Potremmo anche chiudere la discussione basandoci sul titolo: certo che l’Italia non può farcela (da sola). Ma non è così semplice, perché la vera domanda è: a fare cosa? E questa domanda si muove su molteplici piani di una discussione necessaria e dirimente, che quindi merita di essere fatta.
Quindi partiamo dai due articoli, bisognerà riassumerli brevemente:
1 — Il mio tentava una valutazione della situazione politica con particolare riferimento alle contraddizioni entro l'attuale governo ed alla posizione della Lega rispetto all'Europa. L’idea fondamentale era di provare a partire dalla focalizzazione delle contraddizioni per inquadrare le forze, poco visibili, che si muovono nel campo e le tensioni che manifestano. Infatti anche per pensare in termini di ‘amico e nemico’
[1], e/o di ‘nemico principale’ e ‘secondario’
[2], bisogna capire che ogni tensione attraversa diagonalmente tutti i campi. Altrimenti dimentichiamo le nostre radici, ed il livello di analisi che comportano, e rischiamo di riprodurre anche inconsapevolmente schemi nazionalisti. Parlare di “Italia”, in ogni contesto politico è una probabilmente necessaria abbreviazione, ma occorre sempre avere cura di pensare nella sua concretezza lo scarto delle forze che si connettono e lottano attraverso i confini politici. La mia analisi partiva quindi dal risultato del 4 marzo, nello schema interpretativo della lotta centro/periferia divenuta prevalente su quella destra/sinistra (anche se questa resta come chiave subordinata, come si vede). Quindi dallo spiazzamento delle sinistre, tutte, nel contesto dello smottamento sociale del secondo decennio.
Questo smottamento ha separato qualcosa di profondo nel paese, e la sinistra non ha trovato di meglio che reagire al suo riflesso elitista condannando i toni popolari come ‘razzisti’ e ‘nuovo fascismo’. Ma, lungi dall’essere così semplicemente razzista il nuovo blocco emotivo, fattosi massa, e senso comune, ha di fatto staccato una maggioranza politica altamente fratturata e contesa tra diverse istanze. Una maggioranza fatta di plurimi frammenti sociali che è il vero campo di battaglia sul quale tornare, pena sia l’irrilevanza (e qui sarebbe poco male) sia il vile abbandono ad altre agende.
Si ricostruiva quindi l'esordio del governo, che ha mostrato la tensione tra una “base di massa”
[3] incerta, oscillante e reattiva, espressione di molte delle contraddizioni del paese (quella nord/sud in primis, ma anche tra ceti produttivi e la grande destrutturazione del paese periferico) e le diverse “basi sociali”
[4] dei due partiti al governo, oltre che del potentissimo e trasversale “partito” del vincolo esterno
[5] (ben rappresentato nelle istituzioni del paese, ma ubiquo). Lo scontro del 2,4% ne è stato sintomo evidente.
Incontrato il muro dei ceti possidenti del paese, capaci di mobilitare una maggioranza invisibile grazie alla loro capacità storicamente consolidata di trascinare sulle proprie posizioni le piccole borghesie nazionali, a me pare si sia, e qui comincia la divergenza di interpretazione dei fatti con il mio amico Pasquinelli, la Lega in particolare (che questa coalizione sociale ha nel corpo costituente), ha ripiegato su politiche simboliche e distrattive di grande efficacia. Le due principali sono l’immigrazione e la sicurezza (cosa che non esclude abbiano una loro sostanza
[6]). Il Movimento Cinque Stelle è apparso invece paralizzato (non da ultimo dalle sue modalità di costruzione “primopopuliste”
[7]).
Quel che conta per la posizione interpretativa è che tra le due forze ed entro il paese si è aperta allora una frattura, che esemplifico come conflitto tra diverse “basi sociali” ed una “base di massa” in parte contigua.
Le elezioni del 26 maggio sotto questo profilo non hanno cambiato le cose, ma le hanno consolidate.
Questa analisi precipita in un giudizio (semplificato, come ovvio): lo scontro con l'Europa è dunque una illusione ottica, perché è fattualmente impedito dalle contraddizioni interne entro le forze di governo e resta inquadrato in un contesto geopolitico di estrema complessità ma nel quale non mi sembra di vedere soluzioni nette dentro/fuori.
