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domenica 9 aprile 2017

IL MATTATOIO SIRIANO di Campo Antimperialista

[ 9 aprile ]


Ha suscitato un’enorme clamore, soprattutto in Occidente, il bombardamento dei governativi su Khan Sheikhoun (nella provincia di Idlib in mano agli insorti), non solo perché avvenuto in violazione del cessate il fuoco siglato il 29 dicembre, ma per l’uso di letali gas tossici proibiti dalle convenzioni internazionali.

L’esercito siriano, come in tutte le altre occasioni del resto, ha negato di aver usato i gas, attribuendone invece la responsabilità ai ribelli sunniti. Dopo aver avvertito i russi, per consentirne l’evacuazione, l’esercito americano ha sferrato un attacco missilistico contro la base aerea dell’esercito siriano di al-Shayrat.

L’isterico putiferio diplomatico suscitato dalla risposta americana si placherà molto presto. L’attacco missilistico americano, potente sul piano simbolico, non imprime, di contro a quanto si sbraita a destra e a manca, alcuna svolta strategica al feroce conflitto multilaterale in corso in Siria — 300-400mila morti, un numero incalcolabile di feriti, 4 milioni di rifugiati espatriati, quasi 8 milioni di siriani sfollati. Non sposta di una virgola i rapporti di forza tra i due fronti belligeranti. Non muta in modo sostanziale i termini della contesa tra le potenze regionali e globali coinvolte (ognuna delle quali conserva intatte le proprie aspirazioni espansionistiche). Non rappresenta un capovolgimento dell’approccio di lungo periodo della Casa Bianca.

Trump come Obama vorrebbe la rimozione di Assad, ma davanti alla minaccia che Damasco cada nelle mani delle forze sunnite wahabite e takfire, questi resta ovviamente il “male minore”. La caduta di Assad sotto i colpi del sunnismo fondamentalista avrebbe ripercussioni devastanti su tutto il Vicino Oriente, anzitutto sull’Iraq, dove infatti gli Stati Uniti, alla testa di una Santa Alleanza che comprende oltre ai curdi e al governo di Baghdad decine di paesi tra cui l’Iran, da tempo sono nuovamente intervenuti in forze per schiacciare lo Stato islamico e riprendere Mosul — nel dicembre scorso il generale del Pentagono Stephen Townsend ha affermato che in un anno sono state compiute contro il califfato ben 17mila incursioni aeree, infliggendo allo Stato Islamico ingenti perdite e al martoriato popolo iracheno delle province sunnite sofferenze inaudite (che in Occidente ci si guarda bene dal ricordare).

Per quanto non dichiarata è palese la convergenza tattica tra gli USA e la Russia putiniana, che si pone come avanguardia della “lotta globale al terrorismo islamista”, motivo della spedizione militare in Siria, su cui gli USA hanno chiuso infatti tutti e due gli occhi. Con un gesto distensivo che la dice lunga sulla strategia russa, proprio poche ore prima dell’attacco missilistico americano, Mosca ha pugnalato alle spalle il popolo palestinese, ufficialmente riconoscendo Gerusalemme Ovest capitale dello stato israeliano. Un gesto che nemmeno gli Stati Uniti hanno potuto sin qui compiere.



Abbiamo altre volte criticato certe spiegazione manichee e semplicistiche sulle cause del sanguinoso conflitto siriano, che sono invece molteplici. Contro la sollevazione popolare iniziata nel marzo 2011, il governo, da anni corresponsabile del disfacimento del tessuto sociale e della crescente polarizzazione tra ricchi e poveri, scatenò ben presto una feroce repressione. Il pugno di ferro del regime di Bashar al-Assad, mentre annichilì le deboli componenti democratiche e riformiste, consegnò ben presto alle frazioni più estreme dell’Islam sunnita l’egemonia sul dilagante movimento di protesta.

