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martedì 12 novembre 2019

SALVINI: "DRAGHI? WHY NOT?" di Sandokan

[ martedì 12 novembre 2019 ]

Giorni addietro, commentando la richiesta di Salvini di ripristinare lo "scudo penale" per i manager di Arcelor Mittal, lo definivo IL SOVRANISTA DI SUA MAESTA'.

Le cose accadute negli ultimi giorni mi pare lo confermino.

Che l'immunità penale in caso di non rispetto dei vincoli ambientali (come nell'accordo sottoscritto col governo) fosse un pretesto, è mostrato con ogni evidenza dal fatto che ora la multinazionale "per non andarsene" annuncia un taglio drastico della produzione con tanto di dimezzamento degli addetti. 

Un ricatto che fa tremare il governo e che sta smascherando tutti i politicanti neoliberisti, tra questi il Salvini. Chi non è accecato dal neoliberismo sa che la nazionalizzazione dell'impianto siderurgico è la sola soluzione fattibile. Contro questa soluzione si sono subito schierati tutti i neoliberisti: la Confindustria ovviamente, il Ministro dell'economia, renziani, il Pd e quindi Matteo Salvini. Tutti concordi che lo Stato non deve impicciarsi, che deve lasciare mano libera all'impresa. Tutti concordi nel rispettare il divieto europeo ad "aiuti di Stato". E Salvini rincara la dose perorando, da perfetto montiano che "invece di creare ostacoli il governo deve favorire gli investimenti di aziende estere". Viva quindi la globalizzazione, viva il libero scorazzare dei capitali, viva il liberoscambismo!

E fin qui eravamo alla torta. Ci mancava la ciliegina e Salvini non ce l'ha fatta mancare.

Il 6 novembre scorso, ospite del cyborg Mario Giordano (trasmissione "Fuori dal coro" di rete 4), alla domanda secca del conduttore: 
«Mario Draghi prossimo presidente della Repubblica?". E il leader della Lega risponde senza esitazioni: "Why not? Diamoci un tocco di inglese"». 
Salvini insomma vede bene l'ex presidente della Banca centrale europea al Quirinale dopo Sergio Mattarella. 

Altro che fuori dal coro! Salvini ha conquistato un posto di prima fila nel folto gruppo di voci bianche che da settimane sta perorando l'ascesa di Draghi al Quirinale.

Il Salvini che tuonava fuoco e fiamme contro Draghi e la Bce è solo un pallido ricordo.

Cosa non si fa per salire al governo... e non cambiare nulla.








mercoledì 30 ottobre 2019

CHE RIVOLUZIONE ABBIAMO ALLE PORTE? di Piemme

[ mercoledì 30 ottobre 2019 ]

"Degno erede dei padri fondatoriȓ", "l'uomo che tiene alto il sogno europeo", "Colui che ha salvato l'euro".

"C'è molto di più", scrive tuttavia Repubblicanella cerimonia svoltasi a Francoforte con cui Draghi ha lasciato il testimone alla Lagarde.

Sì, c'è molto di più.

La cerimonia, presenti tutti i primi ministri ed capi di stato dell'Unione è stata la più plastica raffigurazione di cosa essa sia: una confederazione slabbrata di regni e feudi il cui principale collante è la moneta unica, di qui la figura del banchiere centrale come reale imperatore. 

Spesso, per raffigurare il sistema neoliberista globale e individuare i membri della sua cupola pensante e strategica, si è ricorsi all'analogia storica con la Chiesa cattolica durante il Medioevo. Un nuovo clero si è scritto spesso, un ordine sacerdotale, con in cima una vera e propria curia. La cerimonia dell'altri ieri è stato infatti come un vero e proprio conclave, l'adunanza solenne con cui cardinali scelgono il Papa. Il super-banchiere non solo come imperatore, ma Papa allo stesso tempo, anzi uno stregone dai poteri straordinari e salvifici poiché in grado di padroneggiare le facoltà magiche di quel mistero che è la moneta.

Ciò che accade, detto per inciso, anzitutto nell'Unione europea, a dimostrazione che quest'ultima, del sistema neoliberista globale rappresenta la sua più avanzata depravazione bancocratica e finanziarista. A dimostrazione di una specie di circolare "eterno ritorno", di una ripetizione di ciò che l'Europa ha già vissuto. Più il capitalismo avanza, ovviamente in nome del progresso, più esso sembra invece condannato a ricalcare un ordine politico e di classe piramidale di tipo feudale.


Io non so se si attagli a questa configurazione destinale la categoria di "capitalismo assoluto". Quale che sia il nome che vogliamo dare all'ordine di cose esistenti, una cosa è chiara, esso non è solo post-democratico, esso è per sua natura anti-democratico.

Qui ci spieghiamo le fortissime spinte popolari e "sovraniste" che si fanno largo in Occidente e soprattutto dentro l'Unione europea. A dispetto del colore politico che esse assumono, la loro sostanza è intimamente democratica.

La rotta di collisione tra quest'ordine neo-feudale e le spinte "sovraniste" dei popoli è ineluttabile. Quale potrà essere l'esito di questa collisione? Sarà una rivoluzione popolare che come uno tsunami spazzerà via l'ordine di cose esistenti e con esso la sua onnipotente casta clericale di bancocrati.

Un nuovo 1789 più che un altro 1917.
Nessun dorma.



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venerdì 25 ottobre 2019

SALVINI E IL SORRISETTO BEFFARDO DI DRAGHI di Leonardo Mazzei

[ sabato 26 ottobre 2019]



Questa mattina, in quel di Pescara, inizia l'annuale kermesse di A/SIMMETRIE, ovvero la cerimonia con cui Alberto Bagnai chiama a raccolta fedeli, chierici, gregari, quindi studenti e insegnanti affamati di crediti per dare spessore al loro curriculumQuale sarà ora la narrazione del nostro dopo il grande patatrac del governo giallo-verde e il voltafaccia di Salvini? Per farsene un'idea non serve andare in pellegrinaggio, basta leggere il programma. La parola magica è decommissioning. Un lemma che in inglese sta per disattivazione, disarmo, dismissione. Decommissioning globalism, deflation, european semester, potential output, banking union.... 
Se si voleva una prova provata che la giravolta della Lega sull'euro non è solo una paraculata, l'abbiamo in queste contorsioni pescaresi. Avendo il "grande" capo affermato che l'euro è irreversibile, di necessità si deve fare virtù. L'uscita dall'euro è rimpiazzata dalla "disattivazione", il sovranismo dall'altreuropeismo. E voi che pensavate che l'opportunismo allignasse solo a sinistra.


