti ed elettori: le preferenze sono sempre state un punto fisso della cultura M5s, un abbandono così rapido ed indolore di una questione così chiara non passa inosservato. Certo: il modello tedesco non le prevede, ma ha molti altri meccanismi di sicurezza e poi, come mai il modello tedesco deve essere rispettato così alla lettera sulle preferenze e poi si passa così disinvoltamente sul voto congiunto? E, di più, dove sta scritto che, non solo dobbiamo riprendere la sperrklausel dal modello tedesco ma anche il suo valore numerico? Perché non il 4 o il 3? E’ così spudorato l’interesse del Pd a quel 5% che non c’è neppure bisogno di spiegarlo.
Ed il M5s lo accetta, nonostante nessuna delle formazioni a rischio esclusione entrerà nelle sue liste e, semmai, avvantaggerà i suoi concorrenti.
Ma soprattutto, credo che il M5s stia troppo disinvoltamente passando su una questione: questo Parlamento è stato eletto con una legge dichiarata incostituzionale ed ha prodotto una nuova legge, altrettanto incostituzionale ed una riforma elettorale spazzata via dagli elettori, ed allora: questo Parlamento è degno di fare un’altra legge elettorale? Ci si dice che, stanti questi rapporti di forza, non si può che accontentarsi di qualche concessione. Appunto: perché in questo parlamento frutto di una truffa elettorale il Pd ha una maggioranza che non corrisponde assolutamente alla volontà del paese reale. Un partito che aspira ad essere alternativa al sistema avrebbe il dovere di bloccare qualsiasi tentativo di riforma fatto da questo Parlamento ed imporre elezioni con il sistema lasciato dalla Consulta, per imperfetto che sia. Dopo, con un nuovo Parlamento che abbia rapporti di forza diversi, si potrebbe parlare di riforma elettorale. Invece, incomprensibilmente, il M5s vene meno al suo ruolo e si siede al tavolo delle trattative nel momento più sbagliatosul tema più sbagliato: complimenti! Attenti che queste cose l’elettorato le capisce.
Capisco l’esigenza di apparire ragionevoli per essere presi sul serio, ma, sempre per essere presi sul serio occorre dimostrare di avere gli attributi necessari. O no?!
* Fonte: Aldo Giannuli

mercoledì 22 marzo 2017

QUANDO I CRETINI SONO A CINQUE STELLE di Aldo Giannuli

[ 22 marzo ]

Alcune mie uscite televisive o alcuni articoli su questo blog hanno suscitato reazioni più o meno indignate di alcuni sostenitori del M5s: i più moderati hanno trovato le mie critiche troppo severe, si va da quello che esclama “Ma anche lei professore!” a quello che mi accusa di nascondere, sotto un atteggiamento falsamente benevolo, una sostanziale intenzione di nuocere al movimento; poi una cretina dice che io non devo permettermi di parlare a nome del M5s (come se lo avessi mai fatto e non avessi sempre precisato di parlare a titolo personale) e che non sono nessuno (bontà sua che parla dall’alto dei suoi numerosi titoli politici e culturali); qualche altro non ha capito assolutamente nulla e pensa che io neghi l’onestà dei 5stelle, infine qualche imbecille è convinto che io sia un infiltrato del Pd (sic!).
Però, per par condicio, ci sono anche cerebrolesi, di opposta parrocchia, che pensano che, invece le mie critiche sono bonarie e troppo blande perché spero di rimediare qualche poltroncina dal prossimo governo M5s.
Poco male: per il principio per cui la madre dei cretini è sempre incinta ed ogni partito, chiesa, sindacato, bocciofila o condominio è composta per almeno il 25% di cretini, anche il M5s ha la porzione che gli spetta (per la verità, un po’ più della media, anche se meno del Pd che fa gli straordinari in materia). Solo che dei cretini ci si sbarazza non rispondendogli e lasciando cadere la cosa: tanto se uno non capisce è inutile perderci tempo.
Poi c’è la clacque della Raggi che non mi perdona di aver detto esplicitamente che la loro beniamina deve dimettersi per aver dato prova di totale inadeguatezza, cosa che è proibito dire. Infine ci sono i “mufloni”, quelli del gregge che detestano dubbi e sfumature perché gli fanno venire il mal di testa, chiedono solo di avere un capo ed una bandiera in cui credere , cui obbedire e per i quali combattere. Non si identificano esattamente con gli imbecilli ma sono loro parenti stretti.
Tutta gente che ho imparato a disprezzare in quasi mezzo secolo di militanza politica: i più scatenati che cercano di negare il diritto di parola a chi critica (poco importa se dall’interno o dall’esterno del movimento) poi saranno i primi a tradire e nel frattempo sabotano ogni tentativo di migliorare il movimento cui intanto appartengono. Ne ho visti tanti così nella sinistra extraparlamentare, nel Pci, nel Psi, in Rifondazione. Hanno sempre tradito. E poi, cosa volete che me ne faccia dello sfogo di qualche mentecatto sedicente 5 stelle, quando ho goduto la stima di Roberto Casaleggio.
Ma altri non sono affatto imbecilli, mufloni o galoppini e meritano qualche chiarimento.
Intanto, sarebbe il caso che chi contesta entrasse nel merito della questione: in fondo potrei anche essere uno esagerato, o una spia del Pd, ma avere ragione. Capita che anche un avversario possa avere ragione, o no?!
Così come, può benissimo darsi che un amico o alleato faccia critiche sproporzionatamente dure e sbagli. Può capitare anche a me: perché, voi non fate mai sbagli?! Il giudizio deve sempre essere nel merito, senza cercare alibi o girarci intorno, anche perché c’è un obbligo morale di riconoscere i propri errori, le proprie insufficienze, ed anche le proprie colpe.
Vi piace gridare “Onestà Onestà”? Ebbene l’onestà non è solo non rubare, è anche quella intellettuale per cui non puoi usare criteri diversi per te e per gli altri: un metro deve sempre essere di 100 centimetri e non può essere a piacimento più corto o più lungo. Bisogna essere laici anche e soprattutto quando costa, perché i furti di verità sono peggiori di quelli di denaro.
Il fatto è che queste reazioni sono sempre ispirate al principio per il quale, se sei un sostenitore o amico di un movimento politico, non devi mai fare critiche, che sono concessioni al nemico, perché questo è un tradimento (o quasi). E devi difendere qualsiasi bestialità del tuo partito anche a costo di arrampicarti sugli specchi cosparsi di vetril. Questo accade quando il patriottismo di partito (che è giusto avere) si trasforma in qualcosa di mezzo fra il tifo da stadio ed il culto bigotto della propria “divinità”. E questo è il danno peggiore che si possa fare alla “squadra” per cui si tiene.
Per capirlo bisogna rendersi conto di quanto sia pericolosa l’arma della propaganda che è a doppio taglio. Ci sono due modi di fare propaganda: quello “attivo” con le cose che si dicono per attaccare gli avversari e difendere sé stessi, e quello “negativo” o “passivo” che è fatto dai silenzi su quanto non si ritiene inopportuno discutere. Ovviamente, anche gli avversari fanno lo stesso, per cui ciascuno cerca di colpire il punto debole dell’altro e di sviare l’attenzione dal proprio. Ma, a questo punto, occorre capire che la propaganda è uno strumento molto pericoloso, perché rischia di “intossicare” chi la fa più di quanto non faccia su chi la riceve.
In qualche modo, chi fa propaganda è portato a credere alle stesse cose che dice o rimuove le cose scomode con i suoi silenzi, ma questo finisce per occultare errori, lacune e deficienze, e, di conseguenza impedisce di correggerli o di colmarli. Quindi la tattica del “silenzio il nemico ti ascolta ”è la più sbagliata ed autolesionistica. Anche perché se ammetti per primo una tua falla, togli questo argomento dalle mani dell’avversario o quantomeno lo riduci.
Peraltro ammettere onestamente le proprie insufficienze aumenta la propria credibilità e, di conseguenza, rende meno efficaci gli attacchi degli avversari.
Come si vede, una opportuna e dosata quantità di autocritica (dosata rispetto alla realtà: sia chiaro, non rispetto a quel che farebbe comodo) è una medicina un po’ amara ma assolutamente conveniente.
D’altro canto, volete un esempio di come possa ridursi un partito con una base acritica di militanti-tifosi? Guardate il Pd e capite perché bisogna assolutamente evitare certe cose.
Io non voglio fare il parlamentare o in consigliere regionale, non ho prebende o nomine cui ambire, non cerco compensi, per cui continuerò a fare quello cha faccio in totale libertà.
Per cui, cari amici: se questo blog non vi piace, non frequentatelo, se i miei pezzi ripresi da altri non vi piacciono saltateli, se non vi piaccio in Tv cambiate canale, se cercate qualcuno che vi consoli, cercatevi qualche altro. Io continuerò come sempre perché non ho nulla da rimetterci.