Il conflitto sociale e politico, non potendo fluire per vie legali e democratiche, sfociò rapidamente in una cruenta lotta armata, che divenne a sua volta una guerra civile dispiegata. Per la precisione una spietata “fitna” aggravata dalle divisioni tribali e claniche. I motivi sociali e politici della rivolta —le masse arabo-sunnite, largamente maggioritarie, si percepivano come oppresse da un regime che consideravano settario oltre che oligarchico — precipitarono sullo sfondo, venendo sopraffatti da discordie ataviche di tipo confessionale e etnico.

Il sopravvento delle organizzazioni wahhabite e salafite combattenti, nonché takfire — ISIS (poi al-Dawla al-Islamiyya) e al-Nusra (poi Jabhat Fatah al-Sham) — tra la popolazione sunnita costituì il primo grande tornante della guerra. Da quel momento il conflitto diventava apertamente confessionale: da una parte il fronte sunnita capeggiato da wahabiti e takfiri, dall’altra parte il blocco delle sette minoritarie (alawiti, shiiti, cristiani, drusi) e alcuni potenti clan sunniti in affari col regime, tutti aggrappati alle sorti di Assad.

Data l’importanza geo-politica della Siria, sia le medie e piccole potenze regionali, sia le due superpotenze mondiali (USA e Russia), tutte violando il cosiddetto “diritto internazionale”, si sono infilate nel conflitto siriano. Prima surrettiziamente, per interposta persona, sostenendo e armando uno dei due fronti (ognuna avendo propri clienti al loro interno), poi direttamente, con truppe e mezzi sul terreno — agiscono oggi in Siria truppe russe, americane, inglesi, iraniane, libanesi e turche. Mentre i cieli siriani sono solcati anche dalle aviazioni militari di Francia, Israele e Giordania.



La Siria è così diventata un torbido campo di battaglia tra numerosi attori internazionali, ognuno cercando il proprio vantaggio, ognuno perseguendo il suo proprio disegno egemonico. Un’esecrabile e circoscritta guerra civile a carattere confessionale ed etnico è dunque degenerata in un conflitto geopolitico polimorfo: a) tra potenze imperialistiche e loro relativi vassalli regionali; b) nel campo dei vassalli la disputa, essendo la posta in palio l’egemonia nel turbolento mondo islamico, è diventata quella tra le due principali sette islamiche, quella shiita (capeggiata dal blocco Iran-Hezbollah libanese) e quella sunnita (capifila litigiosi Arabia Saudita e Turchia).

Il secondo grande tornante del conflitto siriano, si è verificato nella primavera del 2015 quando la guerriglia sunnita, capeggiata da Jaish al-Fatah, forte dei rifornimenti turchi e sauditi, scatena una vincente offensiva su più punti dello scacchiere e anzitutto sulla città di Idlib, strappandola dal controllo dei governativi. Il regime di Assad, malgrado l’appoggio delle milizie libanesi di Hezbollah e di quelle iraniane è da questo momento sulla difensiva, minacciato da ogni lato. D’altro canto, nell’estate, nel Nord-Est del paese, le forze curde dell’YPG (Unità di Protezione Popolare), con la decisiva copertura non solo aerea e logistica americana, strappano dalle mani dello Stato Islamico vasti territori confinanti con la Turchia.

Siamo quindi, nell’autunno del 2015, al terzo decisivo tornante della guerra: le truppe russe, con intervento contundente, anzitutto su Aleppo, entrano direttamente in campo riuscendo a salvare il regime di Assad da quella che rischiava essere una disfatta strategica. Devastante risulterà, a spiegare la sanguinosa “liberazione” di Aleppo est da parte dei governativi (fine dicembre 2016), la vera e propria guerra tra gli islamisti sunniti dello Stato Islamico e Jaish al-Fatah, quest’ultima sostenuta dall’esercito turco, che entra in forze a Nord di Aleppo.

