domenica 31 marzo 2019

VERONA: DUE MESSE IN SCENA di Fabrizio Marchi

[ 31 marzo 2019 ]

Voglio essere chiaro su un punto.

Non penso affatto che sia terribilmente e spregevolmente reazionario sostenere che un bambino o una bambina debbano essere cresciuti da un padre e da una madre. Penso anzi che queste polarità – maschile (paterno) e femminile (materno) – siano assolutamente naturali, né più e né meno di come lo è l’essere omosessuali.

Sostenere che un bambino o una bambina possano essere cresciuti indifferentemente da una coppia etero o da una gay o lesbica, significa oggettivamente sostenere che la polarità maschile-femminile non esiste, che è un mero costrutto culturale, come sostiene appunto la variante “genderista” del femminismo.


Questo non significa affatto (dovrebbe anche essere superfluo sottolinearlo ma questo è il clima che è stato costruito ad hoc che ci costringe, nostro malgrado, a queste ipocrite e penose, lo ammetto, chiarificazioni …) pensare che i gay, le lesbiche e tutte le atre persone dai più svariati orientamenti sessuali non siano in grado o adatti a crescere dei figli. Possono esserlo o non esserlo né più e né meno degli eterosessuali.

Sostenere infatti che i gay o le lesbiche in quanto tali non sarebbero adeguati ad allevare dei figli, sarebbe una posizione sessista e il sottoscritto sarebbe il primo a mobilitarsi contro quello che giudicherebbe – appunto – un inaccettabile pregiudizio sessista. Il punto, quindi, non è certo questo bensì stabilire – come dicevo – se maschile e femminile (come sostiene il femminismo nella sua versione genderista) siano due mere finzioni, un prodotto di condizionamenti culturali, oppure se siano (come io credo che siano) due polarità naturali, quindi appartenenti alla stessa dimensione ontologica (quella stessa a cui appartiene anche l’omosessualità…). Se così è non possiamo oggettivamente dire che è del tutto indifferente che un bambino o una bambina vengano cresciuti da una coppia etero oppure omosessuale, perché – e mi scuso per gli esempi banali ma credo efficaci – equivarrebbe a dire che l’acqua e la terra sono due costrutti culturali o che lo è l’aria che respiriamo, oppure che per crescere è sufficiente il latte e non la verdura (o viceversa) o le sole proteine senza le vitamine (o viceversa).

Trovo molto grave che su questi temi si sia creato un vero e proprio muro ideologico che impedisce un vero confronto dialettico. Un muro che fa sì che chiunque avanzi delle perplessità rispetto alla narrazione neoliberale femminista dominante in versione genderista, venga spinto nelle braccia di coloro che reazionari lo sono veramente.

La mia opinione è che anche e soprattutto in questa occasione (il Congresso di Verona sulla famiglia promosso dalla Lega) ci troviamo di fronte all’ennesima kermesse che oppone i cosiddetti “vetero conservatori” ai cosiddetti “progressisti”.

Da sempre conservatori e progressisti litigano o fingono di litigare sui diritti civili, sui matrimoni gay, sulla liberalizzazione della droga leggera, sull’aborto, sulla famiglia, sul femminismo (in quest’ultimo caso neanche tanto per la verità, perché la narrazione femminista è più o meno universalmente accettata, cambia solo il modo di interpretarla e di applicarla), cioè sulle questioni cosiddette “sovrastrutturali” ma suonano esattamente lo stesso identico spartito (con qualche diversa sfumatura) quando c’è in ballo la “struttura”, cioè l’economia, i rapporti di produzione capitalistici, le scelte di politica internazionale, la guerra (imperialista). Gli USA sono il classico esempio di quanto sto dicendo. Da sempre democratici e repubblicani si dividono appunto sui diritti civili, sullo spinello libero o le unioni gay ma nessuno dei due schieramenti mette di certo in discussione la struttura capitalista e imperialista del sistema americano, anzi, sono sempre uniti e compatti quando si tratta di fare la guerra a questo o a quel paese o stato “canaglia”. Più o meno la stessa identica cosa avviene ovunque, nel mondo occidentale (inteso non solo geograficamente).

Per tornare alle cose di casa nostra, la kermesse di Verona promossa dalla Lega e la controkermesse organizzata dalla “sinistra” sono entrambe interne a questa dinamica che ho appena spiegato. Se l’apparato mediatico non avesse suonato la grancassa, la kermesse leghista sarebbe passata più o meno sotto silenzio. Ma il silenzio non sarebbe stato funzionale all’obiettivo. E qual è l’obiettivo (non dichiarato, ovviamente…)?