* Fonte: Aldo Giannuli

lunedì 13 febbraio 2017

“RAGGI? UNA PALLA AL PIEDE PER IL M5S" di Aldo Giannuli

[ 13 febbraio ]

“Ha sbagliato tutte le nomine, è un'incapace che tra l'altro sta oscurando i successi a Torino della sindaca Appendino”. Aldo Giannuli non le manda a dire. In effetti, già ad ottobre scorso aveva consigliato a Grillo di scaricare Virginia Raggi: “Sta tradendo le aspettative, nella sua giunta si sono infiltrati poteri forti e uomini di dubbia provenienza”. Storico, saggista, blogger, massimo esperto di servizi segreti e, da ultimo, consulente del M5S Giannuli, classe 1952, è il prototipo di uomo di sinistra che sostiene il movimento di Grillo in mancanza di una reale alternativa a Caste ed establishment. Ma da persona libera ha anche il coraggio di criticare il M5S e di sottolinearne gli errori: “A Roma è necessario un cambio di marcia”.

Professore, cosa sta succedendo nella Capitale?

La sindaca Raggi, nella scelta degli uomini, è stata un vero disastro. Ha voluto personaggi che si sono dimessi poco dopo in un vespaio di polemiche. Poi è stato il turno dell'assessora Paola Muraro, la quale ora le se rivolta contro. Poi il turno di Raffaele Marra, che ora è in detenzione cautelare. Poi ancora Salvatore Romeo... Non ha avuto la mano felice nella scelta dei suoi collaboratori. Mi pare evidente.

Ma come dice l'ex assessora all'Ambiente Paola Muraro siamo ad “una guerra tra bande”?

Un po' presto per affermarlo, di certo siamo assistendo ad un effetto domino. Se si comincia il gioco dello scarica barile, avremo una caduta dopo l'altra. E siamo soltanto all'inizio.

A Virginia Raggi imputa inesperienza ed incapacità o secondo lei c'è dell'altro?

L'incapacità è palese se sbagli tutte le nomine. Se persino l'ex assessore all'Urbanistica la dipinge in quel modo – al netto se avesse ragione o meno Berdini – significa che non è riuscita ad ottenere nemmeno la stima dei più stretti collaboratori. Sulle vicende giudiziarie, con un recente blog ho consigliato al M5S di non aspettare le indagini della magistratura e di promuovere una inchiesta disciplinare interna per capire cosa stia succedendo a Roma. Può anche darsi che il M5S sia stato vittima di aggressioni esterne e di infiltrazioni, ma se aspetta la magistratura finisce di non essere più credibile. Ci vuole più prudenza e capacità di autodifesa.

Quando parla di “aggressione esterna”, a chi si riferisce?

Si parla di piccoli truffatori che si sono inseriti nella giunta Raggi. Sicuramente qualcosa che non ha funzionato.


Si riferisce a Marra e Romeo?

Beh, quelli sono proprio evidenti. Sono in corso le indagini della magistratura e molto dipenderà dalla situazione giuridica che si determina. Io, nel mio piccolo, mi chiedo: non è che qualcuno è riuscito a “piazzare” suoi uomini in posti chiave? Il sentore è che se qualcuno volesse screditare il M5S o continuare a fare i propri sporchi affari.. con la giunta Raggi pare abbia trovato terreno fertile.