La “liberazione” di Aleppo Est e l’ennesima pulizia etnica obbliga gli islamisti sunniti sconfitti a firmare, come deciso da Russia e Turchia e con l’approvazione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, il cessate il fuoco su tutto il territorio siriano, ciò che consente l’evacuazione in massa di combattenti e civili sunniti verso la provincia di Idlib. Chi pensava che quel cessate il fuoco sarebbe stato l’anticamera della pace si sbagliava, e di grosso. La tregua, da gennaio in qua, a Nord come a Sud, a Ovest come a Est, nei subborghi di Damasco come in quelli di Hama e Aleppo, è stata violata in molteplici occasioni, sia dalle forze governative che dai suoi litigiosi nemici.

La fitna, la guerra confessionale ed etnica, è destinata a durare molto a lungo, durerà fino a quando uno dei due fronti non otterrà una vittoria totale. Ammesso e non concesso che le due grandi potenze riescano a ridurre a più miti consigli i loro alleati regionali, esse non riusciranno a placare gli odii che dilaniano la Siria (e l’Iraq). Bashar al-Assad lo ha ribadito giorni addietro: “non sigleremo alcuna pace fino a quando non avremo annientato i terroristi”. Dall’altra parte la medesima irriducibile ostilità.


Passerà molto tempo prima che si prosciughino le sorgenti dei fiumi di sangue. Il Vicino Oriente, come abbiamo sostenuto, ha appena iniziato la sua “Guerra dei Trent’anni”. Una “Pace di Westfalia” non sembra vicina. Essa sancirà nuovi equilibri in seno ad una civiltà sotto attacco, quella musulmana, che aspira ad un rango di primo piano sulla scena mondiale. La storia ci dirà se l’ondata fondamentalista segna il risorgimento dell’islam o il suo fatale declino.


Questi alcuni nostri articoli sulla guerra in Siria ed in Iraq

Spezzare l'assedio di Mosul 06 novembre 2016

Fermare l'attacco! 17 ottobre 2016

La fine dello Stato Islamico? 15 agosto 2016

Solidarietà con Falluja, città martire della Resistenza 07 giugno 2016

Medio Oriente in fiamme 03 aprile 2015

Davanti alla tragedia di Kobane 09 ottobre 2014

Al-Takfir - Il Califfato islamico e i suoi nemici 14 agosto 2014 


La conquista di Mosul 17 giugno 2014

Perché i filo-Assad si sbagliano 03 dicembre 2013

Siria: negoziato e governo di transizione 17 ottobre 2013


domenica 6 novembre 2016

MOSUL: FERMARE L'ASSEDIO IMPERIALE di Moreno Pasquinelli

[ 6 novembre ]


Mentre confermiamo la condanna all’offensiva della “Santa Alleanza” capeggiata dagli Stati Uniti per “liberare” Mosul, ci pare doveroso svolgere, contro l’indifferenza generale, ulteriori considerazioni.

Affermava Leone Trotsky nel 1938:

«Quei “dirigenti” operai che vogliono attaccare il proletariato al carro della guerra dell’imperialismo che si copre con la maschera della “democrazia” sono oggi i peggiori nemici e traditori dei lavoratori. Dobbiamo insegnare gli operai a disprezzare e odiare gli agenti dell’imperialismo, perché questi avvelenano la coscienza dei lavoratori. (…)Ne abbiamo un esempio semplice ed evidente. In Brasile regna oggi un regime semifascista che qualunque rivoluzionario può solo odiare. Supponiamo, però che domani l’Inghilterra entri in conflitto militare con il Brasile. Da che parte si schiererà la classe operaia in questo conflitto? In tal caso, io personalmente, starei con il Brasile “fascista” contro la “democratica” Gran Bretagna. Perché? Perché non si tratterebbe di un conflitto tra democrazia e fascismo. Se l’Inghilterra vincesse si installerebbe un altro fascista a Rio de Janeiro che incatenerebbe doppiamente il Brasile. Se al contrario trionfasse il Brasile, la coscienza nazionale e democratica di questo paese condurrebbe al rovesciamento della dittatura di Vargas. Allo stesso tempo, la sconfitta dell’Inghilterra assesterebbe un colpo all’imperialismo britannico e darebbe impulso al movimento rivoluzionario del proletariato inglese. Bisogna proprio aver la testa vuota per ridurre gli antagonismi e i conflitti militari mondiali alla lotta tra fascismo e democrazia. Bisogna imparare a saper distinguere sotto tutte le loro maschere gli sfruttatori, gli schiavisti e i ladroni!»
Siamo in tempi in cui non solo molti pacifisti ma pure sedicenti antimperialisti, persa la bussola a causa di viscerali simpatie per Putin e/o Assad, si ritrovano intruppati nello stesso campo mondiale anti-Stato Islamico, succubi se non proprio dell’islamofobia, della campagna di hitlerizzazione dello Stato Islamico.

