sabato 30 giugno 2018

LA NOSTRA VIA di Moreno Pasquinelli


[ 30 giugno 2018 ]

«L'accordo sbandierato da Conte si sfalda nel giro di una mattinata. Macron esclude centri d'accoglienza "volontaria" in Francia, anche la Spagna si sfila. Niente intesa neanche con Merkel sui migranti secondari. Alla prossima nave tutto sarà come prima. (...) Il documento finale [vedi il testo più sotto] è un guscio vuoto, il Consiglio Ue fissa solo principi, senza concretezza e senza soldi».

Questa sintesi giornalistica dell'Huffington Post potrebbe essere la sintesi che meglio descrive quanto (non) deciso dal vertice dell'Unione europea. Potrebbe perché non è vero che "tutto sarà come prima". Poco o nulla, invece, sarà come prima.

Azzardiamo un'ipotesi: quando, un giorno speriamo non troppo lontano, i libri di storia racconteranno il decesso dell'Unione europea, dovendo essi tracciare una data simbolica dell'inizio della fase dello sfaldamento, molto probabilmente indicheranno proprio il vertice appena conclusosi.

Qual è infatti il senso più profondo, la vera cifra di quanto accaduto? La questione dell'immigrazione è solo una metafora che chiama in causa il destino dell'Unione europea. Cos'è dunque venuto fuori? Che le tendenze centrifughe prevalgono di gran lunga su quella centripeta, che è de facto avviato il processo di smottamento della "grandiosa" costruzione unionista. Un processo oggettivo, che alla fine è destinato a prevalere sui desiderata europeistici delle classi e delle élite dominanti. Detto altrimenti, e come andiamo ripetendo dallo scoppio della grande crisi: gli stati-nazione, dati per moribondi, ritornano al centro della scena, tendono a riprendersi la sovranità che avevano ceduto.

Confondendo "giudizio di fatto" con "giudizio di valore", l' "essere" col "dover essere", c'è chi, leggendo questo fenomeno come un "ritorno al passato", lo condanna a priori come "reazionario". La radice di questo ragionamento, anzi, di questo gravissimo errore, è nella visione unilineare della storia di radice razionalistica, per cui essa storia, come svolgendosi su una retta, può solo procedere in avanti o indietro. In avanti ci sarebbe il "progresso", all'indietro il "regresso", l'involuzione, l'oscurantismo. Non sono ammesse, in questa visione, eccezioni, deviazioni, anomalie, percorsi alternativi.

Da questo punto di vista è impossibile non vedere come ci sia una effettiva convergenza di visione tra i due poli principali che si contendono oggi giorno l'egemonia: quello (di sinistra) della mega-borghesia globalista e cosmopolitica, e quello (di destra) della nano-borghesia neo-nazionalista. E' un fatto: non solo entrambi questi poli convergono nel tentativo di presentare il ritorno alle sovranità statuali come, sic et simpliciter, vittoria degli etno-nazionalismi; essi, per il principio della concidentia oppositorum, sono interessati a che non emerga alcuna alternativa e questo nuovo bipolarismo coatto e avanzante.

Come evitare di essere schiacciati tra l'incudine del globalismo e il martello del revanchismo etno-nazionalista? C'è una "terza via"? L'abbiamo indicata, è quella del patriottismo repubblicano e della rivoluzione democratica.

E qual è il campo in cui l'alternativa può farsi strada? Questo è quello "populista" o "nazional-popolare", quello della ribellione conclamata manifestatasi nelle urne col referendum del 4 dicembre 2016 e del 4 marzo 2018. Fuori da questo campo c'è il vuoto immaginario, o meglio, c'è il campo del blocco ancora oggi ampiamente dominante nonché saldamente presidiato dal nemico principale della mega-borghesia globalista e cosmopolitica. 

Non è troppo tardi per lanciare, a M5S e Lega anzitutto, la sfida dell'egemonia. Questa loro egemonia non è inesorabile, è anzi fragile, esposta alle future tempeste sociali. Non si pensi infatti che la fine del lungo ciclo della globalizzazione neoliberista sia indolore. Avremo spasmi sociali, enormi turbolenze sociali, nuovi terremoti politici e istituzionali, fratturazioni dei blocchi. E' in questo crogiuolo, non in un rilassato trapasso, che potrà farsi largo la sinistra patriottica o, per dirla diversamente, il "populismo rivoluzionario".

Battere il nemico principale (che resisterà fino all'ultimo respiro), acquisire forza e massa critica diventando protagonisti di questa battaglia che inevitabilmente spingerà larghe masse all'azione. Solo così si potrà domani affrontare quella contro il nemico secondario nel caso diventi domani quello principale.

A questo sì che non c'è alternativa. 



* * *


IL TESTO INTEGRALE DEL DOCUMENTO APPROVATO DAL VERTICE UE


1. Il Consiglio europeo ribadisce che condizione preliminare per una politica Ue efficace è un approccio globale alla migrazione, che combini un controllo più efficace delle frontiere esterne dell'Ue, una maggiore azione all'esterno e all'interno, in linea con i nostri principi e valori. Questa è una sfida non solo per un singolo Stato membro, ma per l'Europa nel suo insieme. Dal 2015 sono state predisposte una serie di misure per ottenere un controllo efficace delle frontiere esterne dell'Ue. Di conseguenza, il numero di ingressi illegali rilevati nell'Ue è stato ridotto del 95% dal suo picco nell'ottobre 2015, anche se recentemente sono stati rilevati flussi sulle rotte orientale e occidentale del Mediterraneo.

2. Il Consiglio europeo è determinato a proseguire e rafforzare questa politica per impedire il ritorno ai flussi incontrollati del 2015 e ad arginare ulteriormente la migrazione illegale su tutte le rotte esistenti ed emergenti.

3. Per quanto riguarda la rotta del Mediterraneo centrale, gli sforzi per fermare i contrabbandieri che operano fuori dalla Libia o altrove devono essere ulteriormente intensificati. L'Ue continuerà a sostenere l'Italia e altri Stati membri in prima linea. Rafforzerà il suo sostegno alla regione del Sahel, alla guardia costiera libica, alle comunità costiere e meridionali, alle condizioni di accoglienza umane, ai ritorni umanitari volontari, alla cooperazione con altri paesi di origine e di transito, nonché al reinsediamento volontario. Tutte le navi che operano nel Mediterraneo devono rispettare le leggi applicabili e non ostacolare le operazioni della Guardia costiera libica.

4. Per quanto riguarda la rotta del Mediterraneo orientale, sono necessari ulteriori sforzi per attuare pienamente l'accordo Ue-Turchia, prevenire nuovi attraversamenti dalla Turchia e fermare i flussi. L'accordo Ue-Turchia e gli accordi bilaterali di riammissione dovrebbero essere pienamente attuati in modo non discriminatorio nei confronti di tutti gli Stati membri. Sono necessari ulteriori sforzi per assicurare rapidi ritorni e prevenire lo sviluppo di nuove rotte marittime o terrestri. La cooperazione e il sostegno a favore dei partner nella regione dei Balcani occidentali rimangono fondamentali per scambiare informazioni sui flussi migratori, prevenire l'immigrazione illegale, aumentare le capacità di protezione delle frontiere e migliorare le procedure di rimpatrio e di riammissione. Alla luce del recente aumento dei flussi nel Mediterraneo occidentale, l'Ue sosterrà, finanziariamente e in altro modo, tutti gli sforzi degli Stati membri, in particolare della Spagna e dei paesi di origine e di transito, in particolare il Marocco, per prevenire l'immigrazione illegale.

5. Per spezzare definitivamente il modello di business dei contrabbandieri, evitando così tragiche perdite di vite umane, è necessario eliminare l'incentivo a intraprendere viaggi pericolosi. Ciò richiede un nuovo approccio basato su azioni condivise o complementari tra gli Stati membri per lo sbarco di coloro che sono salvati nelle operazioni di ricerca e salvataggio. In tale contesto, il Consiglio europeo invita il Consiglio e la Commissione a esplorare rapidamente la possibilità di piattaforme di sbarco regionali, in stretta cooperazione con i paesi terzi interessati nonché con l'UNHCR e l'OIM. Tali piattaforme dovrebbero operare distinguendo le singole situazioni, nel pieno rispetto del diritto internazionale e senza creare un fattore di attrazione.