Vogliamo dare un nome a questo “qualcuno”?

C'è un mondo interessato ad infiltrarsi nelle istituzioni e legato ai poteri forti: penso al mondo della burocrazia romana, dei rifiuti, dei palazzinari, delle cliniche. Ma poi ci sono gli ambienti affaristici vicini alla Curia o all'usura. Stiamo pur sempre parlando della città della Banda della Magliana.

Scusi, Raggi non era stata eletta per archiviare questa fase in nome del cambiamento?

Evidentemente non c'è riuscita. I risultati sono modesti. In 7 mesi non mi aspettavo la rivoluzione e il buco di bilancio è notevole, però ad essere sinceri si è fatto veramente troppo poco. Leggevo il blog di Grillo nel quale si elencavano i 43 successi della giunta, tra questi la lotta all'abusivismo commerciale, o il piano buche, sono ottimi provvedimenti – di cui mi compiaccio – ma non sono questi i poteri forti nella Capitale. I poteri forti si combattono in altro modo.

Ritorno alla domanda di partenza: come se ne esce? Il M5S non dovrebbe prendere le distanze da Raggi?

Doveva prenderle da ottobre, da quando Raggi ha iniziato ad impuntarsi su alcuni nomi – e poi si è visto com'è andata a finire – e ad invocare il Papa straniero.

Ora però è commissariata da Beppe Grillo, di fatto è lui che governa Roma...

Questa narrazione di Grillo visto come lo zar del M5S non sta in piedi. È una montatura mediatica. Beppe è un generoso, un passionale, all’interno del MoVimento svolge un ruolo di mediatore tra le varie fazioni. La stessa Raggi fino al 16 dicembre scorso si è apertamente fregata di cosa dicesse Grillo. E poi viste le attuali norme, commissariare un sindaco è pressoché impossibile. Al massimo lo si può sfiduciare ma in quel caso si va ad elezioni anticipate.

Neanche adesso è commissariata? Sembra che Raggi non muova un dito senza prima aver consultato i vertici del M5S...

Bah. Ha sicuramente meno poteri di prima ma siamo lontani da un reale commissariamento che tra l'altro sarebbe sbagliato visto che parliamo di una persona eletta e con un mandato popolare. E' più onesto, per il M5S, ammettere i propri errori e intraprendere un nuovo cambio di marcia. Raggi ha vinto perché doveva portare un segnale di discontinuità, le aspettative erano tante. Era stata annunciato un bel tagliando della giunta per febbraio, spero si faccia realmente.

Anche perché non sarebbe ora di iniziare ad occuparsi della città che ormai sembra in balia degli eventi?

Sicuramente. Finora l'unico provvedimento serio e sensato è stato il No alle Olimpiadi, per il resto? Ci vogliono misure reali contro i palazzinari, e poi ogni tanto bisogna anche dire qualche Sì. Progettare in positivo una nuova idea di città.

Raggi affonderà il M5S?

E' una palla al piede, se non ci fosse lei staremmo qui ad elogiare la giunta di Chiara Appendino a Torino la quale è la sindaca più apprezzata d'Italia. Raggi oscura tutto. Al momento il M5S ha fatto quadrato intorno a lei perché ha prevalso la paura: “Se ammettiamo di aver sbagliato su Roma rinunciamo per sempre all'idea di vincere le elezioni politiche”, è stato il ragionamento. Valutazione sbagliata anche perché il M5S non raggiungerà il fatidico 40 per cento per andare a governare. Non lo prenderà nessun partito, manco il Pd. Un atteggiamento più rilassato avrebbe suggerito una presa di distanza via via crescente dalla giunta Raggi.

Secondo lei, esiste davvero un attacco mediatico nei confronti del M5S tanto da far stilare una lista di proscrizione dei giornalisti?


Esiste uno scontro tra il M5S e i mass media, inutile negarlo, e per me hanno torto entrambi. La stampa più attacca il M5S più consolida il suo elettorato, non è un caso che i sondaggi rivelino come il MoVimento – malgrado gli scandali – non stia perdendo un voto. Tiene in termini di consenso, perché i suoi elettori trovano nelle inchieste mediatiche la voce dell'establishment. Dall'altra, va riconosciuto, che il M5S non riesce a crescere, rimane sempre sulla soglia del 30 per cento. Questa guerra coi media non aiuta il M5S a sfondare ulteriormente in quelle fasce di elettorato finora non intercettate: l'appello alla censura è sempre sbagliato e controproducente.


* Fonte: Micromega







venerdì 8 luglio 2016

ITALICUM: CARI AMICI 5 STELLE, NON FACCIAMO PASTICCI di Aldo Giannuli

[ 8 luglio ]

Ci sono state reazioni molto negative del M5s alla proposta di revisione dell’Italicum che tendono a chiudere il discorso prima di iniziare. Posso capire: le modifiche affacciate sono tutte in funzione anti-M5s: abolire il doppio turno che, come si è visto, determina regolarmente il sorpasso del Pd che arriva primo nella prima tornata ma poi perde il ballottaggio con M5s, reintrodurre le coalizioni, che svantaggiano il M5s unico partito che (a mio avviso sbagliando) rifiuta ogni coalizione e aumentare gli spazi delle preferenze ed anche questa è una novità fastidiosa per il M5s che ha preferenze bassissime, mentre gli altri potrebbero drenare più voti con una competizione più aperta.

Posso capire l’irritazione di chi dice: “adesso che vi siete accorti che l’Italicum premia noi e non voi che l’avete fatto, volete cambiare le regole. Siete dei bari”. Ed è giusto definirli bari, Però, poi, non si può aderire alla stessa logica: “adesso che abbiamo scoperto che l’Italicum ci fa vincere, ci piace e vogliamo mantenerlo e non apriamo più il discorso”. Sono convinto che non è questo il senso della posizione attuale del M5s, ma c’è il pericolo che venga percepita così.