La prova provata è che essi, davanti all’attacco definitivo e su larga scala sulla metropoli di Mosul, fanno come le tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo. Come se nulla di tremendo stesse accadendo. Due pesi, molte misure. Molti sono caduti nella trappola ideologica dell’imperialismo americano e dei suoi sodali, accettando il paradigma meta-politico per cui lo Stato Islamico sarebbe “nemico dell’umanità”, e quindi legittimo che questa “umanità” metta da parte i suoi dissidi interni calandosi sulla testa l’elmetto per sventare il mortale pericolo, quindi portando a termine la sua guerra… “umanitaria”. Altri, facendo strame dei fatti e delle evidenze, di come è nata e si è sviluppata sia la guerra di resistenza irachena e poi la guerra civile in Siria, vogliono credere alla barzelletta (sorta in ambienti complottisti ultra-reazionari made in USA) che lo Stato Islamico sia una costola della Cia.

L’assedio in atto su Mosul — la vera Dabiq dello Stato islamico — è voluto e pilotato da una “santa alleanza” imperialista capeggiata a sua volta, ancora una volta, dal Pentagono, e di cui le milizie curde, quelle shiite e iraniane, costituiscono le truppe cammellate sul terreno. 

Ogni guerra imperiale ha bisogno di una narrazione ideologica per camuffarsi e nascondere le sue vere finalità: allora il pretesto era di combattere il fascismo, mutatis mutandis, oggi è la liberazione di Mosul dai “fascisti” dello Stato Islamico.

Come più volte abbiamo sottolineato non abbiamo alcuna simpatia per la causa takfira di al-Baghdadi, ma ciò non ci esime dallo sbugiardare le frottole della coalizione imperiale e dei i loro ascari locali.

E’ sotto gli occhi di tutti che, vista l’importanza strategica che la “Santa alleanza” da alla occupazione di Mosul, assieme alla soldataglia armata di tutto punto sostenuta, si sono mosse all’unisono le truppe salmodianti dei media di mezzo mondo. Mosul è sotto le bombe USA-NATO, martellata dalle artiglierie delle milizie curde, di quelle shiite nonché dalle divisioni blindate inviate da Baghdad — si possono solo immaginare le ferite inferte ai cittadini di Mosul —, ma la macchina imperialista di propaganda tace e ci fa solo vedere quattro disgraziati di sfollati che vengono presentati come i superstiti scampati, grazie ovviamente ai “liberatori”, alle “indicibili” persecuzioni dei combattenti al-Baghdadi, di cui non viene presentata alcuna evidenza. Il racconto mediatico sulle “atrocità” dei nuovi "nazisti islamici" viene arricchito ogni giorno di “sconvolgenti” dettagli: fosse comuni, fucilazioni in massa di chi scapperebbe, arruolamento di soldati bambini, schiavismo sessuale, presunte spie bruciate vive, ecc. Le fonti? Mai dichiarate né confermate, se non dagli uffici del Pentagono, o da centri di comando curdi e di Baghdad.


