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sabato 15 giugno 2019

LA SINISTRA PATRIOTTICA E IL GOVERNO M5S-LEGA di P101

[ 16 giugno 2019 ]

AD UN ANNO DI DISTANZA

Il 1 luglio del 2018 si svolse la Terza Assemblea nazionale di Programma 101. Essa si svolgeva a distanza di soli tre mesi dalla precedente (10-11 marzo).  
La Seconda, preso atto del terremoto elettorale del 4 marzo, stabilito che il Paese era entrato in una nuova fase politica, approvava due documenti importanti: «SOVRANITÀ E SOVRANISMI: SI CHIUDE UN CICLO» e le «TESI PER UNA SINISTRA PATRIOTTICA». 
La nascita, il 1 giugno 2018 del governo giallo-verde, le sue prime mosse, mentre confermavano la diagnosi ci obbligavano non solo a precisare l'analisi ma a dare un giudizio del nuovo governo, indicando quindi quali dovessero essere i nostri compiti. Un anno è passato e forse è utile rileggere quanto dicevamo e quanto prevedevamo....

*  *  *

RISOLUZIONE SULLA FASE E I COMPITI DI PROGRAMMA 101


(1) NUOVO PERIODO


La vittoria del NO al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 dev’essere considerata una data spartiacque: con la crisi dell’egemonia dell’élite neoliberista è stata affondata la “seconda repubblica”, nata all’insegna della sudditanza ai poteri oligarchici euro-tedeschi. L’Italia, colpita pesantemente dalla grande crisi economica, entrava in un periodo ad alta instabilità politica, istituzionale e sociale.

(2) I TRE MOTIVI DI UNA VITTORIA


Il terremoto elettorale del 4 marzo 2018, segnato dalla pesante sconfitta del blocco dominante e dalla affermazione dei “populisti” del Movimento 5 Stelle e della Lega di Salvini confermava la correttezza di questa diagnosi. Molteplici, addirittura contraddittori, i motivi che hanno contribuito alla vittoria di queste due forze. Tre essenzialmente: da una parte la richiesta di porre fine alle crudeli politiche austeritarie; dall’altra che lo Stato si prenda carico della richiesta di sicurezza e protezione contro il crescente degrado del tessuto sociale; quindi il desiderio di porre fine allo stato di umiliante soggezione della nazione.

(3) IL DILEMMA DEL GOVERNO


Il governo M5S-Lega, sorto malgrado i disperati tentativi dell’élite di impedirlo, non può non tenere conto della spinta popolare che sola lo sorregge. Il nuovo governo è ben consapevole che questa spinta conduce gioco-forza in rotta di collisione con i poteri oligarchici europei e la grande borghesia italiana. Esso non avrà vita facile, è anzi costretto a navigare nelle acque agitate tra Scilla e Cariddi ed è già posto davanti al dilemma se andare incontro alle istanze popolari o essere travolto dalla rivincita del blocco eurista il quale, pur avendo perso la postazione del governo, tiene ben salde tutte le altre.

(4) DA CHE PARTE STARE


Abbiamo detto, e confermiamo, che l’eventuale venire meno del governo al mandato affidatogli dagli elettori, il suo naufragio sarebbe un disastro per il popolo lavoratore, non solo quello italiano. I poteri forti lavorano infatti alacremente per rovesciare il “governo populista” così da confermare il dogma T.I.N.A., che non ci sarebbe alcuna alternativa possibile al loro predominio. In queste condizioni non solo non è auspicabile la caduta di questo governo, occorre stare al suo fianco ove ingaggiasse la battaglia per liberare il Paese dalla gabbia eurocratica ponendo fine alle politiche austeritarie che ne impediscono la rinascita. E’ questo il caso del “Decreto dignità”, la cui pur modestissima portata segna tuttavia una inversione di marcia rispetto alla precarizzazione selvaggia del lavoro che viene avanti dagli anni ’90.

(5) NEL CAMPO POPULISTA


In questo concreto contesto è nel “campo populista” che occorre stare. Fuori da questo campo c’è solo quello del blocco dominante. Ma c’è modo e modo di “stare”. Sarebbe un errore fatale assumere una posizione di indulgente accondiscendenza verso il governo M5s-Lega. Esso va incalzato a realizzare le cose giuste che ha promesso di fare, va contrastato ove cercasse una linea di galleggiamento e di remissività verso le élite dominanti.

(6) IL BANCO DI PROVA


Diverse e concatenate sono le questioni sul tappeto, ma tra loro c’è una gerarchia, un evidente ordine di priorità. Le élite globaliste, in un gioco di specchi con Matteo Salvini, tentano di fare della questione migratoria il terreno fondamentale di scontro. E' un trucco che non può reggere a lungo. In verità la natura e le sorti del governo si decideranno invece sul tema delle misure economiche e sociali. A settembre il governo dovrà presentare il DEF, che descrive le politiche macroeconomiche, e quindi, entro metà ottobre, sottoporre al Parlamento la Legge di Bilancio.

(7) TRE STRADE


Tre sono in questo concreto contesto le strade possibili. La prima, la meno auspicabile, è che il governo decida di rispettare le politiche di bilancio che chiede l’Unione europea sin qui accettate dai precedenti governi. In questo caso la sinistra patriottica e popolare, pur respingendo ogni collateralismo con le élite e le sue su appendici, non potrà che posizionarsi all’opposizione del governo M5S-Lega. Se invece il governo, come auspichiamo e come è nell’interesse del popolo lavoratore, sfidasse la Ue e gli disubbidisse ciò sarebbe il segno di un’inversione di rotta, della battaglia con i poteri forti, una battaglia il cui esito dipenderà a quel punto dalla fermezza del governo, dalla sua capacità di resistere alla sicura controffensiva del nemico. E per resistere dovrà necessariamente fare appello alla mobilitazione popolare. C’è infine una terza possibilità, quella che la Ue conceda anche al “governo populista” ristretti margini di flessibilità nelle politiche di bilancio, ciò che significherebbe un temporaneo cessate il fuoco, un prendere tempo. Non durerà a lungo. Il momento della verità sarebbe solo rimandato.

(8) TURBOLENZE IN VISTA


Comunque sia la fine del lungo ciclo della globalizzazione neoliberista, attestato anche dalla cosiddetta “guerra dei dazi”, non sarà indolore. Avremo spasmi sociali, enormi turbolenze, nuovi terremoti politici e istituzionali, fratturazioni dei blocchi. E' in questo crogiuolo, non in un rilassato trapasso, che potrà farsi largo la sinistra patriottica e popolare o, per dirla diversamente, il "populismo rivoluzionario".

(9) SINISTRA PATRIOTTICA E C.L.N.


Nostro dovere, ove la situazione precipitasse a causa dello scontro con l’oligarchia euro-tedesca (ciò che porrebbe all’ordine del giorno l’uscita dalla Ue gettando il Paese e l’intera Unione in una situazione esplosiva) sarà quello di contribuire alla formazione di una sinistra patriottica e popolare che si ponga come terza gamba del “campo populista”. Vanno quindi sin d’ora identificate e incontrate le forze politiche e sociali, i gruppi, i singoli intellettuali che sono in sostanziale sintonia col nostro discorso, che accettano di gettarsi nella mischia e di fare fronte per vincere la battaglia democratica e nazionale della sovranità. Una battaglia che potrà essere vinta solo a condizione che M5s e Lega accettino, visto che non avrebbero scampo chiudendosi nel palazzo, di mobilitare massicciamente i cittadini. In questo contesto potrebbe quindi essere posta concretamente all’ordine del giorno la costituzione di un nuovo Comitato di Liberazione Nazionale. E’ nel fuoco della battaglia, dentro questo campo, che la sinistra patriottica può e deve lanciare la sfida a M5s e Lega per l’egemonia, opponendo loro una visione ed un progetto di Paese che essi non hanno affatto.