Immagino che i parlamentari del M5s siano d’accordo con me nel dire che, se un sistema elettorale è una ignobile porcheria perché fa vincere quello che lo ha imposto, resta la stessa porcheria anche de fa vincere te. Anche perché, quello che ti aiuta oggi, ti sfavorirà domani.

Infatti, in questioni come le leggi costituzionali o elettorali non è ammesso nessun tatticismo ed occorre mantenere ferme le pregiudiziali di principio. Il M5s si è pronunciato con una consultazione on line durata quasi due mesi, per un sistema elettorale proporzionale e con preferenze. Punto. E da questo non si può recedere, per di più senza una nuova consultazione (a proposito, è da diversi mesi che non ne vedo neanche una). Ricordiamoci sempre che l’onestà intellettuale e la prima e più importante forma di onestà. Vero?

Pertanto, i truffatori di regime vogliono aggiustarsi il piatto come gli conviene? Certamente, anche se, a mio parere, sbaglieranno ancora una volta (d’altra parte, se i tuoi consiglieri si chiamano D’Alimonte e Ceccanti, questi sono i risultati), non si può chiudere il discorso così. Rivedere l’Italicum è opportuno e forse necessario nel caso di una pronuncia della Corte Costituzionale sfavorevole all’Italicum. Quindi il discorso va aperto e non certo per fare le riforme che vogliono i revenant del grande centro, ma per modificare la legge in senso proporzionale. Anche perché, c’è un problema: se dovesse vincere il No nel Referendum, si determinerebbe una situazione assurdo con una legge che sacrifica gravemente la rappresentanza senza assicurare la governabilità (posto che la questione della governabilità sia davvero così centrale).

Infatti, resterebbe in piedi l’ordinamento bicamerale precedente, per cui la Camera sarebbe eletta con un sistema maggioritario a doppio turno e su base nazionale ed il Senato maggioritario a un turno ma su base regionale. E’ quasi certo che nessuno riuscirebbe ad avere la maggioranza in entrambi i rami del Parlamento. Stando ai sondaggi ed alle tendenze attuali, il M5s vincerebbe alla Camera grazie al doppio turno, ma realisticamente perderebbe al Senato, dato che, ancora il Pd è il partito di maggioranza relativa e, dunque, è realistico che vinca nella maggior parte delle regioni. A quel punto, si determinerebbe una crisi senza precedenti: il M5s non sarebbe in grado di governare per mancanza di voti al Senato, Ma alla Camera sarebbe in grado di impedire qualsiasi altra maggioranza. Potrebbe esserci un governo di minoranza sorretto dall’astensione del Pd al Senato, ma la cosa appare poco probabile. Bisognerebbe rifare la legge elettorale prima ti tornare a votare, ma in una situazione in cui non sarebbe affatto garantita l’intesa su un nuovo modello.

Allora non è più semplice e logico risparmiare al paese questa assurda avventura e risolvere la questione prima? A meno che il Si alla riforma costituzionale non vinca, ma allora il M5s si prepara a passare nel campo del Si, cosa che io non credo possibile, dato che si tratterebbe di un suicidio. E ciò sia perché la maggioranza degli attuali elettori del M5s gli girerebbero le spalle, sia perché una vittoria del Si preparerebbe solo una vittoria del Pd alle politiche e non certo una del M5s.

Insomma, se sei contro la riforma costituzionale devi essere anche contro l’Italicum. Una via d’uscita? Abrogare l’Italicum e ripristinare il modello della Corte Costituzionale (proporzionale con clausole di sbarramento ed una preferenza) rimandando la questione alla prossima legislatura che, a differenza di quella attuale, sarebbe eletta con un sistema costituzionalmente corretto. Non vi pare?

* Fonte: Aldo Giannuli

mercoledì 29 giugno 2016

SINISTRA: ILLUMINISTI? NO "ILLUMINATI" di Aldo Giannuli

[ 29 giugno ]

Fra gli effetti positivi ed imprevisti del referendum sulla Brexit c’è un certo effetto di “cartina di tornasole” che ci rivela quel che pensa effettivamente una certa sinistra, che in Italia possiamo identificare nel Pd e nei suoi alleati.

Ha iniziato un alleato come Monti (quello che Renzi, in un momento di baruffa, si lasciò andare e definì “illuminato”, ecco… appunto) che ha rimproverato Cameron del delitto di lesa maestà per aver dato la parola al popolo con il referendum, un vero “abuso di democrazia” (parole testuali dell’illuminato uomo politico e statista).

Poi ci si è aggiunto anche Giorgio Napolitano, altro illuminato progressista, che ha sentenziato che su argomenti così complessi non si può interpellare il popolo che evidentemente non ha gli strumenti per capire. In effetti la stessa cosa si può dire della Costituzione, del nucleare, del codice penale o civile, della responsabilità dei magistrati, e, in fondo anche divorzio, aborto o, diciamola tutta, anche decidere fra Repubblica e Monarchia non sono temi semplici alla portata del popolo bue. Magari questo lo pensò, nel giugno 1946, Umberto II di Savoia e, si sa, il sangue non è acqua.

Poi è giunto il verbo dell’eccelso storico e politologo Roberto Saviano che, dall’alto dei suoi studi, ha decretato che quelli che hanno votato Brexit sono tutti fascisti e nazisti! E Saviano è una delle teste più lucide dell’intellettualità di sinistra, anche se dovrebbe perdere ancora un po’ di capelli per giungere alla lucidità integrale.

Poi la Melandri ha ritwittato con simpatia la massima di un tale: “Ma perché anziché negare il voto nei primi 18 anni non lo togliamo negli ultimi 18 di vita?”. Giusto, solo che c’è un problema: fissare il termine a quo calcolare i 18 ultimi, visto che la gente si ostina a morire a casaccio nelle età più disparate. Certo, si potrebbe fissare per legge il “fine vita” (e l’evoluzione ideologica del Pd va in questa direzione “giovanilistica”), però non credo converrebbe tanto all’on Giovanna Melandri che, insomma, proprio una ragazzina non è più ma solo una ex bella donna. Potremmo proseguire con gli esempi.