Noi stiamo ai fatti.

L’attacco in corso per strappare il controllo di Mosul è il secondo tentativo, ma su più ampia scala, dopo quello fallito del gennaio 2015. Allora, a sostenere gli ascari peshmerga curdi di Masoud Barzani, intervennero massicciamente le aviazioni nord-americana, inglese, canadese, giordana e marocchina. Chi avesse voluto già allora poteva informarsi riguardo, non solo al decisivo ruolo di comando e logistico degli americani, ma su quanti furono i raid aerei della coalizione.

La differenza con la prima offensiva è che oggi il blocco anti-Stato Islamico è molto più ampio: vede la partecipazione sul terreno, oltre a quella dell’esercito di Baghdad, quindi dell’esercito turco. Molto più numerose le milizie confessionali o etniche: si va da quelle shiite, a quelle cristiano-assire, da quelle yazide, a quelle curde filo-PKK (Alleanza del Sinjar), ad alcune tribù sunnite.

Tutta questa soldataglia mercenaria non andrebbe da nessuna parte se non fosse teleguidata dal Pentagono. Né si potrebbe anche solo pensare di espugnare Mosul se dall’aria non ci fosse l’appoggio determinante dell’aviazione imperialista. Rispetto alla prima offensiva si sono aggiunte l’aviazione francese, australiana e danese. Il tutto con il ruolo ausiliario dell’esercito italiano e, beninteso, con l’avallo della Russia putiniana che si considera, ed a ragione, sulla scia di Bisanzio e dell’ortodossia cattolica, il nemico più deciso e irriducibile del salafismo islamista combattente.

La “Santa alleanza” si fa forte del sostegno di alcuni capi tribù sunniti nell’offensiva su Mosul. Non è chiara quale sia l’effettiva consistenza di queste milizie sunnite. Gli americani hanno resuscitato la loro tattica sperimentata già in Iraq dal 2005 in poi, quando assoldarono e armarono circa 54mila giovani sunniti (il cosiddetto Awakening) per schiacciare la Resistenza in al-Anbar, caduta sotto il controllo di al-Qaeda in Mesopotamia, al tempo guidata da al-Zarkawi. I comandi americani non nascondono la loro preoccupazione che “liberare” Mosul sarà arduo compito, a meno che non accadano le auspicate diserzioni in massa tra le file dello Stato Islamico.

Ci sono ragioni per dubitare che questi mercenari sunniti siano molti. Ogni sunnita sa cosa è successo ai correligionari dopo la “liberazione” di Ramadi, Tikrit e Falluja. Una sistematica vendetta da parte delle milizie shiite si è abbattuta su di essi, al punto che è lecito parlare di una vera e propria pulizia etnica, per essere precisi confessionale. D’altra parte i takfiri compiono gli stessi crimini, spingendo le diverse minoranze religiose e nazionali sotto il loro controllo a fare armi e bagagli. Come del resto fanno le forze armate fedeli ad Assad in Siria, cercando di espellere i sunniti dalla fascia occidentale che puntano a trasformare in una zona “etnicamente” omogenea, cacciando i sunniti all’interno, nel deserto.

Ciò getta una sinistro ma abbagliante fascio di luce su quel che sta accadendo nella regione che gli arabi chiamano del Mashrek, altrimenti Grande Siria (Bilad al-Sham), in buona sostanza Iraq e Siria.

E’ in corso quella che gli islamici chiamano Fitna, una sanguinosa resa dei conti tra l’universo sunnita e quello shiita (e suoi satelliti come l’alawita ed il cristiano), dove, con le armi, si decide chi debba avere l’egemonia d’ora in avanti sul turbolento poliverso islamico.

Questa è la chiave di volta per capire davvero i fenomeni in corso, tutto il resto, anche le pesanti interferenze esterne, lèggi imperialiste, sono delle subordinate. Non si tratta solo della percezione che ne ha al-Baghdadi (vedi l’ultimo suo radio discorso, in cui fa appello alla jihad contro tutti i miscredenti, contro tutte le sette islamiche e i sunniti venduti al nemico, inclusi sauditi e turchi).