(10) I PROSSIMI MESI


Fatte queste considerazioni, quali sono i compiti immediati nei prossimi mesi? Dobbiamo innanzitutto incalzare il governo a realizzare alcune decisive misure immediate a favore del popolo lavoratore. Diverse di esse sono già nel “contratto di governo”: difesa dell’ambiente, modifica giusta della Fornero, aumento delle pensioni minime, reddito di cittadinanza, salario minimo legale, piano di investimenti pubblici ed una banca nazionale che li sostenga, lotta contro la disoccupazione di massa, contrasto alla precarizzazione del lavoro, revisione della “buona scuola”. Andranno invece respinte misure di natura liberista come la flat tax (ferma restando la necessità di una equa riforma fiscale) nonché eventuali leggi sicuritarie (ferma restando l’esigenza dei cittadini di sentirsi protetti dalla criminalità grande e piccola). 

Altre misure, come quella per il diritto alla casa, non sono nel contratto e andranno poste sul tappeto. C’è poi in ballo il futuro di decine e decine di grandi e piccole aziende, da cui dipendono non solo tantissimi posti di lavoro ma il futuro del tessuto industriale e agricolo del Paese. Occorre sostenere quanto chiedono al governo i lavoratori di queste aziende, se necessario nazionalizzandole (è il caso ad esempio di Alitalia, delle acciaierie di Taranto, Terni e Piombino). 
In vista della eventuale battaglia d’autunno andrà quindi stimolata la più ampia mobilitazione popolare, operaia e giovanile, tentando di strutturarla in comitati d’agitazione da unire in una rete popolare nazionale, aperta a tutti gli organismi sociali, sindacali e ambientali già esistenti ma dispersi nei diversi territori.

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venerdì 14 giugno 2019

TESI PER UNA SINISTRA PATRIOTTICA

[ venerdì 14 giugno 2019 ]



Riteniamo utile sottoporre all'attenzione dei nostri lettori queste Tesi approvate dalla II. Assemblea del Movimento Popolare di Liberazione-Programma 101 svoltasi il 10 e l'11 marzo 2018, cioè subito dopo il terremoto elettorale del 4. 
Domanda: reggono l'analisi compiuta e le indicazioni di fase? Noi pensiamo di sì. 

*  *  *


(1) GLOBALIZZAZIONE AL TRAMONTO


Il lungo ciclo che va sotto il nome di “globalizzazione”, toccato il suo punto più alto con la dissoluzione dell’URSS e la trasformazione della Cina in grande potenza capitalistica, si avvia al suo tramonto. Se il processo di globalizzazione dispiegata è riuscito a dilagare anche nel nostro Paese, è perché le élite sono riuscite a nascondere la sua natura liberista e classista dietro alla maschera del progressismo cosmopolitico. Una delle chiavi di volta di questa narrazione ideologica è infatti la distopia di una irenica repubblica capitalistica mondiale. Il superamento degli stati nazionali era ed è non solo auspicato, ma considerato inevitabile. La stessa Unione europea veniva e viene ancora presentata ai cittadini come una tappa in questa direzione.

(2) LA CONTRADDIZIONE PRINCIPALE DI QUESTA FASE


Cosa effettivamente è accaduto con la globalizzazione? Attraverso un processo ineguale ma combinato, abbiamo un ordine imperialistico policentrico per cui un pugno di potenze hanno non solo preservato, ma rafforzato le loro prerogative sovrane, mentre la grande maggioranza degli stati nazionali ha progressivamente perduto sovranità, cedendola ai primi e/o, come nel caso dell’Unione europea, ad organismi oligarchici sovranazionali. Di qui la contraddizione principale di questa fase: quella tra il pugno di paesi dominanti e le nazioni dipendenti e semi-dipendenti le cui forze produttive sociali non possono più crescere a causa dei ceppi che le incatenano —dinamica che all’interno della Ue vede contrasti tra i paesi “core” e quelli bollati già “periferici” e, dalla Bce, denominati “vulnerabili”. Questa contraddizione principale si porta appresso un secondo aspetto: l’opposizione, all’interno degli stessi paesi soggiogati, tra la grande maggioranza dei cittadini e le frazioni più potenti e globaliste delle borghesie autoctone le quali, come nuove borghesie compradores, fungono da intermediari della rapina ai danni delle nazioni.

(2) UNIONE EUROPEA E GRANDE GERMANIA



L’Unione europea, edificata con l’ambizione di dare vita al principale polo imperialistico mondiale (nell’illusione che gli USA avrebbero accettato di spartire il mondo in more uxorio) traballa per diverse ragioni, una delle quali è che essa ha accresciuto gli squilibri tra gli stati, tra il centro tedesco e le diverse sue “periferie” le quali, private delle loro sovranità, possono sviluppare solo quelle forze produttive sociali funzionali alla macchina mercantilistica tedesca ed ai conglomerati finanziari carolingi. Il predominio della Grande Germania riunificata, stato-potenza egemone della Ue, siccome tende per sua natura a germanizzare, a soggiogare le altre nazioni, è concausa del tramonto della Ue ed accentua il contrasto tra le spinte centrifughe e quella centripeta. Ultimo ma non meno importante: il predominio tedesco ha il fiato corto perché la Germania, oggi come ieri, è incapace di trasformare il suo predominio in vera egemonia continentale.

(4) IL DESTINO DELL’ITALIA


Anche l’Italia ha subito questo processo di desovranizzazione e spoliazione, reso possibile dall’abdicazione delle élite intellettuali nostrane e dall’accettazione del comando esterno da parte della grande borghesia italiana. Esse hanno consegnato alla Germania ed alle sue agenzie eurocratiche le decisive  leve di comando. Il parlamento è diventato un simulacro, i politici di regime dei Gaulaiter, mentre lo Stato, già sovrintendente territoriale dello spazio giuridico imperiale a guida geopolitica americana, è diventato locale custode del protettorato tedesco. In queste condizioni, se non spezza la catena euro-liberista, l’Italia corre addirittura il rischio di spezzarsi come nazione unitaria, con un Nord agganciato alla locomotiva tedesca e il Mezzogiorno lasciato alla deriva, in mano al capitalismo mafioso.