6. Sul territorio dell'Ue, coloro che vengono salvati, secondo il diritto internazionale, dovrebbero essere presi in carico, sulla base di uno sforzo condiviso, attraverso il trasferimento in centri controllati istituiti negli Stati membri, solo su base volontaria, dove un processo di identificazione rapido e sicuro consentirebbe, con pieno sostegno dell'Ue, di distinguere tra migranti irregolari, che saranno rimpatriati, e quelli che necessitano di protezione internazionale, per i quali si applicherebbe il principio di solidarietà. Tutte le misure nel contesto di questi centri controllati, compresi il trasferimento e il reinsediamento, saranno su base volontaria, fatta salva la riforma di Dublino.

7. Il Consiglio europeo conviene di avviare la seconda tranche dello strumento per i rifugiati in Turchia e, allo stesso tempo, di trasferire 500 milioni di euro dalla riserva dell'11° FES al Fondo fiduciario dell'UE per l'Africa. Gli Stati membri sono inoltre invitati a contribuire ulteriormente al Fondo fiduciario dell'UE per l'Africa in vista del suo riassetto.

8. Affrontare il problema della migrazione richiede una partnership con l'Africache miri ad una sostanziale trasformazione socioeconomica del continente africano, basandosi sui principi e gli obiettivi definiti dai paesi africani nell'Agenda 2063. L'Unione europea e i suoi Stati membri deve raccogliere questa sfida. Dobbiamo aumentare la portata e l'uguaglianza della nostra cooperazione con l'Africa ad un nuovo livello. Ciò richiederà non solo maggiori finanziamenti per lo sviluppo, ma anche passi verso la creazione di un nuovo scenario che consenta un aumento sostanziale degli investimenti privati da parte sia degli africani che degli europei. Particolare attenzione dovrebbe essere rivolta all'istruzione, alla salute, alle infrastrutture, all'innovazione, al buon governo e all'emancipazione delle donne. L'Africa è il nostro vicino di casa e questo deve tradursi in maggiori scambi e contatti tra i popoli di entrambi i continenti a tutti i livelli della società civile. La cooperazione tra l'Unione europea e l'Unione africana è un elemento importante delle nostre relazioni. Il Consiglio europeo chiede di svilupparlo e promuoverlo ulteriormente.

9. Nel contesto del prossimo quadro finanziario pluriennale, il Consiglio europeo sottolinea la necessità di strumenti flessibili, che permettano uno stanziamento rapido, per combattere l'immigrazione clandestina. La sicurezza interna, la gestione integrata delle frontiere, i fondi per l'asilo e la migrazione dovrebbero pertanto includere componenti dedicati e significativi per la gestione della migrazione esterna.

10. Il Consiglio europeo ricorda la necessità che gli Stati membri garantiscano un controllo efficace delle frontiere esterne dell'Ue con il sostegno finanziario e materiale dell'Ue. Sottolinea inoltre la necessità di intensificare in modo significativo l'effettivo rientro dei migranti irregolari. Sotto entrambi gli aspetti, il ruolo di sostegno di Frontex, anche nella cooperazione con i paesi terzi, dovrebbe essere ulteriormente rafforzato attraverso maggiori risorse e un mandato rafforzato. Accoglie con favore l'intenzione della Commissione di presentare proposte legislative per una politica europea di rimpatrio più efficace e coerente.

11. Per quanto riguarda la situazione interna all'Ue, i movimenti secondari dei richiedenti asilo tra Stati membri rischiano di compromettere l'integrità del sistema europeo comune di asilo e del trattato Schengen. Gli Stati membri dovrebbero adottare tutte le misure legislative e amministrative interne necessarie per contrastare tali movimenti e cooperare strettamente tra loro a tal fine.

12. Per quanto riguarda la riforma per un nuovo regime europeo comune in materia di asilo, sono stati compiuti molti progressi grazie agli sforzi instancabili delle presidenze bulgare e precedenti. Diversi punti sono vicini alla finalizzazione. È necessario trovare un consenso sul regolamento di Dublino per riformarlo sulla base dell'equilibrio tra responsabilità e solidarietà, tenendo conto delle persone sbarcate in seguito a operazioni di ricerca e salvataggio. Ulteriore esame è richiesto anche per la proposta sulle procedure di asilo. Il Consiglio europeo sottolinea la necessità di trovare una soluzione rapida all'intero pacchetto e invita il Consiglio a proseguire i lavori al fine di concludere quanto prima. Ci sarà una relazione sui progressi durante il Consiglio europeo di ottobre.

venerdì 29 giugno 2018

DOMENICO LOSURDO di Campo Antimperialista


[ 29 giugno 2018 ]

E' morto ieri, all'età di 77 anni, Domenico Losurdo.
Il Campo Antimperialista si associa al dolore dei suoi cari e dei compagni del PCI.

Per chi non sapeva della sua grave quanto rapidissima malattia, la scomparsa di Losurdo è giunta improvvisa quanto inattesa. Si tratta, senza dubbio, di una grande perdita per chiunque lotti contro il capitalismo e per la costruzione di un'alternativa socialista. Una lotta alla quale Domenico dette un grande impulso, soprattutto in quel decisivo passaggio del post-89 quando le sirene del "pensiero unico" sembravano del tutto vincenti anche a sinistra.

Giustamente, in queste ore molti ricordano lo studioso, l'autore di molti libri, il docente universitario. Altri ancora, altrettanto giustamente, evidenziano la sua militanza di comunista non pentito, e dunque la sua vicinanza ai semplici ed alle classi popolari.

A noi compete mettere in luce un altro aspetto, certo collegato a quelli già menzionati: Domenico Losurdo è stato un convinto e coerente militante antimperialista, ed in quanto tale lo abbiamo avuto al nostro fianco in tante battaglie.

Diversi sono stati i momenti ed i temi della nostra collaborazione: dal sostegno alla causa del popolo palestinese, alla lotta contro gli occupanti in Afghanistan, all'appoggio alla Resistenza libanese e contro le aggressioni militari in Medio Oriente. Ma il momento di massima collaborazione fu quello, ormai lontano nel tempo ma sempre importante da ricordare, della mobilitazione a difesa delle ragioni della Resistenza irachena contro l'occupazione americana seguita all'invasione del Paese del 2003.

L'antimperialismo di Losurdo non si è mai limitato agli studi, ai libri, alle conferenze. Oltre a queste importanti attività, egli si è sempre schierato con decisione dalla parte dei popoli e dei movimenti in lotta contro l'oppressione imperialista e neo-coloniale. E lo ha fatto - cosa ancor più meritoria - in momenti difficili, sfidando l'ostracismo dell'intera sinistra istituzionale, Prc compreso.

Ci riferiamo appunto alle vicende del 2003, quando lanciammo un appello per una manifestazione nazionale dal tema inequivocabile: «Con il popolo iracheno che resiste». Domenico fu tra i promotori di quell'appello - come degli altri successivi (dal 2005 al 2007) affinché potesse svolgersi in Italia una conferenza sul Medio Oriente con la partecipazione di diversi esponenti della Resistenza irachena.

In quell'autunno 2003 aderirono alla manifestazione contro l'occupazione americana dell'Iraq anche tanti militanti di Rifondazione, come pure dirigenti sindacali ed iscritti agli allora DS. In tutta risposta i vertici di queste organizzazioni chiesero (peraltro senza troppo successo) ai propri aderenti di ritirare la loro firma. Nel frattempo, una violenta campagna di stampa (da Libero a Liberazione, passando per Repubblica e Corriere della Sera) cominciò ad attaccare la manifestazione, qualificandola - guarda un po' - come "rossobruna".

Domenico ebbe molte pressioni affinché si dissociasse da quella iniziativa. Egli invece, non solo mantenne la sua adesione, ma fu tra i principali protagonisti dell'assemblea del 13 dicembre, e fu subito dopo tra i promotori di IRAQ LIBERO - Comitati per la Resistenza del popolo iracheno, un organismo molto attivo negli anni successivi.