Come abbiamo già scritto, ad un takfirismo tradizionale, lo Stato islamico aggiunge aperte venature apocalittiche ed escatologiche che sono una novità nel pur variegato panorama del puritanesimo combattente islamista. (Vedi lo storico discorso di al-Baghdadi del dicembre 2015.

Lo stesso fronte filo-iraniano ammette che siamo entrati in un’islamica “Guerra dei trent’anni”, quella che dilaniò l’Europa e annichilì la Germania tra il 1618 ed il 1648 e dalla quale nacquero, a grosse linee, con la Pace di Westaflia, gli equilibri stato-nazionali dell’Europa moderna.

Il fronte anti-Stato islamico è più sgangherato che mai. Eventualmente battuti i combattenti di al-Baghadi (ciò che non significa affatto che non possano risorgere) esso andrà in pezzi. Ognuno ha le sue proprie mire, ognuno vuole la sua fetta di torta, ognuno vuole ottenere sul campo il diritto a sedersi al tavolo che ridisegnerà la configurazione della Grande Siria. L’eventuale sconfitta del comune nemico dello Stato Islamico non porrà fine alla guerra, ma solo al suo attuale capitolo. 
Quello successivo sarà ancora più sanguinoso.

martedì 18 ottobre 2016

LA CADUTA DI DABIQ di Campo Antimperialista

[ 18 ottobre ]

FERMARE L'ATTACCO!

MOSUL NON DIVENTI UNA SECONDA ALEPPO!

La perdita della cittadina di Dabiq, nei pressi di Aleppo, conquistata dai militari turchi appoggiati dal braccio armato del Pentagono dell'ESL (Esercito Siriano Libero) è gravissima per l'ISIS, e non per una qualche importanza strategica del luogo, ma per la sua rilevanza simbolica, ben espressa dal teorico della precedenza della fitna sul Jihad e vero fondatore dell'ISIS, dal takfiro Abu Musab al-Zarkawi —
caduto in combattimento contro gli occupanti americani dell'Iraq nel giugno 2006 : «La scintilla è partita qui, in Iraq, e il suo calore aumenterà, a Dio piacendo, fino a quando brucerà le armate crociate a Dabiq».

E' di ieri l'annuncio che le autorità irachene hanno iniziato l'offensiva per espugnare la metropoli di Mosul, conquistata dall'ISIS nel giugno 2014. E' l'ora della resa dei conti. 
E' infatti a Mosul non a Dabiq che si svolgerà la battaglia che deciderà le sorti dello Stato Islamico, la vera Stalin grado dei takfiri. 

Gli attaccanti saranno costretti a raderla al suolo con ogni mezzo come fatto con Aleppo da russi e siriani fedeli al regime di Assad? Tenteranno di non farlo, ma potranno esservi costretti, provocando una crisi umanitaria ancora più grande di quella della martoriata Aleppo. E' certo, infatti, che sarà una lotta in cui i prigionieri saranno pochi, i cadaveri moltissimi, da ambo le parti. Anzitutto periranno gli inermi civili che vivono nella metropoli irachena, che non l'hanno abbandonata, e che moriranno come mosche sotto il fuoco incrociato delle artiglierie iracheno-shiite, curde, iraniane, turche, nonché sotto le devastanti bombe delle aviazioni americana, francese e inglese (coadiuvate dagli italiani). 
Nessuno può escludere che i russi si uniranno alla "Santa alleanza" come stanno già facendo da mesi in Siria. E chissà se, in caso di resistenza accanita, tutti questi signori della guerra imperialisti non decideranno di intruppare anche i qaedisti di al-Nusra, oggi sdoganati come Jabhat Fateh al-Sham. In Siria l'hanno già fatto.