(5) IL RITORNO DEGLI STATI NAZIONE


Il tramonto della globalizzazione non solo frena le ambizioni imperialistiche tedesche, alimenta la spinta opposta, quella che vede gli stati nazionali recuperare le loro sovranità, erigere proprie barriere difensive contro il libero scambismo selvaggio ed il mercantilismo che sono i vettori del dominio dei grandi conglomerati finanziari. Quando un edificio crolla restano le sue fondamenta. La dissoluzione della Ue dimostrerà che gli stati nazionali su cui si sorregge restano per i popoli la sola base per ricostruire le loro società. Il ritorno degli stati nazione sulla scena ha molteplici ragioni, guai a non comprenderle. Esse sono molteplici: economiche, geopolitiche, storico-culturali, religiose e psicologiche. Due spiccano su tutte: da una parte le forze produttive dei paesi dipendenti (eccetto quelle che avanzano e fanno profitti grazie alla globalizzazione) tendono ad autodifendersi invocando la protezione statuale; dall’altra le masse popolari (tranne i settori che traggono a loro volta vantaggi perché al servizio delle frazioni globaliste della borghesia) invocano sicurezza, lavoro, dignità, stato sociale.

(6) IL RISVEGLIO DEI NAZIONALISMI



Questo conflitto, manifestazione della contraddizione di fase principale, spiega il risveglio dei nazionalismi, sia in versione fascistoide che liberista, tutti accomunati da comuni denominatori revanchisti, autoritari e xenofobi. Il nazionalismo avanza perché fa incontrare e offre un orizzonte di senso a queste due spinte. Ne ricava maggiore forza grazie ad una narrazione opposta a quella cosmopolitica: contro l’umiliazione esibisce la volontà di riscatto, all’atomizzazione sociale oppone l’identità collettiva, contro lo spaesamento globalista insiste sul senso di appartenenza alla patria, alla società multietnica oppone il mito della nazione come comunità, al disordine oppone l’ordine. L’ostinazione delle élite eurocratiche a proseguire sulla strada della centralizzazione e della demolizione degli stati nazionali, lungi dall’indebolire i nazionalismi, li alimenta. Come in ogni grande crisi, in ogni fase di passaggio da un regime ad un altro, vale il principio per cui le energie scatenate dagli interessi sociali e di classe sono condannate a volatilizzarsi se non vengono incanalate, indirizzate strategicamente. E’ qui che entrano in gioco le ideologie, le visioni del mondo, le idee forti, religiose o secolarizzate che siano. Il nazionalismo, in società dominate dal nichilismo valoriale, è un’idea forte destinata ad accrescere la sua presa sulle larghe masse, anzitutto sui settori sociali più deboli, proprio quelli che dovrebbero fungere da forza motrice della trasformazione socialista della società. Contrastare dunque i nazionalismi avanzanti ma come?

(7) SEPARARE QUINDI UNIRE


Le sinistre occidentali, sistemiche e radicali, avendo avallato o addirittura sostenuto la globalizzazione e il disegno euro-liberista, hanno contribuito a spianare la strada a questi nazionalismi e saranno messe all’angolo. Con il suo internazionalismo dottrinario, col suo lottaclassismo prepolitico anche l’estrema sinistra si è resa corresponsabile. Non si contrastano i nazionalismi facendo esorcismi, demonizzandoli, facendo dell’internazionalismo un totem e della nazione un tabù. Una via sicura per lasciare campo libero alle destre nazionaliste è consegnare loro il monopolio della battaglia patriottica, facendo spallucce davanti al ritorno sulla scena degli stati nazione, peggio ancora, apparendo subalterni alle élite neoliberiste, che restano il nemico principale dei popoli. Errore madornale, dunque, condannare come univocamente reazionarie le pulsioni sociali e ideali che alimentano i nazionalismi. Occorre invece distinguere e separare il carburante,  le spinte sociali e ideali che alimentano i nazionalismi — la difesa delle forze produttive nazionali dalla predazione imperialistica esterna ed il desiderio di sentirsi parte di una comunità solidale — dalle formazioni nazionaliste che puntano a diventare il comburente. Bisogna quindi tenere assieme questione nazionale, questione di classe e questione democratica, insistendo sul principio che non ci sarà emancipazione sociale senza liberazione nazionale.

(8) PATRIOTTISMO REPUBBLICANO


Per contrastare i nazionalismi si deve sfidarli sul terreno dell’egemonia: mito buono contro mito cattivo, radici rivoluzionarie contro quelle reazionarie, narrazione sana contro narrazione tossica, identità etnica contro identità politica, comunità forte contro comunità debole. Al mito cattivo dell’Italia guerriera, annessionista, fascista e imperiale, noi opponiamo quello buono dell’Italia come faro di civilizzazione universale, ruolo che la nostra Patria ha saputo esibire nei momenti più alti della storia mondiale. Alle radici reazionarie del nazionalismo, proprie delle destre che ebbero la meglio dopo il Risorgimento e che le classi dominanti utilizzarono per giustificare, oltre agli innumerevoli crimini contro il popolo, i propri appetiti imperialistici, noi opponiamo quelle rivoluzionarie e democratiche dei padri nobili ed ai martiri della Patria. Alla narrazione nazionalista che esalta le gesta dell’Italia monarchica e fascista, con tutto il loro corollario di nefandezze, noi opponiamo il patriottismo popolare che dalle correnti democratiche del Risorgimento passa al movimento operaio, e di lì alla Resistenza antifascista che riscatterà l’onore del Paese e che s’incarnerà nella Costituzione repubblicana. All’identità etnica fondata sul sangue, sul suolo e sul destino, noi opponiamo quello della Patria come associazione politica di liberi e uguali, quale che sia la loro “razza”, provenienza, confessione ideologica o religiosa. Debole e fallace è la comunità dilaniata dai contrasti sociali, di casta, di classe, etnici, e dove ristrette élite hanno il monopolio delle leve di comando. Forte è invece quella patria dove sovrano è il popolo, dove i più forti non opprimono i deboli, dove non ci sono privilegi e conflitti sociali, dove lo Stato garantisce la sicurezza generale e difende come inviolabili i diritti di libertà della persona e delle minoranze.

(9) RIVOLUZIONE DEMOCRATICA



Non passerà molto tempo che il futuro del paese sarà deciso dallo scontro tra i due fronti opposti: quello del nazionalismo reazionario e imperialista (sia esso dominato da neoliberisti o neofascisti) e quello del patriottismo repubblicano e internazionalista. Occorre dunque costruire un grande partito (con i suoi diversi strumenti) che intercetti i sentimenti nazionali risorgenti tra il popolo e riesca ad indirizzarli verso il solo esito che potrà determinare la grande svolta, la sollevazione popolare. Abbiamo segnalato i due aspetti della contraddizione: le destre vorranno tenerli separati in modo oppositivo, facendo leva sul primo a spese del secondo. Noi dobbiamo invece tenerli concatenati: sollevazione per liberare il Paese dal dominio esterno e lotta per strappare il potere alle élite dominanti senza la cui collaborazione fattiva questo dominio non ci sarebbe. Sarà quindi, quella italiana, una rivoluzione democratica e patriottica. Sorgerà per tempo, prima di un altro 8 settembre, un nuovo Comitato di Liberazione Nazionale? Riusciremo ad evitare di cadere, come successo in Grecia, in un regime di protettorato? Forse no, forse, come altre volte capitato al nostro Paese,  la sollevazione seguirà la catastrofe nazionale e il popolo dovrà ricostruire il Paese sulle sue macerie. Sia come sia noi dobbiamo fare la mossa strategica da cui tutto il resto dipende, diventare i campioni della battaglia patriottica contro l’aristocrazia finanziaria predatoria esterna e le élite economiche e politiche italiane ad esse asservite. Solo a questa condizione potremo far sì che la rivoluzione democratica e costituzionale possa costituire il punto d’appoggio per quella socialista, visto che solo un Paese socialista potrà essere davvero sovrano.