*  *  *

Il dietrofront di Salvini e l'imbarazzo dei suoi economisti




Nell'ultima conferenza stampa in qualità di uomo-euro, Mario Draghi ha così festeggiato le recenti retromarce di M5s e Lega sulla moneta unica: «Everybody in Italy says today that the euro is irreversible». Dunque «oggi in Italia tutti dicono che l'euro è irreversibile», laddove con quel "tutti" Draghi ha inteso riferirsi in primo luogo alle recenti dichiarazioni di Matteo Salvini.
Per togliere ogni incertezza ha infatti aggiunto che: «I dubbi ipotetici che c’erano in una parte della governance dell’Italia ora non ci sono più». E, per chi proprio non avesse capito, il solerte Corsera ci informa come la frase sulla "irreversibilità" sia stata pronunciata «sorridendo e certamente pensando a Matteo Salvini».



Ora, è chiaro come Draghi  abbia voluto strafare — anche secondo le statistiche di Eurostat l'Italia resta il paese più euroscettico dell'Unione — ma certamente ha colto il punto: la normalizzazione di M5s e della Lega. Ovviamente, come ogni normalizzazione, anche questa non può essere totale. Sia nei Cinque Stelle che, soprattutto, nel partito salviniano restano dunque settori sovranisti tuttora convinti della necessità di uscire dall'euro.

Ma, si sa, quel conta è la linea espressa dai gruppi dirigenti, ed essa non lascia spazio a dubbi. Tanti sono dunque i sovranisti delusi e spiazzati. Se nei Cinque Stelle si preferisce parlar d'altro, nella Lega si ricorre alla solita narrazione consolatoria, quella secondo cui il fine dell'uscita non sarebbe cambiato; cambiata sarebbe solo la comunicazione, adesso tesa a dissimulare quell'obiettivo.

Questa storiella è davvero avvincente. Ed ha il vantaggio di non poter mai essere smentita. Tu cominci a rinunciare ai tuoi obiettivi? Niente paura, è solo un modo per disorientare l'avversario, non facendogli conoscere le tue reali intenzioni. Tu finisci, via via, per assumere le posizioni del nemico? Perfetto, vuol dire che siamo vicini all'obiettivo! E più si rinnega quel che eravamo (o dicevamo di essere) e più si è vicini alla vittoria. Talmente vicini che non ci si arriva mai... E non arrivandoci chi potrà mai smentire la bontà di questa dissimulazione?

Un esempio di come funzioni questo meccanismo ci viene dalla storia del Partito comunista italiano (Pci). Negli anni settanta del secolo scorso questo partito operò una serie di svolte piuttosto pesanti, tutte presentate però ad una certa parte della base come semplici espedienti tattici. Proponiamo il "compromesso storico" con la Democrazia Cristiana (1973), ma solo per batterla meglio. Accettiamo apertamente la Nato (1976), ma al fondo restiamo filo-sovietici coi baffi. Diciamo sì alla politica dei sacrifici (governi Andreotti 1976-79 - svolta sindacale dell'Eur 1978), ma è solo perché la classe operaia deve ormai farsi Stato. Eccetera, eccetera, eccetera. Insomma, arretriamo di continuo, ma lo facciamo in nome della rivoluzione. Peccato che al posto della rivoluzione arrivò invece la Bolognina e lo scioglimento del Pci: chissà perché...

Naturalmente, come già detto, la narrazione di cui sopra riguardava solo ed esclusivamente una certa parte della base. Una parte via via sempre più minoritaria. L'altra, unitamente ai gruppi dirigenti ai vari livelli, ben sapeva dove si stava andando. E lo approvava. Ma chi lo sapeva ancora meglio era la classe dominante dell'epoca, tant'è che con la Seconda repubblica il personale politico ex-Pci (si pensi all'orrida figura di Napolitano) sarà quello prescelto da lorsignori per far digerire ogni porcata neoliberista al popolo lavoratore.

Ora, i paragoni storici valgono quel che valgono, ma — mutatis mutandis — ho l'impressione che qualcosa del genere stia accadendo a quella parte della Lega che crede davvero alla battaglia per la sovranità nazionale e che dovrebbe adesso digerire la salviniana irreversibilità dell'euro come stratagemma, pensate un po', per arrivare all'uscita dall'euro. Caspita, che furbi! Chissà perché non ci avevano pensato finora!

Non so se questa favoletta verrà propinata in questo fine settimana, nell'annuale raduno pescarese organizzato da Bagnai. Probabile che si aggiri il tema parlando d'altro, un po' come quando nel Pci gli intellettuali organizzavano dotti convegni su Gramsci, proprio mentre la dirigenza politica si adattava sempre più al pensiero unico neoliberista. Insomma, un modo come un altro per tenere ancora in piedi una commedia ormai scaduta di livello.

Agli inizi di settembre mi ero permesso di rivolgere a Bagnai dodici domande. La dodicesima di queste domande, così riassumeva la questione: 
«Alla luce di quanto abbiamo visto finora, non è che nella Lega le posizioni di Bagnai sono state sonoramente battute?».
Ovviamente, ma questo era scontato, quelle domande non hanno avuto risposta alcuna dall'interessato. Adesso però, dopo l'uscita salviniana di metà ottobre, una risposta ce la dà Mario Draghi. Il quale sulla normalizzazione dell'Italia si illude (o finge di farlo), ma su quella della Lega salviniana sa quel che dice. Canta vittoria e nessuno gli replica, qualcosa vorrà pure dire.


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martedì 1 ottobre 2019

MASCALZONI SI NASCE? di Piemme

[ martedì 1 ottobre 2019 ]

E' di ieri la notizia che in Grecia gli ospedali hanno cessato di curare i malati di tumore perché non dispongono più, a causa dei tagli alla sanità imposti dalla Ue (e applicati dal governo di Tsipras), dei farmaci chemioterapici.

Non finisce dunque, contrariamente a quanto certi media affermano, la tragedia che subisce da 9 anni il popolo greco, essa anzi continua crudele.

Ce ne darà testimonianza la delegazione greca che sarà presente a Roma alla manifestazione del 12 ottobre, manifestazione che dunque esprimerà la sua incondizionata solidarietà al popolo greco.


Alla luce di questa ultima sconvolgente notizia risalta l' intervista di Draghi al Financial Times l'altro ieri. 

Importante intervista per diverse ragioni ma noi ne segnaliamo cinque.