Anche in questo caso facciamo un piccolo passo indietro. Centrodestra e centrosinistra – oggi, sostanzialmente, la Lega e il PD – si dividono sulla concezione della famiglia e sulle unioni gay ma hanno la stessa identica posizione sulla TAV (che non è solo la TAV ma un intero modello di sviluppo e di politiche economiche e industriali di cui la TAV è diventata un emblema…), sull’autonomia differenziata (anche l’Emilia Romagna targata PD fa parte, insieme al Veneto e alla Lombardia, del progetto secessionista…), sul Venezuela (appoggio totale da parte di entrambi alle politiche imperialiste degli USA e al fantoccio golpista Guaidò), sull’Ucraina (appoggio totale anche in questo caso al governo golpista di Kiev in funzione antirussa) e in fondo anche sull’UE, anche se la Lega mostra di avere una posizione più conflittuale perché legata all’asse Trump-Bolsonaro-Netanyahu mentre il PD è legato all’ala liberal obamiana e clintoniana (ma tanto alla fine è sempre il cosiddetto “deep state”, cioè lo stato profondo, a decidere e a fare il bello e il cattivo tempo negli USA, e quindi anche in Europa e in gran parte del mondo…).

Questi due schieramenti hanno visto incrinare il loro ruolo dalla comparsa sulla scena politica del terzo incomodo, il M5S, che in qualche modo si trova, pur nelle forme estremamente contraddittorie che ho più volte spiegato (non si tratta certo di una forza socialista o anticapitalista che del resto oggi non esiste…), a rappresentare delle istanze e delle domande sociali che tradotte in essere, cioè in atti politici concreti (vedi ad esempio la posizione del M5S sulla TAV e sul Venezuela e anche il reddito di cittadinanza che pur fra mille contraddizioni è la prima misura di ridistribuzione del reddito che finisca nelle tasche dei più poveri da decenni a questa parte), possono inceppare l’ingranaggio della macchina politica dominante. Come ho già spiegato in questo articolo le forze neoliberali e neoliberiste e la destra (anch’essa neoliberista) hanno interesse a cuocere a fuoco più o meno lento il M5S per tornare a quella tradizionale (finta) dialettica funzionale ad entrambe. E’ per questa ragione che l’apparato mediatico minimizza la convergenza di PD e Lega su questioni come la TAV e il Venezuela ed enfatizza invece lo scontro sul congresso di Verona. Questo è esattamente il ruolo dell’ideologia, in quanto falsa coscienza necessaria, e ovviamente dei media. Ed è per questo che anche oggi assisteremo alle due distinte parate delle truppe cammellate dell’uno e dell’altro schieramento l’un contro l’altro armati.


* Fonte: l'Interferenza

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sabato 30 marzo 2019

IL CONGRESSO DI VERONA

[ 30 marzo ]

Questa mattina sulle prime pagine dei giornali campeggia la notizia del  XIII Congresso Mondiale per la famiglia (WCF XIII), cominciato ieri a Verona — sostenuto dalla Lega salviniana e promosso dall’Organizzazione Internazionale per la Famiglia (International Organization for the Family, IOF), e relativa contro-manifestazione femminista e transfemminista.
Ci pare utile ripubblicare questo contributo.

*  *  *


NON UNA DI PIÙ 
di C. Res.




DESTRA REAZIONARIA


Non mi scandalizzo più di tanto per il gratuito patrocinio della provincia di Verona, della regione Veneto, sono invece indignata per quello offerto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. Sia Di Maio che Conte hanno preso le distanze, e allora perché hanno dato la copertura politica ad un meeting voluto in Italia dalla parte più reazionaria della Lega? 
Davvero pensano, dentro i cinque stelle, che il cerchiobottismo paghi?

I promotori affermano, contro la campagna mossagli contro dai media neoliberali, che «Il Congresso non è "contro" nessuno, ma vuol esprimere la bellezza della Famiglia!». Per abbindolare i cittadini fornisconoun'immagine ammiccante e tranquillizzante di sé stessi. Un classico del marketing, il prodotto si deve vendere!

Quello della difesa della famiglia, detto che non ho nulla contro la famiglia, è solo uno specchietto per le allodole per far passare ben altri contenuti. Non solo i promotori vogliono restaurare la famiglia di vecchio conio, patriarcale e autoritaria. Essi mettono assieme tutti i cascami del cristianesimo ultraconservatore (guarda caso non c'è il 
patrocinio né della Chiesa cattolica, né di nessun'altra Chiesa cristiana) allo scopo di lanciare una vera e propria crociata contro l'aborto, i diritti delle donne, dei gay e delle minoranze sessuali. Si tratta, insomma, della destra dura e pura, ripeto, non solo tradizionalista, ma dichiaratamente reazionaria.

Fermo restando il diritto a manifestare le loro opinioni, sarebbe necessaria una battaglia antagonistica allo scopo di contrastare questo movimento, per spiegare ai cittadini quanto certi loro valori etici e civili siano sbagliati.

LE TRANSFEMMINISTE SBAGLIANO


Ahimé la prima linea di questa battaglia è stata occupata dalla coalizione femminista e transfemminista di NON UNA DI MENO, che ha chiamato infatti alla mobilitazione, proprio a Verona, per boicottare l'evento in questione.