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sabato 3 novembre 2018

LEFT: OVVERO LA SINISTRA PER I SACRIFICI di Leonardo Mazzei

[ 3 novembre 2018 ]

A dispetto della crisi della natalità, "la madre dei cretini è sempre incinta". Non so a voi, ma a me la lettura di Left fa venire in mente questa pillola di saggezza popolare. E la cosa è inquietante, perché quella pubblicazione si presenta come "l'unico giornale di sinistra". Una roba che quando a destra l'han saputo sono subito cominciati i festeggiamenti.

A dispetto di Keynes, e delle sue tante varianti, stavolta Left si premura di farci sapere che la spesa in deficit è di destra. Badate, non quella spesa in particolare, non in qualche particolare momento, ma sempre e per sempre. Quantomeno nell'Unione Europea, che per Left è l'alfa e l'omega dell'agire politico, del bene contro il male, in una parola della "sinistra" come questi furfanti la intendono, presumendo tra l'altro di averne il monopolio.

Per sostenere una tesi così ardita Left ha dato la parola al prof. Ernesto Longobardi, il quale non si è fatto pregare. Siccome «c'è sconcerto a sinistra», perché «sul piano della politica economica, questo governo fa quanto da parte nostra si è sempre auspicato», bisogna rassicurare la truppa, concludendo rapidamente che: «Compagni, possiamo stare tranquilli, questo governo è tutto di destra, anche nella politica economica».

E tutto questo perché? Forse perché il governo non riesce a venir fuori da un orizzonte liberista? Forse perché c'è troppa timidezza nel superare i vincoli europei? Perché le risorse per le misure sociali sono scarse, così come quelle per gli investimenti? No, no, assolutamente no! Di queste critiche, che sarebbero tutte sensate e tutte di sinistra, non solo non c'è traccia nello scritto del Longobardi, c'è invece l'esatto opposto.

Tra la premessa sullo "sconcerto a sinistra" (ma guarda un po'!), e la conclusione che nella manovra è tutta roba di destra, c'è un unico ritornello: che la spesa in deficit è di destra, e lo è perché oggettivamente sovranista ed antieuropea.

E qui il prof. confessa la realtà delle cose, il che non è mai male. Per quelli come lui, quindi per un giornale come Left, oggi il primo elemento dell'identità di sinistra non è il riferimento alle classi popolari, alla lotta per l'uguaglianza e contro lo sfruttamento, dunque intanto per una politica economica anti-austeritaria. No, il primo, e forse unico, elemento d'identità è l'europeismo. Ma non un europeismo sui generis, bensì un'organica adesione di fatto alle ferree regole del sistema dell'euro a dominanza tedesca. Certo, un sistema che vorrebbero "riformare" (come no!), ma che comunque intendono difendere con le unghie e coi denti.

Ad un certo punto il Longobardi, che insegna Scienza delle finanze all'università di Bari, vuota decisamente il sacco:
«Va bene, si dirà, ma perché politiche di spesa finanziate ricorrendo al debito avrebbero necessariamente questo segno antieuropeo? La spiegazione è semplice. Creando in Europa una moneta unica, gestita a livello sovranazionale, ma lasciando al contempo agli Stati nazionali la politica fiscale, si è, di fatto, sottratta loro la possibilità di ricorrere al debito. In uno Stato nazionale pienamente sovrano il debito e la moneta sono un tutt’uno, e lo sapevano bene i governi dell’Italia democristiana che sapientemente usavano la moneta per rendere sostenibile il debito. Ora non si può più fare».
Ecco, in quel soddisfatto "Ora non si può più fare", c'è il pieno tradimento di quel popolo che la sinistra un tempo voleva come minimo rappresentare. C'è il tradimento dello spirito e della lettera della Costituzione repubblicana, fondata sul principio della sovranità popolare. C'è il girarsi dall'altra parte rispetto alle sofferenze di chi paga le politiche europee, ma c'è anche la ragione di una sconfitta della quale quelli come Longobardi non riusciranno mai a capacitarsi.

Egli così continua imperterrito:
«È come se ogni Stato dell’Unione emettesse debito in una valuta straniera, perché si tratta di una valuta di cui non ha il controllo. L’unica via di uscita politicamente percorribile “da sinistra” è quella della creazione di un’unione fiscale europea... È una prospettiva che implicherebbe condivisione dei rischi, accettazione della redistribuzione di risorse tra gli Stati, solidarietà sovranazionale: tutto quanto, oggi, i trattati europei rigorosamente escludono. Vorrebbe, dire, di fatto, unione politica. Si dirà che tutto questo è ben di là da venire. D’accordo, ma non ci sono scorciatoie. Una strategia politica di sinistra, oggi, può solo avere una dimensione sovranazionale: europea e mondiale».
L'articolista di Left è dunque ben consapevole di come quella dell'euro sia una gabbia, ben informato dell'impossibilità di una riforma di quel sistema, ma ciò nonostante ci rifila il suo dogma, quello secondo cui "una strategia politica di sinistra, oggi, può solo avere una dimensione sovranazionale: europea e mondiale". All'interplanetario non siamo ancora giunti, ma di certo ci stanno lavorando. Sarà per questo che certi ragionamenti sembrano arrivare direttamente da Marte.

Ora, se così fosse, che prospettiva di avanzamento potrebbero mai avere (giusto per fare degli esempi alla rinfusa) le forze di sinistra in Brasile, in Argentina, nelle Filippine, in India od in Egitto? Ovviamente nessuna, perché magari il grosso di queste forze ha una visione giustamente internazionalista ma - volenti o nolenti - esse non possono realmente agire in una dimensione sovranazionale. Quella che invece noi "fortunati" europei avremmo a disposizione, quella che piace tanto a Longobardi, quella che la cupola oligarchica si tiene ovviamente ben stretta.

Ed è qui il segreto oramai rivelato di questa "sinistra per i sacrifici": che essa sta sempre più apertamente dalla parte del padrone. Anche per questo siamo certi che una nuova sinistra, patriottica e socialista, dovrà nascere al più presto.

venerdì 16 marzo 2018

TESI PER UNA SINISTRA PATRIOTTICA

[ 16 marzo 2018]

Pubblichiamo il secondo documento approvato dalla II. Assemblea del Movimento Popolare di Liberazione-Programma 101 svoltasi il 10 e l'11 marzo.
Avevamo già pubblicato la risoluzione
SOVRANITÀ E SOVRANISMI: SI CHIUDE UN CICLO
Segnaliamo infine che è disponibile in formato pdf  l'opuscolo: TESI E DOCUMENTI PROGRAMMATICI 2011-2018

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(1) GLOBALIZZAZIONE AL TRAMONTO

Il lungo ciclo che va sotto il nome di “globalizzazione”, toccato il suo punto più alto con la dissoluzione dell’URSS e la trasformazione della Cina in grande potenza capitalistica, si avvia al suo tramonto. Se il processo di globalizzazione dispiegata è riuscito a dilagare anche nel nostro Paese, è perché le élite sono riuscite a nascondere la sua natura liberista e classista dietro alla maschera del progressismo cosmopolitico. Una delle chiavi di volta di questa narrazione ideologica è infatti la distopia di una irenica repubblica capitalistica mondiale. Il superamento degli stati nazionali era ed è non solo auspicato, ma considerato inevitabile. La stessa Unione europea veniva e viene ancora presentata ai cittadini come una tappa in questa direzione.