Cosa sarà della Mosul "Liberata"? «It's unclear what a free Mosul will look like», segnalano ponziopilatescamente gli americani. Se la resistenza sarà tenace, come attendibili fonti del Pentagono assicurano, Mosul potrebbe essere ridotta in cenere. Il tutto nel silenzio complice delle grandi potenze e di questa potenza mancata che è l'Unione europea. Nemmeno i pacifisti e le sinistre avranno il coraggio di scendere in strada per chiedere pace, come del resto oggi non fiatano alla notizia dell'offensiva su Mosul.

Il 16 agosto scorso, nell'articolo intitolato «La fine dello Stato Islamico?» prevedevamo che l'ascesa dello Stato Islamico sarebbe finita in una sanguinosa disfatta:

«Che la “Santa alleanza” non canti dunque vittoria ove riesca (e ci riuscirà visto il fideismo cieco e i clamorosi errori politici dello Stato Islamico) a sterminare i seguaci del Califfo al-Baghdadi. Egli è succeduto ad al-Zarkawi, come questo ha raccolto il testimone di Bin Laden, come questo a sua volta seguì le orme di al-Qutb.

Essi tutti hanno a loro volta ripreso l’eredità di quelle correnti salafite intransigenti e guerriere come i kharijiti o gli azraqiti dei primi secoli dell’islam, che a più riprese si ribellarono armi in pugno in nome del “vero e puro Islam”, e per questo vennero annientati dai diversi califfi. Non tutti i musulmani sono salafiti o takfiri, la maggioranza di essi sono anzi quietisti, ma tutti i salafiti ed i takfiri sono musulmani. In essi, piaccia o non piaccia alle scuole maggioritarie, siano esse sunnite o shiite, arde la fiaccola della fierezza islamica, la sete di vendetta dopo secoli di umiliazione
Questa fiaccola non verrà spenta, malgrado lo Stato Islamico sarà smembrato e fatto a pezzi. Per esso non solo il martirio in combattimento, dunque il sacrificio di sé, è la via della salvezza eterna. Ma non c’è solo questo militarismo fatalista. Lo Stato Islamico ha innestato nella sua narrazione, un elemento che pareva estraneo alla visione islamica, quello millenaristico ed escatologico proprio di certe sette ebraico-cristiane. Non a caso il nome dato dallo Stato Islamico al proprio organo di propaganda, è Dabiq, luogo non a caso situato nel Nord est della Siria dove un’improbabile profezia islamica vuole avverrà lo scontro apocalittico e finale tra i musulmani ed i Rum, i cristiani. L’equivalente dell’Armageddon dei cristiano-sionisti.
Escludiamo che la battaglia finale di Dabiq avvenga. Quello che invece non escludiamo, quello di cui siamo anzi certi, è che il salafismo combattente, ancorché nuovamente sconfitto, come l’araba fenice, risorgerà dalla sue ceneri. Sempre risorgerà, fino a quando l’imperialismo dominerà il mondo, fino a quando miliardi di umani saranno soggiogati e umiliati, fino a quando vivrà l’anelito, sia esso sacro o profano, alla giustizia sociale. Fino a quando l’Occidente non farà orrore a se stesso».
Post Scriptum

La campagna di satanizzazione e hitlerizzazione dello Stato Islamico è altrettanto brutale quanto la "furia del dileguare" che questo rappresenta e che lo condanna alla disfatta. Un esempio di questa campagna mediatica mondiale di satanizzazione è stata la notizia, diffusasi in un baleno, che a Mosul una Corte islamica dell'ISIS aveva emesso una fatwa con cui si ordinava di sterminare tutti i gatti della città [QUI, QUI, QUI, QUI e QUI ed esempio]. Si è poi rivelata una ridicola bufala, come tante altre, che non hanno guadagnato la ribalta perché non colpivano come questa l'immaginario collettivo. 
In questo clima di intossicazione, è difficile lo stesso attenersi alla ragione. Noi ci proviamo, malgrado tutto.








mercoledì 4 febbraio 2015

CHE SCHIFEZZA!