Anni in cui Iraq Libero sviluppò diverse iniziative per il riconoscimento politico della Resistenza irachena, alle quali Losurdo volle sempre dare il suo contributo. Ricordiamo qui, solo come esempio, il suo ruolo di protagonista nella grande assemblea che si tenne a Roma il 1° ottobre 2005 contro il servilismo del governo italiano che - su ordine della Casa Bianca - aveva negato i visti agli esponenti iracheni da noi invitati in Italia, compreso quello ad Haj Ali, l'uomo simbolo delle torture americane nel carcere iracheno di Abu Ghraib.

Queste poche righe non possono certo esaurire il ricordo del lavoro e dell'impegno di uno studioso e militante qual è stato Domenico Losurdo. Ma rammentare il suo coerente e coraggioso antimperialismo - tanto più in un'epoca dove questa coerenza e questo coraggio sono merce così rara, specie tra gli intellettuali - ci è sembrato il modo migliore di ricordarlo nel momento della dolorosa notizia della sua morte.


CHI HA CONDONATO IL DEBITO TEDESCO di Marcello Minenna

[ 29 giugno 2018]

Marcello Minenna è uno dei migliori economisti che abbiamo in Italia. Non è un anti-euro, di certo non un è euroinomane. Egli ritiene ancora possibile salvare l'euro e l'Unione a condizione che si cambi strada. Che la si cambi davvero, anche Minenna, ci crede poco. Consigliamo la lettura di questo articolo che ricostruisce la questione del debito, non quello italiano badate, bensì quello tedesco. 
Già, forse no lo sapevate ma la Germania ha evitato di fare default per ben tre volte, solo grazie al fatto che i suoi creditori hanno chiuso non un occhio ma tutti e due. Come si dice: fai del bene e (da Berlino) riceverai ingratitudine...

*  *  *

La classe dirigente ripassi la storia
la condivisione del debito è la ricetta che ha fatto grande l'Europa


Strano a dirsi, ma tra le due grandi crisi debitorie a carattere intercontinentale del 1982 e del 2008 l’andamento del Pil dell’Eurozona ante litteram ha mostrato complessivamente valori di crescita superiori a quelli del resto del mondo.
In quel periodo si verificarono due “riunificazioni”: quella della Germania (1990) e quella dei tassi di interesse dei Paesi membri con la nascita dell’Euro (1999). Entrambi gli eventi ebbero un impatto sui debiti.


Il primo cancellò quasi tutti i debiti tedeschi derivanti dalle riparazioni di guerra consentendo di evitare — come disse il cancelliere Kohl — il default della Germania (il terzo in un secolo) e di gestire i 1.500 miliardi di euro di costi della riunificazione della Germania, stima dell’Università libera di Berlino.

Il secondo agevolò il finanziamento dei debiti pubblici dei Paesi membri e allineò la loro spesa percentuale per interessi a quella tedesca. Un effetto derivato dalle direttive europee che imponevano ex lege l’uguaglianza dei rischi dei titoli di Stato dell’Eurozona (i Govies) e da una Bce che conseguentemente non li discriminava nella sua operatività: de facto l’Eurozona operava come se i rischi fossero condivisi. D’altronde una valuta unica non può avere diversi tassi di interesse a meno di non voler creare tra gli Stati membri valute ombra con incontrollati effetti sperequativi socio-economici.

Per più di un quarto di secolo, quindi, princìpi come la solidarietà e il risk-sharing hanno fatto da propellente per il Pil dei Paesi della nostra area valutaria ed anche da collante sociale.

In questa prospettiva storica va riletta la provocatoria richiesta greca di metà 2015 di azzerare il proprio debito attraverso il rimborso, a valori attuali, dei quasi 280 miliardi di euro di prestito forzoso che la Grecia dovette pagare durante l’occupazione nazista. Una richiesta giuridicamente infondata di un governo messo alle corde e preoccupato dell’austerity che, imposta dalla Troika, stava mettendo di in ginocchio un Paese, senza risolverne i problemi, e dava la stura in Europa ai nazionalismi.

Il contributo dell’Italia alla cancellazione del debito tedesco
La decisione del 1990 non era peraltro la prima. Nel trattato di Parigi del 1947 all’Italia fu imposto di rinunciare ai crediti derivanti dai danni di guerra prodotti dalla Germania pari, a valori attuali, a circa 65 miliardi di euro di debito pubblico. Ciò, nonostante l’osservazione di De Gasperi che l’Italia negli ultimi 18 mesi di guerra fosse stata cobelligerante con i vincitori e che proprio in quel periodo avesse subito quei danni.

Poco dopo, con il trattato di Londra del 1953, il debito tedesco riveniente dai due conflitti mondiali fu dimezzato e dilazionato su più di 30 anni e i danni di guerra, circa 1.500 miliardi di dollari ai valori del 1990, furono congelati sino alla riunificazione. Inoltre, per il debito dilazionato (quasi 300 miliardi a valori attuali), si stabilì che la restituzione, a rate annuali, avesse luogo solo in caso di eccedenza commerciale della Germania e cioè solo in presenza di risorse effettivamente disponibili, senza dover ricorrere a nuovi prestiti o utilizzare riserve di valuta estera.

Nota di colore: i pacchetti imposti oggi dalla Troika e dal six pack / fiscal compact ai Paesi debitori richiedono invece, incuranti di questo principio, rimborsi 10 volte quelli imposti a suo tempo alla Germania in termini di rapporto rispetto al totale delle esportazioni.

Il valore della solidarietà


Questi pacchetti sono in linea con le decisioni politiche avviate dal 2008 che hanno segnato il progressivo abbandono di un’impostazione a rischi condivisi, di cui lo spread è solo la punta dell’iceberg e che accompagnano un andamento del Pil dell’Eurozona che non riesce più ad agganciare quello del resto del mondo. È francamente una magra consolazione l’andamento distonico della Germania ed è semplicistico attribuirlo esclusivamente alle virtù teutoniche.

Altrettanto semplicistico è ignorare la turbolenza finanziaria di una ristrutturazione del debito pubblico italiano come pure di una sua remissione in qualsivoglia forma. D’altronde dati i fondamentali della nostra area valutaria non sarebbero neanche ipotesi da valutare se le priorità fossero investimenti, crescita ed una revisione dell’architettura dell’euro in un’ottica risk-shared; aspetto quest’ultimo che — a seconda della posizione ideologica e degli interessi da cui ci si muove — diviene un tecnicismo monetario, un atto dovuto o uno strumento perverso che rimuoverebbe le responsabilità per le scelte sbagliate e lassiste del passato.

Occorre superare queste visioni partigiane e fare tesoro della nostra storia: l’Eurozona ante litteram ha prosperato in termini socio-economici fino a quando ha saputo fare leva su principi di solidarietà e di ragionevolezza economica riuscendo così a superare le nefandezze, le distruzioni e i rancori generati da ben due conflitti mondiali. Verso questi obiettivi una nuova classe dirigente dovrà necessariamente puntare con un orizzonte di lungo periodo.

* Fonte: Business Insider

BALCANI: NEW ENTRIES NELLA UE di Joël Perichaud

[ 28 giugno 2018

Nuovo colpo basso dell’Unione Europea 


La Ue attraversa una crisi economica e migratoria che, come noi speriamo, finirà per farla esplodere ma la storia non insegna nulla a lorsignori …

L’Albania e la Macedonia hanno ricevuto una risposta positiva in vista di una futura adesione all’UE.

Fermiamoci un attimo sulla dichiarazione del ministro tedesco degli affari europei Michael Roth:

«Dobbiamo riconoscere che l’Albania e la Macedonia hanno fatto degli sforzi enormi. La stabilità, la pace e la democrazia nei Balcani occidentali sono una posta in gioco cruciale per tutti noi».
Ministro tedesco degli affari Europei o umorista (nero)?

L’Albania è molto lontana dai diritti dell’uomo e dallo stato di diritto.

«I programmi di formazione Europei, concepiti negli uffici di Bruxelles sono assolutamente inadeguati alle realtà e sfruttati dalla casta dirigente […] è questo in particolare il caso delle imprese che appartengono a entità vicine ai poteri forti». 
Un esempio?: Agron Duka, capo del Partito Agrario Albanese (PAA), ex ministro dell’alimentazione sotto il governo di Fatos Nano e contemporaneamente dirigente della più importante società di importazione di prodotti alimentari. Secondo Transparency International, nel 2017, l’Albania figurava al 91°posto su 180 della classifica sulla percezione della corruzione stabilita dalla Ong.