Nulla da eccepire se non fosse per la piattaforma politica e valoriale su cui la mobilitazione è stata indetta. Leggiamo nel testo che convoca la manifestazione di NON UNA DI MENO:
«Nella famiglia patriarcale eteronormata si produce e riproduce un modello sociale gerarchico e sessista: è il luogo dove si verificano la maggior parte delle violenze di genere ed è il dispositivo che riproduce la divisione sessuale del lavoro e dell’oppressione. Inoltre, la famiglia è uno strumento ideologico utilizzato per scopi razzisti, quando è utilizzato per sostenere la riproduzione dell’identità nazionale dalla pelle bianca. Per questo ribadiamo che la libertà di autodeterminazione delle donne e di tutte le soggettività LGBT*QI+non può prescindere dalla libertà di movimento delle e dei migranti. La violenza dei confini si esprime sui territori e sui corpi delle persone che li attraversano. (...) Il femminismo e il transfemminismo che abbiamo messo in campo vanno oltre le identità e le loro codificazioni, transitano negli spazi e nella società per creare nuove forme di lotta, procedono per relazioni più che per individuazioni e attraversano ogni aspetto di una mobilitazione che è globale. Con la nostra lotta abbiamo mostrato che sessismo, sfruttamento, razzismo, colonialismo, fondamentalismo politico e religioso, omo-lesbo-transfobia e fascismo sono legati e si sostengono l’uno con l’altro».

QUATTRO CRITICHE

Io non parteciperò alla contro-manifestazione indetta da NON UNA DI MENO. Non ci andrò per quattro  ragioni, sostanziali. 
La prima è che le transfemministe agiscono col più classico stile politico settario e maschile, ovvero non perdono occasione per mettere il loro cappello sul movimento femminista, malgrado siano una  piccola minoranza settaria del movimento delle donne. Faccio notare che ciò gli è consentito non solo dall'appoggio  dei poteri neoliberali politicamente corretti, ma pure da una sinistra scombussolata e codista che considera ogni critica a questo mostriciattolo transfemminista un tabù.
La seconda riguarda proprio l'apologia che il transfeminismo compie di idee, valori e pratiche sociali che nulla hanno di popolare e proletario, tantomeno di comunista. Esso infatti ricicla e rende potabili idee, valori e pratiche calate dall'alto, partorite dall'élite neoliberale, spacciate come progressiste ed emancipatore. 
La terza concerne l'autoreferenzialità delle transfemministe; esse sanno, anche se non lo dicono, che quella loro, per valori e pratiche, è una lotta che non attecchirà mai in mezzo al popolo e nemmeno tra la grande maggioranza delle donne. Il fatto è che a loro questa dimensione politica del problema non interessa affatto. 
La quarta infine è presto detta: per idee e metodi la contestazione delle transfemministe, come in un gioco di sponda, alimenta e rafforza le correnti della destra reazionaria, non solo quella che si ritroverà a Verona.

Non una di meno? No, non una di più»

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venerdì 29 marzo 2019

DOVE VA RIFONDAZIONE COMUNISTA? di D. Moro e F. Nobile

[ 29 marzo 2019 ]

Domenico Moro e Fabio Nobile sono due intellettuali di Rifondazione comunista.
Volentieri pubblichiamo come la pensano.


*  *  *


Europee: coazione a ripetere e dissolvimento della sinistra
di Domenico Moro, Fabio Nobile



Il contesto politico italiano appare significativamente modificato rispetto ad appena un anno fa. Secondo il sondaggio Emg Acqua per Agorà, se si votasse oggi, la Lega avrebbe il 31% dei voti contro il 17,4% delle elezioni politiche di un anno fa, mentre il M5s avrebbe il 23,4% contro il 32,7%. Il Pd appare in lieve risalita, dal 18,5% al 21%. I sondaggi non sono elezioni e possono sbagliare anche di alcuni punti percentuali. Tuttavia, è indiscutibile che il rapporto di forze tra Lega e M5s si sia ribaltato.