[ 4 febbraio ]

Su La Repubblica di ieri campeggiava un articolo con questo agghiacciante titolo Mosul: migliaia di libri al rogo, arrestato libraio che vendeva volumi cristiani.

Si sarebbe trattato di un crimine deciso dalle autorità del califfo Abu Bakr al-Baghdadi [nella foto].

Nell'articolo si legge:
«Saccheggiata la biblioteca centrale nell'antica città nel nord dell'Iraq da giugno controllata dagli islamisti. (...)
Nella città irachena, da giugno sotto il controllo degli islamisti, sono stati migliaia i libri bruciati in piazza mentre il proprietario della più antica libreria veniva arrestato. Secondo il sito di notizie iracheno 'Ankawa', che cita fonti in città, il proprietario della libreria 'Generazione araba' è stato condotto da elementi dell'Is in un luogo sconosciuto dopo che sono stati trovati libri cristiani all'interno del negozio».
Indignati per il rogo di libri, siccome tante sono le bufale che girano in Occidente sulla sanguinosa guerra che sconvolge la Siria e l'Iraq, e dato che non ci fidiamo di giornali come La Repubblica, abbiamo cercato di capire quale fosse la fonte e se fosse attendibile.
Mosul: 31 gennaio, il rogo

Repubblica ha preso la notizia da diversi siti americani ed inglesi (tra quelli occidentali di solito i meglio informati).

Ma qual'è la fonte primaria di questa orribile notizia se non ci sono giornalisti occidentali a Mosul? Ebbene la fonte apparente è il Tweet (!) di un abitante di Mosul che avrebbe denunciato il fatto e postato la foto del rogo [accanto].

Ecco come siamo messi. Tutto parte da un Tweet di cui nessuno può confermare l'attendibilità. La stessa foto non ci aiuta. Cos'è che viene esattamente bruciato? Libri? Giornali? Stracci? O cosa?

Ad ogni modo, se davvero il rogo è avvenuto, esso è un fatto di una gravità inaudita, un gesto che la dice lunga sulla natura del Daesh (acronimo arabo per ad-Dawlat al-Islamiyya fi’l-‘Iraq wa’sh-Sham — Stato islamico dell’Iraq e del Levante) e del regime del califfato.
Spiegammo ai lettori in maniera approfondita le radici, la storia e l'evoluzione dell'ISIS (AL-TAKFIR: IL CALIFFATO ISLAMICO E I SUOI NEMICI). Essendo l'islam di questi guerriglieri il wahabismo takfirita c'è da credere che essi siano capaci di molti dei crimini che gli si addebitano. Per questi iconoclasti tutto quanto sia considerato idolatria e simbolo degli "infedeli" dev'essere messo al bando e sradicato.

Le chiese cristiane del medio oriente, in particolare quelle nestoriane-caldee di Mosul e dell'Iraq, sono depositi di incalcolabile valore spirituale, storico e culturale. La distruzione delle chiese, delle reliquie, delle tombe, delle icone, dei santuari e dei monasteri cristiani è un crimine inaudito. Questi cristiani erano lì secoli prima dell'arrivo dei musulmani, e mai nessuna autorità islamica aveva loro torto un capello, a dimostrazione di quanto profonda sia la frattura interna all'islam stesso con l'avvento del califfato.

Diverse fonti affermano tuttavia che il più delle volte quelli dell'ISIS saccheggiano le chiese cristiane, così come ogni antico luogo di culto, ma non distruggono affatto ciò che trovano, ma se ne impossessano per poi vendere i reperti, traffico con cui finanziano il loro esercito.

Una schifezza che si aggiunge ad una guerra fratridicida e immonda di cui l'imperialismo occidentale, con le sue criminali aggressioni porta un'enorme responsabilità.

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