Sta venendo fuori tutta l’anima ferocemente classista, elitaria, antipopolare di questa sinistra dei salotti.

Io appartengo ad un’altra sinistra, che sa perfettamente di dover affrontare le sfide del mondo della globalizzazione, ma che non dimentica il Psi che organizzava le scuole di alfabetizzazione per insegnare agli operai a leggere e scrivere per conquistare quel diritto di voto che questi oggi vorrebbero togliere; che non dimentica il “cafone” Peppino Di Vittorio, che un titolo di studio non lo prese mai ma che insegnò ai braccianti a non togliersi il cappello davanti ai “signori” e che a questi intellettuali di “sinistra” avrebbe potuto insegnare molte cose; che non dimentica le scuole delle repubbliche partigiane come quella organizzata nell’Ossola da Gisella Floreanini; non dimentica intellettuali come Umberto Terracini, Antonio Gramsci, Concetto Marchesi, Vittorio Foa, che erano veri grandi intellettuali (non come questi cialtroni della gauche caviar) che non nutrivano nessuna spocchia intellettuale e la vita l’hanno spesa per emancipare culturalmente, economicamente e politicamente le classi popolari.

La mia sinistra non ignora i problemi dell’oggi, ma non si piega all’idea che la migliore sinistra è … la destra elitaria e classista.

Lo confesso, questa sinistra al chachemire, la sinistra delle terrazze romane , ebbene si, mi fa schifo non solo politicamente, ma più ancora moralmente ed umanamente, perché la “sinistra” neoliberista ed elitaria non esiste: è solo una ignobile truffa. Il Pd? E’ più spregevole della Lega e dell’Ukip, credetemi.


* Fonte: aldogiannuli.it

martedì 14 giugno 2016

PARMA: UN CONVEGNO COI FIOCCHI

[ 14 giugno ]

IL FILO DI ARIANNA
Come uscire dalla gabbia eurocratica

Sabato 25 giugno, a Parma (Sala superiore della Corale Verdi, Vicolo Asdente 9), promosso di compagni di ROSS@ della città emiliana, si svolgerà un importante convegno. 

Sarà diviso in due sessioni.
Quella mattutina, con inizio alle ore 10:30: LA SINISTRA, L'INTERNAZIONALISMO E LA SOVRANITÀ NAZIONALE.
Interverranno: Mimmo Porcaro, Sergio Cararo e Carlo Formenti. 
Modera: Stefano Zai

La seconda sessione: LA CRISI DELLE ÉLITE E LA SFIDA DEI POPULISMI
Interverranno:
Giorgio Cremaschi, Samuele Mazzolini, Moreno Pasquinelli e Aldo Giannuli. 
Modera: Diego Melegari

Info: www.rossa.red
sollevazione@gmail.com



BALLOTTAGGI: PERCHÈ IL PD È IL NEMICO PRINCIPALE di Aldo Giannuli

[ 14 giugno ]


Un improvviso amore per la sinistra radicale sembra aver preso i candidati del Pd ai ballottaggi di Roma, Milano, Torino e Bologna: si cerca di arrivare ad accordi, si blandiscono le formazioni di sinistra con la promessa di assessorati, si sottolineano i punti comuni del programma (ma quando mai?), si esalta il passato comune, si fa appello persino alle ragioni del cuore. Uno zucchero! 
Ed, al solito, si invocano gli scenari di tregenda qualora si dovessero consegnare le citta alle orrende truppe nere della destra o ai barbari populisti a 5 stelle, salvo poi pregare la destra di Roma e Torino contro i 5 stelle ed i 5 stelle di Bologna e Milano contro i 5 stelle. Cantava Carosone “chi vuò mbruglià?”
Il punto è che i candidati del Pd sono semplicemente invotabili per la semplice ragione che sono del Pd. Ragioniamo con calma.
In primo luogo c’è un bilancio da fare di una scelta che dura da 25 anni, da quando l’introduzione truffaldina del maggioritario ha costretto a scelte sempre più difficili: “votiamo il meno peggio, votiamo la sinistra moderata per non far vincere la destra”. Il risultato di questo ragionamento è che il Pds-Ds-Pd è andato sempre più a destra e, per non far vincere la destra nelle elezioni, abbiamo fatto vincere la destra (quella peggiore) nel Pd. La tattica dell’appoggio critico non ha funzionato, perché il Pd si è abituato all’idea che quei voti di sinistra, al secondo turno, sono scontati e questo ne ha azzerato il valore, annullando anche il potere contrattuale della sinistra radicale che, tanto “cosa altro devono votare? Devono votare per forza per noi”. Dunque un semplice automatismo. E questo ha vanificato ogni autonomia strategica della sinistra radicale riducendola a ruota di scorta del Pd. D’altro canto, se la sinistra sedicente radicale, da quell’11% che aveva prima del 2008,  si è ridotta ad uno striminzito 4-5% (mettendoci dentro anche pezzetti di Idv e qualche fuoruscito del Pd) qualche motivo ci sarà. Provate a cercarlo.
E, se sino a Renzi si poteva far finta di scambiare il Pd per un partito di sinistra, nascondendo tutto dietro la foglia di fico del “se no vince la destra”, con Renzi questo alibi non vale più niente: Renzi è la destra. E se Job act, riforma Bankitalia, “buona scuola!” ecc non vi bastano a capirlo, ecco il combinato disposto di Italicum e riforma costituzionale che riduce la democrazia alla scelta, una volta ogni cinque anni, del dittatore temporaneo, azzerando ogni meccanismo di bilanciamento dei poteri, ogni garanzia, ogni organo di mediazione, piegando tutto alla volontà del Premier. Una  forma di governo sconosciuta nelle democrazie liberali.
Faccio molte iniziative per il no al referendum nelle quali mi trovo spesso a fianco di relatori di sinistra italiana che denunciano i pericoli di questa riforma per la democrazia, ma, se credete davvero in quel che dite, cari amici, con che coerenza invitate a votare per i candidati Pd ai ballottaggi? Quando si tocca la corda della democrazia vuol dire che c’è un contrasto strategico insanabile e chi attenta alla democrazia non è Un nemico, ma IL nemico principale. E non si vota per il nemico. Mai.
Lo so che fra i militanti del Pd ci sono  diversi compagni in buona fede  e molti di essi voteranno no, ma un voto della sinistra ai candidati Pd sarebbe un minimizzare questo scontro, riducendolo ad una delle possibili occasioni di dissenso, mentre questa è la questione centrale, rispetto alla quale tutte le altre passano in secondo piano. Solo un atteggiamento della massima durezza, che renda evidente che una rottura definitiva si è consumata, può fare luce e costringere quei compagni a prendere atto di stare dalla parte della peggiore destra e trarne le dovute conseguenze.
Ma allora, mi direte, le giunte in comune? Rispondo: è un errore che ci siano ed andrebbero fatte cadere tutte. Il Pd va combattuto con tutti i mezzi e su tutti i piani.
E, se nonostante lo sfregio costituzionale, insistete nel voto al Pd al secondo turno, cari Fava, Pisapia, Furfaro, Basilio Rizzo eccetera, posso darvi un consiglio: lasciate perdere Sinistra Italiana o simili accrocchi elettorali, il vostro posto è nel Pd, a fare la finta opposizione a Renzi a fianco di Bersani. E togliamo di mezzo un inutile equivoco.
Aldo Granuli