Per quanto concerne la "Macedonia" la situazione non è migliore. L’ARYM rimane classificata al 108esimo posto secondo la stessa classifica.

I 10 anni di governo di Nicolas Gruevski 2006/2016 non hanno fatto altro che aggravare la situazione. I due stati balcanici contano solamente 5 milioni di abitanti ovvero lo 0,5% della popolazione europea e le ragioni della loro adesione sono chiare:

- In Albania il reddito medio è di 330€ al mese.

- Nella Macedonia del Nord il reddito medio è di 420€.

Delle buone prospettive di possibili delocalizzazioni all’interno dell’Unione Europea, senza parlare della quasi inesistenza di politiche di protezione sociale in questi paesi. Ricordiamo soprattutto che l’Albania è già membro della NATO. La posta in gioco è importante per l’Unione Europea, con l’adesione del Montenegro e della "Macedonia del Nord", entrambi membri della NATO, l’UE controllerà l’intera costa adriatica. Insomma l’Unione Europea e la NATO allegramente unite per il benessere dei popoli… 

Ma l’UE ha già perso le opportunità di espansioni del 2004 e del 2008. Bruxelles sa bene che non è questo il momento, ecco perché bisognerà attendere Maggio 2019, dopo le elezioni europee, per l’apertura ufficiale del processo di adesione.

Sogni d'oro brave persone… L’Unione Europea si occupa di voi.

Per l’uscita dall’Unione Europea, dall’Euro e dalla NATO

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giovedì 28 giugno 2018

GOVERNO M5S-LEGA: LA SINISTRA SI SUICIDA? di Vladimiro Giacchè

[ 29 giugno 2018 ]

Una lucida intervista a Giacchè a cura di Valerio Della Croce*


D. E’ stato evidenziato che il voto del 4 marzo ha aperto una fase nuova nella vita del Paese: le forze su cui si è retta la cosiddetta “democrazia dell’alternanza” nel bipolarismo – ma in realtà speculari nell’applicazione servile delle politiche economiche UE – sono uscite pesantemente sconfitte, aprendo la strada all’ascesa di Movimento 5 stelle e Lega. Credi che si sia aperta effettivamente una fase nuova di transizione per il nostro Paese?

R. Mi sembra presto per dirlo. Una cosa però possiamo affermarla con ragionevole certezza. La maggioranza dei votanti ha inteso dare un segnale di cambiamento e di rottura precisamente per quanto riguarda il tema, cruciale, dei rapporti con l’Unione Europea. Che questa volontà, che a me appare chiara, possa poi tradursi davvero in politiche che rappresentino un punto di svolta rispetto all’ “applicazione servile delle politiche economiche UE” dei precedenti governi, è un’altra faccenda. Che dipende da molti fattori: la coesione interna del governo e l’effettiva capacità (e volontà) di tenere fede all’obiettivo dichiarato di far sentire la propria voce nel consesso europeo, la pressione ricattatoria che sarà esercitata sul governo affinché venga a più miti consigli (qualche saggio sui mercati l’abbiamo già avuto), infine — la cosa non sembri secondaria — gli orientamenti dell’opposizione in Italia. 
È evidente infatti che un’opposizione attestata su una linea di ottuso lealismo europeo, in continuità con le politiche rinunciatarie degli ultimi anni, non soltanto si suiciderebbe, ma indebolirebbe le chance del nostro Paese di vedere riconosciute le sue ragioni, e in ultima analisi diminuirebbe le possibilità di un esito non traumatico della crisi dell’Unione. Perché qui c’è un punto cruciale che non va dimenticato: il progetto europeo si trova in una crisi molto grave, che si deve in parte a “difetti” della sua stessa costruzione istituzionale (i Trattati, almeno dall’Atto unico europeo del 1986 in poi), in parte alla gestione criminosa della crisi economica. La crisi europea può essere solo aggravata da atteggiamenti, in particolare da parte dei governi tedesco e francese, che puntino a continuare a sfruttare le rendite di posizione costruite a danno dell’Italia e di altri paesi, utilizzando rapporti di forza favorevoli (e interlocutori accomodanti).
Qui mi sembra che nulla si possa sperare dall’opposizione del Pd, indistinguibile — su questo come su altri temi — da quella di Forza Italia.
E’ quindi della massima importanza che le forze che si collocano a sinistra di quel partito riescano a profilare una posizione che critichi ciò che è giusto criticare nelle azioni del governo, ma ponendosi da un punto di vista diverso: quello della difesa dei diritti del lavoro, e quindidella sovranità costituzionale.
Ritengo che essere giunti alle elezioni senza avere una posizione corretta e chiara su questo punto, senza aver compreso — cioè — che la difesa della sovranità costituzionale è l’unica trincea che consente di difendere i diritti del lavoro nell’attuale fase della “guerra di posizione”, sia uno dei fondamentali motivi del disastro elettorale della sinistra in tutte le sue declinazioni.
Ho recensito l’ottimo libro di Domenico Moro (La gabbia dell’euro. Perché uscirne è internazionalista e di sinistra) pochi giorni prima delle elezioni. Concludevo la mia recensione sostenendo che una ripresa della sinistra dopo le elezioni avrebbe dovuto passare per una riflessione sui problemi trattati in quel libro. Continuo a pensarla così.

D. Lo scontro che si è generato negli ultimi giorni prima della gestazione del nuovo governo tra le prerogative delle istituzioni nazionali ed i voleri di quelle comunitarie ha probabilmente reso palese l’immanenza del conflitto tra vincolo interno costituzionale e vincolo esterno UE, di cui ti sei occupato intensamente negli anni passati: in che modo la nascita del nuovo governo interviene nel processo di integrazione europea e nei suoi sviluppi recenti (costituzione Fondo Monetario UE, Ministro delle finanze UE, ecc.)?
Questa anomalia politica potrà portare l’Italia a divenire l’ “anello debole” del processo di integrazione europea o prevarrà una normalizzazione come avvenuto con la Syriza greca (anche alla luce dei primi obiettivi indicati dal governo in materia economica e sociale)?

R. Io credo che la formazione del nuovo governo italiano sia stato un evento dirompente quanto inatteso. E a ragione, visto che il nostro era sino a qualche anno fa il paese più “europeista” — il che poi in pratica purtroppo ha significato: il paese i cui rappresentanti hanno sacrificato gli interessi rappresentati, e in particolare quelli dei lavoratori e degli strati sociali più colpiti dalla crisi nel nostro paese, sull’altare dell’integrazione europea (considerata — soltanto da noi — come buona e progressiva a prescindere dai suoi concreti contenuti).
E’ chiaro che ora si è aperta una partita durissima, e che la posta in gioco è precisamente la “normalizzazione greca” del nuovo governo.
Anche per questo è importante che la sinistra di opposizione, quale che sia il giudizio che ritiene di dare dell’operato governativo, profili in modo molto netto la propria posizione su questo punto. Rifiutando ogni compromesso con i poteri dominanti in Europa e ovviamente, ancora prima, evitando di illudersi che questi poteri possano rappresentare un alleato fosse anche solo “tattico” dell’opposizione al governo attuale.

D. ll governo 5 Stelle-Lega nasce su una consenso interclassista, registrando nettamente il sostegno anche di una parte della borghesia nazionale. La stessa priorità data alla riduzione delle tasse sulle imprese rappresenta un timbro pesante posto dalle classi dominanti del Paese sulla politica fiscale del nuovo governo, in piena continuità col passato recente. Già dai primi giorni d’insediamento si sono registrate ambiguità e conflitti su questioni significative come la politiche estera, il rapporto del Paese con l’imperialismo americano, politiche sociali, politiche del lavoro, solo per citare alcuni esempi.
Ad oggi, l’approccio governativo verso questi grandi temi sta riscontrando una sostanziale continuità con il passato. Nella stessa aggressività usata in materie come l’immigrazione verso il nostro Paese, è possibile notare l’assoluto silenzio nei confronti delle responsabilità dell’Occidente nel passato e, conseguentemente, l’assenza di interventi in discontinuità con le politiche imperiali e di saccheggio. Come ritieni che i comunisti e le organizzazioni comuniste debbano porsi di fronte a queste contraddizioni ed, in generale, a questa fase politica?