Il voto fuoriesce dal M5s sia verso destra sia verso sinistra, sia per le difficoltà del M5s a mantenere le promesse elettorali, sia per l’egemonia che, all’interno del governo, si è conquistato Salvini. Questi è stato molto abile a focalizzarsi su un tema a costo zero, gli immigrati, mentre il M5s è alle prese con temi complessi e difficili, come quello dello sviluppo economico. Il non aver fatto i conti con i vincoli europei, a dispetto delle promesse “sovraniste”, rende esigui i margini di manovra, ad esempio sul reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia del M5s. Tali limiti sono accentuati dall’impreparazione dei quadri del M5s e dal recente scandalo, che coinvolge il presidente del Consiglio comunale di Roma. Si tratta di un grave danno per il M5s che ha fondato la sua identità di partito sull’onestà e sulla critica morale alla “casta” dei politici.
Se quanto abbiamo detto è vero, allora la sinistra radicale dovrebbe e potrebbe intercettare almeno una parte del voto in uscita dal M5s, anche perché è verso il M5s che è andata molta parte del voto della sinistra radicale nell’ultimo decennio.[1] Invece, il rischio concreto è che la sinistra radicale non riesca in tale compito e che il voto in uscita dal M5s o vada all’astensionismo, in cui staziona molta parte delle classi subalterne, o rifluisca nel Pd.
Infatti, in concomitanza con il calo del M5s, è in atto un processo di rilancio del Pd, sostenuto dalla frazione più internazionalizzata ed europeista del capitale italiano e dai mass media che ne sono espressione. Nei fatti si tratta di una operazione di immagine, basata come al solito su una figura “nuova”, quella di Zingaretti. Il pericolo è che il nuovo Pd eserciti una attrazione centripeta non tanto nei confronti delle masse di lavoratori salariati, quanto nei confronti del ceto politico della sinistra radicale, che si illude di resuscitare la formula del centro-sinistra, già rivelatasi dannosa. Le leve ideologiche del Pd e il cemento di un eventuale centro-sinistra sarebbero quelle dell’antifascismo-antinazionalismo e dell’antirazzismo, in simmetrica antitesi con Salvini, lasciando intoccati i nodi dell’austerity e dei vincoli europei.
Rispetto a una tale evoluzione, la posizione del Prc e di quel che resta della sinistra radicale risulta, a nostro avviso, inadeguata. In primo luogo, si è arrivati a due mesi dalle elezioni prima di siglare un accordo tra alcune forze politiche. Soprattutto, si persiste nella classica tendenza a mettere davanti a tutto l’unità, nascondendo sotto il tappeto i problemi, cioè le differenze di orientamento generale. Eppure, le vicende degli ultimi dieci anni avrebbero dovuto far capire che non può esistere alcuna unità senza definire i principi e i contenuti sulla quale dovrebbe essere realizzata. Il documento approvato dall’ultimo Comitato politico nazionale (Cpn) del Prc ne è chiara dimostrazione. Ancora più chiara dimostrazione ne è il documento collettivo presentato pochi giorni dopo da Prc, Sinistra italiana (Si), Altra Europa, Transform, Partito del Sud, e Convergenza socialista.
La lista delle europee, secondo i due documenti, dovrebbe essere costituita sulla base di tre punti. Il primo è il contrasto alle politiche della Ue e “la rottura della gabbia neoliberista definita dei trattati”. Il secondo elenca una lunga serie di obiettivi, dalla riconversione ambientale al diritto al reddito, alla solidarietà con gli immigrati, ecc. È da notare che, nel documento collettivo, l’obiettivo riguardante “[il contrasto alla] militarizzazione della Ue e il superamento della Nato”, presente in quello votato dal Cpn del Prc, è stato sostituito da una più generica volontà di costruire l’Europa “sulla pace, il disarmo, la cooperazione internazionale”. Infine, il terzo punto è l’opposizione ai razzismi e ai nazionalismi.
Si tratta di punti radicali all’apparenza, ma in realtà molto fumosi e generici (e resi ancora più generici nel secondo documento), che non fuoriescono di una virgola da quanto detto da sempre. In primo luogo, non è chiaro cosa significhi rottura dei trattati. Significa forse disobbedienza e quindi sforamento dei limiti al deficit e al debito? È del tutto evidente che non è possibile alcuna “disobbedienza” se non si ha autonomia monetaria, cosa che implica necessariamente l’uscita dalla Ue e soprattutto dall’euro. Senza di questo, il suddetto lungo elenco di obiettivi è solo un elenco di bei propositi, visto che senza uscita dalla Ue e dall’euro non si possono neanche porre le basi per quegli investimenti pubblici necessari a creare posti di lavoro e a sostenere il welfare per italiani e immigrati. Il razzismo e il nazionalismo sono prodotti anche e soprattutto dell’austerity, implementata dall’integrazione economica e valutaria europea. Senza il superamento quest’ultima, qualsiasi impegno antirazzista e antinazionalista è debole. Inoltre, sarebbe bene precisare che in Italia prevale la frazione multinazionale del capitale e che il controllo da parte del capitale sulle decisioni economiche e sociali è oggi assicurato molto di più efficacemente dagli apparentemente “neutrali” organismi europei che da un assetto statuale di forma fascista.
Il nodo, che rimane inespresso, è se la Ue sia riformabile oppure no. In base ai tre punti del documento del Cpn sembrerebbe di sì. Secondo noi, la Ue non è riformabile, per la semplice ragione che, in base ai trattati europei, qualunque modifica va fatta all’unanimità. Inoltre, le politiche neoliberiste non sono accidentali, ma il necessario obiettivo su cui è stata modellata l’architettura dell’euro e della Ue. A questo proposito, c’è un altro punto importante, quello della coerenza delle alleanze e della continuità del percorso. Il maggiore partner della alleanza elettorale promossa dal Prc è Si. Quest’ultima, oltre a continuare a credere che la Ue sia il terreno sul quale si possano sviluppare democrazia e benessere (la genericità dei punti dei due documenti aiuta a tenere insieme posizioni tra loro diverse), ha da sempre fatto pratica di alleanze a geometria variabile. Infatti, si è legata, tutte le volte in cui è stato possibile, al Pd, cioè al partito che maggiormente ha rappresentato gli interessi della grande impresa e più si è fatto interprete della adesione ai vincoli europei. Anche alle recenti elezioni regionali, Si si è presentata con il Pd. È, quindi, legittimo aspettarsi che un cartello meramente elettorale, quale è quello che si prospetta, si scioglierà all’indomani delle elezioni, come avvenuto in tutte le occasioni precedenti. Ultima quella con Potere al popolo, all’indomani delle elezioni politiche del 2018. Non ha molto senso aver lasciato Pap, con cui ci si è presentati alle politiche, per seguire ora alle europee Si.
Per concludere, stante quanto abbiamo detto, quale spazio avrebbe un tale cartello elettoralistico, anche solo in termini di voto? Secondo noi molto piccolo. Il punto è che da dieci anni a questa parte non si riesce a presentare una proposta politica credibile, con cui accumulare forza e realizzare il radicamento nei posti di lavoro e nei territori. Ci si ritrova ripetutamente a ridosso delle elezioni a dover raffazzonare una lista in un’ottica di sopravvivenza e forzatamente politicista, con i risultati che abbiamo visto, cioè il dissolvimento progressivo di quanto esiste a sinistra del Pd. Il problema è quello che qui abbiamo cercato di spiegare: la coazione a ricercare una unità senza contenuti, fittizia e fragile. Sbagliare fa parte dell’esperienza di vita, ma continuare a sbattere la testa sempre contro lo stesso muro, dopo aver sperimentato più e più volte che non si ottiene nulla, è irragionevole. Crediamo che non si possa più continuare in questo modo e che sia necessario lavorare con metodi e finalità differenti.
* Fonte: LABORATORIO-21