(1) Egli ribadisce (l'aveva infatti detto in diverse occasioni) che l'eurozona era davvero sull'orlo del collasso nel biennio 2010-11, (cosiddetta "crisi dei debiti sovrani") culminato con il cataclisma della Grecia, che avrebbe trascinato nel vortice Italia, Spagna e Portogallo. Qui ovviamente si mette la medaglia per aver evitato questo collasso con la politica monetaria "accomodante". 

(2) A conferma della frattura nei piani alti dell'Unione del panico che serpeggiava, Draghi ricorda poi che c'era chi era determinato a buttar fuori la Grecia dalla zona euro. Capifila della fronda i falchi ordoliberisti tedeschi, in testa il presidente della BundesBank Weidmann e l'ex-ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble ("let Greece to go"), seguiti a ruota da olandesi, finlandesi ed altri coriacei satelliti di Berlino. Draghi confessa di aver detto ai falchi: «I said, ‘look, if you want to push Greece out of the euro, then you do it, don’t use the ECB to do it’». L'ha avuta vinta per un soffio...

(3) Draghi si mette quindi una seconda medaglia, affermando che malgrado il "prezzo terribile" pagato dalla Grecia, il Paese è uscito dal tunnel grazie alla riforme strutturali adottate, ciò che è stato indispensabile per salvare l'eurozona. Uscito dal tunnel? Sarà vero per gli squali della finanza speculativa e i nuovi feudatari del regime bancocratico che ci han guadagnato, non certo per i cittadini.


(4) Ecco dunque che Draghi canta vittoria, sostenendo che "i sovranisti, e i nemici dell'euro sono stati sconfitti. Hanno perso la battaglia per l'euro in Grecia e hanno perso le recenti elezioni per il parlamento europeo". 

(5) Questa esultanza collide tuttavia con l'ultimo ammonimento di Draghi, quello per cui se i paesi dell'eurozona non di decidono al grande passo dell'Unione fiscale e di politiche di bilancio comuni, il destino della moneta unica resta appeso ad un filo. Draghi parla apertamente di "persistente fragilità dell'eurozona", una fragilità che viene messa a dura prova dalla crisi dei dazi animata da Trump, e che potrebbe rivelarsi fatale in caso di nuova recessione globale.

Draghi se ne va (dalla Bce) ma i problemi genetici della moneta unica restano...



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mercoledì 19 giugno 2019

LA MICIDIALE TRAPPOLA DI DRAGHI di Piemme

[ mercoledì 19 giugno 2019 ]


Il giornale cattolico Avvenire fa una buona sintesi del discorso di Mario Draghi ieri in Portogallo. Gli euristi e gli speculatori finanziari (si legge "borse") esultano: "la Bce taglierà i tassi — quindi ancora denaro a gratis alle banche — e quasi sicuro una ripresa del cosiddetto "Quantitative easing" (Qe). Trump invece si è infuriato, accusando la Bce (ne ha ben donde) di continuare a svalutare l'euro rispetto al dollaro, così da dare una mano al capitalismo mercantilista europeo, anzitutto tedesco. Ma di questo aspetto, e delle sue possibili implicazione nelle relazioni Usa-Ue, ne parleremo magari un'altra volta.

Vorremmo invece parlare delle conseguenze dirette che la mossa (tutta politica) di Draghi e della Bce hanno e potranno avere sul braccio di ferro in corso tra Roma e Bruxelles.


Il mito del Quantitative easing


Prima permetteteci di tornare sul cosiddetto programma di stimolo monetario "Quantitative easing". Quando in pompa magna fu avviato nel marzo 2015  — dopo il fallimento clamoroso del "LTRO", le operazioni di rifinanziamento a lungo termine nel novembre della bce avviato nel 2011 —, venne presentato, dagli economisti ordoliberisti, come una panacea, come una miracolosa terapia che avrebbe fatto uscire la zona euro dalle secche della stagnazione e dal famigerato "credit crunch", la penuria di liquidità. va ricordato In effetti di liquidità dalla Bce ne pioverà in abbondanza, ma irrorò solo la sfera bancaria e finanziaria e se arrivò alle aziende (giammai ai cittadini!) toccò solo, quelle grandi e votate all'export

Fummo allora tra i pochi a contestare la vulgata per cui il Qe sarebbe stato il miracolo, quindi a destituire di fondamento la leggenda di "Super Mario". Lo facemmo con un primo articolo del novembre 2014 (non appena il Qe fu annunciato. E, facili profeti, ecco quanto dicevamo:
«Siamo alle solite! Gli euro-liberisti si illudono che con "una semplice innovazione finanziaria" riusciranno a rilanciare il ciclo economico. Tradiscono così la loro adesione ella teoria quantitativa della moneta, per cui viene presa in considerazione una funzione della moneta, quella di "intermediazione degli scambi". Non entra in testa, ai seguaci della setta, malgrado gli insegnamenti della storia e le evidenze empiriche, ciò che sottolineò Marx, che la moneta, essendo anche denaro, ovvero "rappresentante della ricchezza generale", nelle fasi in cui l'economia capitalistica si inceppa, quando i profitti del settore industriale decrescono, esso può essere "tesaurizzato", trattenuto come "tesoro" o utilizzato speculativamente nei circuiti finanziari-bancario».
Tornammo poi sulla questione con un articolo di Leonardo Mazzei del gennaio 2015, e nel giugno dello stesso anno già potevamo tirare un primo bilancio, mostrando dove davvero andavano a finire i quattrini della Bce.

Chiusa la parentesi torniamo a noi. Abbiamo posto la domanda su quali conseguenze avrà la mossa di Draghi sul braccio di ferro in corso tra Roma e Bruxelles. I giornaloni questa mattina cantano lodi sperticate di "Super Mario santo subito!", sostenendo che la sua mossa è un "aiutone" all'Italia, che cioè servirà a disinnescare la mina della "procedura d'infrazione".

Sarà vero? No, è falso!


E' anzitutto un aiuto al partito di Mattarella in seno al governo (quindi al tandem Tria-Conte), quindi un fendente per indebolire, alle porte del negoziato con la Commissione, l'ala dura del governo, quella salviniana in primis. Perché? Ma è semplice, si tenta di togliere a Salvini e Di Maio l'argomento per cui Bruxelles e Francoforte sarebbero (come in effetti sono) avversari del nostro Paese, che non è vero che hanno puntato una pistola alla tempia dell'Italia. La mossa di Draghi è quindi tutta politica, simbolica e ideologica: si è travestita la mano armata sotto le mentite spoglie della mano tesa. Come in un gioco di prestigio, la pistola scompare e appare una colomba.