(2) LA CONTRADDIZIONE PRINCIPALE DI QUESTA FASE

Cosa effettivamente è accaduto con la globalizzazione? Attraverso un processo ineguale ma combinato, abbiamo un ordine imperialistico policentrico per cui un pugno di potenze hanno non solo preservato, ma rafforzato le loro prerogative sovrane, mentre la grande maggioranza degli stati nazionali ha progressivamente perduto sovranità, cedendola ai primi e/o, come nel caso dell’Unione europea, ad organismi oligarchici sovranazionali. Di qui la contraddizione principale di questa fase: quella tra il pugno di paesi dominanti e le nazioni dipendenti e semi-dipendenti le cui forze produttive sociali non possono più crescere a causa dei ceppi che le incatenano —dinamica che all’interno della Ue vede contrasti tra i paesi “core” e quelli bollati già “periferici” e, dalla Bce, denominati “vulnerabili”. Questa contraddizione principale si porta appresso un secondo aspetto: l’opposizione, all’interno degli stessi paesi soggiogati, tra la grande maggioranza dei cittadini e le frazioni più potenti e globaliste delle borghesie autoctone le quali, come nuove borghesie compradores, fungono da intermediari della rapina ai danni delle nazioni.

(2) UNIONE EUROPEA E GRANDE GERMANIA


L’Unione europea, edificata con l’ambizione di dare vita al principale polo imperialistico mondiale (nell’illusione che gli USA avrebbero accettato di spartire il mondo in more uxorio) traballa per diverse ragioni, una delle quali è che essa ha accresciuto gli squilibri tra gli stati, tra il centro tedesco e le diverse sue “periferie” le quali, private delle loro sovranità, possono sviluppare solo quelle forze produttive sociali funzionali alla macchina mercantilistica tedesca ed ai conglomerati finanziari carolingi. Il predominio della Grande Germania riunificata, stato-potenza egemone della Ue, siccome tende per sua natura a germanizzare, a soggiogare le altre nazioni, è concausa del tramonto della Ue ed accentua il contrasto tra le spinte centrifughe e quella centripeta. Ultimo ma non meno importante: il predominio tedesco ha il fiato corto perché la Germania, oggi come ieri, è incapace di trasformare il suo predominio in vera egemonia continentale.

(4) IL DESTINO DELL’ITALIA

Anche l’Italia ha subito questo processo di desovranizzazione e spoliazione, reso possibile dall’abdicazione delle élite intellettuali nostrane e dall’accettazione del comando esterno da parte della grande borghesia italiana. Esse hanno consegnato alla Germania ed alle sue agenzie eurocratiche le decisive  leve di comando. Il parlamento è diventato un simulacro, i politici di regime dei Gauleiter, mentre lo Stato, già sovrintendente territoriale dello spazio giuridico imperiale a guida geopolitica americana, è diventato locale custode del protettorato tedesco. In queste condizioni, se non spezza la catena euro-liberista, l’Italia corre addirittura il rischio di spezzarsi come nazione unitaria, con un Nord agganciato alla locomotiva tedesca e il Mezzogiorno lasciato alla deriva, in mano al capitalismo mafioso.

(5) IL RITORNO DEGLI STATI NAZIONE

Il tramonto della globalizzazione non solo frena le ambizioni imperialistiche tedesche, alimenta la spinta opposta, quella che vede gli stati nazionali recuperare le loro sovranità, erigere proprie barriere difensive contro il libero scambismo selvaggio ed il mercantilismo che sono i vettori del dominio dei grandi conglomerati finanziari. Quando un edificio crolla restano le sue fondamenta. La dissoluzione della Ue dimostrerà che gli stati nazionali su cui si sorregge restano per i popoli la sola base per ricostruire le loro società. Il ritorno degli stati nazione sulla scena ha molteplici ragioni, guai a non comprenderle. Esse sono molteplici: economiche, geopolitiche, storico-culturali, religiose e psicologiche. Due spiccano su tutte: da una parte le forze produttive dei paesi dipendenti (eccetto quelle che avanzano e fanno profitti grazie alla globalizzazione) tendono ad autodifendersi invocando la protezione statuale; dall’altra le masse popolari (tranne i settori che traggono a loro volta vantaggi perché al servizio delle frazioni globaliste della borghesia) invocano sicurezza, lavoro, dignità, stato sociale.

(6) IL RISVEGLIO DEI NAZIONALISMI


Questo conflitto, manifestazione della contraddizione di fase principale, spiega il risveglio dei nazionalismi, sia in versione fascistoide che liberista, tutti accomunati da comuni denominatori revanchisti, autoritari e xenofobi. Il nazionalismo avanza perché fa incontrare e offre un orizzonte di senso a queste due spinte. Ne ricava maggiore forza grazie ad una narrazione opposta a quella cosmopolitica: contro l’umiliazione esibisce la volontà di riscatto, all’atomizzazione sociale oppone l’identità collettiva, contro lo spaesamento globalista insiste sul senso di appartenenza alla patria, alla società multietnica oppone il mito della nazione come comunità, al disordine oppone l’ordine. L’ostinazione delle élite eurocratiche a proseguire sulla strada della centralizzazione e della demolizione degli stati nazionali, lungi dall’indebolire i nazionalismi, li alimenta. Come in ogni grande crisi, in ogni fase di passaggio da un regime ad un altro, vale il principio per cui le energie scatenate dagli interessi sociali e di classe sono condannate a volatilizzarsi se non vengono incanalate, indirizzate strategicamente. E’ qui che entrano in gioco le ideologie, le visioni del mondo, le idee forti, religiose o secolarizzate che siano. Il nazionalismo, in società dominate dal nichilismo valoriale, è un’idea forte destinata ad accrescere la sua presa sulle larghe masse, anzitutto sui settori sociali più deboli, proprio quelli che dovrebbero fungere da forza motrice della trasformazione socialista della società. Contrastare dunque i nazionalismi avanzanti ma come?

(7) SEPARARE QUINDI UNIRE

Le sinistre occidentali, sistemiche e radicali, avendo avallato o addirittura sostenuto la globalizzazione e il disegno euro-liberista, hanno contribuito a spianare la strada a questi nazionalismi e saranno messe all’angolo. Con il suo internazionalismo dottrinario, col suo lottaclassismo prepolitico anche l’estrema sinistra si è resa corresponsabile. Non si contrastano i nazionalismi facendo esorcismi, demonizzandoli, facendo dell’internazionalismo un totem e della nazione un tabù. Una via sicura per lasciare campo libero alle destre nazionaliste è consegnare loro il monopolio della battaglia patriottica, facendo spallucce davanti al ritorno sulla scena degli stati nazione, peggio ancora, apparendo subalterni alle élite neoliberiste, che restano il nemico principale dei popoli. Errore madornale, dunque, condannare come univocamente reazionarie le pulsioni sociali e ideali che alimentano i nazionalismi. Occorre invece distinguere e separare il carburante, le spinte sociali e ideali che alimentano i nazionalismi — la difesa delle forze produttive nazionali dalla predazione imperialistica esterna ed il desiderio di sentirsi parte di una comunità solidale — dalle formazioni nazionaliste che puntano a diventare il comburente. Bisogna quindi tenere assieme questione nazionale, questione di classe e questione democratica, insistendo sul principio che non ci sarà emancipazione sociale senza liberazione nazionale.