ALITALIA: LA FINE O UN NUOVO INIZIO?

[ 29 marzo 2019 ]

Della importantissima vicenda Alitalia molte volte ci siamo occupati negli anni.
Una via crucis per la maestranze, una telenovela dalle infinte puntate (per la politica ed i media) che rischia di giungere molto presto alla fine, diciamo dopo le elezioni europee.

Ma come sarà l'epilogo? Tragico o bello?
Oggi il Corriere della Sera pubblica un'indagine molto dettagliata scoprendo l'acqua calda, ovvero che la compagnia di bandiera spende una montagna di soldi per il leasing degli aeromobili, per l'esattezza il 60% in più dei prezzi medi di mercato.

Ma torniamo alla questione di come si potrebbe concludere la saga.

L'altro ieri i commissari hanno lanciato una specie di ultimatum: "E' fondamentale che le Ferrovie prendano una decisione finale", in caso contrario ci sarà "la liquidazione
dell'azienda". Essi avvertono che ci sarà tempo fino a Pasqua per chiudere la trattativa, altrimenti ci sarebbero solo due strade: svendere la compagnia a Lufthansa (come preferirebbero il Ministero dell'Economia e certi ambienti della Lega) oppure la liquidazione. In altre parole, se ferrovie non conferma la sua disponibilità ad entrare nella compagnia, due modi di uccidere Alitalia.

Ferrovie e Delta — che insieme dovrebbero avere il 45% della nuova società, con l'apporto del Tesoro si arriva al 60% — sembra stiano cercando altri partner tra cui Fincantieri.
Inutile menare il can per l'aia, la decisione finale spetta al governo.
L'augurio è che prevalga la decisione di prendere in mano e rilanciare, con un serio piano d'investimenti, la compagnia. 
E' nelle mani del governo la facoltà di spingere Ferrovie a compiere il passo annunciato, coinvolgendo CdP e se serve anche Fincantieri.
Affidarsi a Lufthansa significherebbe tagli enormi ai livelli occupazionali e trasformare la compagnia in una rachitica succursale tedesca.

I lavoratori non possono restare inermi davanti a questo bivio. Dovrebbero mobilitarsi affinché il governo si decida perché Alitalia viva e diventi una grande compagnia a proprietà pubblica di trasporto aereo.

I Cinque stelle, per bocca dello stesso Di Maio, nel febbraio scorso, si erano impegnati per questa seconda opzione.

TENGANO FEDE A QUESTA LORO PROMESSA, IMPEDENDO A TRIA ED AGLI ESPONENTI PIU' NORDISTI DI LEGA, DI SVENDERE A LUFTHANSA!


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giovedì 28 marzo 2019

EUREXIT, ROMA 13 APRILE: ECCO CHI CI SARÀ


[ 28 marzo 2019 ]

EUREXIT
Quali strategie per la liberazione


Sabato 13 aprile – Roma Centro Congressi Cavour (via Cavour 50/a)
Registrazione obbligatoria: p101@programma101.org - tel: 328 92 09 449

* *  *


Ore 09:00 prima sessione

FRANCIA - I Gilet Gialli. Natura e Prospettive del Movimento




Michèle Dessenne
Gilet gialli Paris Saint Denis, presidente del Partito della Demondializzazione (PARDEM)






Joël Perichaud
Gilet gialli Val d’Oise, responsabile relazioni internazionali di PARDEM