Una trappola quindi, quella di Draghi: da una parte si promette di adottare misure per tenere sotto controllo il debito pubblico e calmo lo spread, dall'altra, ove il governo non addivenisse a più miti consigli, ove non accettasse politiche austeritarie, la minaccia di devastanti ritorsioni. Ed infatti Draghi ha lanciato l'avviso:
«I Paesi ad alto debito, bassa crescita e con scarsa capacità di spesa devono aumentare il potenziale con le riforme e gli investimenti pubblici rispettando le regole europee».
Chi ha orecchie per intendere intenda. Roma è avvisata. Vanno rispettate "le regole europee", altrimenti procedura d'infrazione e sanzioni. Quindi taglio della spesa pubblica orientata a sostenere le classi popolari, no al rilancio la domanda interna e quindi manco a parlarne di aumentare salari e pensioni o di abbassare le tasse. Spending review a gogò, rigore nei conti pubblici, austerità. E ovviamente non vi azzardate a emettere MiniBoT.

In vista del finale di partita della prossimaLegge di bilancio, il primo round lo abbiamo col negoziato sulla procedura d'infrazione con la Commissione che inizia domani. Vedremo come andrà a finire. Basterà all'euro-germania che Roma raccimoli qualche miliardo (anzitutto dalla differenza tra la spesa prevista per RdC e Quota 100) per evitare la cosiddetta "manovra aggiuntiva"? Seconda domanda: Tria e Conte, ubbidiranno alla maggioranza giallo-verde o a Mattarella —che ieri ha messo in guardia che si deve ubbidire allo straniero punto e basta? Quindi la terza domanda: che succederà nel governo ove Tria e Conte tornassero a Roma con un accordo capestro?


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domenica 24 febbraio 2019

LA SOVRANITÀ SECONDO DRAGHI di Piemme

[ 24 febbraio 2019 ]



Quando si viene insigniti di una laurea honoris causa — come accaduto a Mario Draghi giorni addietro a Bologna — si tende, per giustificare il riconoscimento, ad ostentare retoricamente la propria erudizione. Di norma simili cerimonie sono condannate a passare del tutto inosservate.

Non è il caso di quella che ha avuto per protagonista Draghi il cui discorso merita invece di essere segnalato perché il Nostro ha esposto, addirittura in maniera programmatica, la visione del mondo sua e della consorteria turbo-capitalistica di cui fa parte.

Al centro del panegirico di Draghi l’apologia più radicale della globalizzazione, quindi la difesa dell’Unione europea, del mercato unico e dell’euro:

«L'Unione europea è stata un successo economico perché ha offerto l'ambiente in cui le energie dei suoi cittadini hanno prodotto una prosperità diffusa e durevole fondata sul mercato unico e protetta dalla moneta unica. Gli ultimi dieci anni hanno messo drammaticamente in luce carenze delle politiche nazionali e la necessità di evoluzione nella cooperazione all'interno dell'Unione europea e al suo esterno».
Tanto più convinta, questa difesa, date le “frizioni tra le grandi potenze” e la — per il Nostro sciagurata — spinta neoprotezionistica che viene dagli Stati Uniti trumpiani.

Draghi non ha solo condannato la tendenza generale che vede gli stati nazionali tornare al centro della scena, ha riconosciuto che questa tendenza rischia di sfasciare l’Unione europea. Non ci sono tuttavia dubbi su quale debba essere la terapia:

«Non ci devono essere equivoci: questo adattamento dovrà essere profondo, quanto lo sono i fenomeni che hanno rivelato la fragilità dell'ordine esistente e vasto quanto lo sono le dimensioni di un ordine geopolitico che va cambiando in senso non favorevole all'Europa».
Dove quindi “adattamento” è da intendersi come avanti tutta verso un’Unione ancor più compatta e rafforzata che tolga agli stati le loro ultime prerogative sovrane, che andrebbero trasferite ad organi decisionali sovra-nazionali, quali la Bce di cui è a capo, poiché, nel mondo totalmente interconnesso, non ci sarebbe scampo per nessun paese se non per grandi imperi, quali appunto sarebbe una Ue rafforzata.

E qui veniamo al centro geometrico del suo discorso:

«In un mondo globalizzato tutti i paesi per essere sovrani devono cooperare. E ciò è ancor più necessario per i paesi appartenenti all'Unione europea. La cooperazione, proteggendo gli Stati nazionali dalle pressioni esterne, rende più efficaci le sue politiche interne. (…) Nel mondo di oggi le interconnessioni tecnologiche, finanziarie, commerciali sono così potenti che solo gli Stati più grandi riescono a essere indipendenti e sovrani al tempo stesso, e neppure interamente. Per la maggior parte degli altri Stati nazionali, fra cui i paesi europei, indipendenza e sovranità non coincidono. L'Unione europea è la costruzione istituzionale che in molte aree ha permesso agli Stati membri di essere sovrani. È una sovranità condivisa, preferibile a una inesistente. È una sovranità complementare a quella esercitata dai singoli Stati nazionali in altre aree. È una sovranità che piace agli Europei».
Ergo: oggigiorno nessuno Stato nazionale che voglia restare dentro la sfera della globalizzazione, per quanto formalmente indipendente, può dirsi effettivamente sovrano.

E’ vera questa tesi? Sì, è vera, ma a patto che sia valida la premessa, cioè che uno Stato voglia restare imprigionato nella gabbia dorata della globalizzazione, cioè essere subalterno alla logica ed alle leggi dei mercati che com’è evidente non si autoregolano affatto ma ubbidiscono ai dettami ed agli interessi di potentissimi conglomerati finanziari globali.

Falsa, questa tesi, ove, al contrario, uno Stato decida di sganciarsi dalla globalizzazione e scegliere una sua propria strada, un suo proprio modello sociale, essendo che proprio in questo consiste la sovranità di un Paese: mettere al primo posto il benessere, la qualità della vita e la dignità dei propri cittadini, quindi proteggersi con ogni mezzo da chi la minaccia.

Traspare poi, dal discorso di Draghi, il concetto più caro ai neoliberisti, quello antidemocratico per antonomasia per cui sovrano, in ultima istanza, dev’essere il mercato, giammai il popolo, considerato un ostacolo alla supremazia predatoria del capitale.