Il vero scontro, aspro e decisivo, è tra la potente coalizione di interessi e sociale che dipende dalla relazione subalterna con i centri, organizzati come una grande catena, “metropolitani” (per usare la metafora di Gunder Frank
[8]), e che si alimenta dei suoi cascami, fondando in essi la propria posizione sociale, e le periferie subalterne. Il nemico, insomma, lo abbiamo dentro, è per questo che parlare di Italia è parzialmente fuorviante. Noi dobbiamo parlare degli interessi concreti e delle identità politico-sociali che sono ancorate ad essi che si muovono entro forme di vita interessate alla conservazione dei propri privilegi attraverso il vincolo esterno, la disattivazione sociale e politica che ne consegue, e l’economia deflattiva, qualunque sia la cornice statuale entro la quale opera. Solo come conseguenza ribadire la necessità di ripristinare i punti di resistenza necessaria a condurre una battaglia efficace (e quindi quelli statuali).
Dunque il punto di leva che era proposto, per evitare gli equivoci di una lettura ‘nazionalista’, ad insufficiente livello analitico, è che in un campo così complesso si sta solo riguadagnando l'orgoglio delle proprie forze, non appoggiandosi anche inconsapevolmente su altri vincoli esterni (passare dalla EuroGermania agli Usa o financo alla Cina). Si sta solo invertendo l'egemonia che i ceti compradori esercitano sulle classi medie e popolari e trovando una “base sociale” che comprenda davvero un semplice fatto: che “la libertà deve non solo conquistarsi, ma conquistarsi senza aiuti” (Pisacane, 1857). “Senza aiuti”, però, non significa che non si prenda ciò che viene, e neppure che non si lavori ad alleanze, ma che il presupposto di una autentica liberazione è la liberazione di sé.
Quindi si concludeva, ripassando al punto di vista più limitato delle nostre piccole forze, che neppure l'attesa che sia la Lega a combattere per noi questa battaglia ha speranza. E non la ha indipendentemente dalla generosa volontà di alcuni: la “base sociale” della Lega è l’ostacolo che impedisce e impedirà, anche alla Lega medesima, di sviluppare un reale movimento di liberazione. In queste mani al massimo avremo una “rivoluzione passiva”
[9].
Ciò che il post voleva dire è molto semplice, dunque: dobbiamo riguadagnare la piena fiducia nelle nostre forze e finalmente smettere il gioco secolare di aspettare l’aiuto di altri per conquistarci la nostra libertà. Una volta che lo abbiamo fatto ci si può alleare anche con il diavolo, non dipenderemo da lui.
L’articolo di Pasquinelli, che ringrazio per l’occasione di precisare queste difficili questioni, e di pensare meglio la mia stessa ipotesi, mi pare sostenga più o meno questo:
2 — Sorvolando sulla parte analitica, che dunque suppongo condivisa, si identifica (a torto) come bersaglio polemico del pezzo e si identifica con chi sente il “dovere” di sostenere il Governo Giallo-Verde nell’arena data del conflitto con l’Unione Europea (quindi non in tutti i campi). Un sostegno che quindi, per questo, è come scrive “non acritico, ma tattico, temporaneo e mirato”.
Quindi l’articolo attacca con il vigore consueto l’affermazione secondo la quale “il braccio di ferro non sarebbe che una messa in scena”, ovvero “testualmente ‘una nuova puntata della partita di distrazione n.2 (essendo quella sugli immigrati la distrazione n.1)”. Qui viene una lunga citazione testuale che termina con la mia immagine del passaggio dalla dominazione germanocentrica a quella diretta (e non indiretta) del capitale anglosassone e del potere sovrano statunitense come passaggio “dalla padella alla brace”.
Questa immagine è contrastata sulla base di una valutazione del “nemico principale”, “oggi come oggi”, che lo identifica con l’”euro-dittatura” e la “potente oligarchia ordoliberista euro-tedesca”. Bisogna notare che il soggetto che dovrebbe identificare questo “nemico principale” per Pasquinelli (e per me), non è l’Italia, ma “il popolo lavoratore italiano”.
Dunque, anche se “non è affatto sicuro che Salvini possa contare sull’avvallo di certo grande capitalismo anglosassone e yankee a sfidare l’euro-Germania”, se succedesse bisognerebbe accettare l’aiuto. Naturalmente non senza condizioni, ovvero non andrebbe “respinto a priori”, ma valutando costi e benefici per il Paese (ovvero, immagino, per “il popolo lavoratore italiano”).
Sulla base di questa posizione, che non manca di senso pratico, per Pasquinelli la mia valutazione “della padella o brace” è “ideologica e impolitica”, ovvero “astratta e idealistica”. Addirittura regno di una subalternità non superata per “l’europeismo distopico habermasiano”, che identifica comunque nell’Europa una “missione civilizzatrice” malgrado tutto
[10].
L’astrazione sarebbe dimostrata dalla valutazione come “distrazione” della politica di sfida alla Ue, e quindi dalla sottovalutazione della forza di “processi oggettivi di crisi della Ue” che potrebbero condurre comunque ad una situazione “tecnicamente di emergenza” sia sul piano economico come su quello politico-istituzionale.