sabato 7 maggio 2016

«REFERENDUM: NO AL REGIME! IL RESTO SONO FESSERIE» di Aldo Giannuli

[ 7 maggio ]

Aldo Giannuli: «L’unico modo di affrontare questo referendum si riassume in tre parole: NO AL REGIME. Il resto sono fesserie»




Nello schieramento ostile alla riforma costituzionale Renzi-Boschi, si sta facendo strada la proposta di “spacchettare” il referendum in cinque o sei quesiti “omogenei”, dato che la riforma tocca vari punti della Costituzione. Si tratta di una proposta stupida, incostituzionale, e di un errore politico grossolano. Dell’incostituzionalità diremo a parte, in altro articolo, qui ci occupiamo degli aspetti politici.


In primo luogo, occorre capire che qui non si tratta di fare un esame di diritto costituzionale, ma di un referendum, dove la gente (non tutti sono fini giuristi) si orienta per grandi linee, sulla base del cuore politico della questione e non di sottili argomentazioni tecniche. Pertanto, spacchettare i referendum fa perdere di vista il “focus” politico del problema, disperdendo la discussione su cento aspetti singoli: la gente ci manderebbe a far benedire prima di iniziare a discutere. E farebbe bene.

Il centro del problema è il progetto di democrazia autoritaria che Renzi ha in mente e di cui questa “riforma” non è il punto di arrivo ma solo il primo passo. Ve l’immaginate una campagna a base di “qui si vota Si”, “qui si vota No”, “qui fate voi”? Quando lo hanno fatto i radicali con i loro referendum a mazzi, il risultato è stato una catastrofe: possibile che non abbiamo ancora imparato?

E se poi è tutto No, perché non dirlo una sola volta per tutto? Intendiamoci: nella riforma ci sono aspetti condivisibili (l’abolizione del Cnel, il rafforzamento del potere di proposta legislativa popolare, il referendum propositivo ecc.) così come non mancano non pochi difetti tecnici che mal raccordano singole disposizioni costituzionali, ma questi sono aspetti del tutto secondari che, in ogni caso, sarebbe possibile riprendere in un secondo momento. Qui il fulcro della questione è il rafforzamento abnorme dei poteri dell’esecutivo e, di conseguenza, del partito di maggioranza per l’effetto combinato di Italicum e riforma costituzionale. La legge elettorale garantisce al vincitore (al primo turno se abbia superato il 40% dei voti, altrimenti al secondo turno) 340 seggi, anche se, magari, al primo turno ha preso solo il 24% dei voti.

Vediamo che significa sugli equilibri istituzionali: nell’ordinamento uscente il collegio elettorale per eleggere il Presidente della Repubblica oscillava intorno ai 1.000 (630 Camera 320 Senato più i senatori a vita e 58 delegati regionali) e la maggioranza necessaria era di circa 505 voti, per cui, se il partito di maggioranza aveva 340 seggi alla Camera, doveva trovare 165 voti fra i circa 370 rimanenti gradi elettori, quindi circa il 45%). Nell’ordinamento attuale, per eleggere il Presidente della Repubblica la soglia necessaria dal quarto scrutinio è 394 voti, per cui, al partito di maggioranza basta raccogliere 54 voti fra i 100 senatori ed i 58 delegati regionali (cioè meno del 33% del totale), per avere automaticamente i voti necessari ad eleggersi da solo il Capo dello Stato. Dunque, anche nell’improbabilissimo caso che il partito di maggioranza non riesca a raggranellare i 54 voti necessari (magari per la presenza di franchi tiratori), basterebbe l’alleanza con qualche piccolissima formazione a superare la soglia. Dunque, il Presidente diverrebbe espressione diretta e non mediata del partito di maggioranza. E questo significherebbe anche aggiudicarsi i 5 giudici costituzionali di nomina presidenziale che, sommati ai 2 su 3 espressi dalla Camera ed almeno 1 dei 2 spettanti al Senato, fa uno schieramento precostituito di 8 su 15 della Corte, cioè la maggioranza assoluta. Le stesse dinamiche si ripeterebbero poi per il Csm.

Punto ancor più delicato è quello della revisione costituzionale. In nessun paese retto con sistema elettorale maggioritario la revisione costituzionale è affidata al Parlamento ordinario o solo ad esso: in alcune costituzioni c’è il sindacato determinante del Capo dello Stato, in altre c’è il referendum popolare preventivo per aprire la fase di revisione e magari l’elezione di una Assemblea Costituente, in altre è il Senato eletto su base federale ad avere un potere di veto eccetera. Noi, dopo il referendum-colpo di stato del 1993, siamo l’unico paese in cui un Parlamento eletto con il maggioritario ha mano libera sulla Costituzione, salvo l’eventuale referendum di ratifica. Ed, infatti, di lì è iniziata la fase di decostituzionalizzazione del nostro ordinamento.