Ma il difetto del discorso di Draghi, detto che non può sputare sul piatto dove mangia, sta proprio nel manico. Egli prende atto che la globalizzazione traballa e che l’Unione europea rischia di lasciarci le penne, ma da per assodato che questa ne uscirà, come nuovo impero, più forte. Si tratta, com’è evidente, del più classico atto di fede, e non a caso egli ha concluso la sua prolusione citando una frase di Benedetto XVI.

Per cui la domanda resta: quale sarà l’assetto geopolitico del mondo ove la sua distopia imperiale non si realizzasse? Ove la globalizzazione sia al tramonto e l’Unione destinata a collassare su sé stessa?


La risposta a noi pare una sola: gli stati nazionali tenderanno a riguadagnare la loro sovranità politica, e ciò sarà vero anzitutto in Europa.


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giovedì 28 dicembre 2017

DRAGHI: IL DIAVOLO FA LE PENTOLE.... di Pasquinelli Moreno

[ 28 dicembre 2017 ]

"L'Europa cresce (tutta) e il merito è suo".
Con questo titolone Corriere Economia ha stabilito che Mario Draghi è "l'uomo dell'anno"
L'editoriale di Danilo Staino è tutto un panegirico volto a giustificare il titolone, che se l'economia europea è tornata ad espandersi, gran parte del merito è della politica monetaria "accomodante" adottata dalla Bce.

Vero o falso? Falso! 

Non che il cosiddetto Quantitative easing non abbia avuto una grande importanza. Ciò che è vero è che l'acquisto da parte della Bce di 80 miliardi al mese di titoli (oggi ridotti a 60 e da gennaio a 30), avendo evitato il default sul debito pubblico dell'Italia, ha di fatto salvato l'Eurozona dal collasso. Ma da qui a dire che l'economia della Unione europea è in "crescita" è grazie al miracolo di Draghi, ce ne corre. 
E qui dobbiamo  segnalare che quando Draghi, nel luglio 2012 pronunciò la fatidica frase "Whatever it takes", la Federal Reserve americana e le principali banche centrali, avevano già avviato, e su larga scala, politiche monetarie "accomodanti". Per dire che la "svolta" monetaria della Bce, era un passo obbligato per tenere testa ai principali competitori mondiali — se i tuoi concorrenti portano il tasso d'interesse a zero essi stanno di fatto svalutando la loro moneta con ciò rendendo più competitive le loro merci rispetto alle tue. Iniziava infatti, con quelle svalutazioni monetarie, quella che venne denominata "guerra delle valute".

Se le economie europee conoscono oggi un modesto tasso di "crescita" medio del 2% (quello italiano resta tuttavia al di sotto) è anzitutto dovuto a due fattori, il primo esogeno e il secondo endogeno. 

Per quanto concerne il fattore esogeno sarà utile segnalare la complessiva "crescita" mondiale — per i Paesi Ocse si è attestata nel 2017 sul 3,5%, ma per Cina e India addirittura al 7%. 
Per quanto concerne il fattore endogeno si registra una maggiore competitività delle merci targate Ue, dovuta a sua volta, prima ancora che ad un aumento della produttività, alle severe politiche di contenimento salariale. 

E qui vale infatti ricordare che la Bce vincolò i suoi acquisti di titoli di debito pubblico alle cosiddette "riforme strutturali" —vedi la lettera della Bce al governo italiano del 5 agosto 2011 che spianò la strada a Monti con le sue misure di massacro sociale, che il governo Renzi porterà a compimento col Jobs act.

Dal punto di vista della "crescita", insomma, l'effetto del Quantitive easing della Bce è stato secondario, se non addirittura trascurabile. A questo occorre aggiungere che la politica monetaria espansiva della Bce ha sostanzialmente fallito quello che, in punto di dottrina (della teoria quantitativa della moneta: secondo cui i prezzi generali dei beni sono direttamente proporzionali alla quantità di moneta in circolazione) doveva essere il suo principale obbiettivo: vincere la deflazione dei prezzi. 
Nella Ue l'inflazione sembra infatti attestarsi nel 2017 all' 1,5% (la Bce prevedeva
l'1,6%), mentre per il 2018, sempre secondo stime della Bce, scenderà addirittura all'1,3% (la stima era dell'1,7%). Da notare che questo lieve aumento dei prezzi non è dovuto ad una crescita dei consumi interni alla Ue ma anzitutto all'aumento di prezzo delle materie prime, in prima fila del petrolio, e dei metalli preziosi. Brutto segno, quello dell'inflazione che non riparte, significa che la "ripresina" è debole e che al primo stormir di foglie potrebbe rovesciarsi in una nuova recessione.

Il timore di una recessione in arrivo potrebbe manifestarsi in una nuova tempesta finanziaria. Già si parla infatti che nel 2018 potrebbe esplodere la "super-bolla" e se ciò accadesse è facile immaginare quali disastrose conseguenze avrebbe per l'economia mondo. Vedi gli effetti devastanti che ebbe la crisi finanziaria USA del 2007-08. 

E qui veniamo agli "effetti collaterali" delle politiche di Quantitive easing, al diavolo che fa le pentole, ma non i coperchi.

Solo le tre maggiori banche centrali (Fed, Bce e Boj) hanno immesso dal 2008 una liquidità pari a 10mila miliardi di dollari. Com'è noto quest'enorme liquidità è finita in gran parte nel circuito delle bische borsistiche e della finanza speculativa. Siamo al punto che la capitalizzazione delle borse ha superato il Pil mondiale. Come ricordava Vito Lops 
«I mercati azionari sono reduci da nove anni consecutivi di rialzi. Il dato spaventa un po’ gli amanti delle statistiche perché ricordano che di solito i cicli positivi durano otto anni, dopodiché i rischi di una correzione (anche importante) aumentano». 
Dove "rischi di correzione" è un eufemismo per significare, appunto, l'inevitabilità dello scoppio della bolla speculativa. Anzi super-bolla. Il problema non è se ma quando questo avverrà: nei mercati finanziari l'impatto del crollo dei prezzi dei titoli è di norma direttamente proporzionale all'altezza raggiunta dalla curva dei rendimenti nella sua massima ascesa.

Torneremo presto, con uno studio specifico, sul rischio di una super-bolla finanziaria globale.