R. Premetto che non ho alcun titolo per dare indicazioni a nessuno, e in particolare a nessuna organizzazione politica, meno che mai nella fase attuale. È una premessa doverosa da parte di chi, come il sottoscritto, non fa parte di alcuna organizzazione e non ritiene di essere dotato di ricette magiche per suggerire “linee” a chicchessia. Credo più in generale che ci si debba guardare dall’attribuire un ruolo di indirizzo attribuito a “intellettuali di area” che spesso finiscono per essere portatori soltanto delle proprie personalissime riflessioni.
Detto questo, sui temi che mi hai proposto penso questo.
Dal punto di vista sociale credo che il massimo radicamento questo governo lo abbia tra i disoccupati, la classe operaia e la piccola borghesia. Mi sembra per contro che la grande borghesia non si sia ancora abituata a quanto avvenuto il 4 marzo e a quello che ne è seguito.
Dal punto di vista sia del programma di governo che della sua composizione, mi sembra evidente che esistano linee diverse, a volte confliggenti tra loro. Solo il tempo potrà dirci quali interessi/linee prevarranno.
Quale atteggiamento tenere? Nel merito, mi aiuto con un esempio. Personalmente non sono un fautore della flat tax. Mi sembra che essa sia più un tributo alla piccola borghesia che al grande capitale o agli evasori (che come noto la flat tax se la procurano da soli in altri modi). Credo che da sinistra abbia senso opporsi a questa proposta in nome di provvedimenti alternativi (investimenti in infrastrutture fisiche e della conoscenza che finanzino un piano del lavoro, ad esempio). Ma credo anche che si debba assolutamente evitare di farlo in nome dei “conti in ordine” e dell’obbedienza al fiscal compact o alle “regole di Maastricht”. Questo significa che bisogna avere una propria agenda.
Quanto al resto, francamente per ora non vedo tutta questa continuità in politica estera. E precisamente per il motivo che ricordavi anche tu: le ambiguità e le diverse opinioni che sussistono tra i due partiti di governo su aspetti anche molto significativi. Io però preferisco le “ambiguità” alle posizioni di inequivocabile e assoluta sudditanza a cui ci avevano abituato i governi precedenti. Vedo ora qualcosa di diverso: un tentativo di smarcarsi da alcuni degli errori più gravi commessi in passato, in particolare per quanto riguarda la politica nei confronti della Russia. E’ ovviamente possibile che prevalgano i richiami all’ordine in sede UE e Nato. Ma lo scenario più probabile a mio avviso non è questo, bensì lo smarcamento su alcuni temi e la continuità su altri, magari attraverso una “politica dei due forni” che proverà a giocare gli uni contro gli altri alleati europei e statunitensi.
Più in generale, penso che su tutti i temi chiave (politiche economiche dell’eurozona, euro, politica internazionale, immigrazione, unione bancaria ecc.) a sinistra bisognerebbe per prima cosa chiarirsi le idee e assumere posizioni sensate. E su quelle, poi, sviluppare un’autonoma iniziativa.
Purtroppo invece la sensazione che giunge all’esterno è oggi quella di una babele di voci da cui si distinguono al massimo degli slogan autoconsolatori ma privi di qualsiasi effetto politico.
Tutto questo dovrà cambiare, e in fretta. Pena la fine della sinistra politica in questo Paese. Il messaggio che viene dalle amministrative del 24 giugno mi sembra chiaro.

* Fonte: COM.INFO

LA PACCHIA È FINITA di Sandokan

[ 28 giugno 2018 ]

«Siamo insegnanti, docenti universitari, scrittori, artisti, attori, registi, economisti, membri della società civile. Denunciamo come anticostituzionale, moralmente inaccettabile e contraria ai più elementari diritti umani la politica sull’immigrazione del governo Salvini-Di Maio. Nel futuro non assisteremo senza opporci con tutti i possibili mezzi legali al respingimento di navi umanitarie, alla minaccia di “censimenti” di tipo etnico-razzista o ad altri fatti di questa gravità».


Così comincia l'appello dei professori e degli intellettuali pubblicato in pompa magna da la repubblica. Quando si dice che tutto fa brodo. Tutto fa brodo per azzoppare e rendere la vita difficile al governo M5s-Lega. C'era da aspettarselo che l'élite eurocratica, sfracellatasi nelle urne il 4 marzo, avrebbe provato a riconquistare l'egemonia perduta tentando di impallinare il governo sulla questione dell'immigrazione. Ho la netta sensazione che si stanno dando la zappa sui piedi.

Il perché è presto detto: quest'appello (ad orologeria) punta al bersaglio sbagliato.
Dovrebbe infatti essere rivolto all'asse Merkel-Macron che, in barba alla "solidarietà europea", tengono non solo chiuse le loro frontiere ma esigono che l'Italia si riprenda i profughi già presenti nei loro paesi e transitati per l'Italia.

Chi sono qui i "razzisti che fanno strame dell'umanità"? Non il governo Conte che al vertice europeo di questa mattina porta una posizione che gli autori dell'appello, tutti europeisti se non addirittura euroinomani, dovrebbero apprezzare assai. Conte andrà infatti a chiedere una "cosetta" semplice semplice: c'è o non un'Unione europea? Se c'è davvero in flussi migratori sono sulle spalle di tutti e l'Italia non può essere lasciata sola.
Detto con una metafora: chi ha voluto la bicicletta pedali!

Uno costernato Federico Fubini, sul CORRIRE DELLA SERA di oggi scrive che:
«Ciò che resta, e potrebbe portare a un veto dell’Italia al vertice europeo, è il problema politico. Per disinnescare la crisi di governo, Merkel ha bisogno che il governo di Roma si impegni a riaccogliere con un consenso automatico chi viene fermato in Germania dopo aver presentato richiesta d’asilo in Italia. Ma la disponibilità del premier Giuseppe Conte al vertice è condizionata a una contropartita: la Germania e gli altri principali Paesi dovrebbero impegnarsi a superare il sistema esistente, che relega la responsabilità per ogni richiedente asilo al primo Paese di arrivo nell’Unione Europea. Poiché l’obbligo legale di salvataggio in mare e di accoglienza in un porto sicuro negli ultimi anni è gravato quasi per intero sull’Italia, ora Conte chiede di rivedere il principio di fondo. Secondo il governo italiano, la responsabilità di gestire le richieste di asilo non può essere solo del Paese di primo approdo. (...) Il problema è che né Merkel, né il presidente francese Emmanuel Macron sembrano disposti (per ora) a questa concessione: per loro dovrebbe restare il cosiddetto sistema di «Dublino III», che consegna gli irregolari ai Paesi di primo ingresso nella Ue. ».
Fubini teme che il vertice europeo sia un fallimento col che verrà fatto secco l'asse Merkel-Macron. E' una buona cosa questa? Oh sì che lo è! Il Re sarebbe nudo.

Se poi Conte avrà le palle di porre il veto italiano ad un accordo fasullo meglio ancora. Un precedente di straordinaria importanza simbolica. Sarebbe la prima volta che Roma non va ai vertici con una posizione sdraiata, succube di Berlino e Parigi. 
Come dire... la pacchia, per lorsignori, è finita.
Vi sembra poco?



mercoledì 27 giugno 2018

ODIO MARCO REVELLI di Fiorenzo Fraioli

[ 27 giugno 2018]


Imperdibile il pezzo di Ego della Rete
Si tratta di una chiosa al pensiero di Marco Revelli. I più vecchi tra noi se lo ricordano come esponente di spicco di LOTTA CONTINUA. Ne è passata di acqua sotto i ponti...


*  *  *

Ho letto quest'intervista a Marco Revelli, che ha prodotto in me un'ondata di odio puro. Scrivo nel tentativo di sfogarmi, per evitare che questa scarica emotiva possa danneggiare il mio organismo, ma vi garantisco che mi si torcono le viscere e, se adesso lo avessi tra le mani, non potrei garantirvi che a prevalere sarebbe il mio IO civilizzato. Credo che un paio di zampate ai coglioni gliele darei, e non credo che mi pentirei nel vederlo rantolare. Odio puro, è odio puro e basta. Domani mi passerà, forse, ma soprattutto è una fortuna che non ce l'abbia tra le mani.