(8) PATRIOTTISMO REPUBBLICANO

Per contrastare i nazionalismi si deve sfidarli sul terreno dell’egemonia: mito buono contro mito cattivo, radici rivoluzionarie contro quelle reazionarie, narrazione sana contro narrazione tossica, identità etnica contro identità politica, comunità forte contro comunità debole. Al mito cattivo dell’Italia guerriera, annessionista, fascista e imperiale, noi opponiamo quello buono dell’Italia come faro di civilizzazione universale, ruolo che la nostra Patria ha saputo esibire nei momenti più alti della storia mondiale. Alle radici reazionarie del nazionalismo, proprie delle destre che ebbero la meglio dopo il Risorgimento e che le classi dominanti utilizzarono per giustificare, oltre agli innumerevoli crimini contro il popolo, i propri appetiti imperialistici, noi opponiamo quelle rivoluzionarie e democratiche dei padri nobili ed ai martiri della Patria. Alla narrazione nazionalista che esalta le gesta dell’Italia monarchica e fascista, con tutto il loro corollario di nefandezze, noi opponiamo il patriottismo popolare che dalle correnti democratiche del Risorgimento passa al movimento operaio, e di lì alla Resistenza antifascista che riscatterà l’onore del Paese e che s’incarnerà nella Costituzione repubblicana. All’identità etnica fondata sul sangue, sul suolo e sul destino, noi opponiamo quello della Patria come associazione politica di liberi e uguali, quale che sia la loro “razza”, provenienza, confessione ideologica o religiosa. Debole e fallace è la comunità dilaniata dai contrasti sociali, di casta, di classe, etnici, e dove ristrette élite hanno il monopolio delle leve di comando. Forte è invece quella patria dove sovrano è il popolo, dove i più forti non opprimono i deboli, dove non ci sono privilegi e conflitti sociali, dove lo Stato garantisce la sicurezza generale e difende come inviolabili i diritti di libertà della persona e delle minoranze.

(9) RIVOLUZIONE DEMOCRATICA


Non passerà molto tempo che il futuro del paese sarà deciso dallo scontro tra i due fronti opposti: quello del nazionalismo reazionario e imperialista (sia esso dominato da neoliberisti o neofascisti) e quello del patriottismo repubblicano e internazionalista. Occorre dunque costruire un grande partito (con i suoi diversi strumenti) che intercetti i sentimenti nazionali risorgenti tra il popolo e riesca ad indirizzarli verso il solo esito che potrà determinare la grande svolta, la sollevazione popolare. Abbiamo segnalato i due aspetti della contraddizione: le destre vorranno tenerli separati in modo oppositivo, facendo leva sul primo a spese del secondo. Noi dobbiamo invece tenerli concatenati: sollevazione per liberare il Paese dal dominio esterno e lotta per strappare il potere alle élite dominanti senza la cui collaborazione fattiva questo dominio non ci sarebbe. Sarà quindi, quella italiana, una rivoluzione democratica e patriottica. Sorgerà per tempo, prima di un altro 8 settembre, un nuovo Comitato di Liberazione Nazionale? Riusciremo ad evitare di cadere, come successo in Grecia, in un regime di protettorato? Forse no, forse, come altre volte capitato al nostro Paese,  la sollevazione seguirà la catastrofe nazionale e il popolo dovrà ricostruire il Paese sulle sue macerie. Sia come sia noi dobbiamo fare la mossa strategica da cui tutto il resto dipende, diventare i campioni della battaglia patriottica contro l’aristocrazia finanziaria predatoria esterna e le élite economiche e politiche italiane ad esse asservite. Solo a questa condizione potremo far sì che la rivoluzione democratica e costituzionale possa costituire il punto d’appoggio per quella socialista, visto che solo un Paese socialista potrà essere davvero sovrano.



domenica 21 maggio 2017

SOVRANISMO AUTENTICO E SOVRANISMI COSMETICI di Luciano Barra Caracciolo

[22 maggio ]

Un impegnativo e penetrante intervento di Luciano Barra Caracciolo che condividiamo, Luciano ci perdonerà se ci siamo permessi di cambiare il titolo. Quello originale è questo qui sotto.




"L'ANTISOVRANO" HA PAURA DELLA SOVRANITA' POPOLARE PERCHE' NON VUOLE LA DEMOCRAZIA


1. Il titolo di questo post è agevolmente comprensibile, direi autoesplicativo, per chi segua questo blog.
Ma non si può ignorare il fatto che, specialmente a seguito della vittoria di Macron (quale che ne sia l'effettiva tenuta, alla luce degli eventi che egli stesso non potrà evitare di determinare), in quanto principalmente interpretata come una sconfitta di Marie Le Pen, nel dibattito politico-mediatico, si registri la tendenza a considerare il "sovranismo" come un concetto programmatico in arretramento. E, dunque, proprio presumendosi la sua subentrata scarsa presa elettorale, in via di ridimensionamento nel linguaggio à la page, cioè elettoralmente remunerativo.
Inutile dire che questo ridimensionamento viene con immediatezza, e quindi molto frettolosamente e in base ad analisi delle effettive propensioni al voto piuttosto rozze ed emotive, legato alla questione dell'opposizione alla moneta unica.

2. Ma questa equazione implicita tra sovranismo e critica all'euro, se si fa attenzione al "non detto" (o al "detto male" e con poca consapevolezza) che essa contiene, dimostra proprio il vero punto debole lasciato scoperto dalle forze che, in Italia come in Francia, sono variamente definite sovraniste (spesso unilateralmente dalla parte politica opposta, cioè filo€urista, e con intenti denigratori avallati dai media mainstream, in un'autentica orgia di acritici luoghi comuni sull'internazionalismo della pace); tanto che, proprio per aver compiuto un percorso incompleto (o, peggio, contraddittorio) sul concetto di sovranità, oggi, c'è chi, all'interno di queste correnti politiche,  potrebbe essere sopraffatto dall'impulso di tentennare e ritornare sui propri passi.
Il fatto è che l'identificazione tra sovranità legata alla democrazia sostanziale del lavoro e opposizione alla moneta unica, e ai suoi effetti, è molto più chiara ai propugnatori di quest'ultima che ai c.d. "sovranisti" (attualmente al centro delle vicende politiche).
  
3. Abbiamo speso molte pagine di questo blog nell'evidenziare come l'euro sia, per i paesi dell'eurozona, una riedizione del gold standard, nel suo riversare ogni aggiustamento degli squilibri commerciali e della competitività relativa tra paesi UEM a carico del lavoro. 
E abbiamo anche illustrato che per "lavoro" non deve intendersi solo la classe operaia in senso novecentesco, quanto piuttosto tutta la parte preponderante della società, inclusi i c.d. "ceti indipendenti", che non è "agganciata" al capitale finanziarizzato e liberalizzatoe che ricerchi (artt. 4,  35 comma 1, 45, comma 2, e, riassuntivamente, 47, della Costituzione), l'apprezzabile identità e dignità della propria persona con lo svolgere attività lavorative che, essenzialmente, si fondano sulla crescita della domanda interna (e non dell'esportazione, e quindi sull'aggressività anticooperativa inevitabilmente portata a detrimento delle società appartenenti ad altri Stati visti, nella logica principale dei trattati, esclusivamente come concorrenti da battere). 