Mi sia permesso, per completare il quadro, di sottolineare che il rischio della super-bolla finanziaria è accentuato dal pessimo stato di salute del sistema bancario. Sappiamo che quello italiano, zavorrato dai crediti deteriorati o Non performing loans-Npl — che secondo lo studio di Bankitalia ammontano a 349 miliardi di euro — è minacciato dalle nuove direttive capestro emesse recentemente dalla Bce. Ma gli Npl sono poca cosa, anzi niente, rispetto alla montagna di titoli tossici in pancia alle banche mondiali, europee comprese. Come ci dice Morya Longo sul Sole 24 Ore di oggi, 28 dicembre, un recente calcolo di Bankitalia afferma nei bilanci delle banche della Ue ci sono la bellezza di 6.800 miliardi (quattro volte il Pil italiano) di titoli "illiquidi", tossici insomma.

Morya Longo segnala infine, giustamente i due pesi e le due misure adottate dalla Bce. A regole estremamente stringenti per le banche italiane gravate dai crediti deteriorati lassismo verso le banche tedesche e francesi, le quali detengono nei loro bilanci i tre quarti di tutti i titoli tossici presenti in Europa, ciò malgrado le banche di questi due Paesi abbiano solo il 50% degli attivi totali del continente.

Un'altra prova di un'Unione europea matrigna, e di una Bce asservita ai potentissimi e fortemente intrecciati fra loro conglomerati bancari tedesco e francese. E quindi, signori del Corrierone: altro che Mario Draghi  "salvatore della Patria"...





















lunedì 13 novembre 2017

SE BERLUSCONI DICE: "DRAGHI NON SI TOCCA!" di Piemme

[ 13 novembre 2017 ]

«Non è, quello di Berlusconi, un cristiano perdono. E' il gesto simbolico di chi è obbligato ad ostentare il proprio stato di vassallaggio. C'è un rango nella gerarchia dei poteri in quest'Europa bancocratica a trazione tedesca, e quello del Nostro è il ruolo dello scudiero».

Si fa un gran parlare, con le elezioni alle porte, del "ritorno" in campo, come protagonista, di Silvio Berlusconi. 
In verità, il Cavaliere, dalla scena non c'era mai uscito, per la semplice ragione che i poteri forti eurocratici non hanno mai davvero voluto che ne uscisse.
Che Berlusconi fosse un fidato uomo di regime, la sua seconda gamba visto che la prima è il Pd, venne dimostrato platealmente nel novembre 2011 quando, dopo essere stato malamente defenestrato, votò la fiducia al Governo Monti.
Berlusconi sapeva benissimo che quella Fiducia gli sarebbe costata cara —vedi il tracollo elettorale nelle elezioni del febbraio 2013—, ma era il dazio che doveva pagare per dimostrare alla cupola sistemica la sua fedeltà. E' un segreto di Pulcinella che solo grazie ad una volontaria trasfusione di sangue (non solo Verdini) l'attuale legislatura è giunta alla sua conclusione naturale. 

Missione compiuta: evitate le elezioni anticipate. Con la fava berlusconiana la cupola sistemica ha quindi ottenuto due piccioni: mentre è stata scongiurata la minaccia di un'ulteriore avanzata dei Cinque stelle; concesso il ruolo di finta opposizione sul lato destro dello schieramento sistemico, Forza Italia ha così evitato lo sfondamento della Lega salviniana.

Il tutto in nome del primo comandamento: sbarrare la strada ai populismi.

E qui veniamo all'oggi, alla funzione di Berlusconi in vista delle prossime elezioni. Dato che il Pd è in discesa libera in quanto a consensi e potrebbe perdere le elezioni, Forza Italia deve agire come ruota di scorta e assicurare, per nome e per conto delle oligarchie euriste, la continuità dell'azione governo. Affinché Berlusconi possa effettivamente funzionare come la polizza vita del regime è stata infatti concepita la nuova legge elettorale.

Per tranquillizzare i poteri forti che non devono temere l'alleanza col populismo salviniano, Berlusconi ha compiuto un nuovo, eclatante atto di fede. Nella scomposta e potenzialmente esplosiva rissa sulle torbide vicende bancarie —esemplare lo scontro tra Bankitalia e Consob— Matteo Renzi, pur di sponda, ha tirato in ballo il ruolo di Mario Draghi in occasione della madre di tutte le crisi bancarie: l'acquisizione da parte di MPS di Antonveneta.

Chi si aspettava che Berlusconi avrebbe preso la palla al balzo per rinfacciare ai banchieri ed ai politici di area piddina (del tempo) le loro pesantissime responsabilità, si è sbagliato di grosso... Il Berlusca è invece sceso in campo come alfiere del governatore della Bce.
Lo ha fatto ieri con un'intervista al Quotidiano Nazionale —vedi foto sopra.
Ma ascoltiamo cosa dice Berlusconi:
D. Presidente Berlusconi, che opinione si è fatto dello scontro su Bankitalia?
R.«Vedo un tentativo di usare la questione banche a scopi elettorali, da diverse parti. Non è così che si dovrebbe trattare un tema tanto delicato, una vicenda che ha messo a rischio e in tanti casi ha danneggiato o distrutto i risparmi degli italiani. Gettare la colpa in modo indiscriminato sul sistema bancario, o su Bankitalia, o sulla Consob non soltanto è sbagliato, ma non serve a capire chi sono i veri responsabili, né a punirli. Io credo che la responsabilità sia sempre personale: come da un lato non ho mai condiviso il tentativo d’inchiodare i vertici del Pd a responsabilità che – se esistono – riguardano loro familiari, così non condivido l’idea di mettere sotto processo il sistema bancario perché alcuni singoli banchieri hanno operato male o hanno truffato i clienti. A maggior ragione questo vale nei confronti della Banca d’Italia: se qualcuno ha commesso degli errori, li si esamini, senza incolpare i vertici in modo generico».
D. L’ex governatore di Bankitalia nonché presidente della Bce, Mario Draghi, è sembrato in qualche momento nel mirino. Qual è il suo giudizio su di lui? Lo vedrebbe ancora bene come presidente del Consiglio in Italia?
R. «Coinvolgere Draghi è davvero da irresponsabili. È l’uomo che con le sue politiche ha contribuito a stabilizzare l’economia italiana e probabilmente ha salvato l’euro in questi anni. Ero riuscito a portarlo alla presidenza della Bce con un mio forte impegno personale. Peraltro avevo citato il suo nome non per candidarlo, non lo avrei certamente fatto senza consultarlo, ma per fare un esempio, per indicare un profilo adatto a guidare l’Italia. A quanto mi risulta Draghi non ha alcuna intenzione di lasciare il suo mandato a Francoforte».
A noi viene in mente la famigerata lettera inviata al governo Berlusconi il 5 agosto del 2011 dal presidente Jean Claude Trichet e dal futuro numero uno dell'Eurotower, Mario Draghi. Un vero e proprio ultimatum che annunciava la congiura dello spread e quindi il "colpo di Stato" con cui, nel novembre successivo, lo stesso Berlusconi venne spodestato.