Già il modo in cui è presentata l'intervista mi ha provocato un sussulto. Giudicate voi.

«Il nostro paese è investito dall’onda nera del sovranismo. Un’onda che destabilizza i valori politici di fondo della nostra Repubblica. Quali sono le cause?
E’ possibile una “contronarrazione “civile alle urla sovraniste? Ne parliamo con Marco Revelli, professore di Scienza Politica all’Università del Piemonte Orientale.»

Dunque io, che sono un sovranista, secondo il ceffo che ha fatto l'intervista sarei parte di un'onda nera! Ma come si permette questo vile ceffo? Cosa c'è di "nero" nella semplice, normale pretesa che un popolo, in particolare quello italiano, si governi da sé, senza devolvere questo diritto a enti sovranazionali espressione di concentrazioni di ricchezza e potere privati? E soprattutto, mi spiegate per quale ragione non dovrei desiderare, con tutto il mio cuore, con tutta la mia passionalità, di prendere anche questo ceffo tra le mani e sbattergli la zucca contro un muro? Non che il ceffo non abbia diritto a tifare per i poteri privatistici globali, sono letteralmente cazzi suoi, ma come si permette di dire di me che faccio parte di un'onda nera? Ma chi cazzo è? Ma chi crede di essere, l'arcangelo Gabriele mentre io sarei il diavolo?

La prima domanda è questa:

«Professor Revelli, tira una gran brutta aria nell’Occidente. Il “sovranismo”, termine aggiornato di nazionalismo spinto, e il populismo stanno dilagando. Un’onda lunga che parte da Trump e arriva fino a Salvini. Un’onda destabilizzante che travolge i valori universali di “liberté egalité fraternité”. Un mostruoso inganno. Le domando: perché la “ricetta” sovranista, con le sue varianti, seduce l’Occidente?»

Dunque, secondo il ceffo, il "sovranismo" sarebbe l'equivalente di nazionalismo spinto, per di più lo confonde col populismo, e lo ascrive a Salvini (un liberista) e a Trump (il capo del più grande impero mondiale). Posso dire che il ceffo è un perfetto ignorante? Si, posso dirlo. Oppure, più sicuramente, è un mestatore prezzolato. Perché definire il sovranismo "nazionalismo spinto" è una scemenza che si può dire solo se si è ignoranti o pagati per mentire. O entrambe le cose.

Marco Revelli risponde(rebbe) così:

«Effettivamente è avvenuto un cedimento strutturale dei valori dell’Occidente o quantomeno dei valori che si erano affermati immediatamente dopo la fine della Guerra mondiale. L’effetto morale dell’orrore, che il mondo aveva dovuto vedere e testimoniare in quel periodo, aveva prodotto un contraccolpo: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; la nascita del concetto di crimini contro l’umanità. Tutto questo è durato una settantina d’anni e oggi stiamo assistendo ad un’inversione di quei valori, che dilaga come una sorta di “onda nera” sulle due sponde dell’Atlantico che ha un suo baricentro negli Stati Uniti, che nel conflitto mondiale avevano rappresentato la bandiera della libertà ma anche dell’umanità, e che ritorna in quell’Europa orientale testimone di molti orrori, dove c’era Auschwitz. Anche paesi come la Germania vacillano con un populismo di estrema destra aggressivo. L’Italia anche è caduta in questo vortice, gli italiani “brava gente”, denominazione di cui ci gloriavamo, non è più così.»

Revelli, che non è ignorante come il ceffo, risponde in modo più sottile, ragione per cui mi fa incazzare ancora di più. Parla della nascita della dichiarazione dei diritti dell'uomo, un prodotto della cultura occidentale, meglio dire il "chiacchiere e distintivo" della cultura occidentale, cosa che Revelli sa benissimo ma fa finta di non sapere. Se c'è un testo che non ha avuto alcun effetto, ebbene questo è la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Chiedete ai vietnamiti, ai cambogiani, iracheni, afghani, palestinesi, africani, tedeschi dell'est, ai greci. Tutte tragedie causate dalla proiezione imperiale e globalista dell'occidente. Ebbene, secondo il Revelli, «oggi stiamo assistendo ad un’inversione di quei valori, che dilaga come una sorta di “onda nera” sulle due sponde dell’Atlantico che ha un suo baricentro negli Stati Uniti, che nel conflitto mondiale avevano rappresentato la bandiera della libertà ma anche dell’umanità, e che ritorna in quell’Europa orientale testimone di molti orrori, dove c’era Auschwitz».

Voi dite che non dovrei menarlo se l'avessi tra le mani? Io vi rispondo che non credo ci riuscirei.

Andiamo avanti. Alla domanda «Dove sta l’inganno “sovranista”?» Revelli risponde:

«Molti di questi sentimenti si alimentano nella sensazione che le diverse società siano esposte a venti cattivi che provengono dall’esterno, che cancellano vecchie identità e anche sistemi di protezione sociale. Si diffonde l’idea falsa che il cedimento dei diritti sociali, del lavoro, l’idea che tutto ciò che è accaduto in questi due decenni sia colpa di chi è venuto dall’esterno. È una rappresentazione totalmente infondata: la sconfitta del lavoro, che è stata durissima e che ha determinato un forte arretramento in termini di diritti del lavoro, si è consumata ben prima che si consumassero i flussi migratori. Si è consumata alla fine degli anni ’70 e inizio degli anni ’80. Ha come causa la crescente importanza che il capitale finanziario e la finanza hanno acquisito, il salto tecnologico, l’informatica, l’elettronica, le telecomunicazioni veloci che permettono la delocalizzazione . Non sono i poveri di fuori che ci tolgono i diritti, sono i nostri ricchi che ci tolgono i diritti, ma con quelli il populismo non se la vede molto, li contesta di essere più tolleranti con i poveri. Questa è una narrazione micidiale perché ci rende impotenti di fronte ai veri meccanismi che stanno distruggendo le nostre società.»

Dunque, secondo il Revelli, «Molti di questi sentimenti si alimentano nella sensazione che le diverse società siano esposte a venti cattivi che provengono dall’esterno» e «Si diffonde l’idea falsa che il cedimento dei diritti sociali, del lavoro, l’idea che tutto ciò che è accaduto in questi due decenni sia colpa di chi è venuto dall’esterno».

Ma, secondo il Revelli, questa è «una rappresentazione totalmente infondata: la sconfitta del lavoro, che è stata durissima e che ha determinato un forte arretramento in termini di diritti del lavoro, si è consumata ben prima che si consumassero i flussi migratori».

Bravo Marco Revelli! Ma scusami, prima che ti sbatta la capoccia contro uno spigolo, mi sai dire se, secondo te, tra la sconfitta durissima del lavoro e l'insorgere dei flussi migratori c'è un qualche nesso? Sai, a sentirti sembra che sì, sembra che tu dica: è vero che il mondo del lavoro è stato sconfitto, ma le migrazioni sono come la meteorologia, la pioggia arriva quando capita. Sicuro bel vecchietto che non ci sia alcun nesso? Sicuro che questi migranti arrivano in milioni alle nostre porte perché hanno visto la televisione? E meno male che insegni "Scienza politica" (sic) all'orientale del Piemonte! Posso dirti una cosa? Ho l'assoluta certezza che, se fossi stato coerente con quello che sai ma hai scelto di non dire, oggi al massimo insegneresti alle medie.

Continui affermando che «Non sono i poveri di fuori che ci tolgono i diritti, sono i nostri ricchi che ci tolgono i diritti, ma con quelli il populismo non se la vede molto, li contesta di essere più tolleranti con i poveri. Questa è una narrazione micidiale perché ci rende impotenti di fronte ai veri meccanismi che stanno distruggendo le nostre società». Qui dimostri di essere falso ma anche furbo, perché improvvisamente ti metti a parlare di "populismi". Scusami, ma non stavamo parlando di "sovranismo"? Perché tiri fuori la categoria dei "populismi", i quali sono l'inevitabile e disordinata reazione di chi patisce i danni del globalismo ma non sono una categoria politica? Cioè scusami bel vecchietto, cominci con una polemica contro una controparte politica e argomenti tirando in ballo fenomeni sociali? E sei pure professore di "Scienza Politica" all'orientale del Piemonte? Annamo bene!