L’aver identificato la mia posizione come “purista” (ovvero di chi anche nella più grave crisi, spread alle stelle, titoli deprezzati, crisi bancarie, rifiuterebbe qualsiasi aiuto), conduce al mio esempio di Pisacane, del quale apprezza il coraggio e la visione sociale, ma critica, al contempo, il “primitivismo politico”, esemplificato nella “propaganda del fatto”
[11].
Riecheggiando l’esergo scelto da Sun Tzu, quindi la proposta alternativa è di “tenere insieme determinazione rivoluzionaria e realismo politico”. Quindi riferirsi al Machiavelli di Antonio Gramsci.
Una critica così serrata è sempre la benvenuta.
Spiace che l’autore non abbia voluto confrontarsi più diffusamente sul tentativo di analisi, alla luce del quale molte delle semplificazioni che attribuisce potrebbero essere ridimensionate. Si parla di “contraddizioni che rendono difficile per i Partiti ed i movimenti al governo di tradurre coerentemente le spinte che ricevono dalle loro basi sociali in parte divergenti in ‘direzione’ della relativa base di massa”, e quindi dello scontro del deficit di giugno scorso come momento rivelante. Le varie manovre messe in campo (dai “minibot” alle provocazioni, anche utili) sono “distrazione” in questo specifico senso: cercano di accontentare il sentimento della propria “base di massa”, ma senza riuscire a superare l’alt! che gli viene da parte non escludibile della propria “base sociale”, che è oggettivamente (se non soggettivamente) interconnessa e con-fusa con la “base sociale” eurista e quindi sostenitrice di vincolo esterno e dell’ordoliberismo.
D’altra parte nella discussione della “ipotesi cinese” spinta dalla componente 5Stelle avevo provato dare conto di un’elevatissima complessità del quadro nel contesto di quello che chiamavo uno “scontro triangolare” tra:
1- il vecchio “network globalista” (ormai messo in discussione persino dalla candidata democratica Elizabeth Warren[12]), il cui centro operativo è ormai in Europa (ed anche in Italia);
2- il nuovo network “territorialista” (usando il termine alla maniera di Arrighi[13]) parimenti, ma diversamente, imperiale che cerca di ripristinare le condizioni di controllo e quindi di accumulazione;
3- il “terzo incomodo”, che ha alimentato la propria forza dal primo, ovvero dalla irresponsabilità sistemica del capitale occidentale, il quale ha seguito la propria hybris autoaccrescente a spese delle basi di potenza occidentali (la coesione sociale e la forza della ricchezza diffusa) fino a condurre alla rottura odierna.
Ma anche sotto questo profilo, era la mia tesi, “non è nel breve periodo plausibile che gli Stati Uniti convalidino una disgregazione finale dell’Europa post seconda guerra mondiale, che in tal caso sarebbe tentata di andare in parte verso il rivale ‘estraneo’. Più probabile una navigazione contingente avendo come bussola il contenimento germanico, senza definitive rotture (ma in questa ottica è dirimente il modo in cui avviene il Brexit)”.
Tralasciare questa analisi, giusta o sbagliata che sia, comporta la conseguenza che sembri una divergenza effettiva quella che più probabilmente si vuole proporre come
scelta contestuale e tattica di appoggio contro chi sta oggi contrastando l’austerità (peraltro imposta per mere ragioni di potere dall’Unione Europea,
ma di potere profondamente fondato a livello sociale e trasversale nell’intero continente). L’intero discorso tentato nel post si muoveva su
un altro piano; non ho alcuna obiezione a questa scelta tattica, su questo campo di battaglia si rivolgono i cannoni contro i giapponesi, non contro il kuomintang
[14]. Ma tattica significa almeno due cose:
che si deve fare per le ragioni giuste e che
non esclude che su altri campi si spari invece contro di lui. Un appoggio consimile è sempre “temporaneo e mirato”, come giustamente dice l’articolo di Pasquinelli.
E, direi soprattutto, bisogna essere attenti al fatto che il “nemico principale” non è la Ue. Il nemico principale è il “Partito del vincolo esterno”, che ha una sua piazzaforte essenziale nelle istituzioni e nelle pratiche europee (che quindi vanno abbattute o neutralizzate) ma che non si riduce ad esse. L’insieme di interessi, valori, culture e basi di forza da isolare è la parte dirigente del ‘Partito’, consapevoli della sua assoluta trasversalità, la parte da guadagnarealla causa è la quota allargata della “base sociale” della Lega, del Movimento 5 Stelle e di ogni altra forza politica in campo, che va staccata dal dominio della prima e resa solidale alle forze da sviluppare (cfr. nota 5 e nota 2). Scambiare i nemici può provocare le più gravi conseguenze (perché sia chiaro, la Ue è un nemico, ma non in quanto tale, lo è in quanto strumento del vero nemico).