Non è, quello di Berlusconi, un cristiano perdono. E' il gesto simbolico di chi è obbligato ad ostentare il proprio stato di vassallaggio. C'è un rango nella gerarchia dei poteri in quest'Europa bancocratica a trazione tedesca, e quello del Nostro è il ruolo dello scudiero.

martedì 23 maggio 2017

L'USCITA DALL'EURO È UN MEZZO, NON UN FINE di Marco Zanni

[ 23 maggio 2017 ]

«Ieri [17 maggio 2017, Ndr] in aula a Strasburgo, su iniziativa del gruppo ECR e dell'ottimo collega tedesco prof. Starbatty, si è dibattuto sui poteri della BCE, sulle sue prerogative e sul dogma dell'indipendenza della banca centrale. Ovviamente i rappresentanti dell'establishment hanno plaudito a Draghi e hanno difeso questo dogma anti-democratico. Io sono intervenuto a nome del mio gruppo, e nel poco tempo a disposizione ho cercato di smascherare questa criminale credenza che sta alla base della restaurazione liberista occorsa in Italia e in Europa a partire dalla fine degli anni '70.

Il dogma della banca centrale indipendente è una delle più grandi truffe perpetrata dall'establishment ai danni dei cittadini. Non solo è un concetto incompatibile con la democrazia sostanziale (perché mai dovremmo lasciare un potere così immenso nelle mani di burocrati non eletti da nessuno e al riparo dal processo elettorale, per perseguire tra l'altro un obiettivo fasullo e senza senso come il folle contenimento dell'inflazione con uno strumento che ha poco a che fare con la dinamica dei prezzi?), ma è anche basato su un falso storico-scientifico. Ci hanno fatto credere che la politica monetaria non poteva più essere gestita dai politici, che volevano solo stampare moneta e finanziare a deficit le loro spese folli, ma doveva essere gestita da tecnici "al riparo dal processo elettorale" (Monti dixit), che essendo illuminati dal Divino, avrebbero contenuto l'inflazione smettendo di stampare moneta a piacimento.

Questa è una grande truffa, perché la scienza e l'evidenza empirica (la BCE ha stampato migliaia di miliardi di euro e l'inflazione è rimasta al palo) hanno dimostrato che l'inflazione non dipende dalla moneta stampata, ma dalla domanda di beni, cioè dalla moneta spesa.

Quanto è costato questo scherzetto ai cittadini italiani? Con la separazione tra Bankitalia e Tesoro avvenuta nel 1981 il nostro debito pubblico è stato messo in mano ai mercati, i quali non sono un'entità astratta, ma operatori concreti che vogliono solo massimizzare il loro profitto; e caspita se lo hanno massimizzato!! 

Hanno incassato lauti interessi sottoscrivendo il debito pubblico italiano, che dal 1981 è schizzato in rapporto al PIL, proprio a causa dell'aumento vertiginoso della spesa a servizio del debito. Questi maggiori interessi li abbiamo pagati noi cittadini, vedendo spazzati via i diritti e le tutele che la Costituzione ci garantiva: da lì inizia l'austerità, con la compressione della spesa pubblica e con in seguito i record di avanzi primari di bilancio. E con Maastricht e l'Eurozona, dove l'indipendenza della BCE e il divieto di finanziamento monetario dei deficit sono sanciti a lettere di fuoco nei Trattati, la situazione è solo che peggiorata. Ricordate le letterine di Draghi e Trichet al Governo per dirgli quello che doveva fare? Ricordate la Grecia e l'Irlanda? Questi sono solo alcuni esempi.

Ecco perché quando parlo di uscita dall'euro, dico che si tratta di un mezzo e non di un fine, di condizione necessaria ma non sufficiente: perché anche se usciamo dall'euro senza ripristinare alcune tutele fondamentali, il destino non sarà migliore di ora. E la riforma principe sarà per forza l'abolizione del dogma della banca centrale indipendente e il ripristino della possibilità di finanziamento monetario per i deficit di bilancio».

* Fonte: Marco Zanni



mercoledì 8 febbraio 2017

IL DIO EURO E DRAGHI L'ANTICRISTO di Moreno Pasquinelli

[ 8 febbraio ]

«La moneta unica è irrevocabile. La questione dell’uscita non è contemplata dal Trattato»

Il 24 gennaio scorso davamo conto della notizia lanciata da Reuter, ovvero di questa affermazione di Mario Draghi : «Se un paese dovesse lasciare l’Eurosistema, i crediti o le passività della sua banca centrale nazionale verso la BCE dovrebbero essere risolti in toto». Notizia rilevantissima poiché, pur minacciando rappresaglia e sfracelli, [1] Draghi, per la prima volta, si lasciò scappare il concetto che dall'eurozona, com'è ovvio, si possa uscire. 
"Altolà! Ho detto una cazzata!".
Questo il senso della rettifica compiuta da Draghi il 5 febbraio davanti al comitato Affari economici e monetari del Parlamento europeo. Ecco le parole testuali: "La mia risposta era una risposta a una domanda tecnica basata su assunzioni non previste dal trattato. L’euro è irrevocabile".
Rimosso il lapsus Draghi ha quindi ribadito ciò che affermò il 7 maggio 2015: «L' Euro è irreversibile. L’uscita non è prevista dai trattati». [Vedi titolo de Il Sole del 8 maggio 2015 qui sotto ]

Mi pare evidente che Draghi, con una fava, abbia inteso prendere due piccioni, abbia cioè risposto sia al consigliere per il commercio di Donal Trump —“L’euro è un marco travestito con cui sfrutta Usa e Ue”—, sia all'ellittico discorso della Merkel  al vertice di Malta del 3 febbraio, nel quale, apertis verbis, la cancelliera ha aperto all'ipotesi dell'Unione a due velocità — Draghi: “è un concetto ancora da sviluppare, una visione appena abbozzata su cui non sono in grado di esprimere alcun commento, almeno al momento”.

Vale invece soffermarsi sul concetto secondo cui l'euro sarebbe "irrevocabile", un aggettivo categorico che fa il paio con quello di "irreversibile" usato nel 2015.