SPAGNA: Crisi della Sovranità













Sergi Cutillas

economista, membro di Catalunya en Comu e Podem














Ramón Franquesa
professore di Economia mondiale all’università di Barcellona, membro della Piattaforma Salir del Euro














Diosdado Toledano
sindacalista, membro di Podemos, portavoce dell’associazione XARXA Socialismo 21



GRAN BRETAGNA: Corbyn e lo Psicodramma della Brexit


















Costas Lapavitsas
economista, fondatore di EReNSEP, ex parlamentare di SYRIZA



GRECIA: Un Disastro Storico e le Responsabilità di SYRIZA













Koutsianas Pantelis
portavoce di PAREMVASI e membro di Unità Popolare



Ore 14:30 seconda sessione

Tavola rotonda - LA SVOLTA POPULISTA: un Anno di Governo giallo-verde













Dino Greco
Membro del Comitato Politico Nazionale del PRC















Domenico Moro
Membro del Comitato Politico Nazionale del PRC
















Bruno Steri
Membro della Direzione Nazionale del P.C.I.















Leonardo Mazzei
Membro del Comitato centrale del MPL-P101



Ore 17:00 terza sessione

Tavola rotonda - EURO: per Quanto Tempo Ancora?
















Stefano Fassina
parlamentare, portavoce di Patri e Costituzione

















Sergio Cesaratto
economista

















Costas Lapavitsas
economista, fondatore di EReNSEP, ex parlamentare di SYRIZA















Thomas Fazi
membro di Senso Comune




Moreno Pasquinelli
Membro del Comitato centrale del MPL-P101


mercoledì 27 marzo 2019

NAZIONE E PATRIOTTISMO (repetita juvant) di Moreno Pasquinelli

[ 28 marzo 2019 ]

«La libertà di pensiero ce l'abbiamo. Adesso ci vorrebbe il pensiero».

Karl Kraus



Ci risiamo. 
La scassata armata Repubblica-Espresso-Micromega ritorna all'attacco contro il "rossobrunismo". Per la verità essa occupa la prima linea di un fronte ben più vasto che va da certa  sinistra ultras a giornaloni come CORRIERE DELLA SERA e LA STAMPA, passando per il manifesto e LEFT. Nel tempo abbiamo tentato di rubricare questo vero e proprio assedio. 
L'ultimo assalto anti-rosso-bruno, tra il patetico e l'implausibile, l'ha portato Micromega, con un articolo, L'Italia siamo noi. La sinistra e l'identità nazionale dello studioso Jacopo Custodi (l'ostentata erudizione non è garanzia per evitare bufale e fake news): dove se la prende con noi e con Fassina ed alcuni suoi amici.


Exclusionary vs. inclusionary


Del suddetto avevo avuto modo di leggere il suo saggio Populism, Left-wing Populism and Patriotism. A contribution to the theorization of Left-Populism, uno studio sui populismi di sinistra in America latina e quelli rinascenti in Europa — rigorosamente ed eslcusivamente nella lingua dell'Impero, come si esige nel mondo accademico. Un saggio tanto ponderoso
quanto nozionistico, come capita spesso agli esegeti di Ernesto Laclau e, soprattutto Chantal Mouffe i quali esegeti  finiscono, al netto dei funambolismi teorici, per ripetere a pappagallo, se non addirittura impoverire quanto già detto e scritto dai due controversi intellettuali.

Custodi ammette, in questo saggio, sulla scia di Laclau e Mouffe, che contro l'avanzata dei populismi di destra, ahinoi, la tradizionale narrazione marxista è impotente e che contro di essi si deve oppure il "populismo di sinistra". Un populismo di sinistra deve perciò riscoprire come positivi i concetti di nazione e di sovranità nazionale, e può utilizzare come arma politica il valore del patriottismo.

Fin qui nulla di male, come converranno i nostri più assidui lettori, che si chiederanno dunque come mai il nostro se la prenda con la sinistra patriottica italiana. Il fatto è che Custodi, restando intrappolato nella trama narrativa di Laclau e Mouffe ed accettando il loro fondamentale paradigma teorico, finisce per ingarbugliare il tutto, svuotando i concetti di popolo, nazione e patriottismo della loro sostanza storico-politica, quindi giungendo ad un'idea di patriottismo non solo lontanissima dalla nostra ma alquanto sbilenca e discordante rispetto a quella dello stesso Laclau. 

Un'idea di nazione e di patriottismo, quella di Custodi, del tutto simile, se non addirittura conforme, con quella del filosofo tedesco Jürgen Habermas, ovvero l'idea astratta e cosmopolitica della "cittadinanza costituzionale universalistica", concepita come antitesi alla nazione storica. Un pensiero, quello di Habermas pervasivo assai, avendo plasmato non solo le teste d'uovo della sinistra globalista di regime, ma pure quelle della sinistra radicale, per contaminare addirittura, nella forma sghemba di un "nuovo costituzionalismo europeo", amici come Stefano Fassina. Segno di una soggezione teorica difficile da superare.