Ovviamente tanto meno lo è la Germania. Ragionare in termini nazionali nasconde completamente l’oggetto del conflitto (non che attribuisca questo errore a Pasquinelli).
L’oggetto del pezzo proposto è completamente un altro, spiace che l’immagine della “padella o la brace” l’abbia nascosto alla vista: lo scopo è avvertire chi perdesse di vista che il “nemico” è trasversale e non è identificabile con confini meramente nazionali. La mia tesi è che la borghesia (e gli strati contigui egemonizzati da questi), connessa in posizione subalterna ma funzionale con i dominanti centri di potere economico-finanziario (e quindi politico) “globalisti” (ovvero con il “network 1”) è del tutto trasversale e coinvolge ampiamente parte essenziale della “base sociale” della componente leghista al governo (in misura minore anche del M5S). Questo, e non altro è il senso nel quale è chiamata “distrattiva” la politica delle lotte ai confini e quelle verso la Ue, non perché non abbiano la potenzialità di essere parte di un moto di autogoverno e liberazione, ma perché la coalizione sociale che le renderebbe effettive è troppo debole.
Questa è la mia tesi.
Concentrarsi sulla questione se un eventuale “aiuto” (ovvero l’impegno geopolitico a sostenere il paese in uno scontro di vita e morte con la Ue, ed eventualmente programmi di acquisto di titoli da centinaia di miliardi, o linee di credito FMI) sarebbe rifiutato, in particolare se si precisa che andrebbe sottoposto ad analisi costi-benefici, è strappare oltre i suoi limiti il testo. Non ho mai inteso che un eventuale aiuto debba essere rifiutato ma penso sarebbe sempre incompleto e insufficiente, ma comunque in effetti parlavo di altro.
Del resto anche nella valutazione dell’atteggiamento del “network 2” magari mi sbaglio, in quanto lo scontro entro l'establishment Usa è asprissimo. Se vogliamo la mia preoccupazione, appunto, sono proprio “le condizioni”. Se si vuole estendere il tema credo che l'interesse del paese sia in una moderata e saggia “disconnessione”, non senza alleati e non senza amici (ad esempio mediterranei), ma che questa nel medio periodo si gioverebbe meglio di un “gioco triangolare”, se possibile. Un gioco nel campo “triangolare” che, appunto, individuavo nell'ultima parte dell'articolo (i “network” 1, 2, 3).
Per il resto direi che mi sento di escludere di avere l’idea implicita che “l'Europa avrebbe una missione civilizzatrice universale di cui l'Unione, malgrado tutto, sarebbe strumento”, in quanto è uno dei miei bersagli polemici più costanti
[15].
Ancora e nello stesso modo non penso, né propongo di pensare, che se una cosa è agita come “distrazione” sia
solo una distrazione, e neppure che lo sia
per tutti. Spesso una distrazione (anzi, in genere sempre)
ha una sua sostanza e produce comunque degli effetti. Ovvero lega qualcuno, chiude delle alternative, ne apre altre. In una situazione dinamica e complessa è astrattamente possibile, in altre parole, che si declini una politica (che risponde a forze ed esigenze) principalmente in forma “distrattiva” (a causa del prevalere di altre forze ed esigenze), ma poi la situazione sul campo forzi gli eventi
girando la distrazione in sostanza. Quindi è astrattamente possibile che le misure insufficienti, poco audaci, mal disegnate e appena accennate, di questo governo possano trovare inaspettatamente le condizioni per essere spinte dal vento, per così dire, e prendere corpo. Certo, se prendessero corpo senza che il paese sia pronto, ovvero con parte dominante della borghesia - in tutti i partiti - pronta a schierarsi contro i migliori interessi del paese, ed in favore dei propri interessi a breve termine, un robusto aiuto sarebbe molto più che indispensabile:
primum vivere[16].
Ma su questa base non si designa una politica.
La mia chiusa su Pisacane non voleva entrare in una questione di interpretazione storica, né alludere al finale gesto di Sapri, mirava completamente ad altro: a dire che soprattutto in una situazione così difficile bisogna fondarsi sulle proprie forze, guardare bene chi sta con chi, avere attenzione per gli interessi degli attuali “partiti d'azione” (per andare a Gramsci, prestare attenzione alle forze in campo ed al rischio di una “rivoluzione passiva”).
Non certo che non bisogna avere realismo
[17].