Vi sono qui due piani del discorso, il primo, di carattere giuridico, il secondo, di carattere filosofico.

 Fumus boni iuris

Per quanto afferisce al piano giuridico il concetto di "irrevocabilità" della moneta unica è non solo arbitrario ma del tutto infondato. L'euro è infatti entrato in vigore con un Trattato internazionale, quello di Maastricht del 7 febbraio 1992. Cos'è un Trattato? In generale esso consiste "nell'incontro delle volontà di due o più Stati sovrani diretti a disciplinare rapporti intercorrenti tra essi". In particolare quello di Maastricht contemplava profonde cessioni di sovranità degli stati aderenti ad organismi sovranazionali, nel caso dell'euro, tra l'altro, consegnando ad una banca centrale indipendente la potestà dell'emissione monetaria.

Alla domanda: può uno Stato sottrarsi agli obblighi previsti da un trattato precedentemente sottoscritto? Certo che sì. Uno Stato può recedere da qualsivoglia trattato multilaterale dichiarandone unilateralmente la nullità. Lo diciamo noi? No, lo dice la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del maggio 1969, sottoscritta da tutti i paesi del mondo —dall'Italia ratificata il 25 luglio 1974 ed entrata in vigore il 27 gennaio 1980. [2]

Non occorre dunque ricorrere a Carl Schmitt ed al suo postulato sullo "Stato d'eccezione" per destituire di ogni fondamento razionale il principio della cosiddetta "irreversibilità" di un trattato e per affermare il principio giuridico, universalmente riconosciuto (e valido erga omnes almeno fino a quando esisteranno stati nazionali) che uno Stato sovrano può recedere da un trattato internazionale.
Draghi afferma quindi che "La questione dell’uscita non è contemplata dal Trattato". Un giurista risponderebbe che si tratta del più classico caso di fumus boni iuris, di un principio che di buon diritto ha solo la parvenza. Vale la pena ricordare al Draghi  lo stesso Art. 50 del Tratto di Lisbona che,  per quanto farraginoso, contempla il "recesso"dall'Unione europea —vedi la Brexit.

Teologia dell'euro

Il secondo piano del discorso è squisitamente filosofico, anzi teologico.

A chi, infatti l'uomo ha consegnato la facoltà di decisioni irrevocabili e irreversibili? Risposta: a Dio, e solo a Lui in quanto solo Essere onnipotente e onnisciente, quindi davvero sovrano. Per le religioni monoteiste solo Dio infatti, nella sua onniscienza, non può sbagliare alcuna mossa, che se la sbagliasse non sarebbe onnisciente.
In questo consegnare a Dio il potere dell'infallibilità, c'è l'idea opposta, che le decisioni umane siano fallibili, in quanto tali revocabili e reversibili ove si dimostrassero sbagliate.

E' di tutta evidenza il carattere teologico del discorso del banchiere Mario Draghi, il Dio essendo il denaro-euro, la sua banca centrale essendo la nuova Chiesa, e lui medesimo Papa, in quanto tale detenendo la qualità dell'infallibilità —conferitagli in questo caso, non dall'essere successore di Pietro, ma dalla casta ierocratica dei banchieri che l'ha elevato a quella sua funzione.

E dato che abbiamo sollevato l'analogia, come non notare che il Papa Draghi, mentre fa il cattolico, sembra adottare la teologia luterana del Dio orologiaio per cui, messo in moto il meccanismo, questo è destinato a procedere in modo automatico ed invariante. Di qui l'irreversibilità di un meccanismo che per sua natura non può mai girare all'indietro.

Come si sa cattolici e protestanti, fatte salve le differenze, accettano il medesimo credo Niceno e si riconoscono nello stessi dogmi religiosi, tra cui quello fondamentale dell'incarnazione del Figlio di Dio, di qui il suo culto in quanto mediatore tra il padre e gli uomini.

Ecco, nel mondo capitalistico, tanto più in quello iper-finanziarizzato dell'oggi, non Gesù di Nazareth viene considerato il mediatore col divino, il signore del mondo, bensì, appunto, il denaro, la cui qualità metafisica trascende quella di mera moneta. 
Marx aveva intuito quale profonda trasformazione avesse subito il denaro nella società capitalistica:
«Il denaro, in quanto possiede la proprietà di comprar tutto, di appropriarsi di tutti gli oggetti, è dunque l' oggetto in senso eminente. L'universalità della sua proprietà costituisce l'onnipotenza del suo essere, esso è considerato, quindi come ente onnipotente...Il denaro, questa astrazione vuota ed estraniata della proprietà, è stato fatto signore del mondo». [3] 
Ecco quindi la funzione teurgica di banchieri come Draghi. Essi, essendo i creatori del denaro dal nulla, non solo presiedono in quanto sacerdoti alla liturgia della transustanziazione, attestando quindi la presenza del divino nel magico pezzo di carta; essi soltanto hanno la capacità di interpretare i simboli misterici del Dio denaro, rendendoli propizi e benefici.


Fossimo credenti dovremmo dire che in verità qui siamo in presenza di Satana, o meglio dell'anticristo il quale, sotto le spoglie del divino, è invece, per antonomasia, il nemico più crudele dell'umanità. Fatto sta che i popoli europei, a cominciare —forse non a caso— da quello greco, ne stanno facendo le spese. Il Dio-euro si sta rivelando il Molok, e Francoforte la sua Geenna. [4]


NOTE 

[1] Il numero uno dell’Eurotower rispondendo agli europarlamentari M5S Marco Valli e Marco Zanni, aveva spiegato che, in caso di uscita della Penisola dall’euro, la Banca d’Italia, in base al sistema Target 2, dovrebbe rimborsare crediti e passività nei confronti dell’eurosistema per un totale di circa 357 miliardi. 

[2] In particolare la Parte IV, sezione 1: “Nullità, estinzione e sospensione dell’applicazione dei trattati. Disposizioni generali”.  La Sezione 2 "Nullità dei trattati". La Sezione 3 "Estinzione dei trattati e sospensione della loro applicazione"

[3]  K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844

[4] Molok era ritenuto dai cananei un dio, la sua sede del culto era Geenna. Gli venivano tributati sacrifici umani di bambini, che, dopo essere stati sgozzati, erano bruciati in olocausto in un fuoco tenuto costantemente acceso in suo onore. Col tempo Molok divenne il nome del rituale durante il quale venivano bruciati bambini (forse i figli primogeniti), probabilmente con la convinzione di trasformarli in una specie di divinità protettrice della famiglia cui appartenevano.

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