4. Lelio Basso, il cui bagaglio concettuale era espresso in una situazione in cui dirsi "socialisti" e rivendicare l'interesse prioritario del proletariato non era ancora ridicolizzabile e etichettabile come un "quasi-reato", era però, anzitutto fedele al modello della Costituzione che egli aveva così tanto contribuito a costruire, facendo del principio di eguaglianza sostanziale, e del compito di redistribuzione ex ante (nel senso precisato da Rawls, qui p.10) assuntosi dallo Stato, il perno della democrazia sostanziale: Basso era perciò ben conscio dell'intero spettro di classi sociali che era chiamato a sopportare il totalitarismo cui tende inevitabilmente l'ordine internazionale del mercato neo-liberista (cfr, p.2):
"...oggi il settore monopolistico (usiamo questa espressione nel senso che essa ha oggi assunto nella polemica politica e non in senso rigorosamente tecnico-economico che suggerirebbepiuttosto l’espressione di ‘oligopolio concentrato) non soltanto si appropria del plusvalore prodotto dai suoi operai, ma, grazie al suo forte potere di mercato, che gli permette d’imporre i prezzi sia dei prodotti che vende che di quelli che compra, riesce ad appropriarsi almeno di una parte del plusvalore prodotto in tutti gli altri settori non monopolistici: sia in quelloagricolo, sia in quello del piccolo produttore indipendente, sia anche in quello delle aziende capitalistiche non monopolistiche, dove il tasso di profitto è minore e spesso, di conseguenza, anche i salari degli operai sono più bassi proprio per il peso che il settore monopolistico esercita sul mercato. 
Ridurre quindi, nella presente situazione, la lotta di classe al rapporto interno di fabbrica, proprio mentre la caratteristica della fase attuale del capitalismo è la creazione di questi complessi meccanismi che permettono di esercitare lo sfruttamento in una sfera molto più vasta, anche senza il vincolo formale del rapporto di lavoro, è perlomeno curioso...
Una seconda tendenza destinata ad accentuarsi sempre più in avvenire è quella relativa all’interpenetrazione di potere economico e potere politico, cioè, praticamente, all’orientamento di tutta la politica statale ai fini voluti dal potere monopolistico..."

5. Ora il punto ulteriore che si collega alla evidenziata incompleta comprensione, proprio da parte delle forze sovraniste (reali, cioè concretamente manifestatesi nell'attuale agone politico), - ma non da parte delle forze oligarchie che gli si oppongono-, della stretta connessione tra sovranità popolare, e dunque "democratica", e opposizione all'assetto sociale cui vincola, senza alternative, la moneta unica, è che intanto è possibile che si verifichi un "ripensamento" della linea che valorizza la sovranità, in quanto non sia chiaro il concetto di sovranità e, in definitiva, del tipo di Stato nazionale a cui ci si richiama.
Questa mancanza di chiarezza è, in fondo, il segno di un percorso incompiuto: non si è chiarito a se stessi in cosa consista la sovranità popolare, proprio perché, in una qualche misura, non ci si è liberati completamente dell'armamentario tossico degli slogan diffusi dalla cultura antidemocratica del mercato che si è rivolta contro lo Stato democratico (pp.2-3), pretendendo di identificarlo in una forma di totalitarismo "comunista" o "collettivista" (contro ogni evidenza storica e contro ogni corretta identificazione del problema dell'autoritarismo). 

6. Il punto è, nel diritto costituzionale e nella teoria generale dello Stato, certamente complesso e non si può pretendere che il "comunicatore" politico lo padroneggi e sia in grado di riassumerlo con la padronanza che ne consente la semplificazione a giovamento del c.d. "elettore medio".
Ma, il concetto di sovranità, - una volta proiettato nell'attuale momento storico che configura una fase finale di restaurazione del capitalismo sfrenato e del suo pseudo-Stato di diritto, che si cura solo delle norme provenienti dalle organizzazioni internazionali che applicano le Legginaturali del mercato, e giammai della legalità costituzionale (su cui si veda la chiara distinzione precisata qui da Luciani, pagg. 2-4)-, diviene, proprio ora, più agevolmente ricavabile a contrario da ciò che incarna "l'antisovrano", imposto dalle oligarchie dei mercati, e che trova nell'euro la sua perfetta espressione di perfezionamento (in quanto ripristinatore dell'assetto sociale "consono" al gold standard).
Il sovranismo non ha nulla a che fare con..."la monarchia" (o qualsiasi forma di autocrazia), a meno di voler insinuare confusione anche solo a scopo di (sterile) polemica politica: piuttosto è vero l'opposto, cioè che la de-sovranizzazione degli Stati corrisponde immancabilmente ad unaimmanente ostilità delle oligarchie capitaliste e cosmopolite (sempre Basso, cfr; p.2) verso il suffragio universale e la sua intrinseca proiezione territoriale, cioè la democraziapluriclasse delle comunità nazionali

"L’idea moderna di sovranità è infatti intimamente legata…a due precondizioni – la concezione ascendente del potere e l’idea di nazione – che sono entrambi assenti nella nuova politica
Per sussumere in una sola etichetta i nuovi fenomeni potremmo invece parlare del tentativo di creazione di un antisovrano, e cioè un quid che in tutto e per tutto si contrappone al sovrano da noi conosciuto (ndr; enfasi in forma di elenco da me aggiunta per una indispensabile focalizzazione):  
- non è un soggetto (ma semmai una pluralità di soggetti, oltretutto dallo statuto sociale altamente differenziato, che ben difficilmente potrebbero candidarsi a detenere il monopolio del potere sovrano); 
- non dichiara la propria aspirazione all’assoluta discrezionalità nell’esercizio del proprio potere (cerca anzi di presentare le proprie decisioni come logiche deduzioni da leggi generali oggettive quali pretendono di essere quelle dell’economia e dello sviluppo); non reclama una legittimazione trascendente (che sia la volontà di Dio oppure l’idea dell’uguaglianza degli uomini), ma immanente (l’interesse dell’economia e dello sviluppo, appunto); 
- non pretende di ordinare un gruppo sociale dotato almeno di un minimum di omogeneità(il popolo di una nazione), ma una pluralità indistinta, anzi la totalità dei gruppi sociali (tutti i popoli del mondo, o almeno tutti i popoli della parte di mondo che ritiene meritevole di interesse);  
- non vuole essere l’espressione di una volontà di eguali formata dal basso (si tratta infatti di un insieme di strutture sostanzialmente e talora formalmente organizzate su base timocratica).


L’opposizione è dunque polare, tanto che potrebbe ricordare …quelle evocate dalle figure dell’antipapa e più ancora dell’anticristo
Come l’antipapa, per il codice di diritto canonico del 1917, rientra fra i soggetti che si oppongono all’autorità del pontefice legittimamente eletto, così l’antisovrano si arroga un potere senza averne legittimo titolo (senza investitura democratica). 
E come l’anticristo, è detentore di un potere che (aspira ad essere) universale, ed è l’agente che determina la crisi del mondo (del mondo democratico) 
Un antisovrano, dunque, dal punto di vista concettuale, ma inevitabilmente un antisovrano anche dal punto di vista pratico, perché l’affermazione del suo potere presuppone proprio che l’antico sovrano sia annichilito” [M. LUCIANI, L’antisovrano e la crisi delle costituzioni, in rivista di diritto costituzionale, Torino, 1/1996, 164-166]".