Alla fine, del saggio di Custodi — sorvolando sulla sciocca vulgata liberale secondo cui "gli orrori del '900" sarebbero stati commessi dai nazionalismi, non già dagli imperialismi — tra le mani  rimane ben poco. Nulla viene aggiunto a quanto già sapevamo del populismo. E per quanto attiene all' opposizione ed alla differenza tra populismo di destra e di sinistra; il nostro si limita a segnalare che il primo tende ad escludere, il secondo ad includere. Nozione non solo superficiale ma deviante, quindi sbagliata, visto che di questi tempi l'egemonia fa premio ai populismi di destra, che evidentemente, in quanto maggioritari, riescono ad essere ben più inclusivi di quelli di sinistra. En passant: i modelli preferiti di populismo di sinistra sono per Custodi SYRIZA e Podemos...



Il paradigma teorico di Laclau


Qual è dunque il paradigma teorico di Laclau e Mouffe e che entrambi hanno posto come decisivo malgrado le loro fasi e le loro reciproche differenze? E' l'accettazione di uno degli enunciati peculiari di certo post-strutturalismo (e post-modernismo), per cui, contro ogni pretesa ontologica, contro ogni idea che supponga l'esistenza di universali o fondamenti ultimi, si afferma che nulla avrebbe più sostanza o essenza, né tantomeno valore storico-oggettivo. Tutto sarebbe mero discorso, forma simbolica, narrazione linguistica.
Ernesto Laclau e Chantal Mouffe
Filosoficamente parlando una forma radicale di nominalismo o, più precisamente, di arbitrarismo ockahamiano. Ma non ci complichiamo la vita.


Se all'inizio del suo tragitto Laclau utilizzava questo paradigma per contrastare l'economicismo ed il determinismo dei certo marxismo ossificato —per cui il socialismo sarebbe stato un parto dello sviluppo capitalistico ed il soggetto politico non sarebbe che un'ostetrica che a cui era affidato il compito di  assecondare la venuta alla luce del nascituro —, strada facendo è diventato una forma estrema di soggettivismo politico élitista, per cui tutto verrebbe a dipendere dall'élite politica, dalla sua capacità di costruire, ex nihilo, il popolo e la nazione. Non ci sono, nel paesaggio di Laclau e Mouffe, leggi economiche e sociali sistemiche obiettive —tra cui quella marxiana di Valore —, nemmeno di ultima istanza, né classi sociali oggettive. 

Conflitti, cambiamenti politici e rotture sistemiche sarebbero frutto della mera contingenza, figlie di circostanze imprevedibili, della fusione tra istanze eterogenee e movimenti non solo diversi ma addirittura asimmetrici. Spetta all'élite populista, anzi, al leader populista (Laclau non a caso prende ad esempio Peron) il compito di utilizzare le circostanze e di convogliare le diverse e disparate rivendicazioni parziali come anelli di una medesima "catena equivalenziale", entro un medesimo orizzonte. La qual cosa, più prosaicamente e per venire a noi, significa ad esempio, per il populismo di matrice leghista "prima gli italiani", ovvero indirizzare il malcontento e la protesta contro chi sta in basso, per quello a cinque stelle indirizzarla contro chi sta in alto, "la casta". Qui Laclau, distorcendo non poco il pensiero di Gramsci, cala l'asso dell'egemonia, e prende di nuovo a modello di pratica egemonica il peronismo, un ectoplasma tentacolare che riuscì a contenere al suo interno di tutto e di più, da certa sinistra guerrigliera socialista alla destra nazionalista. 

La nazione e il patriottismo


Veniamo dunque a quanto asserisce Custodi nel pezzo su Micromega. Il nostro, dopo aver preso atto che assistiamo alla "rinascita dell'uso politico della nazione" e ad una "ristrutturazione dello spazio politico che in parte trascende la dicotomia destra-sinistra" e che rimette al centro l'identità nazionale (come si può negare che ci sono il giorno e la notta?), spara la cannonata:

«Esiste all’interno della sinistra una corrente minoritaria ma in crescita che cerca di coniugare il patriottismo italiano con alcuni valori tradizionali della sinistra. È il cosiddetto ‘rossobrunismo’, un’area politica eterogenea e di varie gradazioni, che va da organizzazioni quali Patria e Costituzione, Rinascita! e Movimento Popolare di Liberazione (P101), fino a personaggi come Diego Fusaro. È il rossobrunismo italiano un esempio di questa possibilità di reimmaginare la nazione di cui ho parlato finora? Assolutamente no. Per una ragione molto semplice: perché nel rossobrunismo non c’è reimmaginazione, non c’è sfida controegemonica, ma vi è piuttosto un’interiorizzazione dei valori e dei significati che l’identità nazionale assume all’interno della destra italiana».
Poteva essere una critica, è invece, con lo stigma del rossobrunismo, una condanna all'ostracismo, un dagli all'untore. La qual cosa, beninteso, qualifica chi lancia l'accusa, accusa che ha al centro il concetto di "reimmiginazione". Noi "rossobruni" non
"reimmaginiamo" la nazione ma difenderemmo la stessa idea di certa destra. Non siamo all'insinuazione che prenderemmo in prestito dal fascismo l'idea di nazione, ma ci siamo vicini. Ovviamente non è così e per dimostrarlo è bene sottolineare quale sia l'idea di nazione del nostro. 