Tuttavia, un limite relativo alla deriva costituzionale è stato rappresentato dal bicameralismo che rendeva la procedura più macchinosa. Ma questo era garantito da un Senato che aveva lo stesso peso politico della Camera, essendo di investitura popolare. Qui, invece, abbiamo un Senato a composizione indiretta, quindi di per sé meno rilevante politicamente, al di là delle sue attribuzioni formali. Per di più esso è espresso da consigli regionali eletti con metodo maggioritario. Dunque, c’è un primo filtro che abbatte le forze minori premiando le maggiori, poi da queste emerge la rappresentanza senatoriale, in proporzione alla consistenza dei propri gruppi, ma su un numero di seggi molto piccolo da attribuire, il che fa salire molto in alto l’asticella per avere un eletto.

Facciamo due conti: c’è una forza politica che prende il 15% su base nazionale, ma, per effetto del sistema elettorale maggioritario, ottiene circa il 9-10% dei seggi; i senatori da eleggere sono 95% distribuiti fra 20 regioni, quindi solo in pochi casi i senatori da eleggere saranno più di 5 e, pertanto, solo in quelle poche regioni (realisticamente Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia, Lazio, Campania e Sicilia) avrà qualche speranza di ottenere 1 rappresentante, quindi 4 o 5 al massimo, cioè circa il 5%, cioè un terzo della sua forza elettorale.

Dunque una sorta di maggioritario al quadrato, che rafforza i maggiori e rende meno probabili maggioranze risicate; nel caso probabile che la maggioranza senatoriale sia omogenea a quella della Camera (e che Renzi immagina e spera di colore Pd), la strada alla revisione sarebbe spianata come l’autostrada del Sole. Nel caso di maggioranze differenti fra i due rami, sarebbe sempre possibile premere sul Senato, camera di serie B e non rappresentativa.

Questa che stiamo votando, ricordiamolo bene, non è la riforma costituzionale, ma la spallata che aprirà la porta alla vera riforma-riscrittura della Costituzione. Insomma qui stiamo passando dal maggioritario al totalitario. L’unico modo di affrontare questo referendum si riassume in tre parole: NO AL REGIME. Il resto sono fesserie.

Ma da dove viene questa idea geniale dello spacchettamento? 
Lo chiarisce Bersani in una sua recentissima dichiarazione: “voterò si ma non un si cosmico che si contrapponga ad un no cosmico”. Ed ha aggiunto che il referendum non deve essere un voto sul governo. Cioè “ho votato in Parlamento la riforma costituzionale, pur dicendomi contrario, ora la voto nel referendum, però voglio votare un paio di No tanto per salvarmi la coscienza”. Insomma, quella cosa inutile che è la “sinistra” Pd vuole continuare a tenere un piede dentro ed uno fuori del Pd, nella speranza che, alla fine, Renzi gli regali un po’ di seggi per i servizi resi. E, siccome in un referendum solo, dove devi dire Si o No e basta, rischiano di essere buttati fuori dal partito se non si allineano, ma non vogliono nemmeno un trionfo di Renzi, si illudono di affogare tutto in un mazzo di referendum nella speranza di vincerne un paio e dire che Renzi non ha vinto del tutto. Puerile! Un gioco ambiguo ed inconcludente che ha l’unico effetto di indebolire la battaglia per il no, ridotta ad una discussione da salotto.

La cosa peggiore è che a questo squallido giochetto da vecchi politicanti rammolliti e giuristi di palazzo sembra abbiano abboccato anche quelli del M5s che, peraltro, non pare avvertano neppure il bisogno di consultare la rete. Come si sente la mancanza di Roberto Casaleggio!

Aldo Giannuli ha scritto poi un secondo articolo (leggi QUI) centrato sulle ragioni giuridiche e costituzionali che rendono (o dovrebbero rendere) impraticabile l'ipotesi dello spacchettamento. Ipotesi perorata, non a caso, dai conigli della sinistra Pd, che prima hanno votato la controriforma ed ora vorrebbero salvarsi la coscienza mischiando i "sì" e i "no" giusto per poter credere di contare ancora qualcosa.



* Fonte: Aldo Giannuli

sabato 2 aprile 2016

REFERENDUM: CONTRO RENZI, COME AI TEMPI DEL CLN di Aldo Giannuli

[ 2 aprile ]

Sta per aprirsi una stagione di scontri referendari fitta di appuntamenti:
– il 17 aprile pv ci sarà il referendum sulle trivellazioni petrolifere al largo delle acque territoriali (qui un ottimo prospetto informativo), soprattutto nell’Adriatico; a fine ottobre ci sarà ilreferendum istituzionale sulla riforma renziana della Costituzione; nel mese prossimo dovrebbe partire la raccolta delle firme per altrettanti referendum su legge elettorale, legge sulla buona scuola, Job act. Invito tutti a mobilitarsi sin d’ora per il Si al referendum di aprile e per il No in quello di ottobre e per la sottoscrizione degli altri. Battaglie da fare con ampie intese politiche con chiunque ci stia.