8. Ora la definizione di sovranità che si ricava "a contrario" dall'aggressivo attacco delle oligarchie del mercato, €uroconnotate, agli ordinamenti costituzionali democratici è quella che, giocoforza, discende dalla unitaria opposizione, a livello inevitabilmente nazionale, del mondo del lavoro (non strettamente ausiliario al dominio oligarchico del capitalismo oligopolistico) alla sua stessa svalorizzazione, se non distruzionecome valore sociale, in precedenza posto al centro della società (democratica). 
Un valore del lavoro che si era affermato, ovunque in Europa e nello stesso ius cogens del diritto internazionale generale (non da "trattato", dunque), in nome della legalità costituzionale, e quindi in nome del diritto-dovere proprio di ogni cittadino di svolgere un'attività lavorativa.
La sovranità democratica era una salvaguardia giuridica che aveva un diretto, (quanto inviso alle elites) effetto economico "di sistema"il cittadino-lavoratore non era più tenuto, per conquistare la propria pari dignità  sociale e politica, in quanto essere umano, a perseguire o conservare rendite e privilegi derivanti dalla proprietà del capitale, acquisita per nascita o per meccanismi inevitabilmente sprezzanti della dannosità per il resto dei consociati...ovvero a soccombere. 
Ogni cittadino, in base alla propria Costituzione, poteva rivendicare la conquista normativa della propria dignità sociale.

9. Per un certo periodo, la cui fine coincide non casualmente con l'affermarsi della costruzione federalista €uropea, questa è stata la legalità suprema, appunto, sovrana in quanto "superiorem non recognoscens". 
E' solo tale concetto di sovranità che legittima e tutela la sua titolarità anche individuale(e non solo astrattamente ed ambiguamente collettiva), che è poi un modo di dire che ogni cittadino possa esprimere, in un sistema istituzionale, la propria libera volontà alla pari di chiunque altro: risultato realizzabile, come deve ormai apparire evidente, solo in un contesto nazionale (qui, pp. 6 e 7, ove non bastasse il famoso "trilemma" di Rodrik). 
Lo Stato nazionale, come unico ente rappresentativo storicamente possibile di questa sovranità popolare, intanto può assolvere al suo obbligo di tutelarla in quanto sia obbligato a garantire, in modo effettivo e non solo apparente e formale, questa parità di espressione della libera volontà di ogni cittadino.

10. Ma questa volontà dei cittadini, sia sommati in corpo elettorale, sia in quanto concretamente equiparati nell'aspirazione a divenire titolari delle cariche di governo elettorali, è esattamente la democrazia (sostanziale): la legittimità della sovranità popolare dei lavoratori che ne il presupposto, è evidentemente contrapposta allo schema arrembante dell'antisovrano, abilmente camuffato nelle vesti dell'internazionalismo mercatista e nella sua "naturalià" scientifica.
E, come abbiamo visto, poiché tale partecipazione paritaria al governo delle istituzioni è necessariamente legata all'attribuzione di una, altrettanto paritaria (in termini di legittimità), frazione del potere economico e quindi politico, a ciascun cittadino, ne discende una generalizzata sovranità popolare contraddistinta dalla paritaria dignitàpolitica, prima ancora che sociale (che potrebbe essere un mero enunciato cosmetico delpolitically correct), dell'attività lavorativa svolta.
Ma la pari dignità politica di ogni possibile attività lavorativa, indipendentemente dal potere economico di fatto che la proprietà del capitale attribuisce, conduce ad un concetto di sovranità popolare coincidente con quella di sovranità democratica dei lavoratori (intesi nel senso allargato cui allude i passaggio di Basso sopra riportato): e proprio dei lavoratori che reclamano il fondamento costituzionale della protezione di "tutti" dall'arbitrio illimitato dei pochi, che intendono istituzionalizzare il potere economico di fatto che posseggono attraverso sia il controllo mediatico che dei processi decisionali dello Stato, realizzato in nome delle leggi naturali del mercato e del ricatto occupazionale che consegue all'applicazione delle stesse.

11. Ora questa accezione, che scaturisce dalla contrapposizione all'antisovrano, non ha neppure bisogno di essere espressamente postulata, come pure avviene nel nostro ordinamento nell'art.1 Cost.,  poiché ove non la si considerasse comunque implicita in ogni Costituzione moderna, verrebbe meno la stessa sostanza "minima" della democrazia, alla cui espressa realizzazione esse sono rivolte. 
Ciò sul presupposto, questo realmente senza alternative (almeno nel corso della reale evoluzione storica dell'economia c.d. capitalista), che non si possa garantire la pacifica coesistenza tra cittadini negando alla maggior parte di essi la dignità del proprio esistere, sia escludendoli dal potere politico per mezzo di trattati internazionali di natura economica, sia, ancor peggio, privandoli dell'occupazione a proprio piacimento, sulla base dell'idea, autoproclamata da un'oligarchia capitalista, della immanenza delle leggi "naturali" del mercato, fonti della razionalità e, come tali, non discutibili razionalmente (v. qui, p.11, per la sostanziale teorizzazione di Hayek). 

11.1. Questa interconnessione di elementi che contraddistinguono la democrazia, rende chiara un'ulteriore prospettiva: la sovranità popolare intesa come sovranità democratica dei lavoratori è una difficilissima realizzazione
Ma, per questo esistono le Costituzioni: affinché la tensione alla democrazia sostanziale non sia mai rinunziata, consapevoli del continuo agire delle potentissime forze reazionarie del mercato per riconquistare il proprio potere "naturale", facendo leva sulla (neo)teologia instaurata dal liberalismo, (per  sostituirla alla teologia che fondava il potere delle aristocrazie feudali dell'ancien regime).
Il concetto di sovranità popolare, ove sia (inevitabilmente) legato alla democrazia del lavoro, è dunque un concetto inscindibile dalla difesa delle Costituzioni che, appunto, intendono risolvere il conflitto tra le classi, coscienti delle finzioni del passato (quelle delle costituzioni "liberali" ottocentesche e costantemente travolte dalle forze conflittuali espresse dal mercato).
Sostenere oggi la sovranità popolare è dunque un esercizio obbligato di difesa della democrazia: al punto attuale di degenerazione, appropriativa del potere politico nazionaleda parte delle elites cosmopolite, e delle loro istituzioni internazionali esclusivamente autorappresentative, si tratta in definitiva di vedere se si riuscirà, o meno, a preservare la stessa istituzione del processo elettorale e la possibile rappresentazione degli interessi generali nell'attività di governo.
Ma finché rimanga in vita il processo elettorale previsto dalle Costituzioni democratiche, coloro che si richiamano alla sovranità democratica del lavoro non possono che vincere: è solo questione di avere le idee chiare e di saperle chiaramente comunicare credendoci, senza ambiguità e compromessi (che hanno sempre travolto chi pensava, da "mosca cocchiera", di riuscire a volgerli a proprio vantaggio, ignorando l'inesorabile esito del conflitto di classe). 

* Fonte: Orizzonte48

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