Per Custodi, cito, "Le nazioni in quanto "entità concrete" semplicemente non esistono e non hanno alcun contenuto politico fisso e predeterminato, sono comunità immaginate"; mentre "l'identità nazionale è sempre congiunturale e mai predeterminata". Come si vede non si fa che applicare in modo pappagallesco uno dei concetti del post-strutturalismo: nulla è davvero storico-concreto, reale, ma frutto di immaginazione discorsiva.

Invece le nazioni sono prodotti reali, hanno radici storiche, territoriali, politiche, culturali, ideali, linguistiche, emozionali ed anche — scandalo dei politicamente corretti — etniche. Custodi vorrebbe far credere all'ignaro lettore che noi, dal momento che consideriamo anche il fattore etnico, difenderemmo il mito romantico del Blut und Boden (Sangue e suolo), quindi la concezione etnicistica della nazione del movimento völkisch tedesco.

Per supportare la sua accusa e per sostenere che "Nè la comunanza etnica o linguistica, né l'esistenza di tradizioni o culture condivise reggono davanti all'indagine storica", egli porta l'esempio di
«nazioni come la Svizzera o il Belgio che hanno varie lingue ufficiali, altre come il Brasile o gli Stati Uniti sono un crogiuolo di etnie diverse»
per giungere al luogo comune che
«La cultura piemontese ricorda più quella francese che quella siciliana. Cos'hanno in comune Trento e Napoli?».
Un distillato di scempiaggini. Il nostro non s'avvede, quando cita i casi di stati-nazione multietnici o multinazionali, che fa rientrare dalla finestra proprio la concezione etnicistica della nazione, ovvero che questi non sarebbero vere nazioni in quanto sono un "crogiuolo (guarda caso: melting pot) di etnie diverse". Spunta fuori quindi l'idea del movimento völkisch tedesco, per cui solo quello tedesco sarebbe un popolo etnicamente e linguisticamente incontaminato" quindi la sola vera nazione.
Che forse gli stati federali come Svizzera, Regno Unito o Russia non sarebbero nazioni? Che forse quei popoli, a dispetto delle differenze entiche e linguistiche non si sentono parte della medesima comunità storico-nazionale? Andateglielo a chiedere. La nazione, questo ci dice la storia, è quasi sempre una concrezione di più ethnos, ovvero è costruzione comune di un demos  in cui diversi ethnos si sono fatti nazione e coabitano in modo solidaristico. Un unico demos, ove sia democratico e non annessionistico, può quindi includere una pluralità di ethnos. Entro questa dialettica si può comprendere quel che affermò Ernest Renan, che "la nazione è un plebiscito di tutti i giorni".

Patriottismo disarmato


La tesi del nostro, sul solco di Habermas piuttosto che su quello di Laclau,
visto che le nazioni non esistono e sono solo costruzioni immaginarie, "consistono in un sistema condiviso di norme e leggi". 

Stiano dunque attenti Fassina ed i compagni attorno a lui raccolti. Essi —quando non addirittura alludono all'assurdità del "patriottismo europeo", altri "mediterraneo" —, nel comprensibile tentativo di smarcarsi dal nazionalismo di matrice fascista, annessionistico e imperialistico, sostengono che il loro patriottismo è tutto e solo politico, cioè esclusivamente fondato sui "valori" della lealtà verso la Costituzione repubblicana. Un patriottismo fiacco, disarmato, che non ha né potenza politica né alcuna forza egemonica ed emozionale, basato su una tesi semplicistica e minimalistica della nazione, e coloro che la sostengono rischiano non volendo di diventare satelliti della sinistra anti-nazionale e globalista.

Chiediamo: se il patriottismo italiano legittimo sia solo quello basato sulla lealtà alla Carta costituzionale, che dire dei Pisacane, dei Garibaldi e dei Mazzini? Per non parlare del Machiavelli. Che dire delle decine di migliaia di volontari che morirono sui campi di battaglia in nome dell'Italia? Avevano forse essi una Costituzione su cui giurare e immolare le loro vite? No, non l'avevano, morirono per fare dell'Italia una nazione democratica e popolare, ovvero lottarono per avviare uno storico processo costituente. Essi furono sconfitti e fu grave onta della sinistra italiana, in nome di un malinteso internazionalismo, lasciare la loro memoria all'insorgente fascismo.

Colpa che fu espiata dalla resistenza italiana, dai combattenti che senza attendere direttive dall'alto, nel settembre 1943, salirono in montagna e si diedero alla lotta armata per un sentimento patriottico e civile contro lo sfascio dello Stato nazionale e per riscattare la dignità della Patria. Chiediamo: non era forse il loro patriottismo legittimo e sacrosanto? Eh certo che lo era, malgrado la Costituzione fosse di la da venire, ed anzi la lotta poteva anche non sfociare nella Repubblica democratica. 

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