La Sinistra Pd? La Sinistra Italiana? Possibile? La Lega? Il M5s? Marchini? Quagliariello? Fitto? Tutti! Non so come farà Forza Italia a schierarsi per l’abrogazione di una legge che cui ha dato i suoi voti determinanti, ma se ci stanno non gli faremo l’esame di coscienza e, se ci stanno, anche quelli di Cl vanno bene.
Se non sbaglio il Cln si fece anche con i monarchici ed il Pci di Togliatti non ebbe esitazioni a concordare con il Msi la battagli parlamentare (e poi elettorale) contro la legge truffa di Scelba (che, peraltro, era oro rispetto a questa bruttura dell’Italicum). Ci sono momenti in cui non si deve andare per il sottile e bisogna allearsi con chiunque ci stia. Questo è uno di quei momenti, perché vengono toccati i fondamenti della nostra democrazia.
Quello di Renzi è il più pericoloso progetto di regime affermatosi dopo la fine della guerra che si esprime tanto nel disegno di disarticolazione costituzionale, quanto nella sistematica occupazione dei posti di potere, dalla Rai agli enti di Stato, dalle regioni alle banche popolari ed ai servizi. In una certa misura, è quello che ha sempre fatto la partitocrazia di questo paese, quello che rende molto più pericoloso il renzismo è l’abbattimento di ogni garanzia pluralistica (con la legge elettorale e le riforme costituzionali), l’azzeramento della democrazia interna al partito e il carattere molto più pervasivo dei centri di potere appositamente ideati (si pensi al progetto di affidare a Lotti il controllo della sicurezza telematica). Si pensi all’effetto combinato di legge elettorale, riforma del senato e riforma del partito: con una percentuale anche del 25% una forza politica (ed è ovvio che Renzi pensa al Pd) può conquistare la maggioranza assoluta della Camera che, sommandosi ad un piccolo gruppo di “senatori” espressi dagli enti locali assicurerebbe la maggioranza necessaria, tanto per l’ulteriore riforma della Costituzione quanto l’elezione del Presidente della Repubblica e, con questo, la conquista dei 2/3 della Corte Costituzionale, di 1/3 del Csm (sempre che una nuova riforma costituzionale non ne aumenti la quota di spettanza parlamentare). Neppure la P2, al cui Piano di Rinascita democratica pure sembrano ispirarsi diverse proposte renziane, si era spinto così in là.
Dunque, prima ancora che parlare del merito delle proposte referendarie, occorre chiarire il senso politico generale che va al di là del merito di ciascuna di esse ed il senso è quello della rivolta contro il progetto di regime che si sta costruendo. E’ il momento di puntare alla caduta di Renziattraverso una serie di bordate successive: il referendum sulle trivelle il 17 aprile, quindi la raccolta delle firme per i nuovi referendum, poi le amministrative di giugno –dove occorrerà fare tutto il possibile perché il Pd perda in tutte le grandi città e soprattutto a Milano-, infine il referendum istituzionale di ottobre. Ed, a questo scopo, non bisognerà guardare in faccia a chiunque dia una mano, come ai tempi del Cln
* Fonte: Aldo Giannuli

sabato 2 gennaio 2016

"SINISTRA ITALIANA": UNA MINESTRA RISCALDATA di Aldo Giannuli

[ 2 gennaio ]

Severissimo il giudizio di Aldo Granuli sulla Sel 2-0. Sbaglia Giannuli? Giudichino i lettori....

Nei giorni scorsi mi è capitato di assistere, presso il Concetto Marchesi, in Milano, all’affollatissimo incontro con Alfredo D’Attorre che presentava Sinistra italiana. Sala gremita e molto interesse, però devo dire di non aver ricevuto una gran buona impressione della nuova formazione politica, che tanto nuova non mi pare.

A cominciare dallo stile: un oratore ufficiale che parla per oltre un’ora di fila, magari punteggiando con numerosi “ed avviandomi alle conclusioni”, “un’ultimissima considerazione” (dopo di che sproloquia per altri 15 minuti, peraltro continuando a non dir nulla). E’ l’insopportabile cifra stilistica del classico dirigente che ammaestra le masse (che non ascolta mai). Roba vista troppe volte. E peggio ancora se poi infila una serie di castronerie che rivelano che non conosce le cose di cui parla. E passi per la solita tirata onirica su “un altro Euro ed un’altra Ue” (non si può proibire a nessuno di sognare), ma che, nel 2015, qualcuno dica che “occorre battersi perché vengano respinte le direttive europee in contrasto con la Costituzione che deve prevalere”, ignorando

a. che ci sono dei trattati che stabiliscono esattamente il contrario

b. che sin dal 1984 si è formata una costante giurisprudenza costituzionale di segno contrario, che si può anche non condividere, ma che per ora fa testo. E magari, dopo 30 anni, ci si può anche informare.

Ma quello che mi ha peggio impressionato sono stati i silenzi: non ho sentito né la parola “Etruria” né quella “fisco”. C’è stato, si, un rapidissimo passaggio sulla questione delle banche ma quanto di più generico e superficiale si possa immaginare. Sinistra Italiana ha decentemente votato la mozione di sfiducia contro la Boschi presentata dal M5s, ma non mi pare di aver sentito alcuna particolare enfasi nella denuncia delle malefatte di quella banca e dei suoi protettori politici. C’è da chiedersi quale sarebbe stato il comportamento se, al posto della Boschi, ci fosse stato Berlusconi o la Carfagna o la Gelmini.

Ma il punto più dolente è quello del fisco, semplicemente ignorato da D’Attorre che si è profuso in (genericissime) indicazioni sulla battaglia per l’occupazione. Giustissimo, ma, ci fosse stato tempo per il dibattito (reso invece impossibile dal fatto che l’augusto dirigente ha terminato la sua alluvionale esternazione alle otto meno un quarto) gli avrei chiesto “Ma come si fa a produrre più occupazione con questa pressione fiscale?”. Senza una ripresa dei consumi non può esserci alcuna ripresa occupazionale e, se la tasche della gente sono prosciugate dal fisco, come pensate che i consumi possano risalire? Quanto alle aziende, strette nella morsa dei tassi da usura praticati dalle banche e pressione del fisco, è così strano che chiudano a raffica, mettendo centinaia di migliaia di persone in mezzo ad una strada?

Ma la sinistra è convinta che la lotta contro l’eccessivo prelievo fiscale sia una parolaccia, una cosa da lasciare alla destra e se Renzi accenna a qualche demagogica promessa di tagli alle tasse, lo si attacca non perché le sue sono promesse da marinaio, ma perché bisogna battersi per mantenere le tasse sulla casa in nome della lotta ai “ricchi”. Ed, ovviamente, senza che ci sia alcuna azione per colpire le rendite finanziarie.

Penoso, francamente penoso e le premesse per l’ennesima sconfitta di questa sinistra da salotto e da terrazza romana sono già tutte presenti. E’ solo l’ennesima replica di un film visto troppe volte. Auguri!

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