L'intervistatore, alias il ceffo, domanda: «Professore, siamo nell’età della rabbia, come la definisce Pankaj Mishra (editorialista del “Guardian”), in cui “i ritardatari della modernità”, gli esclusi dai benefici del “progresso”, si rivoltano contro la globalizzazione. Ma è davvero tutta colpa della globalizzazione? Eppure, con i suoi grossi limiti, la globalizzazione ha portato alla “società aperta”. La sfida vera è tra “globalisti” e “sovranisti”? Oppure è una sfida finta?»

Sorvoliamo sulla capziosità del chiedere «Ma è davvero tutta colpa della globalizzazione?» che nel contesto potrebbe alludere alla tesi secondo cui gli sconfitti sono tali per colpa loro, perché sono «ritardatari della modernità». Sorvoliamo perché si dovrebbe aprire un bel discorsetto sul retroterra di sostanziale razzismo di questi fighetti di blogger della Rai, cosa che non mi va e perché questa gente non merita troppa attenzione. Meglio parlare del Revelli, che così risponde:

«...Dentro questo grande sconvolgimento la tentazione è quella di ritornare a chiudersi dentro i confini perché quando si è chiusi dentro i confini si sta meglio, ma non è così, perché chiudendosi si starà peggio. Gli imprenditori della paura sono i veri nemici di tutti. La sfida oggi è tra umano e disumano, stiamo perdendo qualcosa di noi stessi che è quella risorsa salvifica che ha permesso alla specie umana di sopravvivere e la capacità di com-patire, cioè di soffrire insieme. La capacità di vedere sé negli altri. Se perdiamo questo la società si decomporrà.»

Che è davvero un capolavoro di ipocrisia e/o inconsistenza logica. Il Revelli ammette che:

1) c'è stato un grande sconvolgimento, la globalizzazione, che ha causato...
2) ma chiudendosi alla globalizzazione si starà peggio

poi, con un triplo salto carpiato conclude:

3) «La sfida oggi è tra umano e disumano, stiamo perdendo qualcosa di noi stessi che è quella risorsa salvifica che ha permesso alla specie umana di sopravvivere e la capacità di com-patire, cioè di soffrire insieme. La capacità di vedere sé negli altri»

Ma che c'azzecca? Io capisco che con l'età le connessioni neuronali preposte al pensiero logico si danneggino, ma questo mi sembra davvero troppo. Ora, se la demenza senile del bel vecchietto è arrivata a questo punto, allora ritiro quanto ho detto poc'anzi e chiedo scusa, ma se devo ancora considerarlo un essere pensante, anzi un grande intellettuale visto che insegna "Scienza Politica" (sic) all'orientale del Piemonte, allora ho il totale e assoluto diritto di chiedergli: ma dove cazzo sta il nesso tra i primi due punti e il terzo? Dove cazzo sta?

Sorvolo sul paragrafo successivo in cui il ceffo gli chiede di Salvini e dei 5 stelle, domanda fuori tema visto che l'intervista era centrata sul sovranismo e tali Salvini e i 5 stelle non sono, ma evidentemente tutto fa brodo. Passo quindi all'ultima domanda: «E’ possibile creare una “contronarrazione” solidale efficace a quella sovranista? Su quali basi?»

Godetevi la risposta in perfetto stile "pensiero illusorio":

«Io credo che sarebbe suicida tenere separata la questione enorme dei diritti umani dalla questione dei diritti sociali. Queste forme virulente di populismo si alimentano della rabbia per il tradimento nei confronti dei diritti sociali e quindi dei bisogni economici e sociali della gente e risarcisce questa perdita creando capri espiatori nei confronti dei quali ci si può risarcire del proprio declassamento. Ci vuole una intransigente difesa dei diritti sociali di tutti, italiani e non, e dei diritti umani universali. Se noi non difendiamo gli abitanti delle nostre periferie dal degrado economico e sociale non possiamo nemmeno chiedergli di essere accoglienti e generosi nei confronti dei migranti.»

Dunque «sarebbe suicida tenere separata la questione enorme dei diritti umani dalla questione dei diritti sociali». Qualcuno può informare il docente di "Scienza Politica" (sic) all'orientale del Piemonte che questo è proprio l'obiettivo principe di noi sovranisti? Una cosa, tra l'altro, che sta scritta in Costituzione, che per noi sovranisti è la carta di riferimento? Ma già, il bel vecchietto, complice la degenerazione neuronale, confonde noi sovranisti con Salvini e i 5 stelle.

Ma anche basta no!

SOLIDARIETÀ COL POPOLO ITALIANO

[ 27 giugno 2018]

Il terremoto elettorale verificatosi in Italia il 4 marzo è stato uno dei principali punti all'ordine del giorno della riunione del Coordinamento europeo per l'uscita dall'euro, dalla Ue e dalla NATO svoltasi a Roma il 12 maggio scorso. Dopo la nascita del govermo M5s-Lega il Coordinamento, grazie ad un'articolata discussione, ha approvato la seguente risoluzione. Del Coordinamento fanno parte movimenti e organizzazioni di Germania, Francia, Austria, Spagna, Grecia e Italia.

*  *  *



RISOLUZIONE SULLA SITUAZIONE ITALIANA


«88 giorni dopo il terremoto elettorale del 4 marzo, segnato dalla disfatta dei guardiani dell’ordoliberismo e della sudditanza verso l’euro-germania (Partito democratico e Forza Italia), il 1 giugno è finalmente nato il governo di coalizione tra il Movimento 5 Stelle e la Lega.

La casta dominante, spalleggiata dalle euro-oligarchie e dalla finanza mondialista, ha cercato con ogni mezzo di impedire che queste due forze andassero al governo. Il 27 maggio, il Presidente della Repubblica Mattarella, in aperta violazione delle sue prerogative costituzionali, sostenendo che avrebbe impedito ogni atto ostile verso l’Unione europea, ha addirittura tentato di imporre un governo fantoccio con a capo un cane da guardia del sistema eurorocratico.
Il simbolo del Coordinamento

Resosi conto che il suo governo si sarebbe schiantato in Parlamento e che in caso di elezioni anticipate M5s e Lega avrebbero conosciuto un’ulteriore grande avanzata, Mattarella ha dovuto fare marcia indietro lasciando che i “populisti” formassero il governo. Un governo di compromesso, visto che M5s e Lega hanno dovuto subire il veto della Presidenza della Repubblica su alcuni ministri, tra cui quello dell’economia e degli affari esteri.

La nascita del governo M5s-Lega, pur se mutilata dai veti della casta, è una vittoria del popolo italiano, anzitutto del proletariato e della gioventù che il 4 marzo hanno voluto dire basta alle politiche dei sacrifici e dell’austerità che mentre hanno arricchito un’esigua minoranza hanno portato la nazione allo sfascio. La grande maggioranza del popolo lavoratore si augura che questo governo attui davvero una svolta radicale nelle politiche sociali e che ponga fine al regime di sottomissione verso l’Unione euro-tedesca.

Se questo governo ponesse davvero fine alle politiche austeritarie, se adottasse misure a favore del popolo lavoratore e della gioventù, se cioè iniziasse a spezzare le catene che incatenano l’Italia e il suo popolo al ceppo dell’euro, meriterà di essere sostenuto, dal popolo italiano come da quelli degli altri paesi. Una cosa è sicura infatti: per attuare anche solo il 50% del suo programma sociale il governo dovrà riguadagnare la sovranità nazionale perduta e prepararsi allo scontro con l’Unione europea. Bruxells, Berlino e Francoforte non accetteranno violazioni sostanziali dei Trattati e del Fiscal compact, tenteranno di azzoppare, addirittura rovesciare il governo già prima della fine dell’anno, con la prossima Legge di bilancio.

Ove il governo M5s-Lega si limitasse ad applicare le parti liberiste e sicuritarie presenti nel programma di governo, ove accettasse i diktat dell’Unione europea, ove seguisse lo sciagurato esempio di Tsipras, esso meriterà una tenace opposizione. Non è questo, tuttavia, ciò che noi ci auguriamo. Per questo esprimiamo solidarietà alla sinistra patriottica italiana che chiama alla formazione di un nuovo Comitato di Liberazione Nazionale e alla più ampia e combattiva mobilitazione per impedire che il nemico principale (l’eurocrazia e il grande capitalismo predatorio) riconquisti Roma per quindi confermare T.I.N.A. (There is No Alternative). Se questo accadesse sarebbe una sconfitta per tutti i popoli europei. Questa sconfitta può e dev’essere evitata.

Solidarietà con il popolo lavoratore italiano in lotta per la sua sovranità!

"PIANO B": LORO SÌ E NOI NO? di Piemme

[ 27 giugno 2018]

E' il segreto di Pulcinella che nei paesi che costituiscono, assieme alla Germania, il "nucleo duro" dell'eurozona (come del resto nei piani alti della Bce), sono molto avanti nella discussione del "Piano B" in caso di sfaldamento o collasso della moneta unica.

Qui da noi invece no, discuterne è proibito. Si deve credere a quanto affermò Draghi nel maggio 2015, al dogma fasullo della "irreversibilità dell'Euro". Ricordate? Egli si appellò al fatto che "i trattati non lo prevedono". Un pretesto buffo assai, non solo in base all regola della Lex Monetae, ma all'elementare quanto fondamentale principio più generale inscritto nello stesso diritto internazionale per cui ogni nazione che abbia stipulato un trattato può recedere ove consideri che esso leda gli interessi e la stessa sovranità statuale.

Tuttavia niente, in Italia, anche solo il nominare un "Piano B" è un tabù assoluto.
Ricorderete quando Di Maio e Salvini scelsero il pur sempre liberal-mercatista ma euroscettico Paolo Savona come ministro dell'economia. Si scatenò un putiferio e la manina "invisibile" dei mercati calò immediatamente la mannaia dello spread. Tant'è che Mattarella la spuntò ottenendo che al suo posto salissse Tria-senza-né-arte-né-parte, il servizievole.


Che in Italia non si possa aprire un dibattito pubblico sul che fare se l'euro viene giù è il simbolo più chiaro che siamo un Paese a sovranità limitata, una provincia di un impero a due teste —come quando c'erano Roma e Bisanzio. E che la "nostra" élite vieti ogni violazione del tabù indica fino a che punto essa è consapevole che il suo destino è legato a quello della moneta unica. Una dipartita inevitabile.

In camera caritatis, tuttavia, la "nostra" élite sa bene come stanno le cose. Afferma ad esempio Carlo Bastasin su IL SOLE 24 ORE del 31 maggio, mentre stava per nascere il governo giallo-verde, confessa:
«Nei mesi passati, ambienti della cancelleria avevano cercato di valutare che cosa sarebbe successo in Italia in caso di deriva anti-europea. Alcuni scenari erano stati elaborati considerando la possibile scelta di alcuni Paesi di uscire dall'euro. Un'eventualità che avrebbe ricondotto l'euro alla struttura originaria della strategia tedesca per l'unione monetaria, il famoso schema Schàuble-Lamers del 1994 sul nocciolo duro, da cui l'Italia era esclusa, circondato da un gruppo di Paesi non partecipanti. Questi scenari non vengono oggi presi in considerazione, anche se testimoniano una riflessione in corso sul futuro dell'euro area e sull'idea, cara agli economisti tedeschi, di disporre di un meccanismo di uscita "ordinata" dalla moneta unica».
Detto altrimenti a Berlino non solo hanno nel cassetto un "Piano B", ma ne hanno elaborate diverse varianti. Davanti alla recalcitrante e temibile Italia, ovvero alla vittoria dei "populisti", Bastasin ci rinfresca la memoria e, contorcendosi, ci ricorda che la Germania pur "non prendendo in considerazione" l'ipotesi di una italexit... ci sta riflettendo su. 

E' l'ipotesi della cosiddetta "uscita ordinata" o concordata. La qual cosa, ne siamo sicuri, non sfugge alle migliori teste del nuovo governo. Solo che questa "riflessione", diversamente che in Germania, si svolge nelle segrete stanze romane e milanesi e non diventa dibattito pubblico. Penso si possa affermare qualcosa di più preciso: dietro alle chiacchiere di circostanza che Conte, Tria e compagnia cantando, fanno un giorno sì e l'altro pure, sul fatto che l'Italia resterà nell'euro, si può stare certi che essi, spaventati all'idea di uno smottamento non pilotato della moneta unica, si aggrappano alla possibilità di trovare un accordo con Berlino e Parigi per uno smantellamento concordato.

Che ciò sia possibile, che quella di un divorzio consensuale con tanto di divisione dei beni non sia una pia illusione, ce lo dirà il futuro. Un futuro, vedrete, non così lontano.



martedì 26 giugno 2018

DISOBBEDIRE E RESISTERE di Paolo Becchi

[ 26 giugno 2018 ]

L'Unione europea sta per adottare un provvedimento gravissimo che riguarda il web. 
In pratica si tratta di una censura preventiva, universale e assoluta. 
Di Maio ha affermato che l'Italia non recepirà la norma.
Ben detto! Disobbedire e Resistere!





L’establishment globalista è in serie difficoltà. Il voto popolare, quindi il normale processo democratico, sta mettendo in ginocchio il progetto neoliberale di superamento degli Stati nazionali. Per questo i “globalisti” corrono ai ripari. Un tempo, quando era la politica ad avere un ruolo di supremazia sull’economia, i partiti cercavano di farsi carico delle istanze popolari espresse nelle urne. Oggi la sovranità popolare ha lasciato il posto alla dittatura della finanza e i gruppi di potere sovranazionali sono invece propensi a soffocare il dissenso.
Per questo il Comitato Affari Legali del Parlamento europeo, cioè la commissione giustizia dell’Europarlamento (JURI), ha approvato il testo di una Direttiva che prevede la tutela del diritto d’autore. Dietro la maschera della salvaguardia del copyright si cela in realtà un atto sconcertante, un passaggio fondamentale per la distruzione della democrazia in Europa.
In particolare vi sono due articoli molto controversi. L’articolo 11 che introduce una tassa sui link, con l’obbligo per tutte le piattaforme on-line (Facebook, Google, Twitter etc. ) di acquistare licenze da società di media prima di poter postare link con qualsiasi tipo di contenuto, e l’articolo 13 sul cosiddetto “filtro di caricamento“, cioè un controllo sull’eventuale violazione del copyright su tutto quanto venga caricato sul web all’interno della Ue.
Insomma una camicia di forza per la rete. Nessuno potrà più condividere direttamente post, video e articoli sui social. Le grandi piattaforme – come ad esempio Facebook e Twitter – dovranno prima verificare il rispetto del copyright. Una follia che impedirà alle informazioni di circolare liberamente. E nulla c’entra la pur condivisibile tutela del diritto d’autore, infatti chi oggi scrive sui giornali o pubblica libri vede il suo diritto tutelato dalla vigente normativa, che lascia all’editore la facoltà di pretenderne il rispetto da parte dell’autore (e di chi diffonde l’opera), o viceversa.
Non tutto è ancora perduto. E bene ha fatto Claudio Messora, il primo in Italia ad aver richiamato l’attenzione sulla gravità di questa direttiva, a iniziare una raccolta di firme per constrastarla. Il testo della direttiva dovrà essere approvato dal Parlamento europeo, cioè dall’Aula, dove all’interno dei due partiti di maggioranza (Ppe e Pse) vi sono parecchi mugugni. L’appuntamento è per il 4 luglio, ma non è escluso un rinvio a fine anno.
Poi c’è un altro aspetto. La nuova normativa sarà adottata tramite una Direttiva, cioè un atto giuridico della Ue che, per poter produrre i suoi effetti, necessita di un atto di recepimento da parte degli Stati membri. In Italia attraverso una legge ordinaria. Fino a quando ci sarà questa maggioranza giallo-verde possiamo almeno ragionevolmente pensare che una tale direttiva non verrà mai recepita.
Ma il nostro dissenso deve farsi sentire anche in Europa.
* Fonte: Byoblu

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